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Cumulo tra cessione volontaria del quinto e pignoramento: limite fisso in percentuale sottratto alla discrezionalità del giudice

Con l’Ordinanza di assegnazione di somme n. 128/2013 Registro Esecuzioni Mobiliari, il Tribunale di Caltanissetta, nella qualità il Giudice dell’Esecuzione, ha posto un altro punto fermo in ordine alla vexata questio inerente il ruolo del giudice nel bilanciamento degli interessi in gioco, anche con riguardo alla procedura esecutiva, ogniqualvolta sia chiamato a pronunciarsi in ordine all’individuazione della misura che rappresenta i cosiddetti mezzi economici adeguati al soddisfacimento delle normali esigenze di vita cui ha diritto il debitore inadempiente esecutato, dipendente pubblico o privato, titolare di uno stipendio o di un salario, tenuto conto del contrapposto interesse del creditore procedente nel vedere riconosciute e realizzate le proprie ragioni creditorie, secondo quanto statuito dall’ordinamento civilistico e processualcivilistico.

Segnatamente, l’istituto bancario procedente avviava l’espropriazione forzata presso terzi di cui all’articolo 543 e seguenti del Codice di Procedura Civile, per vedersi assegnate le somme dovute a titolo di mutuo acceso in favore di un proprio cliente, debitore principale, divenuto successivamente inadempiente e irreperibile, agendo pertanto nei confronti del suo fideiussore, lavoratrice dipendente della Pubblica Amministrazione, in forza di una regolare fideiussio omnibus a garanzia del prestito concesso.

Dinnanzi al Giudice dell’Esecuzione competente, il fideiussore esecutato, seppure nulla contestando in ordine alla fondatezza della pretesa creditrice, tuttavia rilevava che essendo la retribuzione dello stesso già onerata da una pregressa cessione volontaria, nonché da un precedente prestito e tenuto conto delle spese quotidiane per il soddisfacimento delle proprie esigenze essenziali di vita, chiedeva pertanto la riduzione della quota oggetto della ritenuta cautelativa in favore dell’istituto bancario, posto che il nuovo vincolo di indisponibilità sulle somme percepite, avrebbe inciso riducendo ulteriormente l’unica fonte di sostentamento del debitore esecutato, finendo così per non garantire allo stesso, adeguati mezzi economici per il suo sostentamento.

Ciò premesso il Giudice dell’Esecuzione ha ritenuto, non solo, di non poter accogliere la richiesta de qua, ma ha altresì precisato il criterio di diritto sulla base del quale provvedere alla rideterminazione della ritenuta.

In particolare, con riguardo alla richiesta di riduzione ad una quota inferiore delle somme da assegnare al creditore procedente, il Giudice dell’Esecuzione ha rigettato la richiesta sulla scorta dell’assunto che il bilanciamento tra le ragioni creditorie e quelle del debitore esecutato è da ritenersi sottratto alla propria discrezionalità, posto che trattasi di un bilanciamento operato dal Legislatore, come già precisato dal Giudice delle Leggi con la nota Ordinanza n. 225/2002 con la quale ha statuito sul punto che “[…] è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’articolo 32, comma 1 cost. dell’articolo 545 c.p.c., nella parte in cui predetermina la pignorabilità dello stipendio o salario nella misura di un quinto” posto che “[…] il Legislatore, nella sua discrezionalità, al fine di assicurare il contemperamento dell’interesse del creditore con quello del debitore, che percepisca da un privato uno stipendio o un salario, ha previsto un limite fisso percentuale ragionevolmente contenuto (articolo 545, 4 comma, c.p.c.) non essendo obbligato a rimettere in ogni caso la determinazione del limite ad una scelta del giudice”.

Relativamente, poi, al criterio di calcolo della quota di pignoramento, il Giudice dell’Esecuzione ha precisato che a mente dell’articolo 2, comma 1, n. 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 180/1950, la quota di assegnazione predeterminata dal Legislatore è pari ad un quinto. Ricorrendo, poi nel caso specifico, una ipotesi di cumulo di cessione volontaria, prestito e successivo pignoramento, ha individuato quale norma di riferimento l’articolo 68 del Decreto del Presidente della Repubblica de quo, il quale statuisce che ove preesista una cessione, la retribuzione resta pignorabile per la differenza tra la metà dello stipendio valutato al netto delle ritenute e la quota ceduta e quindi – in concreto – per una quota massima pari a tre decimi, sub specie la differenza tra la metà e un quinto.

