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Il codice disciplinare aziendale

Sommario: 1. Introduzione  2. Articolo 7 Legge n. 300/1970  3. Contenuto  4. Obbligo di affissione  5. Esposizione e sanzionabilità delle infrazioni

1. Introduzione

Gli effetti della profonda crisi economico-finanziaria, che ha colpito negli ultimi anni i Paesi occidentali ed in particolar modo l’Europa mediterranea e l’Italia, si sono immancabilmente riverberati sulle complesse relazioni che sostanziano il macro sistema lavoro, ed il micro sistema azienda.

Un siffatto contesto ha acuito le criticità delle relazioni aziendali nel panorama italiano, aggravate altresì dalla rottura dell’unità sindacale e da una normativa giuslavorista in costante, e spesso confusa, evoluzione.

Di conseguenza, le disposizioni aventi ad oggetto il rapporto di lavoro e le relazioni industriali hanno assunto una rinnovata centralità ed importanza, in quanto il superamento della crisi in corso necessità anche di un reticolo normativo coordinato e correttamente strutturato, e volto a contemperare le esigenze produttive ed i diritti di lavoratori ed imprese.

2. Articolo 7 Legge n. 300/1970 

Tanto premesso, ai fini del presente elaborato giova preliminarmente evidenziare quanto disposto dall’articolo 7, comma 1, della Legge n. 300/1970 (cosiddetto “Statuto dei lavoratori”), rubricato “Sanzioni Disciplinari”.

La norma citata, avente ad oggetto la disciplina del procedimento per la irrogazione del provvedimento  disciplinare nei confronti del lavoratore, al primo comma recita quanto segue:

“Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano”.

In passato, alcuni Autori ritenevano che l’originario intendimento del Legislatore fosse quello di limitare la discrezionalità del datore di lavoro in riferimento ai comportamenti punibili, alla sanzione irrogabile ed al relativo procedimento, in modo analogo a quello in cui il Codice Penale limita l’autonomia del Giudice nell’individuazione del comportamento da punire e della pena da infliggere.

La Dottrina maggioritaria, però, non ha tardato nel sottolineare acutamente che la norma penale, a differenza del codice disciplinare aziendale, istituisce il reato, qualificando azioni e comportamenti come illeciti e sanzionandoli penalmente.

Il regolamento disciplinare, invece, si limita a stabilire la correlazione tra le sanzioni statuite da fonti legislative e contrattuali, collettive o individuali, ed una determinata categoria di infrazioni. Trattasi pertanto di similitudine solo apparente.

3. Contenuto 

Per quanto concerne il contenuto del documento oggetto di analisi, giova evidenziare in via preliminare l’assenza di una formula univoca, a causa di contesti aziendali strutturalmente eterogenei e caratterizzati da esigenze e processi di lavoro spesso agli antipodi.

Secondo il parere della giurisprudenza maggioritaria, al fine di assolvere all’obbligo imposto dallo “Statuto dei Lavoratori”, e soddisfare le esigenze informative a base della stessa disposizione, è sufficiente indicare sinteticamente all’interno del regolamento disciplinare le possibili infrazioni ed il criterio di corrispondenza con le sanzioni comminabili.

Un siffatto orientamento si giustifica con la difficoltà di scrivere ed esporre, nei modi indicati dalla Legge n. 300/1970, un codice elefantiaco contenente tutti i possibili comportamenti sanzionabili.

In caso contrario, sarebbe necessario redigere un documento omnicomprensivo, ma raramente esaustivo, di  difficile comprensione e contrario, pertanto, alla ratio della norma stessa.

Nella prassi aziendale, però, la citata interpretazione riduttiva, in merito al contenuto del documento, ha giustificato la redazione di regolamenti alquanto generici, inadeguati ad adempiere alla funzione imposta dalla normativa.

In alcuni casi, invero, sono stati redatti, e ritenuti idonei, codici disciplinari contenenti solamente il testo dell’articolo 2119 del Codice Civile, in materia di licenziamento per giusta causa, ed una serie di frasi tautologiche quali le seguenti: “saranno sanzionate con licenziamento con preavviso le mancanze che non siano così gravi da giustificare il licenziamento in tronco; con la sospensione da 1 o 10 giorni quelle che non siano così gravi da giustificare il licenziamento con preavviso, [..]”.

