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Il contratto di prossimità e le ordinanze contingibili e urgenti

Sommario: 1. Premessa - 2. Il contratto di prossimità - 3. Le ordinanze contingibili e urgenti - 4. Identità e differenze tra la contrattazione di prossimità e le ordinanze contingibile urgenti - 5. La sistematica asistematicità della deroga di prossimità - 5.1. Contratti di prossimità, certificazione dei contratti e contratto di rete - 5.2. I limiti della contrattazione di prossimità - 6. La retorica  della Sussidiarietà - 7. Conclusioni

 

1. Premessa 

L’ordinamento giuridico prevede istituti finalizzati ad adattare le norme, di fonte legale o contrattuale, a specifiche esigenze.

Il grado di flessibilità e adattabilità delle norme positive è sempre più importante; pur tenendo conto dell’inderogabilità dei principi generali, la dinamica complessiva dell’attività produttiva è diventata via via sempre più complessa imponendo una progressiva flessibilità dell’intervento normativo o contrattuale e una ridefinizione della relazione tra esercizio dei poteri pubblici e collettività.

Il contratto di prossimità[1] introdotto recentemente, senza non poche polemiche e perplessità, risponde a queste esigenze ponendosi nell’ambito di un progressivo un processo di «ri-localizzazione della contrattazione collettiva»[2] in cui gli accordi che emergono nelle realtà locali sono orientati sia a soddisfare esigenze immediate dettate dalla crisi e dai suoi effetti sui rapporti di lavoro sia dalla necessità di incrementare la competitività o attrarre investimenti[3].

L’istituto è finalizzato ad adattare regole, contrattualmente poste, a una particolare situazione aziendale. Ciò in considerazione della necessità di regolare le esigenze produttive[4] con un livello di dettaglio e di rispondenza ai mutamenti esterni non intercettabili da disposizioni generali e predefinite poste da una fonte applicabile indistintamente e automaticamente a ogni territorio o situazione produttiva.    

Tale necessità di adattamento ha effetti sul principio di gerarchia delle fonti giacché norme secondarie vengono equi ordinate a quelle primarie. 

Seppur nell’ambito pubblicistico, identica funzione sembrano svolgere le ordinanze contingibili e urgenti. Tradizionale strumento dell’ordinamento amministrativo l’ordinanza serve, almeno secondo parte della dottrina, a modificare se non proprio a “innovare” temporaneamente ed eccezionalmente il quadro normativo per far fronte a emergenze non preventivabili che richiedono provvedimenti eccezionali.

Per entrambi gli istituti si avanzano censure basate sulla loro qualificazione come fonti extra ordinem suscettibili di ledere il principio di gerarchia delle fonti.   

Tuttavia, la pretesa comune finalità tra i due istituti può, però, essere una semplice alterazione prospettica più che il risultato di una reale identità di ratio tra discipline comunque appartenenti a diversi settori dell’ordinamento.

Finalità del presente lavoro è di ricercare effettivi punti di contatto tra le discipline degli istituti al fine di evidenziare le identità, le diversità e le eventuali distonie; ciò nella consapevolezza che l’adozione di una prospettiva comparata ha di per sé dei limiti e comporta un margine di semplificazione che può incidere sulla valenza stessa dell’approfondimento.

Ciò nonostante, la prospettiva in virtù della quale la derogabilità territoriale dei contratti sia in qualche modo una variazione del modus operandi del settore civilistico o giuslavoristico che ricalchi l’esperienza dell’ordinamento amministrativo appare come un fenomeno particolare e meritevole d’approfondimento. Dal decentramento del potere amministrativo si passa a una sorta di decentramento contrattuale in cui il rapporto tra fonte primaria e quella secondaria è comunque ribaltato a favore della seconda.

Si è di fronte, allora non solo al ribaltamento della tradizionale gerarchia delle fonti ma al trasferimento reale del potere di contrarre senza limiti dal centro sindacale alle articolazioni territoriali o aziendali. 

Il potere di deroga alla contrattazione e alla legislazione nazionale accomuna quindi i due istituti anche a proposito dei limiti che ne circoscrivono l’ambito d’intervento.

La stessa estensione degli effetti dei due istituti sembra poter esser identificata nella capacità di estendersi di là dal proprio ordinamento sezionale cioè oltre il mero ambito privatistico[5], per quanto riguarda l’articolo 8 della legge 148/2011, e oltre quello meramente amministrativo per le ordinanze contingibili e urgenti. Pur senza anticipare le conclusioni, la capacità espansiva delle ordinanze contingibili e urgenti rientra nell’ambito delle finalità e dei poteri attribuiti dalla legge all’istituto; mentre per quanto riguarda la deroga di prossimità gli effetti “pubblicistici” su interessi indisponibili è invece il risultato di una modifica legislativa apportata senza tener conto che l’estensione indiscriminata dell’autonomia contrattuale ha effetti anche su temi che in re ipsa coinvolgono un ambito d’applicazione superindividuale. In altre parole, l’ampliamento dell’autonomia contrattuale oltre a consentire alla contrattazione di prossimità di derogare quella collettiva “scardina” implicitamente i limiti esterni dell’autonomia rendendo derogabili disposizioni d’interesse pubblico generalmente sovraordinate alla disponibilità delle parti private.                    

Tale prospettiva sembra poi poter essere contestualizzata tenendo presente come in dottrina[6] si suggerisca l’attualità della tesi “sostenuta già da allora da Rusciano…. (è in breve quella che) secondo cui il fenomeno sindacale e i prodotti della autonomia collettiva non possono risolversi  nella sfera privatistica in particolare ove si ipotizzi l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi.”             

Lo stesso ricorso a meccanismi di tutela o di garanzie procedurali si atteggia in modo diversi nei due istituti condizionandone la stessa efficacia e valenza generale.  

 

2. Il contratto di prossimità

L’istituto consente a contratti aziendali o territoriali di derogare alla disciplina legale e a quella collettiva nazionale in fondamentali materie fino ad oggi tradizionalmente sottratte alla norma pattizia, almeno in senso peggiorativo, dei diritti del lavoratore.

Per questo motivo secondo alcuni l’art. 8 della legge 183/2011 rappresenta “un vero punto di svolta nella regolamentazione dei rapporti di lavoro, poiché affida ai soggetti più “vicini” alle parti interessate (di qui la denominazione “contrattazione collettiva di prossimità”), ossia alle organizzazioni sindacali, il compito di modulare e adattare, attraverso intese idonee a derogare alle norme di legge e del contratto collettivo, le tutele dei lavoratori negli specifici ambienti produttivi e in relazione alle reali esigenze delle aziende.”[7]

Secondo tale visione “si tratta di una svolta epocale, poiché finora l'autonomia collettiva era stata chiamata dalla legge a collaborare soprattutto per il superamento delle crisi d’impresa concordando l'impiego degli strumenti di protezione del reddito, ma senza l'amplissimo potere di derogare le tutele legali, ora riconosciuto per finalità assai più ampie e condivisibili. Gli accordi riferibili in termini espliciti o impliciti all'art. 8 sono quindi idonei ad apportare dei "correttivi" alla legge, ad esempio in materia di contratti a termine, somministrazione di lavoro, collaborazioni a partita Iva e a progetto”[8].

Di là dalla evidente ammissione secondo cui la deroga all’uniforme disciplina legale o contrattuale del rapporto di lavoro è considerata strumento idoneo a risollevare il contesto produttivo nazionale risulta chiaro l’elemento di flessibilità garantito dall’istituto.      

La dimensione dell’istituto dipende però proprio dall’intensità del potere correttivo che è riconosciuta alla contrattazione di prossimità nei confronti della legge. Il concetto stesso di correzione della legge da parte del contratto di prossimità richiama, almeno implicitamente e per determinate materie un rapporto di sovra ordinazione di quest’ultima nei confronti della normativa pubblicistica pur in presenza di dichiarazioni secondo cui [9] “«In relazione alle considerazioni variamente svolte in questi giorni con riferimento al rapporto tra l’accordo inter- confederale e l’articolo 8 della recente manovra in materia di contrattazione aziendale o territoriale, si precisa quanto segue. La fonte legislativa e ` ovviamente sovraordinata a quella contrattuale. Nello specifico, l’articolo 8 contiene norme di sostegno alla libera contrattazione. E` dunque la legge oggi a garantire la capacità degli accordi aziendali in tutti i settori, non solo industriali, anche in deroga al contratto nazionale e a specifiche disposizioni normative. Cosı` com’è la legge a garantire l’efficacia generalizzata a tutti i dipendenti degli accordi sottoscritti anche a maggioranza, compresi quelli firmati in passato in coerenza con le nuove regole. L’accordo interconfederale ha costituito la premessa per questa norma perché´ ha definito le modalità con cui si determinano, e sono da tutti accettate, le maggioranze sindacali e la rappresentatività delle singole organizzazioni dei lavoratori. La sua sottoscrizione definitiva del 21 settembre ha costituito un atto formale che non ha né depotenziato ne’sterilizzato - ne ´ poteva farlo - la norma di legge. Fin qui le regole formali. Ma e ` ovvio che il concreto utilizzo delle molte possibilità di reciproco adattamento tra le parti sociali per comuni obiettivi di crescita e occupazione è rimesso alla volontà e all’iniziativa delle aziende e delle loro organizzazioni, dei lavoratori e delle loro organizzazioni. Si tratta di percorsi liberi e responsabili, talora faticosi, ma imposti dai nuovi termini della competizione globale».

In realtà, a parte le dichiarazioni propagandistiche, l’ordinamento già prevedeva la possibilità per la contrattazione di deroghe in peius dei diritti dei lavoratori, basti pensare alla particolare disciplina prevista per il trattamento di fine rapporto dall’articolo 2120 c.c.[10]

Ciò che cambia è l’estensione del potere riconosciuto alla contrattazione di prossimità che adesso può manifestarsi su un numero di materie assolutamente ampio.   

La giurisprudenza costituzionale si è recentemente pronunciata sulla questione partendo dalle censure avanzata dalla Regione toscana nei confronti dell’articolo 8 della legge 148/2011. Le censure attenevano essenzialmente alla violazione delle competenze regionali per cui “le intese derogatorie di cui all’art. 8, involgerebbero aspetti oggetto delle azioni di politica attiva del lavoro, riconducibili alla potestà concorrente regionale della tutela del lavoro. Inoltre, sempre la regione ricorrente censurava l’articolo 8 in relazione all’art. 117, terzo comma, Cost. anche nella parte in cui si rendono derogabile dai contratti collettivi aziendali e/o territoriali i contratti collettivi nazionali, poiché in questo modo sarebbero vanificate tutte le disposizioni legislative regionali che rinviano all’osservanza dei contratti collettivi nazionali di lavoro per definire i requisiti necessari ai fini della concessione di contributi o per la collaborazione, a diverso titolo, all’esercizio di funzioni regionali. Inoltre, veniva avanzata la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., sotto il profilo della competenza concorrente regionale in materia di tutela del lavoro, nella parte in cui la norma impugnata «impone di considerare preminente il contratto aziendale e/o territoriale sul contratto collettivo nazionale e sulla legislazione statale e regionale».

La sentenza della Corte costituzionale n. 221/2012, invece, ha ritenuto infondata la ricostruzione della difesa regionale partendo dall’assunto che le materie oggetto dell’articolo 8 rientrano nell’ambito dell’ordinamento civile che la costituzione riserva alla competenza esclusiva statale, nessuna violazione delle prerogative regionali è stata dunque riscontrata.

Tuttavia, la corte ha comunque delimitato lo spazio d’azione della contrattazione di prossimità. Norma di carattere eccezionale e temporaneo la disposizione di cui all’articolo 8 consente una deroga alla fonte legale e contrattuale limitatamente all’elenco delle materie in essa indicate che dev’essere comunque inteso come tassativo e insuscettibile di un’interpretazione estensiva.

I limiti esterni dell’intervento derogatorio devono identificarsi nel rispetto delle norme costituzionale e dei principi comunitari e delle convezioni internazionali.  

Per suo conto la giurisprudenza civile ha in parte confermato la tenuta dell'impianto legislativo sul contratto di prossimità. La decisione del tribunale di Venezia (sent. 583 del 24/07/13), affrontando il caso di un accordo aziendale che modificava l'orario di lavoro derogando alla disciplina legale e collettiva, ha sancito la piena validità ed efficacia del contratto di prossimità.La motivazione, condivisibile e soprattutto logica dal punto di vista giuridico, in sintesi, afferma che se l'impresa e i sindacati firmano un accordo aziendale che abbia i requisiti del contratto di prossimità (ad es. la finalità occupazionale), questo è valido e applicabile a tutta la popolazione aziendale[11]. Nello specifico la sentenza sopra citata riconduce l’accordo sull’orario di lavoro raggiunto nella cooperativa sociale oggetto della questione “alla tipologia degli accordi previsti dall’articolo 8 cit. sottoscritta certo dalle sigle rappresentanti la maggioranza dei lavoratori, applicabile dunque a tutti i lavoratori e derogatoria del contratto individuale di lavoro[12].”       

Parte della dottrina ha giudicato positivamente l’introduzione dell’istituto considerando il nuovo poter derogatorio essenzialmente come l’attribuzione alle parti sociali di un gran potere di contrattazione in grado di individuare le giuste soluzioni attraverso cui garantire l’aggiustamento del settore produttivo a una crisi globale.

Altra parte della dottrina ha, invece, rilevato la valenza essenzialmente asistematica della contrattazione di prossimità. Il potere derogatorio riconosciuto al livello di contrattazione di prossimità è considerato una sorta di cambiale in cambio rilasciata alle parti sociali che capovolge il sistema del diritto del lavoro, attribuendo una valenza residuale all’efficacia della contrattazione collettiva. Si sostiene che solo la contrattazione collettiva è abilitata a identificare le possibilità di deroga e che ogni eventuale diversa prospettazione comporta il ribaltamento del consueto riparto tra le fonti su cui è imperniato il diritto del lavoro.

L’articolo 39 Cost attribuisce il potere[13] di contrattazione ai soli sindacati collettivi senza riferimento alle esperienze territoriali[14].

L’introduzione dell’istituto viene considerato come causa di una frammentazione eccessiva della disciplina giuslavorista che può risolversi in una sorta di balcanizzazione[15] del diritto del lavoro. L’idea di una diritto ad aziendam[16] sembra poter in qualche modo essere legittimata dall’introduzione dell’articolo 8.

Tale preoccupazione sembra comunque trovare fondamento anche in una recente sentenza della giurisdizione di merito che ha escluso l’esistenza di un rapporto di integrazione ovvero contemporanea vigenza tra la contrattazione collettiva nazionale e quella di prossimità. Nel Decreto del Tribunale di Torino del 22.01.2012 si specifica[17] che “a giudizio del decidente il nuovo regime ha escluso la possibilità dall’estate del 2011 di coesistenza di più contratti collettivi operanti presso uno stesso comparto aziendale, di gruppo o territoriale che sia, apprezzato come unitario dai rappresentanti dei lavoratori interessati, premiando i contratti collettivi e le intese sottoscritte dalle OO.SS. che si presentino come maggioritarie” (22 gennaio 2012);

La nuova riserva di competenza attribuita alla contrattazione di prossimità presuppone che l’affidamento alla contrattazione territoriale possa di per sé garantire che l’esercizio dell’autonomia riconosciuta alle parti non intacchi i principi generali del diritto del lavoro ma solo elementi accessori e disponibili dello stesso.

Parte della dottrina sottolinea il valora ipotetico di questa possibilità senza però essere convincente nel richiamare una generica possibilità di reazione da parte dell’ordinamento[18].

 

3. Le ordinanze contingibili e urgenti

La potestà d’imperio dell’amministrazione si esplica tra l’altro nel potere di ordinanza finalizzato alla cura ed al soddisfacimento del pubblico interesse mediante, generalmente, l’adozione di un provvedimento (formalmente e sostanzialmente) amministrativo rivolto ad imporre in capo a soggetti determinati – ovvero alla generalità dei consociati – un particolare dovere di condotta positiva (comando) ovvero negativa (divieto), la cui inosservanza espone l’obbligato a sanzione.

Tale potere poi può essere finalizzato all’attuazione di previsioni contemplate all’interno di norme di legge, così da costituire strumento di concretizzazione del principio colà dettato in termini generali ed astratti, ovvero presiedere alla predisposizione di strumenti necessari per la risoluzione di situazioni di emergenza. Nel primo caso, si è soliti qualificare il potere di ordinanza con l’attributo di “ordinario” mentre, nella seconda ipotesi, si assiste al più complesso fenomeno delle ordinanze di necessità (in senso proprio) ovvero delle c.d. ordinanze contingibili e urgenti[19].

Il [20]ricorso allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente è subordinato alla sussistenza di un pericolo concreto ed attuale, che impone di provvedere in via d'urgenza con strumenti extra ordinem, per porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento. Tra i requisiti di validità delle ordinanze contingibili e urgenti vi è, inoltre, la fissazione di un termine di efficacia del provvedimento. L’obbligo di motivazione dell’ordinanza è quindi finalizzato a rendere verificabile la sussistenza dei presupposti che autorizzano l’esercizio di tale potere e l’iter istruttorio che ne ha determinato il concreto contenuto.  Il carattere della contingibilità esprime l'urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza in casi di pericolo attuale od imminente a cui è connesso necessariamente il carattere della provvisorietà. Pertanto le misure previste devono avere efficacia temporalmente limitata. In dottrina si è rilevato che le ordinanze di necessità non possono derogare alla Costituzione ed alle norme imperative primarie, e possono essere emanate nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico (“principio di legalità”.)