Il giudice de quo, peraltro, ha rilevato altresì che per consolidata giurisprudenza sul punto, in caso di pignoramento degli stipendi di dipendenti pubblici, la preesistenza di una cessione del relativo credito non incide sulla quota pignorabile della retribuzione, nel senso che la cessione è irrilevante ai fini del calcolo di tale quota, la quale va commisurata all’intero stipendio, senza riduzione della base imponibile a seguito della cessione.

Ritenuto, inoltre, alla stregua del dettato di cui all’articolo 5, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica medesimo, la non incidenza nel calcolo della quota pignorabile dell’ulteriore prestito gravante, in quanto cessione volontaria, ha fissato quale principio di diritto – sulla scorta del quale rideterminare la quota con esattezza e in conformità al dettato legislativo – il seguente: “Il quinto dovrà essere calcolato sulla somma al netto delle ritenute legali, senza tener conto nella determinazione della base imponibile della cessione del credito retributivo e del prestito”.

Sulla scorta delle sopracitate ragioni ha assegnato le somme alla banca procedente, rigettando interamente le richieste di parte avversa.

Ora, alla luce di quanto sin qui detto, a parere dello scrivente, l’Ordinanza che ci occupa offre uno spunto di riflessione, non solo per la lucida e puntuale chiarezza motiva che la contraddistingue, ma anche perché ribadisce un preciso discrimine quanto all’individuazione dell’atteggiarsi del dettato normativo – nell’ipotesi specifica di assegnazione di somme – sia con riguardo all’istituto del pignoramento di somme a titolo di stipendio o salario come disciplinato dal combinato disposto di cui all’articolo 545 del Codice di Procedura Civile e il Decreto del Presidente della Repubblica n. 180/1950; nonché con riguardo all’istituto del pignoramento di somme a titolo di pensione, come disciplinato dall’articolo 128 del Regio Decreto 4 ottobre 1935, n. 1827, in seguito alla declaratoria di illegittimità costituzionale statuita dalla Consulta con la nota Sentenza n. 506/2002.

Non a caso, infatti, a differenza di quanto statuito dalla Consulta con riguardo alla pignorabilità degli stipendi o salari, uti supra meglio precisato, in caso di pignoramento delle pensioni, assegni ed indennità erogati dall’INPS, la stessa ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 128 del Regio Decreto 4 ottobre 1935, n. 1827 nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell’intero ammontare di pensioni, assegni ed indennità erogati dall’INPS, anziché prevedere l’impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte.

La ratio della pronuncia si rintraccia innanzitutto in ciò, sub specie che il pubblico interesse – in cui si traduce il criterio di solidarietà sociale – a che il pensionato goda di un trattamento “adeguato alle esigenze di vita” può, anzi deve, comportare anche una compressione del diritto dei terzi di soddisfare le proprie ragioni creditorie sul bene pensione. Ma tale compressione, deve rispondere a criteri di ragionevolezza che valgano a bilanciare gli interessi de quibus in gioco.

Ciò che rileva, peraltro nella citata Sentenza, è che in questo caso la Consulta ha affermato altro principio di diritto importante, statuendo, in ossequio al più generale principio di matrice costituzionale che sancisce la separazione dei poteri istituzionali, che non rientra nel proprio potere, semmai in quello discrezionale del Legislatore, individuare in concreto l’ammontare della parte di pensione idonea ad assicurare al pensionato “mezzi adeguati alle esigenze di vita”, ponendo l’accento sulla necessità che sia il Legislatore a bilanciare l’esigenza di tutela del credito ex articolo 24 della Costituzione e di garanzia dei mezzi adeguati all’esigenze di vita ex articolo 38 della Costituzione, operando una scelta razionale ed equilibrata.

Conseguentemente, da quanto appena detto ne discende che, nella prolungata inerzia del Legislatore in tal senso, è il giudice che, di volta in volta, è chiamato a determinare l’ammontare della parte della pensione non pignorabile, facendo ricorso ai poteri officiosi in considerazione della natura degli interessi tutelati dalle norme che disciplinano la parziale impignorabilità delle pensioni.

Discorso a parte, poi, meritano i crediti tributari, posto che gli stessi sono stati oggetto di altra pronuncia del Giudice delle Leggi, la n. 468 del 22 novembre 2002, con la quale ha statuito che le pensioni, le indennità ed assegni sono pignorabili fino alla concorrenza di un quinto, valutato al netto di ritenute, per tributi dovuti allo Stato, alle Province e ai Comuni, facenti carico, fino dalla loro origine, al pensionato.

