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Linee Guida Psicoforensi per un processo sempre più giusto

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Di seguito il Commento di Giangiacomo Ferraro, Avvocato del Foro di Messina e Dottore in Psicologia, abilitato all’esercizio della professione di Psicologo, Albo A.

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Si è rivelato di rilevanza cruciale, per i temi trattati, il Congresso La condanna dell’innocente, l’assoluzione del colpevole. Cause e rimedi nella prospettiva psicoforense svoltosi a Milano il 23 novembre 2013, promosso dalla Fondazione Guglielmo Gulotta e dall’Ordine degli Avvocati di Milano, patrocinato dalla Scuola Superiore dell’Avvocatura, dall’Unione Camere Penali Italiana, dall’Ordine Nazionale degli Psicologi, dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia e dal Comune di Milano.

La prolusione è stata tenuta dal Prof. Avv. Guglielmo Gulotta, il quale ha fissato gli obiettivi generali del Congresso. Hanno, poi, proceduto i relatori alla trattazione di tematiche inerenti alla valutazione del rischio e della pericolosità sociale, alle dinamiche del giudizio collegiale, agli errori cognitivi sistematici di rilevanza forense, alla Evidence-Based Justice.

Durante lo svolgimento del Congresso sono stati approfonditi argomenti concernenti il rapporto tra giudice e scienze non giuridiche, i casi di innocenti in carcere, la logica del giudicante, i diritti umani dell’innocente e del colpevole, le funzioni dei protocolli, il sistema famiglia dopo una condanna, il rapporto tra avvocato e psicologo e tra avvocato e le neuroscienze ed è stato anche adottato il sistema della tavola rotonda.

Al termine del Congresso, con il contributo di avvocati, magistrati, psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili e criminologi sono state elaborate delle Linee guida psicoforensi per un processo sempre più giusto, che, prima facie, costituiscono un vero traguardo, al fine di ridurre il rischio che si incorra in errori giudiziari, in piena osservanza delle vigenti norme del Codice di Procedura Penale e delle sentenze di legittimità più significative.

Venendo all’analisi delle linee guida, emerge con chiarezza che gli autori del testo in parola hanno concentrato primariamente l’attenzione sulle acquisizioni scientifiche, che rappresentano vuoi una preziosa risorsa per il libero convincimento del giudice, vuoi un limite insormontabile per quest’ultimo. In tali prime indicazioni si ritrovano le riflessioni avanzate da eminenti studiosi del settore in numerosi convegni, seminari e pubblicazioni (De Cataldo, 2007; De Cataldo, 2008; De Cataldo et al., 2010; Gulotta, 2010)[1].

Viene, inoltre, vivamente suggerito che la valutazione della condotta umana, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, presente in ogni processo penale, non sia rimessa esclusivamente a generiche massime d’esperienza, derivanti dal senso comune.

Al riguardo, nelle indicazioni in commento si raccomanda espressamente che siffatta valutazione, ove possibile, consenta, nell’ambito considerato, la sostituzione del senso comune con conoscenze appartenenti alle scienze psicologiche e si fondi su studi e ricerche propri di queste ultime [2].

Ed invero, per i redattori delle linee guida è opportuno che tali ricerche appartenenti alle scienze psicologiche si attengano a scrupolosi criteri scientifici, consentendo che le massime d’esperienza siano verificabili e/o falsificabili, come, del resto, suggeriscono anche alcuni studiosi (Puddu L. e Zara, 2010; De Cataldo, 2010).

Una notevole innovazione presente nelle linee guida si rinviene nel concetto di “visione a tunnel” in ambito forense, già preso in considerazione dagli studiosi dei paesi anglosassoni (Martin, 2002; Findley e Michael, 2006; Rossmo, 2009).

La “visione a tunnel”, a detta degli estensori delle linee guida, costituisce la primaria distorsione cognitiva sia nella fase investigativa, sia nella fase del giudizio, essa, d’altra parte, si sostanzia, come si rileva dalle indicazioni di cui si tratta, nel «punto di confluenza delle tendenze sistematiche per le quali gli individui possono incorrere in illusioni cognitive (bis) quando si trovano a dover decidere in condizioni di incertezza».

Al fine di evitare errori umani, spesso determinati da ragioni psicologiche ed emotive, le linee guida dettano alcune regole in tema di analisi di dati di tipo oggettivo, come ad esempio le impronte digitali o il DNA.

Durante lo svolgimento delle analisi di dati di tipo oggettivo testé menzionate, viene raccomandato l’impiego del c.d. metodo del doppio cieco (double-blind control procedure), ossia una procedura utilizzata negli esperimenti scientifici in base alla quale sia gli sperimentatori sia i soggetti esaminati non conoscono le informazioni fondamentali dell’esperimento onde evitare qualsiasi tipo di influenza sui risultati (Well, 2005).

Pertanto, utilizzando il cosiddetto metodo del doppio cieco nelle analisi di dati di tipo oggettivo, secondo i compilatori delle linee guida, gli analisti di laboratorio dovrebbero operare senza conoscere una serie di informazioni.

In altre parole, gli analisti sarebbero tenuti a disconoscere i risultati delle analisi di laboratorio ipotizzati dagli inquirenti, la natura degli altri elementi di prova, l’ipotesi in base alla quale i campioni da analizzare possono risultare o meno incriminanti.

Parimenti, in base al metodo del doppio cieco, l’informazione, secondo cui i campioni da analizzare potrebbero risultare incriminanti, dovrebbe essere sconosciuta al soggetto che fa ricevere all’analista i campioni.

Proseguendo l’analisi delle linee guida, in queste ultime si esorta affinché la ricostruzione probatoria rispetti criteri di logicità e coerenza [3].

Occorre rammentare che negli Stati Uniti da tempo sono state introdotte regole e procedure (Frye Standard, Daubert standard, Federal Rules of Evidence) relativamente alle valutazioni scientifiche in ambito forense (Puddu e Zara, 2010).

Similmente, le linee guida contengono, esortazioni rivolte al giudice, peritus peritorum, sulla valutazione dell’ammissibilità e la fondatezza degli asserti scientifici presentati da esperti, a cui non deve essere richiesto di esprimersi, nemmeno indirettamente, circa l’accadimento e la dinamica dei fatti.