La corte costituzionale è più volte intervenuta per fissare i limiti del potere d’ordinanza. In questo senso   parte della dottrina[21] segnala che nella ricostruzione della giurisprudenza costituzionale “le ordinanze possono derogare a norme primarie  conservando tuttavia carattere di provvedimenti amministrativi, ed escludendo però  che abbiano natura normativa .Sulla base di questo presupposto, la Corte ha considerato “conforme a Costituzione la possibilità che alle autorità amministrative siano affidati i poteri di emissione di provvedimenti diretti ad una generalità di cittadini, emanati per motivi di necessità e di urgenza, con una specifica autorizzazione legislativa che però, anche se non risulti disciplinato il contenuto dell'atto (che rimane, quindi, a contenuto libero), indichi il presupposto, la materia, le finalità dell'intervento e l'autorità legittimata. Inoltre, i provvedimenti devono adeguarsi alle dimensioni territoriali e temporali della concreta situazione di fatto che si deve fronteggiare”. Il carattere “provvisorio” delle misure derogatorie è considerato “implicito nella natura stessa del titolo specifico di legittimazione.

“Ha carattere eccezionale il potere di deroga della normativa primaria, conferito ad autorità amministrative munite di poteri di ordinanza, sulla base di specifica autorizzazione legislativa; in quanto trattasi di deroghe temporalmente delimitate, non anche di abrogazione o modifica di norme vigenti (sentenze 201 del 1987, 4 del 1977, 26 del 1961 e 8 del 1956). Proprio il carattere eccezionale dell'autorizzazione legislativa implica, invero, che i poteri degli organi amministrativi siano ben definiti nel contenuto, nei tempi, nelle modalità di esercizio (sent. n. 418 del 1992): il potere di ordinanza non può dunque incidere su settori dell'ordinamento menzionati con approssimatività, senza che sia specificato il nesso di strumentalità tra lo stato di emergenza e le norme di cui si consente la temporanea sospensione”. Recentemente all’attenzione della corte si è posta sull’articolo 54 del decreto legislativo 267/2000 cosi come sostituito dall'art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modificazioni dall'art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125 . Tale articolo, nella versione originaria, riconosceva al sindaco, nella qualità di ufficiale di governo, il potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, «al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità del cittadino». A seguito della novella, invece, «il sindaco, quale ufficiale di Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana».

All’indomani dell’introduzione della novella la dottrina aveva sottolineato il conseguente ampliamento dei potere di ordinanza del sindaco a cui si attribuiva un potere ordinario accanto a quello esclusivamente finalizzato a fronteggiare situazione di emergenza eccezionale. In altri termini, [22]“il punto focale della questione, infatti, sembra(va) risiedere nell'introduzione di un nuovo potere di ordinanza «ordinario», non più legato, cioè, a situazioni di contingibilità ed urgenza, ma pur sempre dotato di capacità derogatoria nei confronti della normativa primaria. Se così fosse stato, allora l'effetto derogatorio sarebbe potuto protrarsi senza alcun vincolo di tempo e l'ordinanza sarebbe stata in grado di assumere carattere di continuità negli effetti, venendo così a regolare stabilmente situazioni o assetti di interessi. In tal modo, sarebbe diventato difficile continuare ad attribuire a questi nuovi atti un carattere meramente amministrativo, essendo la loro natura molto più agevolmente accostabile a quella di un atto normativo capace di incidere sulle fonti primarie”.         

 Ad ogni buon conto la novella in questione non ha però superato il vaglio della corte costituzionale che con la sentenza 115/2011 ne ha dichiarato l’illegittimità.

Lo scrutinio della corte ha dapprima evidenziato la legittimità del potere ordinario di ordinanza interpretato come attribuzione sganciata da requisiti di contingibilità ed urgenza. In questo senso “Le “ordinarie non possono “derogare a norme legislative vigenti, come invece è possibile nel caso di provvedimenti che si fondino sul presupposto dell’urgenza e a condizione della temporaneità dei loro effetti.” Pertanto, la norma censurata, se correttamente interpretata, non conferisce ai sindaci alcun potere di emanare ordinanze di ordinaria amministrazione in deroga a norme legislative o regolamentari vigenti”. Tuttavia, la Corte ha evidenziato come la disposizione sia però censurabile sotto il profilo dell’assoluta indeterminatezza del potere conferito dalla legge all’autorità amministrativa. L’ambito oggettivo di esplicazione dello stesso è assolutamente senza limiti ampliando la discrezionalità amministrativa dei sindaci in maniera smisurata.  Come rilevato in dottrina [23]  la novella del 98 “è però l'esito dell'esercizio di un potere concepito dal legislatore come talmente libero da risultare contrario alla Costituzione sotto molteplici profili”. In questo senso la corte considera che il primo parametro violato sia il principio di legalità in senso sostanziale, secondo il quale non è ammissibile, nello Stato di diritto, un potere amministrativo vincolato solo nel fine da perseguire, senza che   il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità dalla legge. Inoltre, la norma è censurabile anche in relazione all’articolo 23 Costi. Laddove la corte considera la violazione della riserva di legge relativa introdotta in materia di prestazioni imposte.

Tale disposizione richiede, infatti, che la concreta entità della prestazione imposta sia desumibile chiaramente dagli interventi legislativi che riguardano l'attività dell’amministrazione» per altro verso, da una qualche «delimitazione della discrezionalità amministrativa».  

In fine la novella viene censurata in relazione all’articolo 3 della costituzione. L’ampiezza indeterminata del potere concesso ai sindaci comporta, che “gli stessi comportamenti potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti, a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaci”. 

A fronte di questi risultati accorta dottrina ha evidenziato come le censure del potere d’ordinanza ordinario relative alla mancanza di criteri direttivi all’assenza di precisi limiti e alla lacunosa indicazione delle modalità d’attuazione della norma possano essere estese anche alle ordinanza contingibili e urgenti. Aprendo così la strada a quelle considerazioni dottrinali secondo le quali “sarebbero costituzionalmente illegittime quelle norme primarie « che attribuiscono un potere di ordinanza « libero » cioè congiuntamente caratterizzato da tre elementi: portata generale (ovvero il cui presupposto legittimante è definito in termini generici), a contenuto libero (ovvero le cui misure concrete non sono tipizzate dalla norma attributiva) e idoneo a prevalere (in termini di sospensione e di deroga provvisoria) su tutta la normativa vigente, fatta eccezione per i principi generali dell'ordinamento giuridico ».  

 

4. Identità e differenze tra la contrattazione di prossimità e le ordinanza contingibile urgenti

La necessità di fronteggiare situazioni d’emergenza accomuna la ratio dei due istituti che però dal punto di vista formale non possono non presentare delle differenze evidenti.  Atto a forma libera e comunque nominato l’ordinanza contingibile e urgente ha un ambito oggettivo estremamente variabile ed ampio a differenza di quanto avviene per la contrattazione di prossimità che almeno formalmente dovrebbe avere effetti diretti solo in un ambito strettamente privatistico come quello della regolazione di alcuni specifici aspetti del rapporto di lavoro. L’ordinanza contingibile e urgente proprio in virtù del carattere pubblicistico ha in re ipsa la capacità di intervenire non solo sugli aspetti propriamente aspetti pubblicistici ma anche sui rapporti privati[24].

In sintesi può dirsi che eccezionalità, temporaneità e tassatività caratterizzano entrambi gli istituti. La soggezione al principio di legalità unitamente alla delega legislativa che permette all’istituto di apportare modifiche alla disciplina previgente ne rendono quanto meno analogo il meccanismo di funzionamento, compatibilmente con le differenze che derivano dalla diversa origini da diversi settori dell’ordinamento.  

I limiti della competenza derogatoria per entrambe le fattispecie sono individuati attraverso un rinvio alle normativo di principio.

Infatti, l’articolo 8, comma 2 bis prevede che nel rispetto della Costituzione, nonché' dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro»; in maniera analoga [25].le ordinanze contingibili e urgenti non possono derogare alla Costituzione ed alle norme imperative primarie, e possono essere emanate nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico. Inoltre, parte della dottrina segnala che [26]“l'amministrazione che ricorra ad atti extra ordine è comunque tenuta al rispetto delle norme di derivazione comunitaria. Le primazia del diritto dell'Unione Europea, infatti, non consente deroghe d'urgenza che non siano dallo stesso espressamente previste . In numerosi settori, dunque, stante la crescente pervasività di regolamenti e direttive, lo spazio di discrezionalità dell'autorità amministrativa è comunque ridotta, entro limiti forse accettabili”.

In termini generali la necessità di rendere più aderente la normativa alla plurale polarizzazione degli interessi sul territorio trova il suo limite nell’incapacità di disegnare un meccanismo che riesca realmente a coniugare un processo di comparazione collettiva degli interessi in gioco con la necessaria flessibilità territoriale. In questo senso , la stessa equiparazione della fonte contrattuale alla legge, ripresa da più parti in dottrina[27] per spiegare i fondamenti teorici della contrattazione di prossimità non appaiono capaci di spiegare per quali ragioni  lo sbilanciamento della contrattazione a vantaggio della prossimità degli agenti contrattuali dovrebbe necessariamente “garantire una ponderazione complessiva” delle istanze territoriali che  in qualche modo si candidi ad essere rappresentazione e risultato unitario accettabile a livello nazionale.          

In questo senso non sembra essere messa in gioco solo l’uniforme garanzia delle tutele ma anche l’omogenea applicazioni delle condizioni che permettano a tutti i contesti produttivi di concorrere alla pari[28].

La fonte di legittimazione degli istituti è quella normativa, tuttavia per le ordinanze l’autorità emanante è predefinita e in qualche modo esercita una propria autonoma discrezionalità amministrativa. La norma attributiva del potere individua l’autorità a cui è attribuito tale potere speciale.

Nella contrattazione di prossimità il potere di avvalersi di tale istituto è rimesso essenzialmente alla concreta dinamica delle relazioni industriali e quindi rappresenta una mera opportunità e non un obbligo, laddove per quanto riguarda l’ambito pubblicistico la mancata attivazione dell’ordinanza contingibile in presenza degli estremi legittimanti potrebbe rappresentare una violazione dell’obbligo di provvedere a tutela degli interessi costituzionalmente affidati alla PA[29]. Lo strumento delle ordinanze incide su diritti soggettivi e interessi legittimi, laddove la contrattazione di prossimità riguarda l’assetto del rapporto di lavoro territorialmente limitato costituendo una deroga ai diritti previsti dalla contrattazione collettiva.

Entrambe gli istituti sono soggetti quindi al principio di legalità che ne delimita modalità d’esercizio funzioni e ambito.

Tuttavia la deroga di prossimità attribuisce alle rappresentanza unitarie o territoriali un potere di modifica alla contrattazione collettiva che è intervenuto successivamente al momento di formazione di costituzione delle stesse rappresentanze con evidenti effetti sulla loro reale legittimazione ad esercitare tale prerogativa con effetto retroattivo. In questo senso merita attenzione l’autorevole dottrina secondo cui “nella concezione del principio di legalità, e nella sua concreta applicazione, la Corte ha compiuto nel tempo un ampio percorso nella direzione di trasformarlo da un parametro formale, richiedente la semplice “autorizzazione” legislativa per l'attribuzione e l'esercizio dei poteri amministrativi, ad un principio che impone al legislatore di fissare limiti precisi alla discrezionalità dell'amministrazione. Nonostante che il principio di affidamento sia di norma collegato con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza, a me sembra opportuno collegarlo al principio di legalità[30]…… (………). Applicazioni del principio si hanno in ordine alle leggi interpretative e retroattive, alle modifiche legislative che intervengono su rapporti di durata, nonché in ordine alla salvaguardia delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.

In relazione alle leggi interpretative, la Corte ha stigmatizzato la “distorsione” delle leggi di interpretazione autentica, quando esse mascherano l'adozione di norme “effettivamente innovative dotate di efficacia retroattiva”. Anche le leggi effettivamente interpretative hanno i loro limiti, che sono per soprammercato limiti dichiarati di “civiltà giuridica. Quanto alle leggi retroattive, la Corte ha ritenuto che “l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica ˗ essenziale elemento dello Stato di diritto ˗ non può essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori”. Gli stessi principi sono richiamati a proposito delle modifiche peggiorative della disciplina dei rapporti di durata.

L’apparente disponibilità attribuita alla deroga di prossimità di modificare il contratto collettivo si colora quindi di aspetti di legittimazione che trascendono almeno in una prima fase applicativa il potere contrattuale. L’esercizio di tale potere non può non essere determinato a posteriori rispetto alla stessa costituzione delle rappresentanze. Argomentando al contrario le rappresentanze si vedono attribuire una sorta di legittimazione retroattiva che incide sulla legittimità stessa della rappresentanza.         

L’indeterminatezza della deroga di prossimità è insita nella stessa formulazione della novella. Non si comprende, o comunque è suscettibile di una pluralità di interpretazioni, “il limite quantitativo e qualitativo” del potere di deroga al contratto collettivo.

La genericità di tale potere può in altre parole consentire alla contrattazione di prossimità, seppur in una prospettiva di scuola, di restringere gli spazi di un istituto previsto dalla contrattazione collettiva nazionale fino a sostanzialmente abrogarlo seppur sotto le mentite soglie di una vigenza solo formale o nominalistica? L’ indeterminatezza del livello essenziale al di sotto del quale non si può modificare l’istituto ha sicuramente effetti sulla legittimità costituzionale della disposizione.    

A questo proposito, la Corte Costituzionale con la sentenza 106/1962 ha affermato la necessità che il legislatore, direttamente od indirettamente, si occupi della regolamentazione dei rapporti di lavoro e, quindi, anche della individuazione dei livelli minimi di tutela (C. Cost. n. 106/1962).

Tanto più che le intese collettive aziendali o territoriali sono previste dalla legge[31] per la realizzazione di “finalità assai ampie e generiche la cui individuazione in concreto è peraltro demandata solo all’autonomia collettiva e senza possibilità –. ma la questione pare ancora aperta – di un controllo di merito da parte del giudice”[32].

Invece, l’obbligo di motivazione proprio delle ordinanze amministrative permette un sindacato pieno del giudice amministrativo sull’esistenza dei termini legittimanti l’esercizio di tale prerogativa e anche dei conseguenti tempi d’esplicazione. Tale caratteristica manca nella deroga di prossimità in virtù della quale si può esercitare un potere d’abrogazione della normativa primaria senza nessun obbligo di pubblicità.  Del resto non può non sottolinearsi come gli stessi artefici dell’introduzione dell’istituto abbiamo rilevato come l’istituto è comunque soggetto alla legge che prevede esplicitamente tale potere di deroga. Ricorre lo schema dei regolamenti di delegificazione autorizzati legislativamente a riordinare un determinato settore anche con un espresso effetto abrogativo. Tuttavia l’effetto abrogativo di tali regolamenti è pubblico e soggetto ad una pronta verifica giurisdizionale, laddove la deroga di prossimità pur avente un tale potere di abrogazione non è soggetto ad un obbligo esplicito di pubblicità e motivazione.    

A fronte della conclamata genericità delle finalità sottese alla contrattazione di prossimità il richiamo alla considerazione secondo la quale la Costituzione non stabilisce affatto un principio di inderogabilità della legge, pur sancendo un livello di protezione del lavoratore certamente sottratto alla disponibilità del legislatore ed, a maggior ragione, dell’autonomia collettiva non appare condivisibile. In vero proprio l’estrema genericità delle finalità, la stessa indeterminatezza delle modalità formali e sostanziali che devono concretizzare lo strumento sembrano rendere convincenti, al contrario di quanto sostenuto,[33] i rilievi di incostituzionalità che sono stati sollevati con riferimento all’efficacia derogatoria, in sé considerata, attribuita dall’articolo 8 alla contrattazione di prossimità.

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5. La sistematica asistematicità della deroga di prossimità

5.1. Contratti di prossimità, certificazione dei contratti e contratto di rete

L’introduzione della deroga di prossimità rappresenta solo l’ultimo atto di un processo di revisione del diritto lavoro in cui la certificazione dei contratti e i contratti di rete si pongono come analoghi elementi di inversione del rapporto tra autonomia privata e legislazione.

La certificazione dei contratti non è solo uno strumento che permette all’autonomia delle parti di ottenere un consolidamento, seppur relativo, della qualificazione del rapporto del lavoro. La previsione   degli artt. da 75 ad 84, del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 ha effetti esterni in quanto per esempio limita l’autonomia degli enti previdenziali che sono vincolati alla qualificazione data dall’ente di certificazione almeno fino all’esito di un eventuale contenzioso giurisprudenziale[34]. La stessa introduzione del contratto di rete consente, almeno secondo alcune interpretazioni, all’autonomia privata la deroga della disciplina pubblicistica in materia di responsabilità nell’ipotesi di distacco del personale[35].

Con il nuovo contratto di rete l’interesse al distacco del lavoratore da un’impresa ad un'altra si presume e l’intero rapporto, compresa la responsabilità conseguente a questo utilizzo è rimessa alla disciplina pattizia che può porre una disciplina derogatoria delle norme generalmente applicate.

Gli spazi d’autonomia concessi alle parti, con un atteggiamento a dir poco neutro nei confronti di una contrattazione posta da agenti con diversa forza contrattuale, vengono quindi ampliati grazie ad un effetto derogatorio, a volte implicito e più attenuato laddove si tratti di certificazione dei contratti e altre volte più esplicito ed esteso quando si ipotizza che il contratto di rete posso occuparsi degli aspetti civilistici, amministrativi e penali connessi al distacco del personale.

