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Estinzione del rapporto di lavoro da parte della PA: la nullità del licenziamento del Dirigente

Il rispetto delle procedure nel caso si violazioni disciplinari si applica anche al soggetto che riveste la qualifica di dirigente, nella fattispecie in commento una azienda ospedaliera.

Con la sentenza di primo grado, infatti, il giudice adito riteneva che, pur essendo acclarata la legittimità della scelta di risolvere il rapporto, da un punto di vista formale il recesso era da ritenersi viziato, poiché irrogato dal Direttore Generale piuttosto che dall'Ufficio Procedimenti Disciplinari (Decreto Legislativo n. 165 del 2001, ex articolo 55), e condannava l'Azienda al pagamento dell’indennità di mancato preavviso, quantificata dal CTU, respingendo tutte le altre richieste.

La Corte di Cassazione, Sezione lavoro, con Sentenza 4 dicembre 2013 n. 27128, ha stabilito che ogni provvedimento, tranne rimprovero verbale e censura, deve dunque essere comminato ed irrogato dall’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari (U.c.p.d.).

La Corte Territoriale, a seguito di appello, aveva affermato che mentre l’articolo 55, comma 4, del Decreto Legislativo n. 165/2001 è una norma generale ed è applicabile a tutto il personale non dirigenziale, l'articolo 21, dello stesso richiamato Decreto Legislativo è una norma di carattere speciale applicabile soltanto al ruolo dirigenziale. La conseguenza di tanto è che, dovendo farsi riferimento per la responsabilità disciplinare alla disciplina collettiva applicabile ratione temporis, nella fattispecie sussisteva la competenza del Direttore Generale con la necessità della sola acquisizione del previo parere del Comitato dei Garanti.

La Corte di merito riteneva peraltro legittimo anche sul piano sostanziale il provvedimento adottato dall’azienda, in considerazione del fatto che un giudizio di ingiustificatezza del diniego della stessa non avrebbe potuto avere effetti sananti rispetto ad un comportamento tenuto dal dipendente e concretizzatosi in una consapevole sottrazione agli obblighi di prestazione lavorativa, in totale indifferenza rispetto alle determinazioni aziendali e confermava, infine, il rigetto delle pretese risarcitorie relative all'asserita situazione di mobbing e al dedotto mancato godimento di ferie e festività, in mancanza di relative allegazioni e prove.

I Giudici di Legittimità, investiti della questione, precisato che nella fattispecie dovesse farsi riferimento alla disciplina di legge dell'epoca (Decreto Legislativo n. 165/2001, articoli 21 e 55, nel testo vigente nel periodo luglio/ottobre 2005, anteriore alle modifiche successive ed in specie alla disciplina introdotta dal Decreto Legislativo n. 150/2009), hanno proceduto ad inquadrare la questione nella cosiddetta “responsabilità disciplinare”.

Ebbene la responsabilità disciplinare che scaturisce dalla violazione dei doveri del dipendente pubblico privatizzato compete (salvo che per il rimprovero verbale e la censura) all' U.c.p.d. e la “tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita e regolata dai contratti collettivi”, al contrario per la “responsabilità dirigenziale”, caratterizzata e contraddistinta dal “mancato raggiungimento degli obiettivi” o “dall’inosservanza delle direttive imputabili al dirigente”, l'amministrazione “può recedere dal rapporto secondo le disposizioni del contratto collettivo” (e i provvedimenti di cui all'articolo 21, comma 1, Decreto Legislativo n. 165/2001 “sono adottati previo conforme parere di un comitato di garanti” ˗ cfr. successivo articolo 22 del medesimo Decreto).

I Giudici asseriscono che la differenza tra le due richiamate responsabilità ha risvolti sulla competenza, sulla disciplina relativa al procedimento e sulle sanzioni, oltre che sull'ambito del ruolo della contrattazione collettiva.

Perciò, come costante orientamento giurisprudenziale sostiene, “in tema di rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, ai sensi del Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, articolo 59, comma 4, trasfuso nel Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 55, tutte le fasi del procedimento disciplinare sono svolte unicamente dall'Ufficio competente per i procedimenti disciplinari (U.c.p.d.), anche organo competente alla irrogazione delle sanzioni disciplinari, tranne rimprovero verbale e della censura.