Con l’Ordinanza di assegnazione di somme n. 128/2013 Registro Esecuzioni Mobiliari, il Tribunale di Caltanissetta, nella qualità il Giudice dell’Esecuzione, ha posto un altro punto fermo in ordine alla vexata questio inerente il ruolo del giudice nel bilanciamento degli interessi in gioco, anche con riguardo alla procedura esecutiva, ogniqualvolta sia chiamato a pronunciarsi in ordine all’individuazione della misura che rappresenta i cosiddetti mezzi economici adeguati al soddisfacimento delle normali esigenze di vita cui ha diritto il debitore inadempiente esecutato, dipendente pubblico o privato, titolare di uno stipendio o di un salario, tenuto conto del contrapposto interesse del creditore procedente nel vedere riconosciute e realizzate le proprie ragioni creditorie, secondo quanto statuito dall’ordinamento civilistico e processualcivilistico.

Segnatamente, l’istituto bancario procedente avviava l’espropriazione forzata presso terzi di cui all’articolo 543 e seguenti del Codice di Procedura Civile, per vedersi assegnate le somme dovute a titolo di mutuo acceso in favore di un proprio cliente, debitore principale, divenuto successivamente inadempiente e irreperibile, agendo pertanto nei confronti del suo fideiussore, lavoratrice dipendente della Pubblica Amministrazione, in forza di una regolare fideiussio omnibus a garanzia del prestito concesso.

Dinnanzi al Giudice dell’Esecuzione competente, il fideiussore esecutato, seppure nulla contestando in ordine alla fondatezza della pretesa creditrice, tuttavia rilevava che essendo la retribuzione dello stesso già onerata da una pregressa cessione volontaria, nonché da un precedente prestito e tenuto conto delle spese quotidiane per il soddisfacimento delle proprie esigenze essenziali di vita, chiedeva pertanto la riduzione della quota oggetto della ritenuta cautelativa in favore dell’istituto bancario, posto che il nuovo vincolo di indisponibilità sulle somme percepite, avrebbe inciso riducendo ulteriormente l’unica fonte di sostentamento del debitore esecutato, finendo così per non garantire allo stesso, adeguati mezzi economici per il suo sostentamento.

Ciò premesso il Giudice dell’Esecuzione ha ritenuto, non solo, di non poter accogliere la richiesta de qua, ma ha altresì precisato il criterio di diritto sulla base del quale provvedere alla rideterminazione della ritenuta.

In particolare, con riguardo alla richiesta di riduzione ad una quota inferiore delle somme da assegnare al creditore procedente, il Giudice dell’Esecuzione ha rigettato la richiesta sulla scorta dell’assunto che il bilanciamento tra le ragioni creditorie e quelle del debitore esecutato è da ritenersi sottratto alla propria discrezionalità, posto che trattasi di un bilanciamento operato dal Legislatore, come già precisato dal Giudice delle Leggi con la nota Ordinanza n. 225/2002 con la quale ha statuito sul punto che “[…] è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’articolo 32, comma 1 cost. dell’articolo 545 c.p.c., nella parte in cui predetermina la pignorabilità dello stipendio o salario nella misura di un quinto” posto che “[…] il Legislatore, nella sua discrezionalità, al fine di assicurare il contemperamento dell’interesse del creditore con quello del debitore, che percepisca da un privato uno stipendio o un salario, ha previsto un limite fisso percentuale ragionevolmente contenuto (articolo 545, 4 comma, c.p.c.) non essendo obbligato a rimettere in ogni caso la determinazione del limite ad una scelta del giudice”.

Relativamente, poi, al criterio di calcolo della quota di pignoramento, il Giudice dell’Esecuzione ha precisato che a mente dell’articolo 2, comma 1, n. 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 180/1950, la quota di assegnazione predeterminata dal Legislatore è pari ad un quinto. Ricorrendo, poi nel caso specifico, una ipotesi di cumulo di cessione volontaria, prestito e successivo pignoramento, ha individuato quale norma di riferimento l’articolo 68 del Decreto del Presidente della Repubblica de quo, il quale statuisce che ove preesista una cessione, la retribuzione resta pignorabile per la differenza tra la metà dello stipendio valutato al netto delle ritenute e la quota ceduta e quindi – in concreto – per una quota massima pari a tre decimi, sub specie la differenza tra la metà e un quinto.