È lapalissiano come un siffatto documento non sia in grado né di tutelare il lavoratore, né di limitare la discrezionalità del datore di lavoro. Il primo, invero, difficilmente riuscirebbe ad estrapolare dalla lettura di un tal codice i comportamenti sanzionabili e quelli, invece, consentiti. La discrezionalità del datore di lavoro in ambito disciplinare, inoltre, risulterebbe priva di vincoli o limitazioni di sorta.

L’inciso finale dell’articolo 7, comma 1, della Legge n. 300/1970, ci offre un ulteriore spunto di riflessione. La norma dispone che “[…] Esse (le norme disciplinari) devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano”.

Secondo numerosi Autori, con i termini “accordi di lavoro” il Legislatore ha inteso fare riferimento ai contratti collettivi di qualsiasi livello, anche aziendale. Soventemente, invero, i contratti di secondo livello sono menzionati semplicemente come “accordi”. Di conseguenza, ci si è chiesti se l’ultima parte dell’articolo 7, comma 1, della Legge n. 300/1970 generi una illegittima efficacia “erga omnes” dei contratti collettivi.

In altre parole, alla luce della perdurante inattuazione dell’articolo 39 della Costituzione, alcuni Autori hanno evidenziato il rischio di un’applicazione indiscriminata delle norme disciplinari contenute nei citati contratti anche a soggetti non facenti parte delle associazioni datoriali firmatarie.

In realtà, tale problema non si pone ove si consideri efficace a norma dell’articolo 7 esclusivamente l’accordo collettivo firmato anche dall’associazione di categoria a cui aderisce l’impresa interessata, ovvero quello richiamato nella contrattazione di secondo livello o individuale.

In quest’ultima ipotesi, il contratto collettivo potrebbe essere considerato quale “contratto di gestione”, in quanto disciplinante un potere preesistente del datore di lavoro estrapolabile dall’articolo 2106 del Codice Civile e dallo stesso articolo 7,  della Legge n. 300/1970.

4. Obbligo di affissione 

L’obbligo di affissione è l’elemento centrale dell’articolo 7, Legge n. 300/1970. Il regolamento disciplinare, invero, deve fungere in particolar modo da mezzo di diffusione delle norme in esso contenute, al fine di rendere edotto il prestatore di lavoro in riferimento alle condotte sanzionabili ed alle conseguenze disciplinari.

Lo “Statuto dei lavoratori” statuisce che il documento deve essere collocato in “in luogo accessibile a tutti”, senza altro specificare in merito alla ubicazione dello stesso all’interno dei locali aziendali.

Spesso, invero, le aziende si sono organizzate in plurime unità produttive, distribuite tra diversi edifici e capannoni industriali. I Giudici di merito, e la Cassazione, pertanto, hanno ritenuto di dover specificare che per “luogo accessibile a tutti” si intende un locale in cui i lavoratori transitano frequentemente.

 Il codice disciplinare aziendale, inoltre, deve essere ubicato in ogni unità produttiva, o edificio, ove presenti. Qualora alcuni dipendenti svolgano l’attività lavorativa presso locali di proprietà di soggetti, persone fisiche o giuridiche, terzi è necessario anche ivi esporre il codice aziendale (Cassazione, Sentenza n. 247/2007).

Dottrina e giurisprudenza hanno ulteriormente declinato il concetto di “accessibilità” affermando che il locale deve essere materialmente usufruibile: non deve, per esempio, necessitare di particolari autorizzazioni per l’accesso, o essere di difficile individuazione (Cassazione, Sentenza n. 20733/2007).

Recentemente, alcuni Autori si sono spinti sino a tentare di definire anche il concetto di “accessibilità linguistica” del documento in oggetto, con riferimento all’aumento del numero di lavoratori stranieri presenti nelle aziende italiane.