Il contratto di rete si presta quindi a giustificare diverse condizioni contrattuali all’interno di un’impresa in virtù di un interesse a distacco del personale che in qualche modo può diventare uno strumento per cambiare modalità di utilizzo del personale e le conseguenti responsabilità affrancandosi da una normativa basata su un diverso profilo.    

L’identificazione di questo filo rosso che lega gli istituti rafforza le tesi di quella dottrina citata che ha riconosciuto effetti destrutturanti al contratto di prossimità che si pone come la sintesi degli altri due strumenti avendo funzioni diverse e minori vincoli d’azione almeno secondo la dottrina favorevole alla sua introduzione.

Tale inquadramento, per quanto affrettato e parziale possa essere considerato, mette in luce la costante e sistematica tendenza a rendere flessibili, adattabili e modificabili istantaneamente e temporaneamente gli istituti normativi sacrificando l’uniformità del diritto del lavoro e la tutela dei diritti dei lavoratori sull’altare di un asistematica regolamentazione del caso singolo.

La concreta implementazione del contratto di prossimità testimonia poi in nuce come l’istituto si presti a rendere definitiva una regolamentazione del rapporto di lavoro non tanto meno omogenea e uniforme ma addirittura arbitraria, opaca, senza limiti e con scarsi meccanismi di controllo esterno.

 

5.2. I limiti della contrattazione di prossimità

Le critiche sulla genericità delle finalità affidate all’istituto e le censure concernenti la possibilità che la sua introduzione incida sull’omogenea tutela dei diritti trovano conferma nei risultati derivanti dalla sua concreta attuazione.

Nonostante l’enfatizzazione degli esordi lo strumento è utilizzato sostanzialmente spesso senza un riferimento esplicito. La deroga di prossimità si fa, ma non in maniera pubblica ed evidente. La deroga è utilizzata nell’ambito delle relazioni industriali e il riferimento al singolo limitato bacino di utilizzazione coincide con l’estrema opacità dei termini e delle modalità per cui si persegue. I riferimenti delle deroghe possono essere vari e molteplici le fonti e le tipologie citate a fondamento degli accordi tuttavia come emerge in dottrina [36]“anche se i presupposti giuridici sono formalmente diversi e può risultare lessicalmente più affascinante parlare di «percorsi di stabilizzazione» o di contratti di «solidarietà espansiva» piuttosto che di «accordi in deroga», il contenuto sostanziale degli accordi non è dissimile: si tratta sempre di deroghe peggiorative a norme di fonte legislativa operate da accordi stipulati a livello aziendale”.

In questo modo, le ragioni che giustificano il ricorso alla misure, secondo le prescrizioni di legge, l’eccezionalità e la temporaneità dell’intervento non sono esplicitate all’esterno e non sono oggetto di scrutinio ma rimangono all’interno del recinto aziendale. 

Cosi che sono fondate le considerazioni di chi rileva come ” l’art. 8 ponga indubbiamente problemi “simbolici” dovuti all’ampiezza e indeterminatezza delle possibili deroghe, ma non sembra che il contenuto sostanziale dei diversi accordi presi in esame – che pure sembrano fondarsi su presupposti giuridici differenti – sia troppo dissimile, trattandosi pur sempre di deroghe peggiorative ai normali trattamenti di legge o di ccnl contrattate a livello aziendale”[37]. In questo modo, si assiste alla fuga dal modello legale previsto dall’ articolo   8 in modo da raggiungere le stesse finalità sostanziali senza però alcun richiamo formale. Gli stessi limiti previsti dalla norma per l’applicazione dell’istituto sono quindi potenzialmente derogati con possibili distorsivi effetti per la tutela dei diritti dei lavoratori e   per la necessità di un quadro omogeneo che permetta a tutti i datori di lavoro di   avere una   qualche certezza regolatoria.    

Le lacune connesse all’introduzione della deroga di prossimità si fanno più evidenti in relazione ai tentativi di modifica del comma 2 bis dell’articolo 8. Come è noto il decreto - legge 28 gennaio 2013 n. 76 subordinava l’efficacia derogatoria delle intese al loro deposito presso la direzione del lavoro competente per territorio”. Tale previsione, non confermata in sede di conversione, avrebbe consentito un efficace monitoraggio dell’istituto, permettendo una verifica seppur ex post da parte delle Direzione territoriale del lavoro.

Anche le censure legate ad una possibile indebita estensione dell’ambito dell’autonomia contrattuale a profili non derogabili quali[38] i diritti e crediti di cui non sono titolari i lavoratori, ma l’Erario e gli Enti previdenziali si sarebbero in qualche modo attenuate proprio in virtù della possibilità di controllo da parte delle DTL. 

Le stesse preoccupazioni relative alla balcanizzazione del diritto del lavoro sarebbero state comunque oggetto di ponderazione attraverso l’inserimento di un elemento di bilanciamento che avrebbe comunque agevolato la stessa attività di vigilanza e reso certo e predeterminato per tutti gli operatori il quadro regolatorio di riferimento. 

Inoltre, la mancata conversione della nuova formulazione del comma 2 bis è ancora più stridente laddove si prende atto, per esempio, di quanto avviene nell’ordinamento dell’autonomie locali per le ordinanze sindacali che, anche come provvedimenti nominati, sono rese pubbliche e comunicate al Prefetto a cui spetta la generale vigilanza sugli enti locali.

Il meccanismo di comunicazione garantisce che tempi, modalità e termini della deroga apportata dalla fonte contrattuale o legale possano essere evidenti. La mancata conferma della previsione del deposito alla Direzione territoriali del lavoro evidenzia come le intese in questione siano potenzialmente in grado non solo di equi ordinare l’autonomia contrattuale alla fonte legale ma anche di scardinare i limiti entro cui l’autoregolamentazione della parti private si esplica nell’ambito dell’ordinamento. Più che derogare alle norme l’istituto sembra avere la capacità, almeno qualora venga utilizzato strumentalmente[39], di prefigurare una sorta di potere contrattuale senza limiti e per ciò autoreferenziale. Si passerebbe dall’ esercizio dell’autonomia, ontologicamente circoscritta ad una sorta di autoreferenzialità della contrattazione senza alcun limite.

Il deposito presso la DTL delle specifiche intese assolverebbe la stesse funzione dell’obbligo di comunicazione previsto dall’articolo 54 del decreto legislativo 267/2000. Al contrario, l’assenza di tale meccanismo testimonia come alla regolamentazione di parte  sia attribuito un regime in termini di pubblicità e trasparenza e verificabilità addirittura più “flessibile” di quanto attribuito ad un ufficiale di governo quale il sindaco a cui è attribuito il potere di ordinanza.  

La conoscibilità delle intese permetterebbe di verificare la reale natura delle modifiche contrattuali. Soprattutto in ambito territoriale, anche con riferimento all’esperienza dei distretti, la comparabilità delle intese spiegherebbe quanto le deroghe siano legate al frutto di reali esigenze di ammodernamento produttivo e quanto invece risulti essere la mera traslazione sul costo del lavoro degli oneri della concorrenza. In altri termini, il deposito consentirebbe di accertare se le singole modifiche reiteratamente proposte in ambito territoriale manifestino una reale esigenze condivisa ovvero rappresentino una specifica esigenza della singola azienda. La mancata trasparenza delle intese depotenzia le finalità positive dell’istituto mettendone in dubbio la stessa ragion d’essere. Il meccanismo di autoregolazione non ha allo stato una previsione che possa in qualche modo prevenire o correggere gli eventuali effetti distorsivi legati ad un suo uso strumentale.       

Ricorda la possibilità di parlare di autoregolazione e di limiti e di meccanismo di cattura.

 

6. La retorica  della Sussidiarietà

In una prospettiva più generale gli istituti in oggetto sono accumunati dal fatto di trovare, seppur parziale fondamento nel principio di sussidiarietà.

A parte l’origine delle ordinanze, tradizionalmente risalenti ad un modello centrale di potere statale, i recenti interventi in tema di potere d’ordinanza ex articolo 54 del decreto legislativo 267/2000 e in tema di  contrattazione di prossimità previsti dall’articolo 8 della legge 148/2011 richiamano un implementazione, quanto meno superficiale del principio di sussidiarietà.

Proprio in ambito economico, la dottrina ha da tempo risalente segnalato come l’introduzione del principio di sussidiarietà potesse comportare l’applicazione di un parochial economic state regulation[40]   

Il limite della sussidiarietà in campo economico veniva individuato nella eccessiva frammentazione territoriale  delle regole del mercato tanto da agevolare l’affermazione di piccole patrie economiche  non compatibili con i principi di concorrenza.[41] 

Con ancor maggiore efficacia[42] all’implementazione del principio di sussidiarietà è stata applicata un osservazione fatta con riguardo al federalismo americano ed “espressa con i termini "rights of persons" versus "rights of places."' Questa frase riferisce le tensioni tra i poteri locali e i diritti individuali  nelle strutture politiche federali." The placement of political authority closer to the source from which it originates, namely, the people, creates the dilemma of choosing between individual and collective freedom or between consumership and citizenship. The problem is that individual freedom often diminishes collective freedom. Measures that are conducive to voice and the community in which political participation is exercised may be detrimental to exit and the individual freedom to escape.  

Tale ricostruzione oltre a porsi in perfetta coerenza con la definizione della deroga di prossimità come [43]ricollocazione del potere di contrattare dal centro alla periferia o meglio ai territori sembra cogliere con efficacia la tensione esistente tra scelte aziendali e diritti individuali ovvero tra scelte contrattali nazionali, scelte territoriali e diritti individuali.

L’eventuale neutralizzazione dell’argomento basata sull’autonomia della regolamentazione privata che avviene attraverso il contratto è poi facilmente superabile. Laddove si equipara totalmente il contratto alla legge, il problema dell’individuazione, collocazione e dei termini d’esercizio di tale potere richiama i termini pubblicistici della questione attinente al rapporto tra centro periferia e diritti dei singoli con la necessità di tener presente tutti i possibili effetti distorsivi delle opzioni sul campo.      

 

7. Conclusioni                                                                                                  

Preso atto dell’ identità  di ratio tra i due istituti e della comune appartenenza ai modi d’implementazione del principio di sussidiarietà, l’analisi ha evidenziato le differenze procedurali esistenti.

Alla comune capacità di derogare alla normativa primaria non corrisponde un procedimento, che pur nel rispetto dell’autonomia contrattuale garantisca trasparenza e impedisca trattamenti discriminatori ingiustificati nell’ambito della contrattazione di prossimità.

La ricollocazione del potere di esercitare deroghe al quadro normativo e contrattuale dal centro alla periferia è un aspetto che accomuna i due istituti.

Tuttavia proprio la dimensione che assume la contrattazione di prossimità al netto di tutti i limiti sopra evidenziati, testimonia la [44]necessità di un intervento legislativo urgente che disciplinando la rappresentanza prenda atto della valenza pubblicistica della contrattazione anche nella prospettiva di uno sviluppo il più possibile coordinato e sinergico del rapporto tra contratto collettivo e contrattazione territoriale o di azienda.

Il vero rafforzamento della contrattazione coincide con la definizione di un quadro procedurale e partecipativo solido che sia il più inclusivo ed efficiente possibile. Ciò costituisce l’inizio di ogni tentativo che in buona fede potenzi l’autonomia contrattuale anche per quel che riguarda gli effetti pubblicistici che ne derivano abbandonando tentazioni di sistematiche a-sistematicità.

 

[1] L’articolo 8 della legge n. 148 del 2011 prevede che “i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività”.

[2] S Sciarra S, Uno sguardo oltre la Fiat. Aspetti nazionali e transnazionali nella contrattazione collettiva della crisi. RIDL, III, p. 169 ss. 

[3]L. Imberti, A proposito dell’articolo 8 della legge n. 148/2011: le deroghe si fanno, ma non si dicono,  in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali n. 138, 2013, 2.

[4] Manuela Rinaldi, Legittimità “regionale” della contrattazione collettiva di prossimità (Corte cost. n. 221/2012)in www.diritto.it

[5] Gabriele Gamberini e Davide Venturi, Le dubbie deroghe ex art. 8 alla solidarietà negli appalti: brevi note sul Contratto aziendale dell’ILVA di Paderno Dugnano in www.bollettinoadapt.it, 15 aprile 2013 

Vedi anche Angelo Pisciotta, Dubbi interpretativi sulla contrattazione di prossimità i www.studiopisciotta.it  

Le sopracitate interferenze degli accordi di cui all’articolo 8 con una disciplina normativa pubblicistica o comunque non immediatamente riconducibile solo alla diversa impostazione civilistica sembrano ridimensionare l’efficacia della novella o quantomeno autorizzarne un analisi critica.

A questo proposito vedi, Adalberto Perulli - Valerio Speziale, L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011, n. 148 e la “rivoluzione di Agosto” del Diritto del lavoro IN W P C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” .IT -  132/2011

secondo cui ”l'inderogabilità peggiorativa della legge da parte del contratto collettivo esprimeva in primo luogo il principio secondo cui l'autonomia privata dei sindacati, per ragioni di "debolezza contrattuale", in situazioni specifiche non era in condizione di poter garantire la tutela dei diritti dei lavoratori. Per tale ragione l'inderogabilità della legge sottraeva alle parti sociali (ed in particolare al sindacato dei lavoratori) la possibilità di "cedere" ai mutevoli rapporti di forza ed essere costretta a peggiorare le condizioni dei singoli lavoratori. Tuttavia l'inderogabilità in pejus era finalizzata a realizzare anche un obiettivo diverso. L'ordinamento statuale assumeva che la regolamentazione di determinate materie costituisse uno specifico interesse pubblico di rilevanza generale che doveva in ogni caso avere prevalenza sugli interessi settoriali di cui sono portatori le organizzazioni sindacali”.

Pur rinviando al successivo sviluppo del lavoro laddove fosse possibile attribuire agli accordi dell’articolo 8 la capacità di derogare a disposizioni relative alla responsabilità solidale negli appalti ovvero nella concessione dei benefici di cui alla legge 296/2006 i timori da parte della dottrina circa la possibilità che lo strumento sia utilizzato in maniera tale da violare il principio di principio di uguaglianza sembrano diventare più concreti.

[6] Luigi Mariucci, Contratto e contrattazione collettiva oggi, in "Lavoro e diritto" 1/2013, pp. 23-36, doi: 10.1441/51876

[7]Andrea Lutri Riccardo Bolognesi, La contrattazione collettiva di prossimità. Incontro di studi tenutosi presso la sede di Federlazio in data 12.10.2011. in www.giustiziadellalavoro.it

[8] Maurizio Sacconi e Gabriele Fava - Il contratto di prossimità è uno strumento da potenziare

 in Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/IJcHy. 

[9] dall’intervento del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con dichiarazione trasmessa a mezzo comunicato stampa del 5 ottobre 2011, nella quale espressamente si afferma:

[10] M. Marrazza, La Contrattazione Di Prossimità Nell’articolo 8 Della Manovra 2011: I Primi Passi Della Dottrina Giuslavoristica in  Diritto delle Relazioni Industriali, fasc.1, 2012, pag.41 secondo cui” superfluo specificare che si tratta di un profondo cambiamento del tradizionale rapporto tra legge e contrattazione collettiva  in virtù del quale alla seconda era prevalentemente, ma non esclusivamente, affidato il compito di incrementare il livello di protezione fissato dalla legge o, al più, di integrare precetti normativi volutamente incompleti. Non esclusivamente, dicevo, giacché è noto che alcune disposizioni di legge ormai da tempo affidavano all’autonomia privata collettiva la facoltà di negoziare trattamenti anche peggiorativi per i lavoratori. Basti pensare, solo per fare un esempio, alla disciplina del trattamento di fine rapporto ove la nozione legale omnicomprensiva di retribuzione annuale utile ai fini della quantificazione dell’accantonamento può essere derogata, anche in senso peggiorativo, dai contratti collettivi (articolo 2120, secondo comma, c.c.).

Ne deriva, giusto per trarre una prima conclusione, che la deroga della legge da parte dell’autonomia privata collettiva non è una novità introdotta dall’articolo 8 della manovra 2011 pur dovendosi imputare a quella disposizione il fatto (merito o demerito?) di aver per la prima volta disciplinato il fenomeno in modo esteso e, forse, organico.                                                                           

[11] Maurizio Sacconi e Gabriele Fava op cit. 

[12] www.dirittisocialitrentino.it

[13] M. Rusciano, L’art. 8 è contro la Costituzione, pubblicato l’08/09/2011 su  www.eguaglianzaeliberta.it

[14] C  Massimiani, Profili di illegittimità costituzionale dell’art. 8 D.L. 13.08.2011, n. 138 (come convertito dalla L. 14.09.2011, n. 148) secondo cui  l’articolo 8 è una norma densa di problematicità, che scaturiscono principalmente dalla assimilazione sul piano della estensione degli effetti tra i contratti collettivi aziendali ed i contratti collettivi territoriali. Mentre per i primi, infatti, può dirsi pressoché pacifico, sia in dottrina, sia in giurisprudenza, il riconoscimento in casi specifici della efficacia ultra vires, analoga conclusione non sembra così scontata per i contratti collettivi territoriali. Difatti, laddove tali contratti collettivi territoriali si risolvano in veri e propri contratti “di categoria” (ad esempio in ragione della concentrazione territoriale delle imprese appartenenti al settore merceologico di riferimento), si appaleserebbe il contrasto con l’art. 39, co. 4, Cost.

