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Mobbing e danno erariale

La Corte di Cassazione Civile con Sentenza 28 agosto 2013, n. 19814, uniformandosi ad un orientamento giurisprudenziale recente e costante, ha evidenziato e chiarito cosa debba intendersi per mobbing.

Secondo i giudici della Suprema Corte, mobbing è quella condotta da parte del datore di lavoro o del superiore gerarchico, organizzata e prolungata nel tempo, perpetrata nei confronti del lavoratore nell'ambito dell’ambiente lavorativo, che si concreta in sistematici e ripetuti comportamenti ostili ed astiosi che sfociano in forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui deriva la umiliazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo e dannoso del suo equilibrio fisiologico e psichico e della sua personalità, intesa nel suo complesso.

I Giudici di legittimità sottolineano che, ai fini della configurabilità della condotta lesiva, debbano essere considerati rilevanti gli elementi − come ad esempio la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio illeciti o leciti presi in considerazione singolarmente − attuati in maniera reiterata e sistematica contro il dipendente con chiaro intento vessatorio. Inoltre, affermano che il nesso eziologico tra la condotta datoriale ed il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore, nonché l'elemento soggettivo, sia costituito e dato dall'intento persecutorio.

Anche la Cassazione Penale, con Sentenza 3 luglio 2013 n. 28603, ha trattato la questione del mobbing, affermando che il lavoratore che viene profondamente emarginato e perseguitato sul luogo di lavoro, subendo uno straining, ossia una forma di mobbing attenuata, può aver diritto ad un risarcimento per le lesioni subite.

Recentemente anche la Corte dei Conti, sez. giur. Piemonte, Sentenza n. 135/2013, si è confrontata con il fenomeno del mobbing, ovviamente trattandolo sotto il profilo del danno erariale.

La Corte dei Conti ha ravvisato la illiceità della condotta ai fini della responsabilità amministrativo-contabile, sulla scorta della valutazione effettuata dal giudice civile condividendone l’importanza dal punto di vista della idoneità a costituire fonte di responsabilità amministrativa.

Secondo i giudici, in materia di mobbing sussiste una violazione del principio costituzionale dell’imparzialità, fonte di responsabilità erariale, quando viene posto in essere un atteggiamento persecutorio mirato a discriminare ed a umiliare il dipendente.

Ed è la condotta del datore di lavoro, caratterizzata da dolo (accanimento alla persona), l’elemento soggettivo del fenomeno mobbing.

I Giudici, dunque, asseriscono che, come sancito dall'articolo 1 della Legge n. 20/1994, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave.

La condotta del datore di lavoro risulta caratterizzata dal dolo, giacché si tratta di un vero e proprio atteggiamento persecutorio messo in campo nei confronti del lavoratore sottoposto, diretto a umiliare ed a svalutare l'immagine e l'attività dello stesso.

Non può, dunque, essere posto in dubbio l'esistenza di un nesso di causalità tra il danno e il comportamento datoriale, essendo il primo immediatamente conseguente alla suddetta condotta antigiuridica.

Si evidenzia, in conclusione, come l’entrata in vigore del Codice di Comportamento, in base alla Legge n. 190/2012 ed emanato con Decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013 n. 62, fornisca, in questo momento con maggiore chiarezza, il quadro normativo alla luce del quale valutare la correttezza comportamentale di dipendenti e dirigenti.

L’articolo 13 del Codice di Comportamento, disciplinante gli obblighi di condotta cui il dirigente si deve attenere, al comma 4 prevede e stabilisce che: “Il dirigente assume atteggiamenti leali e trasparenti e adotta un comportamento esemplare e imparziale nei rapporti con i colleghi, i collaboratori e i destinatari dell’azione amministrativa”.

Al dirigente è inoltre imposto, sotto il profilo comportamentale, il positivo sforzo di curare il “benessere organizzativo nella struttura a cui è preposto, favorendo l’instaurarsi di rapporti cordiali e rispettosi tra i collaboratori, assume iniziative finalizzate alla circolazione delle informazioni, alla formazione e all’aggiornamento del personale”.