Attualmente, si ritiene che ove sia presente un numero ingente di lavoratori provenienti da Paesi esteri, il datore di lavoro dovrebbe pubblicare il documento anche in una lingua ad essi comprensibile. Allo stato, si ritiene però, che il principio di buona fede non implichi che l’adempimento di un tale obbligo sia ritenuto requisito indispensabile al fine di sanzionare il lavoratore straniero.

5. Esposizione e sanzionabilità delle infrazioni

La riflessione da ultimo riportata da la stura all’approfondimento del rapporto tra esposizione del codice disciplinare e legittimità delle sanzioni.

La giurisprudenza tradizionale sosteneva che l’obbligo di affissione, quale requisito per la irrogazione della sanzione disciplinare, non fosse in alcun modo derogabile.

Ad oggi, la giurisprudenza è univocamente orientata, invece, nel senso di non considerare l’esposizione del regolamento disciplinare aziendale un requisito indispensabile alla irrogazione della sanzione del licenziamento comminata a fronte della violazione da parte del lavoratore di doveri previsti dalla legge o comunque di natura tale da essere ritenuti noti a qualsiasi persona, a prescindere dalla pubblicazione del documento.

Al contrario, per tutte le sanzioni conservative diverse dal licenziamento la esposizione del regolamento in data antecedente, contestuale, e successiva a quella della infrazione dovrebbe essere indispensabile al fine della legittimità del provvedimento disciplinare.

Sul punto, giova riportare una recente decisione di senso contrario della Corte Suprema di Cassazione. I Giudici di legittimità, con la Sentenza n. 17763/2004, hanno affermato che anche in ipotesi di sanzioni conservative, l’esposizione del documento non è necessaria ove il comportamento punibile abbia violato doveri facenti parte del patrimonio comune di ogni persona.

Giova riportare, infine, che allo stato nel settore privato, nonostante lo sviluppo di moderne tecnologie e strumenti di comunicazione, non sono consentite modalità di diffusione del regolamento disciplinare aziendale equipollenti all’affissione.

Per il pubblico impiego, invece, il Legislatore ha espressamente ammesso la idoneità della pubblicazione in rete del codice, come disposto dall’articolo 55, comma 2,  del Decreto Legislativo 30 marzo 2001 n. 165.

Sommario: 1. Introduzione  2. Articolo 7 Legge n. 300/1970  3. Contenuto  4. Obbligo di affissione  5. Esposizione e sanzionabilità delle infrazioni

1. Introduzione

Gli effetti della profonda crisi economico-finanziaria, che ha colpito negli ultimi anni i Paesi occidentali ed in particolar modo l’Europa mediterranea e l’Italia, si sono immancabilmente riverberati sulle complesse relazioni che sostanziano il macro sistema lavoro, ed il micro sistema azienda.

Un siffatto contesto ha acuito le criticità delle relazioni aziendali nel panorama italiano, aggravate altresì dalla rottura dell’unità sindacale e da una normativa giuslavorista in costante, e spesso confusa, evoluzione.

Di conseguenza, le disposizioni aventi ad oggetto il rapporto di lavoro e le relazioni industriali hanno assunto una rinnovata centralità ed importanza, in quanto il superamento della crisi in corso necessità anche di un reticolo normativo coordinato e correttamente strutturato, e volto a contemperare le esigenze produttive ed i diritti di lavoratori ed imprese.

2. Articolo 7 Legge n. 300/1970 

Tanto premesso, ai fini del presente elaborato giova preliminarmente evidenziare quanto disposto dall’articolo 7, comma 1, della Legge n. 300/1970 (cosiddetto “Statuto dei lavoratori”), rubricato “Sanzioni Disciplinari”.

La norma citata, avente ad oggetto la disciplina del procedimento per la irrogazione del provvedimento  disciplinare nei confronti del lavoratore, al primo comma recita quanto segue:

“Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano”.

In passato, alcuni Autori ritenevano che l’originario intendimento del Legislatore fosse quello di limitare la discrezionalità del datore di lavoro in riferimento ai comportamenti punibili, alla sanzione irrogabile ed al relativo procedimento, in modo analogo a quello in cui il Codice Penale limita l’autonomia del Giudice nell’individuazione del comportamento da punire e della pena da infliggere.