[15] T. Treu, Vogliono balcanizzare il lavoro, pubblicato il 19/08/2011 sul quotidiano Europa in www.europaquotidiano.it.

[16] Valentina Pupo,Contrattazione Di Prossimità: Introduzione Del Diritto Del Lavoro “Ad Aziendam”? in www.giurcost.org

[17] In www.dirittisocialideltrentino.it 

[18] Marazza, La contrattazione di prossimità nell’articolo 8 della manovra 2011: i primi passi della dottrina giuslavoristica, Diritto delle Relazioni Industriali, fasc.1, 2012, pag. 41

[19] Buscema, op cit  

[20] T.A.R. Catanzaro (Calabria)   sez. I  25 giugno 2013   n. 709

[21] F. G. Scoca, Amministrazione Pubblica E Diritto Amministrativo nella Giurisprudenza della Corte Costituzionale  Diritto Amministrativo, fasc.1-2, 2012, pag. 21

[22] Rissolio,Poteri di ordinanza del sindaco dopo la sentenza della corte costituzionale 4 aprile 2011, n. 115c - city mayor's ordinance powers after the latest judgment of the italian constitutional court, n. 115 of 2011, 4th april  Foro Amministrativo - T.A.R. (Il), fasc.6, 2012, pag. 2183

[23] Rissolio , op cit

[24] Buscema, Linee guida in materia di ordinanze contingibili ed urgenti tra vecchie costruzioni dogmatiche e nuove prospettive di sviluppo  in http://ww2.unime.it/annalieconomia/file/num1/buscema3.pdf, secondo cui “la possibilità di previsione di una deroga alla disciplina ordinaria mediante ordinanze contingibili ed urgenti ben pu  investire posizioni giuridiche soggettive aventi consistenza di diritti soggettivi perfetti costituzionalmente riconosciuti53 che, naturalmente, godono di una tutela non assoluta, bensì conforme ai limiti ad essi coessenziali, tali da consentire l’esplicarsi di una regolamentazione necessaria ad assicurare condizioni di libera e pacifica convivenza tra i consociati e, più in generale, di prevenzione dell’esposizione a pericolo dei beni giuridici ritenuti essenziali, in un determinato momento storico, all’interno della società civile    

[25] Giuseppe G. M. Foti, Il potere di ordinanza del sindaco (Alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale in www.ildirittoamministrativo.it

[26] Rissolio, op cit. 

[27] Perulli, op cit. , Tiraboschi op cit , Carinci    

[28] L. Zoppoli, Una nuova Costituzione per il sistema sindacale italiano? Riflessioni introduttive al convegno del 28/29 novembre 2013 presso l'Università di Napoli Federico II,  in www.aidlass.it  secondo cui la contrattazione aziendale  - ora invocata dalle imprese, in passato dai sindacati dei lavoratori - è e sarà di cruciale importanza e merita un'attenta regolazione, di matrice negoziale e legislativa, regolazione che negli ultimi anni è anche emersa, sebbene in modo tortuoso e disorganico e soprattutto poco rispettosa di principi e regole costituzionali (c.d. "nocciolo duro" dell'art. 39), che devono trovare piena applicazione anche al contratto aziendale, in quanto espressione di eteronomia  , e che non possono ridursi ad un generico  rinvio al criterio maggioritario (come nell'art. 8 del d.l. 138/2011) . Tuttavia il contratto aziendale non può essere l'epicentro del sistema sindacale italiano per due fondamentali ragioni: 1. la contrattazione è anche tecnica di regolazione della concorrenza tra imprese e lavoratori, che non può  esaurirsi e nemmeno incentrarsi a livello aziendale; 2. In Italia il 95% delle imprese sono micro-imprese (si colloca nella fascia di dipendenti 1-9) e non può  essere interessata, per ragioni oggettive e soggettive, da questo livello contrattuale.

[29]Corte Cassazione, sez. Penale, sev. IV, 19.03.2009 n. 12147 , secondo cui si concretizza il reato di rifiuto d’atti d’ufficio di cui  all’art. 328,comma primo, c.p. e non l’illecito amministrativo previsto dall’articolo 19 , comma quarto, del dlgs 2 febbraio 2001, n. 31 la condotta inerte del sindaco di un comune il quale, a fronte di una situazione potenzialmente pregiudizievole per la salute pubblica in relazione all’assenza dei requisiti previsti per la potabilità dell’acqua erogata per il consumo ,ometta di adottare, nonostante le ripetute segnalazioni pervenutegli dalle competenti autorità sanitarie , i necessari provvedimenti cautelari ,contingibili e urgenti , voltai ad eliminare il rischio del superamento dei parametri stabiliti dalla legislazione speciale in materia .    

[30] FG Scoca, op cit, secondo   Non si tratta infatti dell'affidamento nella correntezza del traffico giuridico, rispetto al brocardo “resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis”  (34), o dell'affidamento incolpevole dei terzi acquirenti rispetto alla regola secondo la quale “possesso vale titolo”  (35), o ancora dell'“affidamento della collettività” nel corretto esercizio delle professioni liberali  (36); ma si tratta dell'affidamento nella “sicurezza giuridica” ovvero nella “certezza dell'ordinamento giuridico”, che viene espressamente considerato “principio connaturato allo Stato di diritto”  (37), e viene elevato a “parametro alla stregua del quale scrutinare la legittimità” delle leggi

[31] Le intese devono anzitutto essere finalizzate, così dice la legge, «alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, alla adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti ed all’avvio di nuove attività» (articolo 8, primo comma).

[32] Marazza, op. cit. , che prosegue affermando come ” il  termine, specifiche intese, da intendere nel senso di intese specificatamente finalizzate agli obiettivi indicati dalla legge, postula che negli accordi dovrà comunque essere adeguatamente specificata la finalità perseguita dall’autonomia privata collettiva derivando, da ciò, la possibilità di una verifica di tipo almeno formale da parte dei giudici cui deve essere affidato il compito di accertare che la finalità dichiarata dal contratto sia in concreto sussumibile in una delle finalità tipizzate dal legislatore.

[33] Marazza op, cit

[34] Messineo, La certificazione dei contratti di lavoro nel d.lgs. n. 276/2003 Aspetti procedimentali e modalità applicative in Working Paper n. 56/2008 - www.adpat.it secondo cui ”In relazione all’efficacia nei confronti dei terzi della certifica- zione, il d.lgs. n. 276/2003 afferma la incontestabilità dell’accertamento contenuto nell’atto di certificazione «fino al momento in cui sia stato accolto con sentenza di merito uno dei ricorsi esperibili ai sensi dell’art. 80, fatti salvi i provvedimenti cautelari». In realtà, a parere di chi scrive, l’effetto principale della certificazione si realizza nei confronti dei terzi, ed in particolare, nei confronti degli enti previdenziali, delle Dpl e delle Agenzie delle Entrate. I terzi, così come indicati dal legislatore, devono essere individuati sicuramente in coloro che direttamente o indirettamente vengono coinvolti dalla certificazione in quanto portatori di interessi privati e pubblici, che possono essere fatti valere in giudizio. Le parti in un giudizio sono coloro i quali sono portatori di interessi giuridicamente rilevanti78. In particolare è certo che gli enti previdenziali (Inps, Inail), le Agenzie delle Entrate e le Direzioni provinciali del lavoro sono portatori di interessi pubblici, giuridicamente rilevanti, (come ad esempio l’interesse alla correttezza e la indisponibilità dei contributi, la correttezza fiscale o la regolarità e la certezza dei rapporti di lavoro). Questi soggetti, pertanto, potranno, senz’altro, ricorrere dinanzi al giudice del la- voro al fine di far valere l’interesse pubblico che si riterrà viola- to. Non è ipotizzabile che un interesse pubblico di estrema rilevanza, quale quello dell’accertamento dei contributi o l’elusione degli adempimenti fiscali o la mancata osservanza di regole contrattuali obbligatorie rimanga sacrificato sull’altare degli interessi privati. Inoltre, una certificazione priva di controllo giudiziario corre il rischio di creare ingiuste disparità di trattamento tra lavoratori della stessa azienda o di aziende che lavorano nello stesso setto- re, determinando forme anomale di concorrenza sleale. Gli enti pubblici che vorranno disconoscere gli effetti di un contratto certificato non potranno che ricorrere ad un giudice per contestare quanto previsto nella certificazione”.   

[35] Vedi Circolare Ministero lavoro e politiche sociali n. 35/2013 secondo cui l’art. 7, comma 2 Il D.L. n. 76/2013 introduce un comma 4 ter all’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003 che disciplina l’istituto del distacco. Con tale intervento il Legislatore ha inteso configurare “automaticamente” l’interesse del distaccante al distacco qualora ciò avvenga nell’ambito di un contratto di rete. In particolare si prevede che “qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’articolo 2103 del codice civile” . Ne consegue che, ai fini della verifica dei presupposti di legittimità del distacco, il personale ispettivo si limiterà a verificare l’esistenza di un contratto di rete tra distaccante e distaccatario. La disposizione inoltre consente “la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso ”; ciò vuol pertanto significare che, in relazione a tale personale, il potere direttivo potrà essere esercitato da ciascun imprenditore che partecipa al contratto di rete. Sul piano di eventuali responsabilità penali , civili e amministrative – e quindi sul piano della sanzionabilità di eventuali illeciti – occorrerà quindi rifarsi ai contenuti del contratto di rete, senza pertanto configurare “automaticamente” una solidarietà tra tutti i partecipanti al contratto

[36] Imberti,  op. cit.   

[37] Imberti op. cit

[38] Gamberini op cit, Imberti op. cit.  secondo cui “isolato sembra, invece, l’accordo aziendale in materia di responsabilità solidale negli appalti stipulato nel settembre 2011 all’Ilva di Paderno Dugnano dall’azienda e dai due rsu dello stabilimento. In esplicita applicazione dell’art. 8, l. n. 148 e alla luce della premessa, secondo cui «la Ilva S.p.A. stabilimento di Paderno Dugnano mette in atto controlli per verificare la corretta applicazione della normativa riguardante la gestione amministrativa – con esplicito riferimento agli obblighi di legge fiscali e contributivi – dei dipendenti da parte delle ditte appaltatrici», le parti stipulanti concordano che «Ilva S.p.A. – stabilimento di Paderno Dugnano – non sarà soggetta per gli appalti ad oggi in atto e per i futuri che dovessero essere assegnati al vincolo previsto dal decreto legge 223/06 convertito dalla legge 248/06 e successive modificazioni». Tale previsione contrattuale pone numerosi profili giuridici di dubbia legittimità, dal momento che le parti operano la deroga in relazione a diritti e crediti di cui non sono titolari i lavoratori, ma l’Erario e gli Enti previdenziali.    

[39] Per un efficace illustrazione delle varie possibili utilizzazioni dello strumento con diverse finalità si rinvia a Rassegna: contrattazione “di prossimità” e decentramento regolativo (18.11.13) in www.osservatoriotrentinodirittisociali.it   

[40] C. Bolick

[41] Sia consentito rinviare Marco Maria Carlo Coviello, La dimensione verticale della sussidiarietà,Monografia - Tesi di dottorato - Pubbl. in: Italia - 2001  Firenze  

[42]   Christoph Henkel, The Allocation of Powers in the European Union: A Closer Look at the Principle of Subsidiary, in Berkeley Journal of International Law Volume 20|Issue 2 Article 1 2002. Secondo cui “The two opposing perspectives of subsidiarity can be described most accu- rately with the economic doctrine of exit and voice, as advanced by Albert 0. Hirschman in his analytical work Exit, Voice, and Loyalty. Exit and voice correlate to market and non-market forces that are economic and political mech- anisms, respectively. Exit as the realm of economics is impersonal and indi rect. A customer who is dissatisfied with a product of one firm shifts to that of another, defending his welfare or improving his position. Market forces are set in motion by this behavior, which induce recovery on the part of the firm that has declined in comparative performance.' 35 Exit is impersonal and indirect because it avoids face-to-face confrontation. In general, the customer makes decisions in the anonymity of the marketplace. The results of decisions are only transferred through statistics and not by the articulation of a voice.' 36 Voice, as the political alternative to exit, depends on direct communication, the articulation of opinion, protest and affirmation. Voice is understood as the political action par excellence and can graduate from faint grumbling to violent protest. It is defined as any attempt to change, rather than to escape from, an objectionable state of affairs, whether through individual or collective petition by various types of actions. Applied to the Principle of Subsidiarity, voice refers to the actions that citizens may use to have their concerns heard in the political process of the Community. Voice is the active participation of individuals in Community politics. Subsidiarity is the key to ensuring participation of that kind and to increasing accountability while bringing government closer to the citizens. In contrast, exit focuses on the issue of mobility between different Community jurisdictions. Exit directs attention to the individual choice of location and inter-

. governmental competition. By shifting political authority to lower levels, it is easier for citizens to compare particular advantages and disadvantages of differ- ent Community jurisdictions and escape from unwanted policies., Thus, the increase in the mobility of citizens and the possibility of more favorable policies elsewhere, such as lower taxes, promote intergovernmental competition. While voice aims to increase political participation with the goal of achieving im- proved governance at the national or lower level, exit presents mobility and intergovernmental competition as an instrument to limit the powers of govern- ment in general. At first glance both voice and exit seem to make the same promise: to make government more responsive. Voice can even be viewed as a residual to exit. Some citizens who are not yet ready to escape a certain policy are more likely to exercise the voice option. In addition, voice can act as an alternative. This might be the case where the ability to influence a policy seems to offer greater results than mere escape. Once exited, the opportunity to use voice is lost. In certain settings the exit option thus becomes the ultima ratio. Finally, voice can also function as an alternative if exit is simply not available, such as in a monopolistic or exclusive environment. Despite these correlations, voice and exit are rather distinct options. Both achieve their goals via differing approaches, resulting in contradictions and competing paradigms. A similar observation has been made with regard to American federalism and is expressed through the terms "rights of persons" versus "rights of places."'14 3 These phrases refer to the tension between local self- government and individual rights in federal political structures." The place- ment of political authority closer to the source from which it originates, namely, the people, creates the dilemma of choosing between individual and collective freedom or between consumership and citizenship. The problem is that individ- ual freedom often diminishes collective freedom. Measures that are conducive to voice and the community in which political participation is exercised may be detrimental to exit and the individual freedom to escape.' 45 To stay competi- tive, lower level governments depend on people and resources, not only to sus- tain their tax-base but simply to remain functional as a community. Accordingly, exit must be contained. It is in this context that the conflict between voice and exit becomes apparent. Voice is primarily concerned with the governmental competition. By shifting political authority to lower levels, it is easier for citizens to compare particular advantages and disadvantages of differ- ent Community jurisdictions and escape from unwanted policies.,  Thus, the increase in the mobility of citizens and the possibility of more favorable policies elsewhere, such as lower taxes, promote intergovernmental competition. While voice aims to increase political participation with the goal of achieving im- proved governance at the national or lower level, exit presents mobility and intergovernmental competition as an instrument to limit the powers of govern- ment in general. At first glance both voice and exit seem to make the same promise: to make government more responsive. Voice can even be viewed as a residual to exit. Some citizens who are not yet ready to escape a certain policy are more likely to exercise the voice option. In addition, voice can act as an alternative. This might be the case where the ability to influence a policy seems to offer greater results than mere escape. Once exited, the opportunity to use voice is lost. In certain settings the exit option thus becomes the ultima ratio. Finally, voice can also function as an alternative if exit is simply not available, such as in a monopolistic or exclusive environment. Despite these correlations, voice and exit are rather distinct options. Both achieve their goals via differing approaches, resulting in contradictions and competing paradigms. A similar observation has been made with regard to American federalism and is expressed through the terms "rights of persons" versus "rights of places."' These phrases refer to the tension between local self- government and individual rights in federal political structures." The placement of political authority closer to the source from which it originates, namely, the people, creates the dilemma of choosing between individual and collective freedom or between consumership and citizenship. The problem is that individ- ual freedom often diminishes collective freedom. Measures that are conducive to voice and the community in which political participation is exercised may be detrimental to exit and the individual freedom to escape.' 45 To stay competi- tive, lower level governments depend on people and resources, not only to sus- tain their tax-base but simply to remain functional as a community. Accordingly, exit must be contained. It is in this context that the conflict be- tween voice and exit becomes apparent. Voice is primarily concerned with the transfer of powers to lower level government. It induces the regulatory author- ity to erect trade barriers against goods and services from other polities and to establish an environment in support of special interests. 146 This stands in apparent contrast to the premise of exit, which is the limitation of regulatory powers at whatever level exercised. As inherent tensions of the Principle of Subsidiarity, the competing paradigms of exit and voice make it evident that the Member States, as lower level governments, must be prevented from using their powers for protectionist purposes. The allocation of regulatory powers through the Principle of Subsidiarity and the execution of such powers by the Member States must be constrained. That is, subsidiarity must not be interpreted as an unconditional endorsement, but rather a qualified one. Where Community issues are involved, precau- tionary measures must be enforced in the application of regulatory powers by the Member States. Even if the Principle of Subsidiarity, as put forward in the Community Treaties, was a balanced means with which to limit the centralist drift of the Community, it would be necessary to recognize the problems that could occur on the Member State level and that could ultimately threaten the level of Community integration that has been achieved.

Albert 0. Hirschman, exit, voice, and loyalty: responses to decline in firms, organizations, and stateS (1970)

[43] Sciarra, op cit 

[44] L. Zoppoli op.cit.