Peraltro, il giudice dovrebbe, in base ai precetti sanciti nelle indicazioni in parola, soffermarsi sul grado di affidabilità di una teoria, valutare l’autorità e l’indipendenza del soggetto che gestisce la ricerca scientifica presa in considerazione, la correttezza metodologica impiegata nella ricerca, il grado di consenso che una tesi raccoglie nella comunità scientifica.

In tema di interrogatorio e assunzione delle sommarie informazioni durante la fase delle indagini, risulta innovativa l’esortazione, contenuta nelle linee guida, in base alla quale l’interrogatorio investigativo sia video o audio registrato per i delitti più gravi, anche nei casi in cui ciò non sia espressamente previsto dalla legge [4].

È evidente che tale suggerimento, come emerge dalle raccomandazioni in commento, è teleologicamente orientato ad impedire false confessioni originate da pressioni esterne, dall’attività di interrogazione oppure da situazioni psicologiche dell’interrogato.

Del resto, lo studioso anglosassone Gisli Gudjonsson (2003) da oltre un decennio suggerisce che tutti gli interrogatori della polizia dovrebbero essere soggetti a videoregistrazione [5].

Oltre a ciò, i compilatori delle linee guida segnalano, durante la raccolta delle dichiarazioni dei testimoni e delle persone informate sui fatti da parte degli inquirenti, di effettuare un controllo sul proprio comportamento verbale e non verbale, di iniziare con domande aperte, generali, per poi proseguire con quelle più specifiche ed evitare domande multiple, in ossequio a quanto già da tempo osservano alcuni autorevoli autori (Gulotta, 2003; Cavedon e Calzolari, 2005; Gulotta, 2013).

Per consentire un recupero più articolato delle informazioni, nelle linee guida viene richiesto di domandare al testimone, durante l’ascolto del teste, di descrivere più volte i fatti con cronologie diverse (es. prima la fine, poi dall’inizio).

Quest’ultima raccomandazione sembra recepire la rievocazione libera dell’evento da punti diversi di partenza, ossia ricordare un’avvenimento procedendo da punti diversi (Cavedon e Calzolari, 2005).

Com’è stato osservato(Cavedon e Calzolari, 2005), la rievocazione libera dell’evento da punti diversi di partenza si basa sul concetto di schema o script (Schank e Adelson, 1977) e costituisce la terza componente di un famoso metodo di intervista, la Cognitive Interview di Geiselman, R.E. e Fisher, R.P. (1992).

Nella dodicesima indicazione delle linee guida è richiesta, durante la raccolta e il vaglio della testimonianza di minori o di altri soggetti deboli, l’adozione di peculiari accorgimenti, facendo espresso riferimento ad una serie di importanti protocolli, tra cui spicca la “Carta di Noto” e il “Protocollo di Venezia”.

La tredicesima raccomandazione prevede che il giudice durante la «gestione delle udienze dibattimentali» non formuli domande suggestive o induttive e sembra risultare consona alla norma di cui all’articolo 499 Codice di Procedura Penale, comma sesto.

Difatti, come è agevole intuire dal dato letterale della norma di cui all’articolo 499 Codice di Procedura Penale, comma sesto, il legislatore non consentirebbe al giudice di formulare domande, ma di limitarsi a poter intervenire, anche ex officio, solo allo scopo di «assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni».

In altre parole, la raccomandazione testé menzionata nascerebbe dall’esigenza di ricordare al giudice durante la «gestione delle udienze dibattimentali» di attenersi alla norma preveduta all’articolo 499 Codice di Procedura Penale comma sesto.

Diversa è l’ipotesi regolata dall’articolo 506 Codice di Procedura Penale, secondo comma, a cui le linee guida non sembrano riferirsi e in base al quale, «solo dopo l’esame ed il controesame», il presidente ha la possibilità di rivolgere domande ai testimoni.

Per completezza occorre segnalare che, in quest’ultimo caso, alcune pronunce recenti della Suprema Corte, secondo cui il divieto di porre domande suggestive al testimone “non vale, dunque, per il Giudice, tenuto alla ricerca della verità sostanziale”(Cassazione Penale, Sezione III, 08 marzo 2010, n. 9157), posto che “nell’esame condotto dal Giudice non v’è il rischio di un precedente accordo tra testimone ed interrogante”(Cassazione Penale, Sezione III, 30 gennaio 2008, n. 4721), sembrano collidere con l’orientamento giurisprudenziale in virtù del quale “in tema di testimonianza, l’assunzione della prova direttamente a cura del presidente, e mediante la semplice richiesta se il teste confermi o meno le dichiarazioni già rese in una precedente fase del dibattimento, non può dirsi conforme alle regole che disciplinano la prova stessa, perché non si articola con domande su fatti specifici (articolo 499, comma primo, cod. proc. pen.), tende a suggerire la risposta (articolo 499 commi primo e secondo), e comunque viola la disposizione per la quale - salvi alcuni casi particolari - le domande sono rivolte al testimone direttamente dalle parti processuali” (Cassazione Penale, Sezione II, 08 luglio 2002, n. 35445).

In tema di individuazione, i redattori delle linee guida non si prefiggono l’intento di suggerire l’applicazione all’individuazione di persone o cose delle norme, prevedute agli articoli 213 e seguenti Codice di Procedura Penale, che disciplinano la ricognizione di persone, su cui la Suprema Corte si è espressa in senso negativo [6], ma fissano delle regole sul coretto svolgimento dell’individuazione di persone, di cui all’articolo 361 Codice di Procedura Penale.

In primo luogo, si è inserita nelle linee guida l’esortazione affinché tutte le dichiarazioni testimoniali rese prima, durante e dopo l’identificazione siano documentate mediante strumenti di riproduzione audiovisiva o, perlomeno, fonografica, alla stregua di quanto è stato indicato in tema di interrogatorio.

In secondo luogo, viene fissata la regola, secondo cui chi deve eseguire l’individuazione di persone, anche mediante fotografia, dovrebbe non conoscere l’identità del sospettato.

In terzo luogo, in base alle linee guida sarebbe corretto che, chi deve eseguire l’individuazione, venga avvertito che la persona sottoposta ad indagini può non essere tra le persone presentate ovvero sottoposte in immagine.

Infine, si raccomanda che chi deve eseguire l’individuazione sia al corrente che l’addetto incaricato a condurre quest’ultima disconosce l’identità del sospettato.

Va segnalato che le due ultime regole delle linee guida in parola valgono anche per la ricognizione di persone.