La Dottrina maggioritaria, però, non ha tardato nel sottolineare acutamente che la norma penale, a differenza del codice disciplinare aziendale, istituisce il reato, qualificando azioni e comportamenti come illeciti e sanzionandoli penalmente.

Il regolamento disciplinare, invece, si limita a stabilire la correlazione tra le sanzioni statuite da fonti legislative e contrattuali, collettive o individuali, ed una determinata categoria di infrazioni. Trattasi pertanto di similitudine solo apparente.

3. Contenuto 

Per quanto concerne il contenuto del documento oggetto di analisi, giova evidenziare in via preliminare l’assenza di una formula univoca, a causa di contesti aziendali strutturalmente eterogenei e caratterizzati da esigenze e processi di lavoro spesso agli antipodi.

Secondo il parere della giurisprudenza maggioritaria, al fine di assolvere all’obbligo imposto dallo “Statuto dei Lavoratori”, e soddisfare le esigenze informative a base della stessa disposizione, è sufficiente indicare sinteticamente all’interno del regolamento disciplinare le possibili infrazioni ed il criterio di corrispondenza con le sanzioni comminabili.

Un siffatto orientamento si giustifica con la difficoltà di scrivere ed esporre, nei modi indicati dalla Legge n. 300/1970, un codice elefantiaco contenente tutti i possibili comportamenti sanzionabili.

In caso contrario, sarebbe necessario redigere un documento omnicomprensivo, ma raramente esaustivo, di  difficile comprensione e contrario, pertanto, alla ratio della norma stessa.

Nella prassi aziendale, però, la citata interpretazione riduttiva, in merito al contenuto del documento, ha giustificato la redazione di regolamenti alquanto generici, inadeguati ad adempiere alla funzione imposta dalla normativa.

In alcuni casi, invero, sono stati redatti, e ritenuti idonei, codici disciplinari contenenti solamente il testo dell’articolo 2119 del Codice Civile, in materia di licenziamento per giusta causa, ed una serie di frasi tautologiche quali le seguenti: “saranno sanzionate con licenziamento con preavviso le mancanze che non siano così gravi da giustificare il licenziamento in tronco; con la sospensione da 1 o 10 giorni quelle che non siano così gravi da giustificare il licenziamento con preavviso, [..]”.

È lapalissiano come un siffatto documento non sia in grado né di tutelare il lavoratore, né di limitare la discrezionalità del datore di lavoro. Il primo, invero, difficilmente riuscirebbe ad estrapolare dalla lettura di un tal codice i comportamenti sanzionabili e quelli, invece, consentiti. La discrezionalità del datore di lavoro in ambito disciplinare, inoltre, risulterebbe priva di vincoli o limitazioni di sorta.

L’inciso finale dell’articolo 7, comma 1, della Legge n. 300/1970, ci offre un ulteriore spunto di riflessione. La norma dispone che “[…] Esse (le norme disciplinari) devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano”.

Secondo numerosi Autori, con i termini “accordi di lavoro” il Legislatore ha inteso fare riferimento ai contratti collettivi di qualsiasi livello, anche aziendale. Soventemente, invero, i contratti di secondo livello sono menzionati semplicemente come “accordi”. Di conseguenza, ci si è chiesti se l’ultima parte dell’articolo 7, comma 1, della Legge n. 300/1970 generi una illegittima efficacia “erga omnes” dei contratti collettivi.

In altre parole, alla luce della perdurante inattuazione dell’articolo 39 della Costituzione, alcuni Autori hanno evidenziato il rischio di un’applicazione indiscriminata delle norme disciplinari contenute nei citati contratti anche a soggetti non facenti parte delle associazioni datoriali firmatarie.

In realtà, tale problema non si pone ove si consideri efficace a norma dell’articolo 7 esclusivamente l’accordo collettivo firmato anche dall’associazione di categoria a cui aderisce l’impresa interessata, ovvero quello richiamato nella contrattazione di secondo livello o individuale.

In quest’ultima ipotesi, il contratto collettivo potrebbe essere considerato quale “contratto di gestione”, in quanto disciplinante un potere preesistente del datore di lavoro estrapolabile dall’articolo 2106 del Codice Civile e dallo stesso articolo 7,  della Legge n. 300/1970.