Sommario: 1. Premessa - 2. Il contratto di prossimità - 3. Le ordinanze contingibili e urgenti - 4. Identità e differenze tra la contrattazione di prossimità e le ordinanze contingibile urgenti - 5. La sistematica asistematicità della deroga di prossimità - 5.1. Contratti di prossimità, certificazione dei contratti e contratto di rete - 5.2. I limiti della contrattazione di prossimità - 6. La retorica  della Sussidiarietà - 7. Conclusioni

 

1. Premessa 

L’ordinamento giuridico prevede istituti finalizzati ad adattare le norme, di fonte legale o contrattuale, a specifiche esigenze.

Il grado di flessibilità e adattabilità delle norme positive è sempre più importante; pur tenendo conto dell’inderogabilità dei principi generali, la dinamica complessiva dell’attività produttiva è diventata via via sempre più complessa imponendo una progressiva flessibilità dell’intervento normativo o contrattuale e una ridefinizione della relazione tra esercizio dei poteri pubblici e collettività.

Il contratto di prossimità[1] introdotto recentemente, senza non poche polemiche e perplessità, risponde a queste esigenze ponendosi nell’ambito di un progressivo un processo di «ri-localizzazione della contrattazione collettiva»[2] in cui gli accordi che emergono nelle realtà locali sono orientati sia a soddisfare esigenze immediate dettate dalla crisi e dai suoi effetti sui rapporti di lavoro sia dalla necessità di incrementare la competitività o attrarre investimenti[3].

L’istituto è finalizzato ad adattare regole, contrattualmente poste, a una particolare situazione aziendale. Ciò in considerazione della necessità di regolare le esigenze produttive[4] con un livello di dettaglio e di rispondenza ai mutamenti esterni non intercettabili da disposizioni generali e predefinite poste da una fonte applicabile indistintamente e automaticamente a ogni territorio o situazione produttiva.    

Tale necessità di adattamento ha effetti sul principio di gerarchia delle fonti giacché norme secondarie vengono equi ordinate a quelle primarie. 

Seppur nell’ambito pubblicistico, identica funzione sembrano svolgere le ordinanze contingibili e urgenti. Tradizionale strumento dell’ordinamento amministrativo l’ordinanza serve, almeno secondo parte della dottrina, a modificare se non proprio a “innovare” temporaneamente ed eccezionalmente il quadro normativo per far fronte a emergenze non preventivabili che richiedono provvedimenti eccezionali.

Per entrambi gli istituti si avanzano censure basate sulla loro qualificazione come fonti extra ordinem suscettibili di ledere il principio di gerarchia delle fonti.   

Tuttavia, la pretesa comune finalità tra i due istituti può, però, essere una semplice alterazione prospettica più che il risultato di una reale identità di ratio tra discipline comunque appartenenti a diversi settori dell’ordinamento.

Finalità del presente lavoro è di ricercare effettivi punti di contatto tra le discipline degli istituti al fine di evidenziare le identità, le diversità e le eventuali distonie; ciò nella consapevolezza che l’adozione di una prospettiva comparata ha di per sé dei limiti e comporta un margine di semplificazione che può incidere sulla valenza stessa dell’approfondimento.

Ciò nonostante, la prospettiva in virtù della quale la derogabilità territoriale dei contratti sia in qualche modo una variazione del modus operandi del settore civilistico o giuslavoristico che ricalchi l’esperienza dell’ordinamento amministrativo appare come un fenomeno particolare e meritevole d’approfondimento. Dal decentramento del potere amministrativo si passa a una sorta di decentramento contrattuale in cui il rapporto tra fonte primaria e quella secondaria è comunque ribaltato a favore della seconda.

Si è di fronte, allora non solo al ribaltamento della tradizionale gerarchia delle fonti ma al trasferimento reale del potere di contrarre senza limiti dal centro sindacale alle articolazioni territoriali o aziendali. 

Il potere di deroga alla contrattazione e alla legislazione nazionale accomuna quindi i due istituti anche a proposito dei limiti che ne circoscrivono l’ambito d’intervento.

La stessa estensione degli effetti dei due istituti sembra poter esser identificata nella capacità di estendersi di là dal proprio ordinamento sezionale cioè oltre il mero ambito privatistico[5], per quanto riguarda l’articolo 8 della legge 148/2011, e oltre quello meramente amministrativo per le ordinanze contingibili e urgenti. Pur senza anticipare le conclusioni, la capacità espansiva delle ordinanze contingibili e urgenti rientra nell’ambito delle finalità e dei poteri attribuiti dalla legge all’istituto; mentre per quanto riguarda la deroga di prossimità gli effetti “pubblicistici” su interessi indisponibili è invece il risultato di una modifica legislativa apportata senza tener conto che l’estensione indiscriminata dell’autonomia contrattuale ha effetti anche su temi che in re ipsa coinvolgono un ambito d’applicazione superindividuale. In altre parole, l’ampliamento dell’autonomia contrattuale oltre a consentire alla contrattazione di prossimità di derogare quella collettiva “scardina” implicitamente i limiti esterni dell’autonomia rendendo derogabili disposizioni d’interesse pubblico generalmente sovraordinate alla disponibilità delle parti private.                    

Tale prospettiva sembra poi poter essere contestualizzata tenendo presente come in dottrina[6] si suggerisca l’attualità della tesi “sostenuta già da allora da Rusciano…. (è in breve quella che) secondo cui il fenomeno sindacale e i prodotti della autonomia collettiva non possono risolversi  nella sfera privatistica in particolare ove si ipotizzi l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi.”             

Lo stesso ricorso a meccanismi di tutela o di garanzie procedurali si atteggia in modo diversi nei due istituti condizionandone la stessa efficacia e valenza generale.  

 

2. Il contratto di prossimità

L’istituto consente a contratti aziendali o territoriali di derogare alla disciplina legale e a quella collettiva nazionale in fondamentali materie fino ad oggi tradizionalmente sottratte alla norma pattizia, almeno in senso peggiorativo, dei diritti del lavoratore.

Per questo motivo secondo alcuni l’art. 8 della legge 183/2011 rappresenta “un vero punto di svolta nella regolamentazione dei rapporti di lavoro, poiché affida ai soggetti più “vicini” alle parti interessate (di qui la denominazione “contrattazione collettiva di prossimità”), ossia alle organizzazioni sindacali, il compito di modulare e adattare, attraverso intese idonee a derogare alle norme di legge e del contratto collettivo, le tutele dei lavoratori negli specifici ambienti produttivi e in relazione alle reali esigenze delle aziende.”[7]

Secondo tale visione “si tratta di una svolta epocale, poiché finora l'autonomia collettiva era stata chiamata dalla legge a collaborare soprattutto per il superamento delle crisi d’impresa concordando l'impiego degli strumenti di protezione del reddito, ma senza l'amplissimo potere di derogare le tutele legali, ora riconosciuto per finalità assai più ampie e condivisibili. Gli accordi riferibili in termini espliciti o impliciti all'art. 8 sono quindi idonei ad apportare dei "correttivi" alla legge, ad esempio in materia di contratti a termine, somministrazione di lavoro, collaborazioni a partita Iva e a progetto”[8].

Di là dalla evidente ammissione secondo cui la deroga all’uniforme disciplina legale o contrattuale del rapporto di lavoro è considerata strumento idoneo a risollevare il contesto produttivo nazionale risulta chiaro l’elemento di flessibilità garantito dall’istituto.      

La dimensione dell’istituto dipende però proprio dall’intensità del potere correttivo che è riconosciuta alla contrattazione di prossimità nei confronti della legge. Il concetto stesso di correzione della legge da parte del contratto di prossimità richiama, almeno implicitamente e per determinate materie un rapporto di sovra ordinazione di quest’ultima nei confronti della normativa pubblicistica pur in presenza di dichiarazioni secondo cui [9] “«In relazione alle considerazioni variamente svolte in questi giorni con riferimento al rapporto tra l’accordo inter- confederale e l’articolo 8 della recente manovra in materia di contrattazione aziendale o territoriale, si precisa quanto segue. La fonte legislativa e ` ovviamente sovraordinata a quella contrattuale. Nello specifico, l’articolo 8 contiene norme di sostegno alla libera contrattazione. E` dunque la legge oggi a garantire la capacità degli accordi aziendali in tutti i settori, non solo industriali, anche in deroga al contratto nazionale e a specifiche disposizioni normative. Cosı` com’è la legge a garantire l’efficacia generalizzata a tutti i dipendenti degli accordi sottoscritti anche a maggioranza, compresi quelli firmati in passato in coerenza con le nuove regole. L’accordo interconfederale ha costituito la premessa per questa norma perché´ ha definito le modalità con cui si determinano, e sono da tutti accettate, le maggioranze sindacali e la rappresentatività delle singole organizzazioni dei lavoratori. La sua sottoscrizione definitiva del 21 settembre ha costituito un atto formale che non ha né depotenziato ne’sterilizzato - ne ´ poteva farlo - la norma di legge. Fin qui le regole formali. Ma e ` ovvio che il concreto utilizzo delle molte possibilità di reciproco adattamento tra le parti sociali per comuni obiettivi di crescita e occupazione è rimesso alla volontà e all’iniziativa delle aziende e delle loro organizzazioni, dei lavoratori e delle loro organizzazioni. Si tratta di percorsi liberi e responsabili, talora faticosi, ma imposti dai nuovi termini della competizione globale».

In realtà, a parte le dichiarazioni propagandistiche, l’ordinamento già prevedeva la possibilità per la contrattazione di deroghe in peius dei diritti dei lavoratori, basti pensare alla particolare disciplina prevista per il trattamento di fine rapporto dall’articolo 2120 c.c.[10]

Ciò che cambia è l’estensione del potere riconosciuto alla contrattazione di prossimità che adesso può manifestarsi su un numero di materie assolutamente ampio.   

La giurisprudenza costituzionale si è recentemente pronunciata sulla questione partendo dalle censure avanzata dalla Regione toscana nei confronti dell’articolo 8 della legge 148/2011. Le censure attenevano essenzialmente alla violazione delle competenze regionali per cui “le intese derogatorie di cui all’art. 8, involgerebbero aspetti oggetto delle azioni di politica attiva del lavoro, riconducibili alla potestà concorrente regionale della tutela del lavoro. Inoltre, sempre la regione ricorrente censurava l’articolo 8 in relazione all’art. 117, terzo comma, Cost. anche nella parte in cui si rendono derogabile dai contratti collettivi aziendali e/o territoriali i contratti collettivi nazionali, poiché in questo modo sarebbero vanificate tutte le disposizioni legislative regionali che rinviano all’osservanza dei contratti collettivi nazionali di lavoro per definire i requisiti necessari ai fini della concessione di contributi o per la collaborazione, a diverso titolo, all’esercizio di funzioni regionali. Inoltre, veniva avanzata la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., sotto il profilo della competenza concorrente regionale in materia di tutela del lavoro, nella parte in cui la norma impugnata «impone di considerare preminente il contratto aziendale e/o territoriale sul contratto collettivo nazionale e sulla legislazione statale e regionale».

La sentenza della Corte costituzionale n. 221/2012, invece, ha ritenuto infondata la ricostruzione della difesa regionale partendo dall’assunto che le materie oggetto dell’articolo 8 rientrano nell’ambito dell’ordinamento civile che la costituzione riserva alla competenza esclusiva statale, nessuna violazione delle prerogative regionali è stata dunque riscontrata.

Tuttavia, la corte ha comunque delimitato lo spazio d’azione della contrattazione di prossimità. Norma di carattere eccezionale e temporaneo la disposizione di cui all’articolo 8 consente una deroga alla fonte legale e contrattuale limitatamente all’elenco delle materie in essa indicate che dev’essere comunque inteso come tassativo e insuscettibile di un’interpretazione estensiva.

I limiti esterni dell’intervento derogatorio devono identificarsi nel rispetto delle norme costituzionale e dei principi comunitari e delle convezioni internazionali.  

Per suo conto la giurisprudenza civile ha in parte confermato la tenuta dell'impianto legislativo sul contratto di prossimità. La decisione del tribunale di Venezia (sent. 583 del 24/07/13), affrontando il caso di un accordo aziendale che modificava l'orario di lavoro derogando alla disciplina legale e collettiva, ha sancito la piena validità ed efficacia del contratto di prossimità.La motivazione, condivisibile e soprattutto logica dal punto di vista giuridico, in sintesi, afferma che se l'impresa e i sindacati firmano un accordo aziendale che abbia i requisiti del contratto di prossimità (ad es. la finalità occupazionale), questo è valido e applicabile a tutta la popolazione aziendale[11]. Nello specifico la sentenza sopra citata riconduce l’accordo sull’orario di lavoro raggiunto nella cooperativa sociale oggetto della questione “alla tipologia degli accordi previsti dall’articolo 8 cit. sottoscritta certo dalle sigle rappresentanti la maggioranza dei lavoratori, applicabile dunque a tutti i lavoratori e derogatoria del contratto individuale di lavoro[12].”       

Parte della dottrina ha giudicato positivamente l’introduzione dell’istituto considerando il nuovo poter derogatorio essenzialmente come l’attribuzione alle parti sociali di un gran potere di contrattazione in grado di individuare le giuste soluzioni attraverso cui garantire l’aggiustamento del settore produttivo a una crisi globale.

Altra parte della dottrina ha, invece, rilevato la valenza essenzialmente asistematica della contrattazione di prossimità. Il potere derogatorio riconosciuto al livello di contrattazione di prossimità è considerato una sorta di cambiale in cambio rilasciata alle parti sociali che capovolge il sistema del diritto del lavoro, attribuendo una valenza residuale all’efficacia della contrattazione collettiva. Si sostiene che solo la contrattazione collettiva è abilitata a identificare le possibilità di deroga e che ogni eventuale diversa prospettazione comporta il ribaltamento del consueto riparto tra le fonti su cui è imperniato il diritto del lavoro.

L’articolo 39 Cost attribuisce il potere[13] di contrattazione ai soli sindacati collettivi senza riferimento alle esperienze territoriali[14].

L’introduzione dell’istituto viene considerato come causa di una frammentazione eccessiva della disciplina giuslavorista che può risolversi in una sorta di balcanizzazione[15] del diritto del lavoro. L’idea di una diritto ad aziendam[16] sembra poter in qualche modo essere legittimata dall’introduzione dell’articolo 8.

Tale preoccupazione sembra comunque trovare fondamento anche in una recente sentenza della giurisdizione di merito che ha escluso l’esistenza di un rapporto di integrazione ovvero contemporanea vigenza tra la contrattazione collettiva nazionale e quella di prossimità. Nel Decreto del Tribunale di Torino del 22.01.2012 si specifica[17] che “a giudizio del decidente il nuovo regime ha escluso la possibilità dall’estate del 2011 di coesistenza di più contratti collettivi operanti presso uno stesso comparto aziendale, di gruppo o territoriale che sia, apprezzato come unitario dai rappresentanti dei lavoratori interessati, premiando i contratti collettivi e le intese sottoscritte dalle OO.SS. che si presentino come maggioritarie” (22 gennaio 2012);

La nuova riserva di competenza attribuita alla contrattazione di prossimità presuppone che l’affidamento alla contrattazione territoriale possa di per sé garantire che l’esercizio dell’autonomia riconosciuta alle parti non intacchi i principi generali del diritto del lavoro ma solo elementi accessori e disponibili dello stesso.

Parte della dottrina sottolinea il valora ipotetico di questa possibilità senza però essere convincente nel richiamare una generica possibilità di reazione da parte dell’ordinamento[18].

 

3. Le ordinanze contingibili e urgenti

La potestà d’imperio dell’amministrazione si esplica tra l’altro nel potere di ordinanza finalizzato alla cura ed al soddisfacimento del pubblico interesse mediante, generalmente, l’adozione di un provvedimento (formalmente e sostanzialmente) amministrativo rivolto ad imporre in capo a soggetti determinati – ovvero alla generalità dei consociati – un particolare dovere di condotta positiva (comando) ovvero negativa (divieto), la cui inosservanza espone l’obbligato a sanzione.

Tale potere poi può essere finalizzato all’attuazione di previsioni contemplate all’interno di norme di legge, così da costituire strumento di concretizzazione del principio colà dettato in termini generali ed astratti, ovvero presiedere alla predisposizione di strumenti necessari per la risoluzione di situazioni di emergenza. Nel primo caso, si è soliti qualificare il potere di ordinanza con l’attributo di “ordinario” mentre, nella seconda ipotesi, si assiste al più complesso fenomeno delle ordinanze di necessità (in senso proprio) ovvero delle c.d. ordinanze contingibili e urgenti[19].

Il [20]ricorso allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente è subordinato alla sussistenza di un pericolo concreto ed attuale, che impone di provvedere in via d'urgenza con strumenti extra ordinem, per porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento. Tra i requisiti di validità delle ordinanze contingibili e urgenti vi è, inoltre, la fissazione di un termine di efficacia del provvedimento. L’obbligo di motivazione dell’ordinanza è quindi finalizzato a rendere verificabile la sussistenza dei presupposti che autorizzano l’esercizio di tale potere e l’iter istruttorio che ne ha determinato il concreto contenuto.  Il carattere della contingibilità esprime l'urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza in casi di pericolo attuale od imminente a cui è connesso necessariamente il carattere della provvisorietà. Pertanto le misure previste devono avere efficacia temporalmente limitata. In dottrina si è rilevato che le ordinanze di necessità non possono derogare alla Costituzione ed alle norme imperative primarie, e possono essere emanate nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico (“principio di legalità”.)