Come è agevole intuire, con tali scelte può intravedersi chiaramente l’intento degli estensori delle indicazioni in commento di riproporre, nel rispetto delle norme contenute nell’articolo 361 Codice di Procedura Penale, il cosiddetto metodo del doppio cieco (double-blind control procedure), che, d’altro canto, è stato già introdotto esplicitamente nelle linee guida per lo svolgimento delle analisi di dati di tipo oggettivo.

Rimanendo nell’alveo dell’individuazione di persone o cose ex articolo 361 Codice di Procedura Penale, ci sembra doveroso aprire una parentesi sul rilievo che, sebbene ciò non sia espresso nelle indicazioni di cui si tratta, sarebbe corretto che l’addetto incaricato di condurre il compimento degli atti di individuazione sia un consulente del pubblico ministero, esperto in psicologia forense e con una formazione adeguata all’attività che va a svolgere.

Tale assunto trova fondamento sulla considerazione secondo cui «il pubblico ministero procede alla individuazione di persone, di cose o di quanto altro può essere oggetto di percezione sensoriale» ai sensi dell’articolo 361 Codice di Procedura Penale

Appare chiaro che per il legislatore italiano, nell’attività di individuazione, è implicato il «processo psicologico» della percezione.

Peraltro, è acclarato che quest’ultima, da oltre un secolo è oggetto di studio della psicologia scientifica (Luccio, 1997; Gambino, 1997; Canestrari e Godino A, 1997; Coren, 2003; Boneau, 2004) [7], sebbene «presenti un interesse multidisciplinare, dalla filosofia alla psicologia, dalla neurofisiologia all’intelligenza artificiale e alla robotica» (Mecacci, 2000).

Entrando in gioco nell’attività di individuazione la «percezione sensoriale», ne deriva che l’individuazione, con ogni probabilità, appare un’«operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze».

Per tali ragioni, il compimento degli atti di individuazione dovrebbe essere svolto da consulenti tecnici, esperti in psicologia forense e con una adeguata formazione professionale, o, rectius, con l’assistenza di questi ultimi [8], dato che, spesso, tali atti vengono espletati da ufficiali di polizia giudiziaria [9] privi di qualsiasi assistenza e, spesso, sprovvisti di «specifiche competenze» nello svolgere un’«operazione», come l’ individuazione, che appare chiaramente «tecnica» e in cui gioca un ruolo fondamentale il processo cognitivo della «percezione sensoriale», come afferma il legislatore stesso.

Per quello che qui interessa, va sottolineato che il consulente del pubblico ministero dovrebbe assumere nello svolgimento della propria attività un comportamento «obiettivo e neutrale» (Gulotta, 2000), contribuendo a garantire, in tal modo, la riduzione del rischio che si incorra in errori giudiziari.

Chiusa questa parentesi, occorre rilevare che, in tema di trascrizione di intercettazioni, le linee guida appaiono in perfetta sintonia con alcune raccomandazioni già da tempo suggerite da alcuni studiosi (Gulotta, 2000; Fraser, 2003).

Peraltro, emerge, nella diciassettesima indicazione, il monito secondo cui la valutazione dell’imputabilità deve essere sganciata da un inquadramento diagnostico di tipo psichiatrico, poiché le categorie che compongono il medesimo, per loro natura, sono soggette a mutamenti nel tempo. Siffatta indicazione trova anche una sorta di riscontro nel DSM-IV-TR, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (APA, 2001), in cui si legge, nella parte introduttiva, che “quando le categorie, i criteri e le descrizioni del DSM-IV vengono utilizzate a fini forensi, sono molti i rischi che le informazioni diagnostiche vengano utilizzate o interpretate in modo scorretto”

Non va, al riguardo, dimenticato che nell’ultima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali(5th ed.; DSM–5; American Psychiatric Association, 2013) viene specificato che quest’ultimo può essere considerato un riferimento nell’orientare giudici e avvocati a valutare le conseguenze legali dei disturbi mentali, sebbene il manuale in parola sia stato concepito essenzialmente per aiutare i medici nella conduzione di valutazioni cliniche, nella formulazione del caso e nella pianificazione del trattamento.

Tuttavia, viene chiarito che gli utenti nell’impiego del DSM-5 dovrebbero essere informati in maniera che siano consapevoli dei rischi e dei limiti del suo uso in ambienti forensi, posto che sussiste il rischio che le informazioni diagnostiche possano essere usate male o fraintese, quando il

DSM-5 è utilizzato per scopi forensi [10].

Deve osservarsi che nelle linee guida si consente di basare su teorie del processo decisionale condivise dalla comunità scientifica la valutazione dell’imputabilità, d’altra parte, nel vaglio di quest’ultima si lascia lo spiraglio aperto a poter fare riferimento a disturbi della sfera cognitiva, dinamiche motivazionali, alla loro natura e qualità in senso psicopatologico.

Le linee guida suggeriscono, poi, dei criteri per la valutazione dell’imputabilità, per la valutazione prognostica della pericolosità sociale, nell’ipotesi in cui si riscontri un vizio di mente e in merito alla valutazione della capacità di stare in giudizio, la quale risulta indipendente dall’imputabilità al momento del fatto ed è riferita alla processabilità.

Per di più, all’interno delle linee guida vengono fissati alcuni criteri per il vaglio concernente la pericolosità sociale, nei casi che non riguardino l’imputabilità.

In ultimo, le linee guida propongono che vi sia un’attenta cura da parte di esperti, avvocati, magistrati, ufficiali di polizia giudiziaria, praticanti e ogni altro soggetto, che operi a vario titolo nei procedimenti giudiziari, nella formazione, nel continuo aggiornamento professionale e scientifico relativamente agli argomenti contenuti nelle indicazioni in commento.

Tirando le fila del discorso fin qui svolto, le linee guida appaiono una tappa fondamentale per avvertire il legislatore di aggiornare il codice di procedura penale italiano ai progressi scientifici ed, in particolare, ai risultati delle ricerche delle scienze psicologiche, inoltre, con ogni probabilità, costituiscono, nel rispetto delle vigenti norme del Codice di Procedura Penale e tenendo conto delle pronunzie di legittimità più significative, un espediente onde ridurre gli errori giudiziari, il cui costo gravante sulla finanza pubblica dal 1989 fino al 2013, come è emerso dal Congresso de quo, ammonta a circa 30.000.000,00 €.