Il giudice de quo, peraltro, ha rilevato altresì che per consolidata giurisprudenza sul punto, in caso di pignoramento degli stipendi di dipendenti pubblici, la preesistenza di una cessione del relativo credito non incide sulla quota pignorabile della retribuzione, nel senso che la cessione è irrilevante ai fini del calcolo di tale quota, la quale va commisurata all’intero stipendio, senza riduzione della base imponibile a seguito della cessione.

Ritenuto, inoltre, alla stregua del dettato di cui all’articolo 5, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica medesimo, la non incidenza nel calcolo della quota pignorabile dell’ulteriore prestito gravante, in quanto cessione volontaria, ha fissato quale principio di diritto – sulla scorta del quale rideterminare la quota con esattezza e in conformità al dettato legislativo – il seguente: “Il quinto dovrà essere calcolato sulla somma al netto delle ritenute legali, senza tener conto nella determinazione della base imponibile della cessione del credito retributivo e del prestito”.

Sulla scorta delle sopracitate ragioni ha assegnato le somme alla banca procedente, rigettando interamente le richieste di parte avversa.

Ora, alla luce di quanto sin qui detto, a parere dello scrivente, l’Ordinanza che ci occupa offre uno spunto di riflessione, non solo per la lucida e puntuale chiarezza motiva che la contraddistingue, ma anche perché ribadisce un preciso discrimine quanto all’individuazione dell’atteggiarsi del dettato normativo – nell’ipotesi specifica di assegnazione di somme – sia con riguardo all’istituto del pignoramento di somme a titolo di stipendio o salario come disciplinato dal combinato disposto di cui all’articolo 545 del Codice di Procedura Civile e il Decreto del Presidente della Repubblica n. 180/1950; nonché con riguardo all’istituto del pignoramento di somme a titolo di pensione, come disciplinato dall’articolo 128 del Regio Decreto 4 ottobre 1935, n. 1827, in seguito alla declaratoria di illegittimità costituzionale statuita dalla Consulta con la nota Sentenza n. 506/2002.

Non a caso, infatti, a differenza di quanto statuito dalla Consulta con riguardo alla pignorabilità degli stipendi o salari, uti supra meglio precisato, in caso di pignoramento delle pensioni, assegni ed indennità erogati dall’INPS, la stessa ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 128 del Regio Decreto 4 ottobre 1935, n. 1827 nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell’intero ammontare di pensioni, assegni ed indennità erogati dall’INPS, anziché prevedere l’impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte.

La ratio della pronuncia si rintraccia innanzitutto in ciò, sub specie che il pubblico interesse – in cui si traduce il criterio di solidarietà sociale – a che il pensionato goda di un trattamento “adeguato alle esigenze di vita” può, anzi deve, comportare anche una compressione del diritto dei terzi di soddisfare le proprie ragioni creditorie sul bene pensione. Ma tale compressione, deve rispondere a criteri di ragionevolezza che valgano a bilanciare gli interessi de quibus in gioco.

Ciò che rileva, peraltro nella citata Sentenza, è che in questo caso la Consulta ha affermato altro principio di diritto importante, statuendo, in ossequio al più generale principio di matrice costituzionale che sancisce la separazione dei poteri istituzionali, che non rientra nel proprio potere, semmai in quello discrezionale del Legislatore, individuare in concreto l’ammontare della parte di pensione idonea ad assicurare al pensionato “mezzi adeguati alle esigenze di vita”, ponendo l’accento sulla necessità che sia il Legislatore a bilanciare l’esigenza di tutela del credito ex articolo 24 della Costituzione e di garanzia dei mezzi adeguati all’esigenze di vita ex articolo 38 della Costituzione, operando una scelta razionale ed equilibrata.

Conseguentemente, da quanto appena detto ne discende che, nella prolungata inerzia del Legislatore in tal senso, è il giudice che, di volta in volta, è chiamato a determinare l’ammontare della parte della pensione non pignorabile, facendo ricorso ai poteri officiosi in considerazione della natura degli interessi tutelati dalle norme che disciplinano la parziale impignorabilità delle pensioni.

Discorso a parte, poi, meritano i crediti tributari, posto che gli stessi sono stati oggetto di altra pronuncia del Giudice delle Leggi, la n. 468 del 22 novembre 2002, con la quale ha statuito che le pensioni, le indennità ed assegni sono pignorabili fino alla concorrenza di un quinto, valutato al netto di ritenute, per tributi dovuti allo Stato, alle Province e ai Comuni, facenti carico, fino dalla loro origine, al pensionato.