La corte costituzionale è più volte intervenuta per fissare i limiti del potere d’ordinanza. In questo senso   parte della dottrina[21] segnala che nella ricostruzione della giurisprudenza costituzionale “le ordinanze possono derogare a norme primarie  conservando tuttavia carattere di provvedimenti amministrativi, ed escludendo però  che abbiano natura normativa .Sulla base di questo presupposto, la Corte ha considerato “conforme a Costituzione la possibilità che alle autorità amministrative siano affidati i poteri di emissione di provvedimenti diretti ad una generalità di cittadini, emanati per motivi di necessità e di urgenza, con una specifica autorizzazione legislativa che però, anche se non risulti disciplinato il contenuto dell'atto (che rimane, quindi, a contenuto libero), indichi il presupposto, la materia, le finalità dell'intervento e l'autorità legittimata. Inoltre, i provvedimenti devono adeguarsi alle dimensioni territoriali e temporali della concreta situazione di fatto che si deve fronteggiare”. Il carattere “provvisorio” delle misure derogatorie è considerato “implicito nella natura stessa del titolo specifico di legittimazione.

“Ha carattere eccezionale il potere di deroga della normativa primaria, conferito ad autorità amministrative munite di poteri di ordinanza, sulla base di specifica autorizzazione legislativa; in quanto trattasi di deroghe temporalmente delimitate, non anche di abrogazione o modifica di norme vigenti (sentenze 201 del 1987, 4 del 1977, 26 del 1961 e 8 del 1956). Proprio il carattere eccezionale dell'autorizzazione legislativa implica, invero, che i poteri degli organi amministrativi siano ben definiti nel contenuto, nei tempi, nelle modalità di esercizio (sent. n. 418 del 1992): il potere di ordinanza non può dunque incidere su settori dell'ordinamento menzionati con approssimatività, senza che sia specificato il nesso di strumentalità tra lo stato di emergenza e le norme di cui si consente la temporanea sospensione”. Recentemente all’attenzione della corte si è posta sull’articolo 54 del decreto legislativo 267/2000 cosi come sostituito dall'art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modificazioni dall'art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125 . Tale articolo, nella versione originaria, riconosceva al sindaco, nella qualità di ufficiale di governo, il potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, «al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità del cittadino». A seguito della novella, invece, «il sindaco, quale ufficiale di Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana».

All’indomani dell’introduzione della novella la dottrina aveva sottolineato il conseguente ampliamento dei potere di ordinanza del sindaco a cui si attribuiva un potere ordinario accanto a quello esclusivamente finalizzato a fronteggiare situazione di emergenza eccezionale. In altri termini, [22]“il punto focale della questione, infatti, sembra(va) risiedere nell'introduzione di un nuovo potere di ordinanza «ordinario», non più legato, cioè, a situazioni di contingibilità ed urgenza, ma pur sempre dotato di capacità derogatoria nei confronti della normativa primaria. Se così fosse stato, allora l'effetto derogatorio sarebbe potuto protrarsi senza alcun vincolo di tempo e l'ordinanza sarebbe stata in grado di assumere carattere di continuità negli effetti, venendo così a regolare stabilmente situazioni o assetti di interessi. In tal modo, sarebbe diventato difficile continuare ad attribuire a questi nuovi atti un carattere meramente amministrativo, essendo la loro natura molto più agevolmente accostabile a quella di un atto normativo capace di incidere sulle fonti primarie”.         

 Ad ogni buon conto la novella in questione non ha però superato il vaglio della corte costituzionale che con la sentenza 115/2011 ne ha dichiarato l’illegittimità.

Lo scrutinio della corte ha dapprima evidenziato la legittimità del potere ordinario di ordinanza interpretato come attribuzione sganciata da requisiti di contingibilità ed urgenza. In questo senso “Le “ordinarie non possono “derogare a norme legislative vigenti, come invece è possibile nel caso di provvedimenti che si fondino sul presupposto dell’urgenza e a condizione della temporaneità dei loro effetti.” Pertanto, la norma censurata, se correttamente interpretata, non conferisce ai sindaci alcun potere di emanare ordinanze di ordinaria amministrazione in deroga a norme legislative o regolamentari vigenti”. Tuttavia, la Corte ha evidenziato come la disposizione sia però censurabile sotto il profilo dell’assoluta indeterminatezza del potere conferito dalla legge all’autorità amministrativa. L’ambito oggettivo di esplicazione dello stesso è assolutamente senza limiti ampliando la discrezionalità amministrativa dei sindaci in maniera smisurata.  Come rilevato in dottrina [23]  la novella del 98 “è però l'esito dell'esercizio di un potere concepito dal legislatore come talmente libero da risultare contrario alla Costituzione sotto molteplici profili”. In questo senso la corte considera che il primo parametro violato sia il principio di legalità in senso sostanziale, secondo il quale non è ammissibile, nello Stato di diritto, un potere amministrativo vincolato solo nel fine da perseguire, senza che   il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità dalla legge. Inoltre, la norma è censurabile anche in relazione all’articolo 23 Costi. Laddove la corte considera la violazione della riserva di legge relativa introdotta in materia di prestazioni imposte.

Tale disposizione richiede, infatti, che la concreta entità della prestazione imposta sia desumibile chiaramente dagli interventi legislativi che riguardano l'attività dell’amministrazione» per altro verso, da una qualche «delimitazione della discrezionalità amministrativa».  

In fine la novella viene censurata in relazione all’articolo 3 della costituzione. L’ampiezza indeterminata del potere concesso ai sindaci comporta, che “gli stessi comportamenti potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti, a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaci”. 

A fronte di questi risultati accorta dottrina ha evidenziato come le censure del potere d’ordinanza ordinario relative alla mancanza di criteri direttivi all’assenza di precisi limiti e alla lacunosa indicazione delle modalità d’attuazione della norma possano essere estese anche alle ordinanza contingibili e urgenti. Aprendo così la strada a quelle considerazioni dottrinali secondo le quali “sarebbero costituzionalmente illegittime quelle norme primarie « che attribuiscono un potere di ordinanza « libero » cioè congiuntamente caratterizzato da tre elementi: portata generale (ovvero il cui presupposto legittimante è definito in termini generici), a contenuto libero (ovvero le cui misure concrete non sono tipizzate dalla norma attributiva) e idoneo a prevalere (in termini di sospensione e di deroga provvisoria) su tutta la normativa vigente, fatta eccezione per i principi generali dell'ordinamento giuridico ».  

 

4. Identità e differenze tra la contrattazione di prossimità e le ordinanza contingibile urgenti

La necessità di fronteggiare situazioni d’emergenza accomuna la ratio dei due istituti che però dal punto di vista formale non possono non presentare delle differenze evidenti.  Atto a forma libera e comunque nominato l’ordinanza contingibile e urgente ha un ambito oggettivo estremamente variabile ed ampio a differenza di quanto avviene per la contrattazione di prossimità che almeno formalmente dovrebbe avere effetti diretti solo in un ambito strettamente privatistico come quello della regolazione di alcuni specifici aspetti del rapporto di lavoro. L’ordinanza contingibile e urgente proprio in virtù del carattere pubblicistico ha in re ipsa la capacità di intervenire non solo sugli aspetti propriamente aspetti pubblicistici ma anche sui rapporti privati[24].

In sintesi può dirsi che eccezionalità, temporaneità e tassatività caratterizzano entrambi gli istituti. La soggezione al principio di legalità unitamente alla delega legislativa che permette all’istituto di apportare modifiche alla disciplina previgente ne rendono quanto meno analogo il meccanismo di funzionamento, compatibilmente con le differenze che derivano dalla diversa origini da diversi settori dell’ordinamento.  

I limiti della competenza derogatoria per entrambe le fattispecie sono individuati attraverso un rinvio alle normativo di principio.

Infatti, l’articolo 8, comma 2 bis prevede che nel rispetto della Costituzione, nonché' dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro»; in maniera analoga [25].le ordinanze contingibili e urgenti non possono derogare alla Costituzione ed alle norme imperative primarie, e possono essere emanate nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico. Inoltre, parte della dottrina segnala che [26]“l'amministrazione che ricorra ad atti extra ordine è comunque tenuta al rispetto delle norme di derivazione comunitaria. Le primazia del diritto dell'Unione Europea, infatti, non consente deroghe d'urgenza che non siano dallo stesso espressamente previste . In numerosi settori, dunque, stante la crescente pervasività di regolamenti e direttive, lo spazio di discrezionalità dell'autorità amministrativa è comunque ridotta, entro limiti forse accettabili”.

In termini generali la necessità di rendere più aderente la normativa alla plurale polarizzazione degli interessi sul territorio trova il suo limite nell’incapacità di disegnare un meccanismo che riesca realmente a coniugare un processo di comparazione collettiva degli interessi in gioco con la necessaria flessibilità territoriale. In questo senso , la stessa equiparazione della fonte contrattuale alla legge, ripresa da più parti in dottrina[27] per spiegare i fondamenti teorici della contrattazione di prossimità non appaiono capaci di spiegare per quali ragioni  lo sbilanciamento della contrattazione a vantaggio della prossimità degli agenti contrattuali dovrebbe necessariamente “garantire una ponderazione complessiva” delle istanze territoriali che  in qualche modo si candidi ad essere rappresentazione e risultato unitario accettabile a livello nazionale.          

In questo senso non sembra essere messa in gioco solo l’uniforme garanzia delle tutele ma anche l’omogenea applicazioni delle condizioni che permettano a tutti i contesti produttivi di concorrere alla pari[28].

La fonte di legittimazione degli istituti è quella normativa, tuttavia per le ordinanze l’autorità emanante è predefinita e in qualche modo esercita una propria autonoma discrezionalità amministrativa. La norma attributiva del potere individua l’autorità a cui è attribuito tale potere speciale.

Nella contrattazione di prossimità il potere di avvalersi di tale istituto è rimesso essenzialmente alla concreta dinamica delle relazioni industriali e quindi rappresenta una mera opportunità e non un obbligo, laddove per quanto riguarda l’ambito pubblicistico la mancata attivazione dell’ordinanza contingibile in presenza degli estremi legittimanti potrebbe rappresentare una violazione dell’obbligo di provvedere a tutela degli interessi costituzionalmente affidati alla PA[29]. Lo strumento delle ordinanze incide su diritti soggettivi e interessi legittimi, laddove la contrattazione di prossimità riguarda l’assetto del rapporto di lavoro territorialmente limitato costituendo una deroga ai diritti previsti dalla contrattazione collettiva.

Entrambe gli istituti sono soggetti quindi al principio di legalità che ne delimita modalità d’esercizio funzioni e ambito.

Tuttavia la deroga di prossimità attribuisce alle rappresentanza unitarie o territoriali un potere di modifica alla contrattazione collettiva che è intervenuto successivamente al momento di formazione di costituzione delle stesse rappresentanze con evidenti effetti sulla loro reale legittimazione ad esercitare tale prerogativa con effetto retroattivo. In questo senso merita attenzione l’autorevole dottrina secondo cui “nella concezione del principio di legalità, e nella sua concreta applicazione, la Corte ha compiuto nel tempo un ampio percorso nella direzione di trasformarlo da un parametro formale, richiedente la semplice “autorizzazione” legislativa per l'attribuzione e l'esercizio dei poteri amministrativi, ad un principio che impone al legislatore di fissare limiti precisi alla discrezionalità dell'amministrazione. Nonostante che il principio di affidamento sia di norma collegato con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza, a me sembra opportuno collegarlo al principio di legalità[30]…… (………). Applicazioni del principio si hanno in ordine alle leggi interpretative e retroattive, alle modifiche legislative che intervengono su rapporti di durata, nonché in ordine alla salvaguardia delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.

In relazione alle leggi interpretative, la Corte ha stigmatizzato la “distorsione” delle leggi di interpretazione autentica, quando esse mascherano l'adozione di norme “effettivamente innovative dotate di efficacia retroattiva”. Anche le leggi effettivamente interpretative hanno i loro limiti, che sono per soprammercato limiti dichiarati di “civiltà giuridica. Quanto alle leggi retroattive, la Corte ha ritenuto che “l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica ˗ essenziale elemento dello Stato di diritto ˗ non può essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori”. Gli stessi principi sono richiamati a proposito delle modifiche peggiorative della disciplina dei rapporti di durata.

L’apparente disponibilità attribuita alla deroga di prossimità di modificare il contratto collettivo si colora quindi di aspetti di legittimazione che trascendono almeno in una prima fase applicativa il potere contrattuale. L’esercizio di tale potere non può non essere determinato a posteriori rispetto alla stessa costituzione delle rappresentanze. Argomentando al contrario le rappresentanze si vedono attribuire una sorta di legittimazione retroattiva che incide sulla legittimità stessa della rappresentanza.         

L’indeterminatezza della deroga di prossimità è insita nella stessa formulazione della novella. Non si comprende, o comunque è suscettibile di una pluralità di interpretazioni, “il limite quantitativo e qualitativo” del potere di deroga al contratto collettivo.

La genericità di tale potere può in altre parole consentire alla contrattazione di prossimità, seppur in una prospettiva di scuola, di restringere gli spazi di un istituto previsto dalla contrattazione collettiva nazionale fino a sostanzialmente abrogarlo seppur sotto le mentite soglie di una vigenza solo formale o nominalistica? L’ indeterminatezza del livello essenziale al di sotto del quale non si può modificare l’istituto ha sicuramente effetti sulla legittimità costituzionale della disposizione.    

A questo proposito, la Corte Costituzionale con la sentenza 106/1962 ha affermato la necessità che il legislatore, direttamente od indirettamente, si occupi della regolamentazione dei rapporti di lavoro e, quindi, anche della individuazione dei livelli minimi di tutela (C. Cost. n. 106/1962).

Tanto più che le intese collettive aziendali o territoriali sono previste dalla legge[31] per la realizzazione di “finalità assai ampie e generiche la cui individuazione in concreto è peraltro demandata solo all’autonomia collettiva e senza possibilità –. ma la questione pare ancora aperta – di un controllo di merito da parte del giudice”[32].

Invece, l’obbligo di motivazione proprio delle ordinanze amministrative permette un sindacato pieno del giudice amministrativo sull’esistenza dei termini legittimanti l’esercizio di tale prerogativa e anche dei conseguenti tempi d’esplicazione. Tale caratteristica manca nella deroga di prossimità in virtù della quale si può esercitare un potere d’abrogazione della normativa primaria senza nessun obbligo di pubblicità.  Del resto non può non sottolinearsi come gli stessi artefici dell’introduzione dell’istituto abbiamo rilevato come l’istituto è comunque soggetto alla legge che prevede esplicitamente tale potere di deroga. Ricorre lo schema dei regolamenti di delegificazione autorizzati legislativamente a riordinare un determinato settore anche con un espresso effetto abrogativo. Tuttavia l’effetto abrogativo di tali regolamenti è pubblico e soggetto ad una pronta verifica giurisdizionale, laddove la deroga di prossimità pur avente un tale potere di abrogazione non è soggetto ad un obbligo esplicito di pubblicità e motivazione.    

A fronte della conclamata genericità delle finalità sottese alla contrattazione di prossimità il richiamo alla considerazione secondo la quale la Costituzione non stabilisce affatto un principio di inderogabilità della legge, pur sancendo un livello di protezione del lavoratore certamente sottratto alla disponibilità del legislatore ed, a maggior ragione, dell’autonomia collettiva non appare condivisibile. In vero proprio l’estrema genericità delle finalità, la stessa indeterminatezza delle modalità formali e sostanziali che devono concretizzare lo strumento sembrano rendere convincenti, al contrario di quanto sostenuto,[33] i rilievi di incostituzionalità che sono stati sollevati con riferimento all’efficacia derogatoria, in sé considerata, attribuita dall’articolo 8 alla contrattazione di prossimità.

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5. La sistematica asistematicità della deroga di prossimità

5.1. Contratti di prossimità, certificazione dei contratti e contratto di rete

L’introduzione della deroga di prossimità rappresenta solo l’ultimo atto di un processo di revisione del diritto lavoro in cui la certificazione dei contratti e i contratti di rete si pongono come analoghi elementi di inversione del rapporto tra autonomia privata e legislazione.

La certificazione dei contratti non è solo uno strumento che permette all’autonomia delle parti di ottenere un consolidamento, seppur relativo, della qualificazione del rapporto del lavoro. La previsione   degli artt. da 75 ad 84, del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 ha effetti esterni in quanto per esempio limita l’autonomia degli enti previdenziali che sono vincolati alla qualificazione data dall’ente di certificazione almeno fino all’esito di un eventuale contenzioso giurisprudenziale[34]. La stessa introduzione del contratto di rete consente, almeno secondo alcune interpretazioni, all’autonomia privata la deroga della disciplina pubblicistica in materia di responsabilità nell’ipotesi di distacco del personale[35].

Con il nuovo contratto di rete l’interesse al distacco del lavoratore da un’impresa ad un'altra si presume e l’intero rapporto, compresa la responsabilità conseguente a questo utilizzo è rimessa alla disciplina pattizia che può porre una disciplina derogatoria delle norme generalmente applicate.

Gli spazi d’autonomia concessi alle parti, con un atteggiamento a dir poco neutro nei confronti di una contrattazione posta da agenti con diversa forza contrattuale, vengono quindi ampliati grazie ad un effetto derogatorio, a volte implicito e più attenuato laddove si tratti di certificazione dei contratti e altre volte più esplicito ed esteso quando si ipotizza che il contratto di rete posso occuparsi degli aspetti civilistici, amministrativi e penali connessi al distacco del personale.