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[1] È necessario rammentare che, su iniziativa dell’Avv. Luisella de Cataldo Neuburger, membro del CdA del’ISISC e Presidente della Società di Psicologia Giuridica (SPG), a Siracusa, presso la sede dell’ISISC, si è svolto nei giorni 13-15 giugno 2008 un Seminario su La Prova Scientifica nel Processo Penale, organizzato dall’Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali - ISISC di concerto con OPCO.

A conclusione del Seminario sono state redatte da qualificati esperti, come il Prof. Avv. Guglielmo Gulotta e il Prof. Giuseppe Sartori, alcune Linee-guida per l’acquisizione della prova scientifica nel processo penale a cui si rinvia per un maggiore approfondimento.

[2] Secondo un’autorevole opinione (De Cataldo, 2008) «oggi le massime di esperienza, le nozioni di senso comune, la “normalità” dei fatti di natura, l’id quod plerumque accidit non possono più riempire le aree di contenimento in cui sfuma il ragionamento giuridico in senso stretto e il ricorso alla scienza diventa una imprescindibile necessità in un contesto giuridico che è stato profondamente inciso dalle acquisizioni della scienza e delle tecnologie».

[3]Al riguardo, è stato affermato da un autorevole autore(De Cataldo, 2008) che «oggi la ricostruzione probatoria dei fatti di reato a condotta complessa, attinenti per lo più a settori nevralgici per la tutela di beni primari quali la vita, la salute o l’ambiente, è sempre più spesso affidata ai risultati della prova scientifica, conseguiti mediante operazioni svolte da periti o consulenti tecnici di particolare competenza, nelle quali, accanto agli strumenti noti e tradizionalmente affidabili, intervengono nuovi e controversi strumenti di informazione e di conoscenza (principi, metodi, studi di settore, tecnologie, apparecchiature ecc.) che aprono problematiche relative sia alle inferenze probatorie che alle verifiche dei relativi criteri. Il giudice deve assicurare che siano ammesse solo prove scientifiche non solo rilevanti ma anche affidabili e che oggetto della expert testimony debba essere una ‘conoscenza scientifica’ cioè radicata nei metodi e nei procedimenti della scienza».

[4] Com’è noto, attualmente ai sensi dell’articolo 141bis Codice di Procedura Penale, l’integrale documentazione con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva è prevista, a pena di inutilizzabilità, per «ogni interrogatorio di persona che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione, e che non si svolga in udienza».

[5] «The electronic recording of all police interviews and interrogations would be in the interests of justice, and it will come. It would ensure that what happens in private within the walls of the interrogation room becomes open to public scrutiny. This is clearly not what Inbau and his colleagues want. They are undoubtedly right that electronic recording potentially gives the defence useful material for disputing confessions at suppression hearings, although it does of course also protect the police against unfounded allegations. The failure to record all interrogation sessions makes it difficult, if not impossible, to retrospectively evaluate the entire interrogation process (e.g. what was said and done by the interrogator to break down resistance and obtain a confession). There is no doubt that tape-recording, or video- recording, of police interviews protects the police against false allegations as well as protecting the suspect against police impropriety. It provides the court with the opportunity of hearing and seeing the whole picture relating to the interrogation. It also has the advantage of making it easy to systematically analyse and evaluate the entire interrogation and confession process (Baldwin, 1993; Pearse & Gudjonsson, 1996a, 1999; Pearse, Gudjonsson, Clare & Rutter, 1998)» (Gudjonsson,2003)

[6] «L’individuazione di un soggetto, sia, sia personale che fotografica, è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta, perciò, una specie del più generale concetto di dichiarazione; di modo che la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale.»(Cass. pen. Sez. II 28.10.2003, n. 47871).

[7] «Se un chimico osserva il colore che che si produce in una reazione chimica, l’oggetto del suo studio non è la percezione del colore, ma il colore percepito. Di contro, la percezione del colore è proprio lo specifico oggetto di studio dello psicologo»(Luccio, 1997).

[8] Ai sensi del secondo comma dell’articolo 359 Codice di Procedura Penale «il consulente può essere autorizzato dal pubblico ministero ad assistere a singoli atti di indagine».

[9] «Dal combinato disposto degli artt. 55 e 348 cod. proc. pen. si evince il principio dell’atipicità degli atti di indagine della polizia giudiziaria, alla quale compete pertanto il potere-dovere di compiere di propria iniziativa, finché non abbia ricevuto dal pubblico ministero direttive di carattere generale o deleghe per singole attività investigative, tutte le indagini che ritiene necessarie ai fini dell’accertamento del reato e dell’individuazione dei colpevoli e quindi anche quegli atti ricognitivi che quest’ultima finalità sono diretti a conseguire, quali l’individuazione di persone o di cose, ancorché non espressamente indicati nell’elencazione contenuta nell’articolo 348 predetto, che deve considerarsi meramente esemplificativa»(Cass. 8 aprile 1997, n. 2655).

[10] « Cautionary Statement for Forensic Use of DSM-5. Although the DSM-5 diagnostic criteria and test are primarily designed to assist clinicians in conducting clinical assessment, case formulation, and treatment planning, DSM-5 is also used as a reference for the courts and attorneys in assessing the forensic consequences of mental disorders. As a result, it is important to note that the definition of mental disorder included in DSM-5 was developed to meet the needs of clinicians, public health professionals, and research investigators rather than all of the technical needs of the courts and legal professionals. It is also important to note that DSM-5 does not provide treatment guidelines for any given disorder.

When used appropriately, diagnoses and diagnostic information can assist legal decision makers in their determinations.

For example, when the presence of a mental disorder is the predicate for a subsequent legal determination (e.g., involuntary civil commitment), the use of an established system of diagnosis enhances the value and reliability of the determination. By providing a compendium based on a review of the pertinent clinical and research literature, DSM-5 may facilitate legal decision makers’ understanding of the relevant characteristics of mental disorders. The literature related to diagnoses also tweeting a check on ungrounded speculation about mental disorders and about the functioning of a particular individual. Finally, diagnostic information about longitudinal course may improve decision making when the legal issue concerns an individual’s mental functioning at a past or future point in time.

However, the use of DSM-5 should be informed by an awareness of the risks and limitations of its use in forensic settings. When DSM-5 categories, criteria, and textual descriptions are employed for forensic purposes, there is a risk that diagnostic Information will be misused or misunderstood»(American Psychiatric Association, 2013).