4. Obbligo di affissione 

L’obbligo di affissione è l’elemento centrale dell’articolo 7, Legge n. 300/1970. Il regolamento disciplinare, invero, deve fungere in particolar modo da mezzo di diffusione delle norme in esso contenute, al fine di rendere edotto il prestatore di lavoro in riferimento alle condotte sanzionabili ed alle conseguenze disciplinari.

Lo “Statuto dei lavoratori” statuisce che il documento deve essere collocato in “in luogo accessibile a tutti”, senza altro specificare in merito alla ubicazione dello stesso all’interno dei locali aziendali.

Spesso, invero, le aziende si sono organizzate in plurime unità produttive, distribuite tra diversi edifici e capannoni industriali. I Giudici di merito, e la Cassazione, pertanto, hanno ritenuto di dover specificare che per “luogo accessibile a tutti” si intende un locale in cui i lavoratori transitano frequentemente.

 Il codice disciplinare aziendale, inoltre, deve essere ubicato in ogni unità produttiva, o edificio, ove presenti. Qualora alcuni dipendenti svolgano l’attività lavorativa presso locali di proprietà di soggetti, persone fisiche o giuridiche, terzi è necessario anche ivi esporre il codice aziendale (Cassazione, Sentenza n. 247/2007).

Dottrina e giurisprudenza hanno ulteriormente declinato il concetto di “accessibilità” affermando che il locale deve essere materialmente usufruibile: non deve, per esempio, necessitare di particolari autorizzazioni per l’accesso, o essere di difficile individuazione (Cassazione, Sentenza n. 20733/2007).

Recentemente, alcuni Autori si sono spinti sino a tentare di definire anche il concetto di “accessibilità linguistica” del documento in oggetto, con riferimento all’aumento del numero di lavoratori stranieri presenti nelle aziende italiane.

Attualmente, si ritiene che ove sia presente un numero ingente di lavoratori provenienti da Paesi esteri, il datore di lavoro dovrebbe pubblicare il documento anche in una lingua ad essi comprensibile. Allo stato, si ritiene però, che il principio di buona fede non implichi che l’adempimento di un tale obbligo sia ritenuto requisito indispensabile al fine di sanzionare il lavoratore straniero.

5. Esposizione e sanzionabilità delle infrazioni

La riflessione da ultimo riportata da la stura all’approfondimento del rapporto tra esposizione del codice disciplinare e legittimità delle sanzioni.

La giurisprudenza tradizionale sosteneva che l’obbligo di affissione, quale requisito per la irrogazione della sanzione disciplinare, non fosse in alcun modo derogabile.

Ad oggi, la giurisprudenza è univocamente orientata, invece, nel senso di non considerare l’esposizione del regolamento disciplinare aziendale un requisito indispensabile alla irrogazione della sanzione del licenziamento comminata a fronte della violazione da parte del lavoratore di doveri previsti dalla legge o comunque di natura tale da essere ritenuti noti a qualsiasi persona, a prescindere dalla pubblicazione del documento.

Al contrario, per tutte le sanzioni conservative diverse dal licenziamento la esposizione del regolamento in data antecedente, contestuale, e successiva a quella della infrazione dovrebbe essere indispensabile al fine della legittimità del provvedimento disciplinare.

Sul punto, giova riportare una recente decisione di senso contrario della Corte Suprema di Cassazione. I Giudici di legittimità, con la Sentenza n. 17763/2004, hanno affermato che anche in ipotesi di sanzioni conservative, l’esposizione del documento non è necessaria ove il comportamento punibile abbia violato doveri facenti parte del patrimonio comune di ogni persona.

Giova riportare, infine, che allo stato nel settore privato, nonostante lo sviluppo di moderne tecnologie e strumenti di comunicazione, non sono consentite modalità di diffusione del regolamento disciplinare aziendale equipollenti all’affissione.

Per il pubblico impiego, invece, il Legislatore ha espressamente ammesso la idoneità della pubblicazione in rete del codice, come disposto dall’articolo 55, comma 2,  del Decreto Legislativo 30 marzo 2001 n. 165.