Il contratto di rete si presta quindi a giustificare diverse condizioni contrattuali all’interno di un’impresa in virtù di un interesse a distacco del personale che in qualche modo può diventare uno strumento per cambiare modalità di utilizzo del personale e le conseguenti responsabilità affrancandosi da una normativa basata su un diverso profilo.    

L’identificazione di questo filo rosso che lega gli istituti rafforza le tesi di quella dottrina citata che ha riconosciuto effetti destrutturanti al contratto di prossimità che si pone come la sintesi degli altri due strumenti avendo funzioni diverse e minori vincoli d’azione almeno secondo la dottrina favorevole alla sua introduzione.

Tale inquadramento, per quanto affrettato e parziale possa essere considerato, mette in luce la costante e sistematica tendenza a rendere flessibili, adattabili e modificabili istantaneamente e temporaneamente gli istituti normativi sacrificando l’uniformità del diritto del lavoro e la tutela dei diritti dei lavoratori sull’altare di un asistematica regolamentazione del caso singolo.

La concreta implementazione del contratto di prossimità testimonia poi in nuce come l’istituto si presti a rendere definitiva una regolamentazione del rapporto di lavoro non tanto meno omogenea e uniforme ma addirittura arbitraria, opaca, senza limiti e con scarsi meccanismi di controllo esterno.

 

5.2. I limiti della contrattazione di prossimità

Le critiche sulla genericità delle finalità affidate all’istituto e le censure concernenti la possibilità che la sua introduzione incida sull’omogenea tutela dei diritti trovano conferma nei risultati derivanti dalla sua concreta attuazione.

Nonostante l’enfatizzazione degli esordi lo strumento è utilizzato sostanzialmente spesso senza un riferimento esplicito. La deroga di prossimità si fa, ma non in maniera pubblica ed evidente. La deroga è utilizzata nell’ambito delle relazioni industriali e il riferimento al singolo limitato bacino di utilizzazione coincide con l’estrema opacità dei termini e delle modalità per cui si persegue. I riferimenti delle deroghe possono essere vari e molteplici le fonti e le tipologie citate a fondamento degli accordi tuttavia come emerge in dottrina [36]“anche se i presupposti giuridici sono formalmente diversi e può risultare lessicalmente più affascinante parlare di «percorsi di stabilizzazione» o di contratti di «solidarietà espansiva» piuttosto che di «accordi in deroga», il contenuto sostanziale degli accordi non è dissimile: si tratta sempre di deroghe peggiorative a norme di fonte legislativa operate da accordi stipulati a livello aziendale”.

In questo modo, le ragioni che giustificano il ricorso alla misure, secondo le prescrizioni di legge, l’eccezionalità e la temporaneità dell’intervento non sono esplicitate all’esterno e non sono oggetto di scrutinio ma rimangono all’interno del recinto aziendale. 

Cosi che sono fondate le considerazioni di chi rileva come ” l’art. 8 ponga indubbiamente problemi “simbolici” dovuti all’ampiezza e indeterminatezza delle possibili deroghe, ma non sembra che il contenuto sostanziale dei diversi accordi presi in esame – che pure sembrano fondarsi su presupposti giuridici differenti – sia troppo dissimile, trattandosi pur sempre di deroghe peggiorative ai normali trattamenti di legge o di ccnl contrattate a livello aziendale”[37]. In questo modo, si assiste alla fuga dal modello legale previsto dall’ articolo   8 in modo da raggiungere le stesse finalità sostanziali senza però alcun richiamo formale. Gli stessi limiti previsti dalla norma per l’applicazione dell’istituto sono quindi potenzialmente derogati con possibili distorsivi effetti per la tutela dei diritti dei lavoratori e   per la necessità di un quadro omogeneo che permetta a tutti i datori di lavoro di   avere una   qualche certezza regolatoria.    

Le lacune connesse all’introduzione della deroga di prossimità si fanno più evidenti in relazione ai tentativi di modifica del comma 2 bis dell’articolo 8. Come è noto il decreto - legge 28 gennaio 2013 n. 76 subordinava l’efficacia derogatoria delle intese al loro deposito presso la direzione del lavoro competente per territorio”. Tale previsione, non confermata in sede di conversione, avrebbe consentito un efficace monitoraggio dell’istituto, permettendo una verifica seppur ex post da parte delle Direzione territoriale del lavoro.

Anche le censure legate ad una possibile indebita estensione dell’ambito dell’autonomia contrattuale a profili non derogabili quali[38] i diritti e crediti di cui non sono titolari i lavoratori, ma l’Erario e gli Enti previdenziali si sarebbero in qualche modo attenuate proprio in virtù della possibilità di controllo da parte delle DTL. 

Le stesse preoccupazioni relative alla balcanizzazione del diritto del lavoro sarebbero state comunque oggetto di ponderazione attraverso l’inserimento di un elemento di bilanciamento che avrebbe comunque agevolato la stessa attività di vigilanza e reso certo e predeterminato per tutti gli operatori il quadro regolatorio di riferimento. 

Inoltre, la mancata conversione della nuova formulazione del comma 2 bis è ancora più stridente laddove si prende atto, per esempio, di quanto avviene nell’ordinamento dell’autonomie locali per le ordinanze sindacali che, anche come provvedimenti nominati, sono rese pubbliche e comunicate al Prefetto a cui spetta la generale vigilanza sugli enti locali.

Il meccanismo di comunicazione garantisce che tempi, modalità e termini della deroga apportata dalla fonte contrattuale o legale possano essere evidenti. La mancata conferma della previsione del deposito alla Direzione territoriali del lavoro evidenzia come le intese in questione siano potenzialmente in grado non solo di equi ordinare l’autonomia contrattuale alla fonte legale ma anche di scardinare i limiti entro cui l’autoregolamentazione della parti private si esplica nell’ambito dell’ordinamento. Più che derogare alle norme l’istituto sembra avere la capacità, almeno qualora venga utilizzato strumentalmente[39], di prefigurare una sorta di potere contrattuale senza limiti e per ciò autoreferenziale. Si passerebbe dall’ esercizio dell’autonomia, ontologicamente circoscritta ad una sorta di autoreferenzialità della contrattazione senza alcun limite.

Il deposito presso la DTL delle specifiche intese assolverebbe la stesse funzione dell’obbligo di comunicazione previsto dall’articolo 54 del decreto legislativo 267/2000. Al contrario, l’assenza di tale meccanismo testimonia come alla regolamentazione di parte  sia attribuito un regime in termini di pubblicità e trasparenza e verificabilità addirittura più “flessibile” di quanto attribuito ad un ufficiale di governo quale il sindaco a cui è attribuito il potere di ordinanza.  

La conoscibilità delle intese permetterebbe di verificare la reale natura delle modifiche contrattuali. Soprattutto in ambito territoriale, anche con riferimento all’esperienza dei distretti, la comparabilità delle intese spiegherebbe quanto le deroghe siano legate al frutto di reali esigenze di ammodernamento produttivo e quanto invece risulti essere la mera traslazione sul costo del lavoro degli oneri della concorrenza. In altri termini, il deposito consentirebbe di accertare se le singole modifiche reiteratamente proposte in ambito territoriale manifestino una reale esigenze condivisa ovvero rappresentino una specifica esigenza della singola azienda. La mancata trasparenza delle intese depotenzia le finalità positive dell’istituto mettendone in dubbio la stessa ragion d’essere. Il meccanismo di autoregolazione non ha allo stato una previsione che possa in qualche modo prevenire o correggere gli eventuali effetti distorsivi legati ad un suo uso strumentale.       

Ricorda la possibilità di parlare di autoregolazione e di limiti e di meccanismo di cattura.

 

6. La retorica  della Sussidiarietà

In una prospettiva più generale gli istituti in oggetto sono accumunati dal fatto di trovare, seppur parziale fondamento nel principio di sussidiarietà.

A parte l’origine delle ordinanze, tradizionalmente risalenti ad un modello centrale di potere statale, i recenti interventi in tema di potere d’ordinanza ex articolo 54 del decreto legislativo 267/2000 e in tema di  contrattazione di prossimità previsti dall’articolo 8 della legge 148/2011 richiamano un implementazione, quanto meno superficiale del principio di sussidiarietà.

Proprio in ambito economico, la dottrina ha da tempo risalente segnalato come l’introduzione del principio di sussidiarietà potesse comportare l’applicazione di un parochial economic state regulation[40]   

Il limite della sussidiarietà in campo economico veniva individuato nella eccessiva frammentazione territoriale  delle regole del mercato tanto da agevolare l’affermazione di piccole patrie economiche  non compatibili con i principi di concorrenza.[41] 

Con ancor maggiore efficacia[42] all’implementazione del principio di sussidiarietà è stata applicata un osservazione fatta con riguardo al federalismo americano ed “espressa con i termini "rights of persons" versus "rights of places."' Questa frase riferisce le tensioni tra i poteri locali e i diritti individuali  nelle strutture politiche federali." The placement of political authority closer to the source from which it originates, namely, the people, creates the dilemma of choosing between individual and collective freedom or between consumership and citizenship. The problem is that individual freedom often diminishes collective freedom. Measures that are conducive to voice and the community in which political participation is exercised may be detrimental to exit and the individual freedom to escape.  

Tale ricostruzione oltre a porsi in perfetta coerenza con la definizione della deroga di prossimità come [43]ricollocazione del potere di contrattare dal centro alla periferia o meglio ai territori sembra cogliere con efficacia la tensione esistente tra scelte aziendali e diritti individuali ovvero tra scelte contrattali nazionali, scelte territoriali e diritti individuali.

L’eventuale neutralizzazione dell’argomento basata sull’autonomia della regolamentazione privata che avviene attraverso il contratto è poi facilmente superabile. Laddove si equipara totalmente il contratto alla legge, il problema dell’individuazione, collocazione e dei termini d’esercizio di tale potere richiama i termini pubblicistici della questione attinente al rapporto tra centro periferia e diritti dei singoli con la necessità di tener presente tutti i possibili effetti distorsivi delle opzioni sul campo.      

 

7. Conclusioni                                                                                                  

Preso atto dell’ identità  di ratio tra i due istituti e della comune appartenenza ai modi d’implementazione del principio di sussidiarietà, l’analisi ha evidenziato le differenze procedurali esistenti.

Alla comune capacità di derogare alla normativa primaria non corrisponde un procedimento, che pur nel rispetto dell’autonomia contrattuale garantisca trasparenza e impedisca trattamenti discriminatori ingiustificati nell’ambito della contrattazione di prossimità.

La ricollocazione del potere di esercitare deroghe al quadro normativo e contrattuale dal centro alla periferia è un aspetto che accomuna i due istituti.

Tuttavia proprio la dimensione che assume la contrattazione di prossimità al netto di tutti i limiti sopra evidenziati, testimonia la [44]necessità di un intervento legislativo urgente che disciplinando la rappresentanza prenda atto della valenza pubblicistica della contrattazione anche nella prospettiva di uno sviluppo il più possibile coordinato e sinergico del rapporto tra contratto collettivo e contrattazione territoriale o di azienda.

Il vero rafforzamento della contrattazione coincide con la definizione di un quadro procedurale e partecipativo solido che sia il più inclusivo ed efficiente possibile. Ciò costituisce l’inizio di ogni tentativo che in buona fede potenzi l’autonomia contrattuale anche per quel che riguarda gli effetti pubblicistici che ne derivano abbandonando tentazioni di sistematiche a-sistematicità.

 

[1] L’articolo 8 della legge n. 148 del 2011 prevede che “i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività”.

[2] S Sciarra S, Uno sguardo oltre la Fiat. Aspetti nazionali e transnazionali nella contrattazione collettiva della crisi. RIDL, III, p. 169 ss. 

[3]L. Imberti, A proposito dell’articolo 8 della legge n. 148/2011: le deroghe si fanno, ma non si dicono,  in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali n. 138, 2013, 2.

[4] Manuela Rinaldi, Legittimità “regionale” della contrattazione collettiva di prossimità (Corte cost. n. 221/2012)in www.diritto.it

[5] Gabriele Gamberini e Davide Venturi, Le dubbie deroghe ex art. 8 alla solidarietà negli appalti: brevi note sul Contratto aziendale dell’ILVA di Paderno Dugnano in www.bollettinoadapt.it, 15 aprile 2013 

Vedi anche Angelo Pisciotta, Dubbi interpretativi sulla contrattazione di prossimità i www.studiopisciotta.it  

Le sopracitate interferenze degli accordi di cui all’articolo 8 con una disciplina normativa pubblicistica o comunque non immediatamente riconducibile solo alla diversa impostazione civilistica sembrano ridimensionare l’efficacia della novella o quantomeno autorizzarne un analisi critica.

A questo proposito vedi, Adalberto Perulli - Valerio Speziale, L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011, n. 148 e la “rivoluzione di Agosto” del Diritto del lavoro IN W P C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” .IT -  132/2011

secondo cui ”l'inderogabilità peggiorativa della legge da parte del contratto collettivo esprimeva in primo luogo il principio secondo cui l'autonomia privata dei sindacati, per ragioni di "debolezza contrattuale", in situazioni specifiche non era in condizione di poter garantire la tutela dei diritti dei lavoratori. Per tale ragione l'inderogabilità della legge sottraeva alle parti sociali (ed in particolare al sindacato dei lavoratori) la possibilità di "cedere" ai mutevoli rapporti di forza ed essere costretta a peggiorare le condizioni dei singoli lavoratori. Tuttavia l'inderogabilità in pejus era finalizzata a realizzare anche un obiettivo diverso. L'ordinamento statuale assumeva che la regolamentazione di determinate materie costituisse uno specifico interesse pubblico di rilevanza generale che doveva in ogni caso avere prevalenza sugli interessi settoriali di cui sono portatori le organizzazioni sindacali”.

Pur rinviando al successivo sviluppo del lavoro laddove fosse possibile attribuire agli accordi dell’articolo 8 la capacità di derogare a disposizioni relative alla responsabilità solidale negli appalti ovvero nella concessione dei benefici di cui alla legge 296/2006 i timori da parte della dottrina circa la possibilità che lo strumento sia utilizzato in maniera tale da violare il principio di principio di uguaglianza sembrano diventare più concreti.

[6] Luigi Mariucci, Contratto e contrattazione collettiva oggi, in "Lavoro e diritto" 1/2013, pp. 23-36, doi: 10.1441/51876

[7]Andrea Lutri Riccardo Bolognesi, La contrattazione collettiva di prossimità. Incontro di studi tenutosi presso la sede di Federlazio in data 12.10.2011. in www.giustiziadellalavoro.it

[8] Maurizio Sacconi e Gabriele Fava - Il contratto di prossimità è uno strumento da potenziare

 in Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/IJcHy. 

[9] dall’intervento del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con dichiarazione trasmessa a mezzo comunicato stampa del 5 ottobre 2011, nella quale espressamente si afferma:

[10] M. Marrazza, La Contrattazione Di Prossimità Nell’articolo 8 Della Manovra 2011: I Primi Passi Della Dottrina Giuslavoristica in  Diritto delle Relazioni Industriali, fasc.1, 2012, pag.41 secondo cui” superfluo specificare che si tratta di un profondo cambiamento del tradizionale rapporto tra legge e contrattazione collettiva  in virtù del quale alla seconda era prevalentemente, ma non esclusivamente, affidato il compito di incrementare il livello di protezione fissato dalla legge o, al più, di integrare precetti normativi volutamente incompleti. Non esclusivamente, dicevo, giacché è noto che alcune disposizioni di legge ormai da tempo affidavano all’autonomia privata collettiva la facoltà di negoziare trattamenti anche peggiorativi per i lavoratori. Basti pensare, solo per fare un esempio, alla disciplina del trattamento di fine rapporto ove la nozione legale omnicomprensiva di retribuzione annuale utile ai fini della quantificazione dell’accantonamento può essere derogata, anche in senso peggiorativo, dai contratti collettivi (articolo 2120, secondo comma, c.c.).

Ne deriva, giusto per trarre una prima conclusione, che la deroga della legge da parte dell’autonomia privata collettiva non è una novità introdotta dall’articolo 8 della manovra 2011 pur dovendosi imputare a quella disposizione il fatto (merito o demerito?) di aver per la prima volta disciplinato il fenomeno in modo esteso e, forse, organico.                                                                           

[11] Maurizio Sacconi e Gabriele Fava op cit. 

[12] www.dirittisocialitrentino.it

[13] M. Rusciano, L’art. 8 è contro la Costituzione, pubblicato l’08/09/2011 su  www.eguaglianzaeliberta.it

[14] C  Massimiani, Profili di illegittimità costituzionale dell’art. 8 D.L. 13.08.2011, n. 138 (come convertito dalla L. 14.09.2011, n. 148) secondo cui  l’articolo 8 è una norma densa di problematicità, che scaturiscono principalmente dalla assimilazione sul piano della estensione degli effetti tra i contratti collettivi aziendali ed i contratti collettivi territoriali. Mentre per i primi, infatti, può dirsi pressoché pacifico, sia in dottrina, sia in giurisprudenza, il riconoscimento in casi specifici della efficacia ultra vires, analoga conclusione non sembra così scontata per i contratti collettivi territoriali. Difatti, laddove tali contratti collettivi territoriali si risolvano in veri e propri contratti “di categoria” (ad esempio in ragione della concentrazione territoriale delle imprese appartenenti al settore merceologico di riferimento), si appaleserebbe il contrasto con l’art. 39, co. 4, Cost.