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Di seguito il Commento di Giangiacomo Ferraro, Avvocato del Foro di Messina e Dottore in Psicologia, abilitato all’esercizio della professione di Psicologo, Albo A.

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Si è rivelato di rilevanza cruciale, per i temi trattati, il Congresso La condanna dell’innocente, l’assoluzione del colpevole. Cause e rimedi nella prospettiva psicoforense svoltosi a Milano il 23 novembre 2013, promosso dalla Fondazione Guglielmo Gulotta e dall’Ordine degli Avvocati di Milano, patrocinato dalla Scuola Superiore dell’Avvocatura, dall’Unione Camere Penali Italiana, dall’Ordine Nazionale degli Psicologi, dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia e dal Comune di Milano.

La prolusione è stata tenuta dal Prof. Avv. Guglielmo Gulotta, il quale ha fissato gli obiettivi generali del Congresso. Hanno, poi, proceduto i relatori alla trattazione di tematiche inerenti alla valutazione del rischio e della pericolosità sociale, alle dinamiche del giudizio collegiale, agli errori cognitivi sistematici di rilevanza forense, alla Evidence-Based Justice.

Durante lo svolgimento del Congresso sono stati approfonditi argomenti concernenti il rapporto tra giudice e scienze non giuridiche, i casi di innocenti in carcere, la logica del giudicante, i diritti umani dell’innocente e del colpevole, le funzioni dei protocolli, il sistema famiglia dopo una condanna, il rapporto tra avvocato e psicologo e tra avvocato e le neuroscienze ed è stato anche adottato il sistema della tavola rotonda.

Al termine del Congresso, con il contributo di avvocati, magistrati, psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili e criminologi sono state elaborate delle Linee guida psicoforensi per un processo sempre più giusto, che, prima facie, costituiscono un vero traguardo, al fine di ridurre il rischio che si incorra in errori giudiziari, in piena osservanza delle vigenti norme del Codice di Procedura Penale e delle sentenze di legittimità più significative.

Venendo all’analisi delle linee guida, emerge con chiarezza che gli autori del testo in parola hanno concentrato primariamente l’attenzione sulle acquisizioni scientifiche, che rappresentano vuoi una preziosa risorsa per il libero convincimento del giudice, vuoi un limite insormontabile per quest’ultimo. In tali prime indicazioni si ritrovano le riflessioni avanzate da eminenti studiosi del settore in numerosi convegni, seminari e pubblicazioni (De Cataldo, 2007; De Cataldo, 2008; De Cataldo et al., 2010; Gulotta, 2010)[1].

Viene, inoltre, vivamente suggerito che la valutazione della condotta umana, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, presente in ogni processo penale, non sia rimessa esclusivamente a generiche massime d’esperienza, derivanti dal senso comune.

Al riguardo, nelle indicazioni in commento si raccomanda espressamente che siffatta valutazione, ove possibile, consenta, nell’ambito considerato, la sostituzione del senso comune con conoscenze appartenenti alle scienze psicologiche e si fondi su studi e ricerche propri di queste ultime [2].

Ed invero, per i redattori delle linee guida è opportuno che tali ricerche appartenenti alle scienze psicologiche si attengano a scrupolosi criteri scientifici, consentendo che le massime d’esperienza siano verificabili e/o falsificabili, come, del resto, suggeriscono anche alcuni studiosi (Puddu L. e Zara, 2010; De Cataldo, 2010).

Una notevole innovazione presente nelle linee guida si rinviene nel concetto di “visione a tunnel” in ambito forense, già preso in considerazione dagli studiosi dei paesi anglosassoni (Martin, 2002; Findley e Michael, 2006; Rossmo, 2009).

La “visione a tunnel”, a detta degli estensori delle linee guida, costituisce la primaria distorsione cognitiva sia nella fase investigativa, sia nella fase del giudizio, essa, d’altra parte, si sostanzia, come si rileva dalle indicazioni di cui si tratta, nel «punto di confluenza delle tendenze sistematiche per le quali gli individui possono incorrere in illusioni cognitive (bis) quando si trovano a dover decidere in condizioni di incertezza».

Al fine di evitare errori umani, spesso determinati da ragioni psicologiche ed emotive, le linee guida dettano alcune regole in tema di analisi di dati di tipo oggettivo, come ad esempio le impronte digitali o il DNA.

Durante lo svolgimento delle analisi di dati di tipo oggettivo testé menzionate, viene raccomandato l’impiego del c.d. metodo del doppio cieco (double-blind control procedure), ossia una procedura utilizzata negli esperimenti scientifici in base alla quale sia gli sperimentatori sia i soggetti esaminati non conoscono le informazioni fondamentali dell’esperimento onde evitare qualsiasi tipo di influenza sui risultati (Well, 2005).

Pertanto, utilizzando il cosiddetto metodo del doppio cieco nelle analisi di dati di tipo oggettivo, secondo i compilatori delle linee guida, gli analisti di laboratorio dovrebbero operare senza conoscere una serie di informazioni.

In altre parole, gli analisti sarebbero tenuti a disconoscere i risultati delle analisi di laboratorio ipotizzati dagli inquirenti, la natura degli altri elementi di prova, l’ipotesi in base alla quale i campioni da analizzare possono risultare o meno incriminanti.

Parimenti, in base al metodo del doppio cieco, l’informazione, secondo cui i campioni da analizzare potrebbero risultare incriminanti, dovrebbe essere sconosciuta al soggetto che fa ricevere all’analista i campioni.

Proseguendo l’analisi delle linee guida, in queste ultime si esorta affinché la ricostruzione probatoria rispetti criteri di logicità e coerenza [3].

Occorre rammentare che negli Stati Uniti da tempo sono state introdotte regole e procedure (Frye Standard, Daubert standard, Federal Rules of Evidence) relativamente alle valutazioni scientifiche in ambito forense (Puddu e Zara, 2010).

Similmente, le linee guida contengono, esortazioni rivolte al giudice, peritus peritorum, sulla valutazione dell’ammissibilità e la fondatezza degli asserti scientifici presentati da esperti, a cui non deve essere richiesto di esprimersi, nemmeno indirettamente, circa l’accadimento e la dinamica dei fatti.