Il procedimento instaurato, perciò, da un soggetto e/o organo diverso dal predetto ufficio, anche se questo non sia ancora stato istituito, è illegittimo e la sanzione irrogata e nulla, risolvendosi in un provvedimento che viola norme di legge inderogabili sulla competenza.

Peraltro neppure la previsione legislativa può essere suscettibile di deroga ad opera della contrattazione collettiva, tanto per l’operatività del principio gerarchico delle fonti, quanto perché il terzo comma dell'articolo 59 Legge n. 29/1993 attribuisce alla contrattazione collettiva soltanto la possibilità di definire la tipologia e l'entità delle sanzioni, mentre non prevede la possibilità di individuare il soggetto competente alla gestione di ogni fase del procedimento disciplinare”. (cfr. Cassazione 5 febbraio 2004 n. 2168, Cassazione 30 settembre 2009 n. 20981).

Inoltre sempre nella sentenza in commento i Giudici hanno precisato che “nel pubblico impiego contrattualizzato, si applica, anche con riferimento alla dirigenza sanitaria, il principio di cui al Decreto Legislativo 165 del 2001, articolo 55, secondo il quale tutte le fasi del procedimento disciplinare sono svolte esclusivamente dall'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, il quale è anche l'organo competente all'irrogazione delle sanzioni disciplinari, ad eccezione del rimprovero verbale e della censura, con la conseguenza che il procedimento instaurato da un soggetto diverso al predetto ufficio è illegittimo e la sanzione è affetta da nullità, restando altresì escluso l'intervento nel procedimento del comitato dei garanti, che è previsto per il diverso caso della responsabilità dirigenziale” (cfr. Cassazione 17 giugno 2010 n. 1462, Cassazione 8 aprile 2010 n. 8329, Cassazione n. 14628/2010, Cassazione 14 settembre 2011 n. 18769, Cassazione 2 febbraio 2007 n. 3929).

 

Il rispetto delle procedure nel caso si violazioni disciplinari si applica anche al soggetto che riveste la qualifica di dirigente, nella fattispecie in commento una azienda ospedaliera.

Con la sentenza di primo grado, infatti, il giudice adito riteneva che, pur essendo acclarata la legittimità della scelta di risolvere il rapporto, da un punto di vista formale il recesso era da ritenersi viziato, poiché irrogato dal Direttore Generale piuttosto che dall'Ufficio Procedimenti Disciplinari (Decreto Legislativo n. 165 del 2001, ex articolo 55), e condannava l'Azienda al pagamento dell’indennità di mancato preavviso, quantificata dal CTU, respingendo tutte le altre richieste.

La Corte di Cassazione, Sezione lavoro, con Sentenza 4 dicembre 2013 n. 27128, ha stabilito che ogni provvedimento, tranne rimprovero verbale e censura, deve dunque essere comminato ed irrogato dall’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari (U.c.p.d.).

La Corte Territoriale, a seguito di appello, aveva affermato che mentre l’articolo 55, comma 4, del Decreto Legislativo n. 165/2001 è una norma generale ed è applicabile a tutto il personale non dirigenziale, l'articolo 21, dello stesso richiamato Decreto Legislativo è una norma di carattere speciale applicabile soltanto al ruolo dirigenziale. La conseguenza di tanto è che, dovendo farsi riferimento per la responsabilità disciplinare alla disciplina collettiva applicabile ratione temporis, nella fattispecie sussisteva la competenza del Direttore Generale con la necessità della sola acquisizione del previo parere del Comitato dei Garanti.

La Corte di merito riteneva peraltro legittimo anche sul piano sostanziale il provvedimento adottato dall’azienda, in considerazione del fatto che un giudizio di ingiustificatezza del diniego della stessa non avrebbe potuto avere effetti sananti rispetto ad un comportamento tenuto dal dipendente e concretizzatosi in una consapevole sottrazione agli obblighi di prestazione lavorativa, in totale indifferenza rispetto alle determinazioni aziendali e confermava, infine, il rigetto delle pretese risarcitorie relative all'asserita situazione di mobbing e al dedotto mancato godimento di ferie e festività, in mancanza di relative allegazioni e prove.