[15] T. Treu, Vogliono balcanizzare il lavoro, pubblicato il 19/08/2011 sul quotidiano Europa in www.europaquotidiano.it.

[16] Valentina Pupo,Contrattazione Di Prossimità: Introduzione Del Diritto Del Lavoro “Ad Aziendam”? in www.giurcost.org

[17] In www.dirittisocialideltrentino.it 

[18] Marazza, La contrattazione di prossimità nell’articolo 8 della manovra 2011: i primi passi della dottrina giuslavoristica, Diritto delle Relazioni Industriali, fasc.1, 2012, pag. 41

[19] Buscema, op cit  

[20] T.A.R. Catanzaro (Calabria)   sez. I  25 giugno 2013   n. 709

[21] F. G. Scoca, Amministrazione Pubblica E Diritto Amministrativo nella Giurisprudenza della Corte Costituzionale  Diritto Amministrativo, fasc.1-2, 2012, pag. 21

[22] Rissolio,Poteri di ordinanza del sindaco dopo la sentenza della corte costituzionale 4 aprile 2011, n. 115c - city mayor's ordinance powers after the latest judgment of the italian constitutional court, n. 115 of 2011, 4th april  Foro Amministrativo - T.A.R. (Il), fasc.6, 2012, pag. 2183

[23] Rissolio , op cit

[24] Buscema, Linee guida in materia di ordinanze contingibili ed urgenti tra vecchie costruzioni dogmatiche e nuove prospettive di sviluppo  in http://ww2.unime.it/annalieconomia/file/num1/buscema3.pdf, secondo cui “la possibilità di previsione di una deroga alla disciplina ordinaria mediante ordinanze contingibili ed urgenti ben pu  investire posizioni giuridiche soggettive aventi consistenza di diritti soggettivi perfetti costituzionalmente riconosciuti53 che, naturalmente, godono di una tutela non assoluta, bensì conforme ai limiti ad essi coessenziali, tali da consentire l’esplicarsi di una regolamentazione necessaria ad assicurare condizioni di libera e pacifica convivenza tra i consociati e, più in generale, di prevenzione dell’esposizione a pericolo dei beni giuridici ritenuti essenziali, in un determinato momento storico, all’interno della società civile    

[25] Giuseppe G. M. Foti, Il potere di ordinanza del sindaco (Alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale in www.ildirittoamministrativo.it

[26] Rissolio, op cit. 

[27] Perulli, op cit. , Tiraboschi op cit , Carinci    

[28] L. Zoppoli, Una nuova Costituzione per il sistema sindacale italiano? Riflessioni introduttive al convegno del 28/29 novembre 2013 presso l'Università di Napoli Federico II,  in www.aidlass.it  secondo cui la contrattazione aziendale  - ora invocata dalle imprese, in passato dai sindacati dei lavoratori - è e sarà di cruciale importanza e merita un'attenta regolazione, di matrice negoziale e legislativa, regolazione che negli ultimi anni è anche emersa, sebbene in modo tortuoso e disorganico e soprattutto poco rispettosa di principi e regole costituzionali (c.d. "nocciolo duro" dell'art. 39), che devono trovare piena applicazione anche al contratto aziendale, in quanto espressione di eteronomia  , e che non possono ridursi ad un generico  rinvio al criterio maggioritario (come nell'art. 8 del d.l. 138/2011) . Tuttavia il contratto aziendale non può essere l'epicentro del sistema sindacale italiano per due fondamentali ragioni: 1. la contrattazione è anche tecnica di regolazione della concorrenza tra imprese e lavoratori, che non può  esaurirsi e nemmeno incentrarsi a livello aziendale; 2. In Italia il 95% delle imprese sono micro-imprese (si colloca nella fascia di dipendenti 1-9) e non può  essere interessata, per ragioni oggettive e soggettive, da questo livello contrattuale.

[29]Corte Cassazione, sez. Penale, sev. IV, 19.03.2009 n. 12147 , secondo cui si concretizza il reato di rifiuto d’atti d’ufficio di cui  all’art. 328,comma primo, c.p. e non l’illecito amministrativo previsto dall’articolo 19 , comma quarto, del dlgs 2 febbraio 2001, n. 31 la condotta inerte del sindaco di un comune il quale, a fronte di una situazione potenzialmente pregiudizievole per la salute pubblica in relazione all’assenza dei requisiti previsti per la potabilità dell’acqua erogata per il consumo ,ometta di adottare, nonostante le ripetute segnalazioni pervenutegli dalle competenti autorità sanitarie , i necessari provvedimenti cautelari ,contingibili e urgenti , voltai ad eliminare il rischio del superamento dei parametri stabiliti dalla legislazione speciale in materia .    

[30] FG Scoca, op cit, secondo   Non si tratta infatti dell'affidamento nella correntezza del traffico giuridico, rispetto al brocardo “resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis”  (34), o dell'affidamento incolpevole dei terzi acquirenti rispetto alla regola secondo la quale “possesso vale titolo”  (35), o ancora dell'“affidamento della collettività” nel corretto esercizio delle professioni liberali  (36); ma si tratta dell'affidamento nella “sicurezza giuridica” ovvero nella “certezza dell'ordinamento giuridico”, che viene espressamente considerato “principio connaturato allo Stato di diritto”  (37), e viene elevato a “parametro alla stregua del quale scrutinare la legittimità” delle leggi

[31] Le intese devono anzitutto essere finalizzate, così dice la legge, «alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, alla adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti ed all’avvio di nuove attività» (articolo 8, primo comma).

[32] Marazza, op. cit. , che prosegue affermando come ” il  termine, specifiche intese, da intendere nel senso di intese specificatamente finalizzate agli obiettivi indicati dalla legge, postula che negli accordi dovrà comunque essere adeguatamente specificata la finalità perseguita dall’autonomia privata collettiva derivando, da ciò, la possibilità di una verifica di tipo almeno formale da parte dei giudici cui deve essere affidato il compito di accertare che la finalità dichiarata dal contratto sia in concreto sussumibile in una delle finalità tipizzate dal legislatore.

[33] Marazza op, cit

[34] Messineo, La certificazione dei contratti di lavoro nel d.lgs. n. 276/2003 Aspetti procedimentali e modalità applicative in Working Paper n. 56/2008 - www.adpat.it secondo cui ”In relazione all’efficacia nei confronti dei terzi della certifica- zione, il d.lgs. n. 276/2003 afferma la incontestabilità dell’accertamento contenuto nell’atto di certificazione «fino al momento in cui sia stato accolto con sentenza di merito uno dei ricorsi esperibili ai sensi dell’art. 80, fatti salvi i provvedimenti cautelari». In realtà, a parere di chi scrive, l’effetto principale della certificazione si realizza nei confronti dei terzi, ed in particolare, nei confronti degli enti previdenziali, delle Dpl e delle Agenzie delle Entrate. I terzi, così come indicati dal legislatore, devono essere individuati sicuramente in coloro che direttamente o indirettamente vengono coinvolti dalla certificazione in quanto portatori di interessi privati e pubblici, che possono essere fatti valere in giudizio. Le parti in un giudizio sono coloro i quali sono portatori di interessi giuridicamente rilevanti78. In particolare è certo che gli enti previdenziali (Inps, Inail), le Agenzie delle Entrate e le Direzioni provinciali del lavoro sono portatori di interessi pubblici, giuridicamente rilevanti, (come ad esempio l’interesse alla correttezza e la indisponibilità dei contributi, la correttezza fiscale o la regolarità e la certezza dei rapporti di lavoro). Questi soggetti, pertanto, potranno, senz’altro, ricorrere dinanzi al giudice del la- voro al fine di far valere l’interesse pubblico che si riterrà viola- to. Non è ipotizzabile che un interesse pubblico di estrema rilevanza, quale quello dell’accertamento dei contributi o l’elusione degli adempimenti fiscali o la mancata osservanza di regole contrattuali obbligatorie rimanga sacrificato sull’altare degli interessi privati. Inoltre, una certificazione priva di controllo giudiziario corre il rischio di creare ingiuste disparità di trattamento tra lavoratori della stessa azienda o di aziende che lavorano nello stesso setto- re, determinando forme anomale di concorrenza sleale. Gli enti pubblici che vorranno disconoscere gli effetti di un contratto certificato non potranno che ricorrere ad un giudice per contestare quanto previsto nella certificazione”.   

[35] Vedi Circolare Ministero lavoro e politiche sociali n. 35/2013 secondo cui l’art. 7, comma 2 Il D.L. n. 76/2013 introduce un comma 4 ter all’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003 che disciplina l’istituto del distacco. Con tale intervento il Legislatore ha inteso configurare “automaticamente” l’interesse del distaccante al distacco qualora ciò avvenga nell’ambito di un contratto di rete. In particolare si prevede che “qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’articolo 2103 del codice civile” . Ne consegue che, ai fini della verifica dei presupposti di legittimità del distacco, il personale ispettivo si limiterà a verificare l’esistenza di un contratto di rete tra distaccante e distaccatario. La disposizione inoltre consente “la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso ”; ciò vuol pertanto significare che, in relazione a tale personale, il potere direttivo potrà essere esercitato da ciascun imprenditore che partecipa al contratto di rete. Sul piano di eventuali responsabilità penali , civili e amministrative – e quindi sul piano della sanzionabilità di eventuali illeciti – occorrerà quindi rifarsi ai contenuti del contratto di rete, senza pertanto configurare “automaticamente” una solidarietà tra tutti i partecipanti al contratto

[36] Imberti,  op. cit.   

[37] Imberti op. cit

[38] Gamberini op cit, Imberti op. cit.  secondo cui “isolato sembra, invece, l’accordo aziendale in materia di responsabilità solidale negli appalti stipulato nel settembre 2011 all’Ilva di Paderno Dugnano dall’azienda e dai due rsu dello stabilimento. In esplicita applicazione dell’art. 8, l. n. 148 e alla luce della premessa, secondo cui «la Ilva S.p.A. stabilimento di Paderno Dugnano mette in atto controlli per verificare la corretta applicazione della normativa riguardante la gestione amministrativa – con esplicito riferimento agli obblighi di legge fiscali e contributivi – dei dipendenti da parte delle ditte appaltatrici», le parti stipulanti concordano che «Ilva S.p.A. – stabilimento di Paderno Dugnano – non sarà soggetta per gli appalti ad oggi in atto e per i futuri che dovessero essere assegnati al vincolo previsto dal decreto legge 223/06 convertito dalla legge 248/06 e successive modificazioni». Tale previsione contrattuale pone numerosi profili giuridici di dubbia legittimità, dal momento che le parti operano la deroga in relazione a diritti e crediti di cui non sono titolari i lavoratori, ma l’Erario e gli Enti previdenziali.    

[39] Per un efficace illustrazione delle varie possibili utilizzazioni dello strumento con diverse finalità si rinvia a Rassegna: contrattazione “di prossimità” e decentramento regolativo (18.11.13) in www.osservatoriotrentinodirittisociali.it   

[40] C. Bolick

[41] Sia consentito rinviare Marco Maria Carlo Coviello, La dimensione verticale della sussidiarietà,Monografia - Tesi di dottorato - Pubbl. in: Italia - 2001  Firenze  

[42]   Christoph Henkel, The Allocation of Powers in the European Union: A Closer Look at the Principle of Subsidiary, in Berkeley Journal of International Law Volume 20|Issue 2 Article 1 2002. Secondo cui “The two opposing perspectives of subsidiarity can be described most accu- rately with the economic doctrine of exit and voice, as advanced by Albert 0. Hirschman in his analytical work Exit, Voice, and Loyalty. Exit and voice correlate to market and non-market forces that are economic and political mech- anisms, respectively. Exit as the realm of economics is impersonal and indi rect. A customer who is dissatisfied with a product of one firm shifts to that of another, defending his welfare or improving his position. Market forces are set in motion by this behavior, which induce recovery on the part of the firm that has declined in comparative performance.' 35 Exit is impersonal and indirect because it avoids face-to-face confrontation. In general, the customer makes decisions in the anonymity of the marketplace. The results of decisions are only transferred through statistics and not by the articulation of a voice.' 36 Voice, as the political alternative to exit, depends on direct communication, the articulation of opinion, protest and affirmation. Voice is understood as the political action par excellence and can graduate from faint grumbling to violent protest. It is defined as any attempt to change, rather than to escape from, an objectionable state of affairs, whether through individual or collective petition by various types of actions. Applied to the Principle of Subsidiarity, voice refers to the actions that citizens may use to have their concerns heard in the political process of the Community. Voice is the active participation of individuals in Community politics. Subsidiarity is the key to ensuring participation of that kind and to increasing accountability while bringing government closer to the citizens. In contrast, exit focuses on the issue of mobility between different Community jurisdictions. Exit directs attention to the individual choice of location and inter-

. governmental competition. By shifting political authority to lower levels, it is easier for citizens to compare particular advantages and disadvantages of differ- ent Community jurisdictions and escape from unwanted policies., Thus, the increase in the mobility of citizens and the possibility of more favorable policies elsewhere, such as lower taxes, promote intergovernmental competition. While voice aims to increase political participation with the goal of achieving im- proved governance at the national or lower level, exit presents mobility and intergovernmental competition as an instrument to limit the powers of govern- ment in general. At first glance both voice and exit seem to make the same promise: to make government more responsive. Voice can even be viewed as a residual to exit. Some citizens who are not yet ready to escape a certain policy are more likely to exercise the voice option. In addition, voice can act as an alternative. This might be the case where the ability to influence a policy seems to offer greater results than mere escape. Once exited, the opportunity to use voice is lost. In certain settings the exit option thus becomes the ultima ratio. Finally, voice can also function as an alternative if exit is simply not available, such as in a monopolistic or exclusive environment. Despite these correlations, voice and exit are rather distinct options. Both achieve their goals via differing approaches, resulting in contradictions and competing paradigms. A similar observation has been made with regard to American federalism and is expressed through the terms "rights of persons" versus "rights of places."'14 3 These phrases refer to the tension between local self- government and individual rights in federal political structures." The place- ment of political authority closer to the source from which it originates, namely, the people, creates the dilemma of choosing between individual and collective freedom or between consumership and citizenship. The problem is that individ- ual freedom often diminishes collective freedom. Measures that are conducive to voice and the community in which political participation is exercised may be detrimental to exit and the individual freedom to escape.' 45 To stay competi- tive, lower level governments depend on people and resources, not only to sus- tain their tax-base but simply to remain functional as a community. Accordingly, exit must be contained. It is in this context that the conflict between voice and exit becomes apparent. Voice is primarily concerned with the governmental competition. By shifting political authority to lower levels, it is easier for citizens to compare particular advantages and disadvantages of differ- ent Community jurisdictions and escape from unwanted policies.,  Thus, the increase in the mobility of citizens and the possibility of more favorable policies elsewhere, such as lower taxes, promote intergovernmental competition. While voice aims to increase political participation with the goal of achieving im- proved governance at the national or lower level, exit presents mobility and intergovernmental competition as an instrument to limit the powers of govern- ment in general. At first glance both voice and exit seem to make the same promise: to make government more responsive. Voice can even be viewed as a residual to exit. Some citizens who are not yet ready to escape a certain policy are more likely to exercise the voice option. In addition, voice can act as an alternative. This might be the case where the ability to influence a policy seems to offer greater results than mere escape. Once exited, the opportunity to use voice is lost. In certain settings the exit option thus becomes the ultima ratio. Finally, voice can also function as an alternative if exit is simply not available, such as in a monopolistic or exclusive environment. Despite these correlations, voice and exit are rather distinct options. Both achieve their goals via differing approaches, resulting in contradictions and competing paradigms. A similar observation has been made with regard to American federalism and is expressed through the terms "rights of persons" versus "rights of places."' These phrases refer to the tension between local self- government and individual rights in federal political structures." The placement of political authority closer to the source from which it originates, namely, the people, creates the dilemma of choosing between individual and collective freedom or between consumership and citizenship. The problem is that individ- ual freedom often diminishes collective freedom. Measures that are conducive to voice and the community in which political participation is exercised may be detrimental to exit and the individual freedom to escape.' 45 To stay competi- tive, lower level governments depend on people and resources, not only to sus- tain their tax-base but simply to remain functional as a community. Accordingly, exit must be contained. It is in this context that the conflict be- tween voice and exit becomes apparent. Voice is primarily concerned with the transfer of powers to lower level government. It induces the regulatory author- ity to erect trade barriers against goods and services from other polities and to establish an environment in support of special interests. 146 This stands in apparent contrast to the premise of exit, which is the limitation of regulatory powers at whatever level exercised. As inherent tensions of the Principle of Subsidiarity, the competing paradigms of exit and voice make it evident that the Member States, as lower level governments, must be prevented from using their powers for protectionist purposes. The allocation of regulatory powers through the Principle of Subsidiarity and the execution of such powers by the Member States must be constrained. That is, subsidiarity must not be interpreted as an unconditional endorsement, but rather a qualified one. Where Community issues are involved, precau- tionary measures must be enforced in the application of regulatory powers by the Member States. Even if the Principle of Subsidiarity, as put forward in the Community Treaties, was a balanced means with which to limit the centralist drift of the Community, it would be necessary to recognize the problems that could occur on the Member State level and that could ultimately threaten the level of Community integration that has been achieved.

Albert 0. Hirschman, exit, voice, and loyalty: responses to decline in firms, organizations, and stateS (1970)

[43] Sciarra, op cit 

[44] L. Zoppoli op.cit.