Peraltro, il giudice dovrebbe, in base ai precetti sanciti nelle indicazioni in parola, soffermarsi sul grado di affidabilità di una teoria, valutare l’autorità e l’indipendenza del soggetto che gestisce la ricerca scientifica presa in considerazione, la correttezza metodologica impiegata nella ricerca, il grado di consenso che una tesi raccoglie nella comunità scientifica.

In tema di interrogatorio e assunzione delle sommarie informazioni durante la fase delle indagini, risulta innovativa l’esortazione, contenuta nelle linee guida, in base alla quale l’interrogatorio investigativo sia video o audio registrato per i delitti più gravi, anche nei casi in cui ciò non sia espressamente previsto dalla legge [4].

È evidente che tale suggerimento, come emerge dalle raccomandazioni in commento, è teleologicamente orientato ad impedire false confessioni originate da pressioni esterne, dall’attività di interrogazione oppure da situazioni psicologiche dell’interrogato.

Del resto, lo studioso anglosassone Gisli Gudjonsson (2003) da oltre un decennio suggerisce che tutti gli interrogatori della polizia dovrebbero essere soggetti a videoregistrazione [5].

Oltre a ciò, i compilatori delle linee guida segnalano, durante la raccolta delle dichiarazioni dei testimoni e delle persone informate sui fatti da parte degli inquirenti, di effettuare un controllo sul proprio comportamento verbale e non verbale, di iniziare con domande aperte, generali, per poi proseguire con quelle più specifiche ed evitare domande multiple, in ossequio a quanto già da tempo osservano alcuni autorevoli autori (Gulotta, 2003; Cavedon e Calzolari, 2005; Gulotta, 2013).

Per consentire un recupero più articolato delle informazioni, nelle linee guida viene richiesto di domandare al testimone, durante l’ascolto del teste, di descrivere più volte i fatti con cronologie diverse (es. prima la fine, poi dall’inizio).

Quest’ultima raccomandazione sembra recepire la rievocazione libera dell’evento da punti diversi di partenza, ossia ricordare un’avvenimento procedendo da punti diversi (Cavedon e Calzolari, 2005).

Com’è stato osservato(Cavedon e Calzolari, 2005), la rievocazione libera dell’evento da punti diversi di partenza si basa sul concetto di schema o script (Schank e Adelson, 1977) e costituisce la terza componente di un famoso metodo di intervista, la Cognitive Interview di Geiselman, R.E. e Fisher, R.P. (1992).

Nella dodicesima indicazione delle linee guida è richiesta, durante la raccolta e il vaglio della testimonianza di minori o di altri soggetti deboli, l’adozione di peculiari accorgimenti, facendo espresso riferimento ad una serie di importanti protocolli, tra cui spicca la “Carta di Noto” e il “Protocollo di Venezia”.

La tredicesima raccomandazione prevede che il giudice durante la «gestione delle udienze dibattimentali» non formuli domande suggestive o induttive e sembra risultare consona alla norma di cui all’articolo 499 Codice di Procedura Penale, comma sesto.

Difatti, come è agevole intuire dal dato letterale della norma di cui all’articolo 499 Codice di Procedura Penale, comma sesto, il legislatore non consentirebbe al giudice di formulare domande, ma di limitarsi a poter intervenire, anche ex officio, solo allo scopo di «assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni».

In altre parole, la raccomandazione testé menzionata nascerebbe dall’esigenza di ricordare al giudice durante la «gestione delle udienze dibattimentali» di attenersi alla norma preveduta all’articolo 499 Codice di Procedura Penale comma sesto.

Diversa è l’ipotesi regolata dall’articolo 506 Codice di Procedura Penale, secondo comma, a cui le linee guida non sembrano riferirsi e in base al quale, «solo dopo l’esame ed il controesame», il presidente ha la possibilità di rivolgere domande ai testimoni.

Per completezza occorre segnalare che, in quest’ultimo caso, alcune pronunce recenti della Suprema Corte, secondo cui il divieto di porre domande suggestive al testimone “non vale, dunque, per il Giudice, tenuto alla ricerca della verità sostanziale”(Cassazione Penale, Sezione III, 08 marzo 2010, n. 9157), posto che “nell’esame condotto dal Giudice non v’è il rischio di un precedente accordo tra testimone ed interrogante”(Cassazione Penale, Sezione III, 30 gennaio 2008, n. 4721), sembrano collidere con l’orientamento giurisprudenziale in virtù del quale “in tema di testimonianza, l’assunzione della prova direttamente a cura del presidente, e mediante la semplice richiesta se il teste confermi o meno le dichiarazioni già rese in una precedente fase del dibattimento, non può dirsi conforme alle regole che disciplinano la prova stessa, perché non si articola con domande su fatti specifici (articolo 499, comma primo, cod. proc. pen.), tende a suggerire la risposta (articolo 499 commi primo e secondo), e comunque viola la disposizione per la quale - salvi alcuni casi particolari - le domande sono rivolte al testimone direttamente dalle parti processuali” (Cassazione Penale, Sezione II, 08 luglio 2002, n. 35445).

In tema di individuazione, i redattori delle linee guida non si prefiggono l’intento di suggerire l’applicazione all’individuazione di persone o cose delle norme, prevedute agli articoli 213 e seguenti Codice di Procedura Penale, che disciplinano la ricognizione di persone, su cui la Suprema Corte si è espressa in senso negativo [6], ma fissano delle regole sul coretto svolgimento dell’individuazione di persone, di cui all’articolo 361 Codice di Procedura Penale.

In primo luogo, si è inserita nelle linee guida l’esortazione affinché tutte le dichiarazioni testimoniali rese prima, durante e dopo l’identificazione siano documentate mediante strumenti di riproduzione audiovisiva o, perlomeno, fonografica, alla stregua di quanto è stato indicato in tema di interrogatorio.

In secondo luogo, viene fissata la regola, secondo cui chi deve eseguire l’individuazione di persone, anche mediante fotografia, dovrebbe non conoscere l’identità del sospettato.

In terzo luogo, in base alle linee guida sarebbe corretto che, chi deve eseguire l’individuazione, venga avvertito che la persona sottoposta ad indagini può non essere tra le persone presentate ovvero sottoposte in immagine.

Infine, si raccomanda che chi deve eseguire l’individuazione sia al corrente che l’addetto incaricato a condurre quest’ultima disconosce l’identità del sospettato.

Va segnalato che le due ultime regole delle linee guida in parola valgono anche per la ricognizione di persone.