I Giudici di Legittimità, investiti della questione, precisato che nella fattispecie dovesse farsi riferimento alla disciplina di legge dell'epoca (Decreto Legislativo n. 165/2001, articoli 21 e 55, nel testo vigente nel periodo luglio/ottobre 2005, anteriore alle modifiche successive ed in specie alla disciplina introdotta dal Decreto Legislativo n. 150/2009), hanno proceduto ad inquadrare la questione nella cosiddetta “responsabilità disciplinare”.

Ebbene la responsabilità disciplinare che scaturisce dalla violazione dei doveri del dipendente pubblico privatizzato compete (salvo che per il rimprovero verbale e la censura) all' U.c.p.d. e la “tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita e regolata dai contratti collettivi”, al contrario per la “responsabilità dirigenziale”, caratterizzata e contraddistinta dal “mancato raggiungimento degli obiettivi” o “dall’inosservanza delle direttive imputabili al dirigente”, l'amministrazione “può recedere dal rapporto secondo le disposizioni del contratto collettivo” (e i provvedimenti di cui all'articolo 21, comma 1, Decreto Legislativo n. 165/2001 “sono adottati previo conforme parere di un comitato di garanti” ˗ cfr. successivo articolo 22 del medesimo Decreto).

I Giudici asseriscono che la differenza tra le due richiamate responsabilità ha risvolti sulla competenza, sulla disciplina relativa al procedimento e sulle sanzioni, oltre che sull'ambito del ruolo della contrattazione collettiva.

Perciò, come costante orientamento giurisprudenziale sostiene, “in tema di rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, ai sensi del Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, articolo 59, comma 4, trasfuso nel Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 55, tutte le fasi del procedimento disciplinare sono svolte unicamente dall'Ufficio competente per i procedimenti disciplinari (U.c.p.d.), anche organo competente alla irrogazione delle sanzioni disciplinari, tranne rimprovero verbale e della censura.

Il procedimento instaurato, perciò, da un soggetto e/o organo diverso dal predetto ufficio, anche se questo non sia ancora stato istituito, è illegittimo e la sanzione irrogata e nulla, risolvendosi in un provvedimento che viola norme di legge inderogabili sulla competenza.

Peraltro neppure la previsione legislativa può essere suscettibile di deroga ad opera della contrattazione collettiva, tanto per l’operatività del principio gerarchico delle fonti, quanto perché il terzo comma dell'articolo 59 Legge n. 29/1993 attribuisce alla contrattazione collettiva soltanto la possibilità di definire la tipologia e l'entità delle sanzioni, mentre non prevede la possibilità di individuare il soggetto competente alla gestione di ogni fase del procedimento disciplinare”. (cfr. Cassazione 5 febbraio 2004 n. 2168, Cassazione 30 settembre 2009 n. 20981).

Inoltre sempre nella sentenza in commento i Giudici hanno precisato che “nel pubblico impiego contrattualizzato, si applica, anche con riferimento alla dirigenza sanitaria, il principio di cui al Decreto Legislativo 165 del 2001, articolo 55, secondo il quale tutte le fasi del procedimento disciplinare sono svolte esclusivamente dall'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, il quale è anche l'organo competente all'irrogazione delle sanzioni disciplinari, ad eccezione del rimprovero verbale e della censura, con la conseguenza che il procedimento instaurato da un soggetto diverso al predetto ufficio è illegittimo e la sanzione è affetta da nullità, restando altresì escluso l'intervento nel procedimento del comitato dei garanti, che è previsto per il diverso caso della responsabilità dirigenziale” (cfr. Cassazione 17 giugno 2010 n. 1462, Cassazione 8 aprile 2010 n. 8329, Cassazione n. 14628/2010, Cassazione 14 settembre 2011 n. 18769, Cassazione 2 febbraio 2007 n. 3929).