  La Corte di Cassazione Civile con Sentenza 28 agosto 2013, n. 19814, uniformandosi ad un orientamento giurisprudenziale recente e costante, ha evidenziato e chiarito cosa debba intendersi per mobbing.

Secondo i giudici della Suprema Corte, mobbing è quella condotta da parte del datore di lavoro o del superiore gerarchico, organizzata e prolungata nel tempo, perpetrata nei confronti del lavoratore nell'ambito dell’ambiente lavorativo, che si concreta in sistematici e ripetuti comportamenti ostili ed astiosi che sfociano in forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui deriva la umiliazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo e dannoso del suo equilibrio fisiologico e psichico e della sua personalità, intesa nel suo complesso.

I Giudici di legittimità sottolineano che, ai fini della configurabilità della condotta lesiva, debbano essere considerati rilevanti gli elementi − come ad esempio la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio illeciti o leciti presi in considerazione singolarmente − attuati in maniera reiterata e sistematica contro il dipendente con chiaro intento vessatorio. Inoltre, affermano che il nesso eziologico tra la condotta datoriale ed il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore, nonché l'elemento soggettivo, sia costituito e dato dall'intento persecutorio.

Anche la Cassazione Penale, con Sentenza 3 luglio 2013 n. 28603, ha trattato la questione del mobbing, affermando che il lavoratore che viene profondamente emarginato e perseguitato sul luogo di lavoro, subendo uno straining, ossia una forma di mobbing attenuata, può aver diritto ad un risarcimento per le lesioni subite.

Recentemente anche la Corte dei Conti, sez. giur. Piemonte, Sentenza n. 135/2013, si è confrontata con il fenomeno del mobbing, ovviamente trattandolo sotto il profilo del danno erariale.

La Corte dei Conti ha ravvisato la illiceità della condotta ai fini della responsabilità amministrativo-contabile, sulla scorta della valutazione effettuata dal giudice civile condividendone l’importanza dal punto di vista della idoneità a costituire fonte di responsabilità amministrativa.

Secondo i giudici, in materia di mobbing sussiste una violazione del principio costituzionale dell’imparzialità, fonte di responsabilità erariale, quando viene posto in essere un atteggiamento persecutorio mirato a discriminare ed a umiliare il dipendente.

Ed è la condotta del datore di lavoro, caratterizzata da dolo (accanimento alla persona), l’elemento soggettivo del fenomeno mobbing.

I Giudici, dunque, asseriscono che, come sancito dall'articolo 1 della Legge n. 20/1994, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave.

La condotta del datore di lavoro risulta caratterizzata dal dolo, giacché si tratta di un vero e proprio atteggiamento persecutorio messo in campo nei confronti del lavoratore sottoposto, diretto a umiliare ed a svalutare l'immagine e l'attività dello stesso.

Non può, dunque, essere posto in dubbio l'esistenza di un nesso di causalità tra il danno e il comportamento datoriale, essendo il primo immediatamente conseguente alla suddetta condotta antigiuridica.

Si evidenzia, in conclusione, come l’entrata in vigore del Codice di Comportamento, in base alla Legge n. 190/2012 ed emanato con Decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013 n. 62, fornisca, in questo momento con maggiore chiarezza, il quadro normativo alla luce del quale valutare la correttezza comportamentale di dipendenti e dirigenti.

L’articolo 13 del Codice di Comportamento, disciplinante gli obblighi di condotta cui il dirigente si deve attenere, al comma 4 prevede e stabilisce che: “Il dirigente assume atteggiamenti leali e trasparenti e adotta un comportamento esemplare e imparziale nei rapporti con i colleghi, i collaboratori e i destinatari dell’azione amministrativa”.

Al dirigente è inoltre imposto, sotto il profilo comportamentale, il positivo sforzo di curare il “benessere organizzativo nella struttura a cui è preposto, favorendo l’instaurarsi di rapporti cordiali e rispettosi tra i collaboratori, assume iniziative finalizzate alla circolazione delle informazioni, alla formazione e all’aggiornamento del personale”.