Come è agevole intuire, con tali scelte può intravedersi chiaramente l’intento degli estensori delle indicazioni in commento di riproporre, nel rispetto delle norme contenute nell’articolo 361 Codice di Procedura Penale, il cosiddetto metodo del doppio cieco (double-blind control procedure), che, d’altro canto, è stato già introdotto esplicitamente nelle linee guida per lo svolgimento delle analisi di dati di tipo oggettivo.

Rimanendo nell’alveo dell’individuazione di persone o cose ex articolo 361 Codice di Procedura Penale, ci sembra doveroso aprire una parentesi sul rilievo che, sebbene ciò non sia espresso nelle indicazioni di cui si tratta, sarebbe corretto che l’addetto incaricato di condurre il compimento degli atti di individuazione sia un consulente del pubblico ministero, esperto in psicologia forense e con una formazione adeguata all’attività che va a svolgere.

Tale assunto trova fondamento sulla considerazione secondo cui «il pubblico ministero procede alla individuazione di persone, di cose o di quanto altro può essere oggetto di percezione sensoriale» ai sensi dell’articolo 361 Codice di Procedura Penale

Appare chiaro che per il legislatore italiano, nell’attività di individuazione, è implicato il «processo psicologico» della percezione.

Peraltro, è acclarato che quest’ultima, da oltre un secolo è oggetto di studio della psicologia scientifica (Luccio, 1997; Gambino, 1997; Canestrari e Godino A, 1997; Coren, 2003; Boneau, 2004) [7], sebbene «presenti un interesse multidisciplinare, dalla filosofia alla psicologia, dalla neurofisiologia all’intelligenza artificiale e alla robotica» (Mecacci, 2000).

Entrando in gioco nell’attività di individuazione la «percezione sensoriale», ne deriva che l’individuazione, con ogni probabilità, appare un’«operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze».

Per tali ragioni, il compimento degli atti di individuazione dovrebbe essere svolto da consulenti tecnici, esperti in psicologia forense e con una adeguata formazione professionale, o, rectius, con l’assistenza di questi ultimi [8], dato che, spesso, tali atti vengono espletati da ufficiali di polizia giudiziaria [9] privi di qualsiasi assistenza e, spesso, sprovvisti di «specifiche competenze» nello svolgere un’«operazione», come l’ individuazione, che appare chiaramente «tecnica» e in cui gioca un ruolo fondamentale il processo cognitivo della «percezione sensoriale», come afferma il legislatore stesso.

Per quello che qui interessa, va sottolineato che il consulente del pubblico ministero dovrebbe assumere nello svolgimento della propria attività un comportamento «obiettivo e neutrale» (Gulotta, 2000), contribuendo a garantire, in tal modo, la riduzione del rischio che si incorra in errori giudiziari.

Chiusa questa parentesi, occorre rilevare che, in tema di trascrizione di intercettazioni, le linee guida appaiono in perfetta sintonia con alcune raccomandazioni già da tempo suggerite da alcuni studiosi (Gulotta, 2000; Fraser, 2003).

Peraltro, emerge, nella diciassettesima indicazione, il monito secondo cui la valutazione dell’imputabilità deve essere sganciata da un inquadramento diagnostico di tipo psichiatrico, poiché le categorie che compongono il medesimo, per loro natura, sono soggette a mutamenti nel tempo. Siffatta indicazione trova anche una sorta di riscontro nel DSM-IV-TR, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (APA, 2001), in cui si legge, nella parte introduttiva, che “quando le categorie, i criteri e le descrizioni del DSM-IV vengono utilizzate a fini forensi, sono molti i rischi che le informazioni diagnostiche vengano utilizzate o interpretate in modo scorretto”

Non va, al riguardo, dimenticato che nell’ultima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali(5th ed.; DSM–5; American Psychiatric Association, 2013) viene specificato che quest’ultimo può essere considerato un riferimento nell’orientare giudici e avvocati a valutare le conseguenze legali dei disturbi mentali, sebbene il manuale in parola sia stato concepito essenzialmente per aiutare i medici nella conduzione di valutazioni cliniche, nella formulazione del caso e nella pianificazione del trattamento.

Tuttavia, viene chiarito che gli utenti nell’impiego del DSM-5 dovrebbero essere informati in maniera che siano consapevoli dei rischi e dei limiti del suo uso in ambienti forensi, posto che sussiste il rischio che le informazioni diagnostiche possano essere usate male o fraintese, quando il

DSM-5 è utilizzato per scopi forensi [10].

Deve osservarsi che nelle linee guida si consente di basare su teorie del processo decisionale condivise dalla comunità scientifica la valutazione dell’imputabilità, d’altra parte, nel vaglio di quest’ultima si lascia lo spiraglio aperto a poter fare riferimento a disturbi della sfera cognitiva, dinamiche motivazionali, alla loro natura e qualità in senso psicopatologico.

Le linee guida suggeriscono, poi, dei criteri per la valutazione dell’imputabilità, per la valutazione prognostica della pericolosità sociale, nell’ipotesi in cui si riscontri un vizio di mente e in merito alla valutazione della capacità di stare in giudizio, la quale risulta indipendente dall’imputabilità al momento del fatto ed è riferita alla processabilità.

Per di più, all’interno delle linee guida vengono fissati alcuni criteri per il vaglio concernente la pericolosità sociale, nei casi che non riguardino l’imputabilità.

In ultimo, le linee guida propongono che vi sia un’attenta cura da parte di esperti, avvocati, magistrati, ufficiali di polizia giudiziaria, praticanti e ogni altro soggetto, che operi a vario titolo nei procedimenti giudiziari, nella formazione, nel continuo aggiornamento professionale e scientifico relativamente agli argomenti contenuti nelle indicazioni in commento.

Tirando le fila del discorso fin qui svolto, le linee guida appaiono una tappa fondamentale per avvertire il legislatore di aggiornare il codice di procedura penale italiano ai progressi scientifici ed, in particolare, ai risultati delle ricerche delle scienze psicologiche, inoltre, con ogni probabilità, costituiscono, nel rispetto delle vigenti norme del Codice di Procedura Penale e tenendo conto delle pronunzie di legittimità più significative, un espediente onde ridurre gli errori giudiziari, il cui costo gravante sulla finanza pubblica dal 1989 fino al 2013, come è emerso dal Congresso de quo, ammonta a circa 30.000.000,00 €.

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[1] È necessario rammentare che, su iniziativa dell’Avv. Luisella de Cataldo Neuburger, membro del CdA del’ISISC e Presidente della Società di Psicologia Giuridica (SPG), a Siracusa, presso la sede dell’ISISC, si è svolto nei giorni 13-15 giugno 2008 un Seminario su La Prova Scientifica nel Processo Penale, organizzato dall’Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali - ISISC di concerto con OPCO.

A conclusione del Seminario sono state redatte da qualificati esperti, come il Prof. Avv. Guglielmo Gulotta e il Prof. Giuseppe Sartori, alcune Linee-guida per l’acquisizione della prova scientifica nel processo penale a cui si rinvia per un maggiore approfondimento.

[2] Secondo un’autorevole opinione (De Cataldo, 2008) «oggi le massime di esperienza, le nozioni di senso comune, la “normalità” dei fatti di natura, l’id quod plerumque accidit non possono più riempire le aree di contenimento in cui sfuma il ragionamento giuridico in senso stretto e il ricorso alla scienza diventa una imprescindibile necessità in un contesto giuridico che è stato profondamente inciso dalle acquisizioni della scienza e delle tecnologie».

[3]Al riguardo, è stato affermato da un autorevole autore(De Cataldo, 2008) che «oggi la ricostruzione probatoria dei fatti di reato a condotta complessa, attinenti per lo più a settori nevralgici per la tutela di beni primari quali la vita, la salute o l’ambiente, è sempre più spesso affidata ai risultati della prova scientifica, conseguiti mediante operazioni svolte da periti o consulenti tecnici di particolare competenza, nelle quali, accanto agli strumenti noti e tradizionalmente affidabili, intervengono nuovi e controversi strumenti di informazione e di conoscenza (principi, metodi, studi di settore, tecnologie, apparecchiature ecc.) che aprono problematiche relative sia alle inferenze probatorie che alle verifiche dei relativi criteri. Il giudice deve assicurare che siano ammesse solo prove scientifiche non solo rilevanti ma anche affidabili e che oggetto della expert testimony debba essere una ‘conoscenza scientifica’ cioè radicata nei metodi e nei procedimenti della scienza».

[4] Com’è noto, attualmente ai sensi dell’articolo 141bis Codice di Procedura Penale, l’integrale documentazione con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva è prevista, a pena di inutilizzabilità, per «ogni interrogatorio di persona che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione, e che non si svolga in udienza».

[5] «The electronic recording of all police interviews and interrogations would be in the interests of justice, and it will come. It would ensure that what happens in private within the walls of the interrogation room becomes open to public scrutiny. This is clearly not what Inbau and his colleagues want. They are undoubtedly right that electronic recording potentially gives the defence useful material for disputing confessions at suppression hearings, although it does of course also protect the police against unfounded allegations. The failure to record all interrogation sessions makes it difficult, if not impossible, to retrospectively evaluate the entire interrogation process (e.g. what was said and done by the interrogator to break down resistance and obtain a confession). There is no doubt that tape-recording, or video- recording, of police interviews protects the police against false allegations as well as protecting the suspect against police impropriety. It provides the court with the opportunity of hearing and seeing the whole picture relating to the interrogation. It also has the advantage of making it easy to systematically analyse and evaluate the entire interrogation and confession process (Baldwin, 1993; Pearse & Gudjonsson, 1996a, 1999; Pearse, Gudjonsson, Clare & Rutter, 1998)» (Gudjonsson,2003)

[6] «L’individuazione di un soggetto, sia, sia personale che fotografica, è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta, perciò, una specie del più generale concetto di dichiarazione; di modo che la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale.»(Cass. pen. Sez. II 28.10.2003, n. 47871).

[7] «Se un chimico osserva il colore che che si produce in una reazione chimica, l’oggetto del suo studio non è la percezione del colore, ma il colore percepito. Di contro, la percezione del colore è proprio lo specifico oggetto di studio dello psicologo»(Luccio, 1997).

[8] Ai sensi del secondo comma dell’articolo 359 Codice di Procedura Penale «il consulente può essere autorizzato dal pubblico ministero ad assistere a singoli atti di indagine».

[9] «Dal combinato disposto degli artt. 55 e 348 cod. proc. pen. si evince il principio dell’atipicità degli atti di indagine della polizia giudiziaria, alla quale compete pertanto il potere-dovere di compiere di propria iniziativa, finché non abbia ricevuto dal pubblico ministero direttive di carattere generale o deleghe per singole attività investigative, tutte le indagini che ritiene necessarie ai fini dell’accertamento del reato e dell’individuazione dei colpevoli e quindi anche quegli atti ricognitivi che quest’ultima finalità sono diretti a conseguire, quali l’individuazione di persone o di cose, ancorché non espressamente indicati nell’elencazione contenuta nell’articolo 348 predetto, che deve considerarsi meramente esemplificativa»(Cass. 8 aprile 1997, n. 2655).

[10] « Cautionary Statement for Forensic Use of DSM-5. Although the DSM-5 diagnostic criteria and test are primarily designed to assist clinicians in conducting clinical assessment, case formulation, and treatment planning, DSM-5 is also used as a reference for the courts and attorneys in assessing the forensic consequences of mental disorders. As a result, it is important to note that the definition of mental disorder included in DSM-5 was developed to meet the needs of clinicians, public health professionals, and research investigators rather than all of the technical needs of the courts and legal professionals. It is also important to note that DSM-5 does not provide treatment guidelines for any given disorder.

When used appropriately, diagnoses and diagnostic information can assist legal decision makers in their determinations.

For example, when the presence of a mental disorder is the predicate for a subsequent legal determination (e.g., involuntary civil commitment), the use of an established system of diagnosis enhances the value and reliability of the determination. By providing a compendium based on a review of the pertinent clinical and research literature, DSM-5 may facilitate legal decision makers’ understanding of the relevant characteristics of mental disorders. The literature related to diagnoses also tweeting a check on ungrounded speculation about mental disorders and about the functioning of a particular individual. Finally, diagnostic information about longitudinal course may improve decision making when the legal issue concerns an individual’s mental functioning at a past or future point in time.

However, the use of DSM-5 should be informed by an awareness of the risks and limitations of its use in forensic settings. When DSM-5 categories, criteria, and textual descriptions are employed for forensic purposes, there is a risk that diagnostic Information will be misused or misunderstood»(American Psychiatric Association, 2013).

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