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Corruzione e criminalità organizzata: un’analisi a partire dai modelli individuati dalla teoria del crimine

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Come rilevato da autorevole dottrina, una fra le voci più impegnate nel segnalare le esigenze di apertura del diritto penale[1], vengono individuati, dalla letteratura criminologica, tre modelli principali di corruzione: la corruzione amministrativa decentrata, caratterizzata da un elevato numero di tangenti di piccolo ammontare; la corruzione amministrativa accentrata, in cui viene rilevata una dazione tangentizia quantitativamente meno elevata, ma di considerevole ammontare, corrisposta ai massimi livelli della pubblica amministrazione e dell’apparato politico; la c.d. State capture, considerata, ad onor del vero inappropriatamente, caratteristica esclusiva dei c.d. Paesi in via sviluppo.

Il primo modello, ovvero la corruzione amministrativa decentrata, anche definita “corruzione di piccolo cabotaggio”[2], è generalmente correlata ad una molteplicità numerica di soggetti coinvolti e a distorsioni che hanno effetti negativi estremamente pervasivi. Questa forma corruttiva, prevede uno scambio c.d. diffuso, ma il valore totale delle tangenti corrisposte a livello decentrato è relativamente basso. Come rileva un’autorevole analisi, “da ciò non ne consegue però che gli effetti sul benessere sociale siano meno gravi in quanto, quando la corruzione è a livello decentrato, lo Stato è generalmente debole e i meccanismi di controllo sono meno efficaci”[3]. Nel modello decentrato, è possibile rinvenire il rapporto fra corruzione e attività imprenditoriale. Nel 1834, Balzac scriveva, “la corruzione è l’arma dei mediocri”[4]: tale affermazione risulta reale nella misura in cui, allo strumento corruttivo, facciano ricorso quegli assetti imprenditoriali dotati di scarsa competitività, con enormi deficit di produttività ed efficienza che, avvalendosi, appunto, del “mezzo” corruzione, riescono ad aggirare le suddette carenze raggiungendo il tanto “agognato” appalto.

Il modello denominato State capture o, letteralmente, presa di controllo dello Stato, individua “il controllo di uno o più agenti privati, comprendente tutti gli atti di uno o più agenti finalizzati ad influenzare il processo di formazione di regole o leggi, secondo la dimensione statale in cui avviene”[5].

Avvalendosi di autorevoli analisi empiriche, è possibile notare come l’influenza dei privati nell’attività pubblica di regolamentazione sia una caratteristica facente parte della natura delle democrazie e, non necessariamente, questa deve essere considerata negativamente. L’influenza dei privati, infatti, può consistere in uno stimolo importante in un’ottica riformatrice o al fine di ridurre le inefficienze del sistema

Tuttavia, quello che definisce il confine fra ciò che è un’attività legale e ciò che è State capture, dipende dal canale attraverso il quale i gruppi di interesse agiscono. Tale modello empirico di corruzione è stato, inopportunamente, ricondotto esclusivamente ai c.d. Paesi in via di sviluppo; la convinzione che tale modello non riverberi i suoi effetti anche su Paesi come l’Italia, mostra la sua fallacia già a partire dalla dimostrazione di una fondamentale caratteristica di tale forma di corruzione, ossia, il forte legame con le c.d. imprese politicamente connesse: “un’impresa viene considerata politicamente connessa se almeno uno dei suoi azionisti di maggioranza (si intende chiunque, direttamente o indirettamente, controlli almeno il 10% dei voti), o uno dei suoi dirigenti o amministratori (amministratore delegato, presidente, vicepresidente e segretario) è membro del parlamento, un ministro (incluso il Primo ministro), il Capo dello Stato (dittatore, presidente, sovrano) oppure è closely related a un uomo politico importante e influente o ad un partito”[6].

Da illustri indagini empiriche è stato dimostrato che oltre il 10% delle società quotate italiane appaia politicamente connesso; gli Autori delle suddette analisi, dimostrano empiricamente che le imprese connesse ottengono dal loro legame privilegiato con la politica vantaggi in termini di miglior accesso al finanziamento, di potere di mercato[7] e di benefici fiscali rispetto alle imprese non connesse.

Il terzo modello individuato dalla letteratura criminologica è quello della corruzione amministrativa accentrata, in cui la dazione risulta quantitativamente inferiore, ma qualitativamente importante[8]. La caratteristica principale di tale modello è rinvenibile nel sinallagma fra corruzione e criminalità organizzata[9].

La stessa dottrina penalistica più autorevole ritiene necessario, al fine di attenuare il rapporto di tensione tra la struttura attuale dei tipi legali e i referenti criminologici sottostanti, mettere in evidenza le caratteristiche rispettive della corruzione sistemica e del crimine organizzato[10]. In linea con tale necessità, un altro Esponente della dottrina contribuisce a rendere più salde le fondamenta della presente linea d’indagine, ritenendo che “da Mani pulite è emerso che secondo prassi consolidate politici, boiardi di Stato, grandi, medi e piccoli imprenditori, hanno stipulato intese durature per spartire appalti pubblici secondo criteri concordati e per procurare vantaggi imprenditoriali indebiti dietro il pagamento di tangenti, e che ciò è diventato addirittura sistema di gestione politica e di economia di impresa. A fronte di situazioni di questo tipo la realizzazione di associazioni a delinquere non pare seriamente contestabile: attraverso intese ben congegnate, tre o più persone si sono infatti organizzate per compiere una pluralità di delitti (art. 416 c.p.). Eppure la realizzazione del delitto previsto dall’art. 416 c.p. non è stata contestata agli indagati (…). Qui, forse, politica giudiziaria o politica tout court, hanno prevalso sulle ragioni del diritto”[11]. Voci autorevoli, dunque, si interrogano sulla possibilità di ricomprendere i fenomeni di corruzione sistemica nell’alveo del reato associativo, secondo il paradigma generale dell’associazione per delinquere (art. 416 c.p.) e se, questo, consentirebbe una risposta penale “per un verso, più adeguata al disvalore insito nel carattere duraturo e strutturato delle prassi illecite e, per altro verso, più idonea ad assicurare comunque la punibilità nei casi di difficile prova del rapporto di connessione tra retribuzione indebita e compimento di atti di ufficio ben individuati”[12]. Le considerazione appena delineate sollecitano una ricognizione in chiave comparatistica fra i due “mondi”[13].

L’economia legale “visibile” di cui si avvale la criminalità organizzata, ha bisogno del malaffare politico-amministrativo (corruzione e concussione)[14], ma ciò non significa che criminalità organizzata e corruzione siano la stessa cosa; l’empiria, infatti, dimostra che si tratta di “industrie”[15] che si occupano di beni distinti: la criminalità organizzata fornisce “protezione privata”[16], la corruzione permette l’acquisizione illegale di “diritti di proprietà su rendite politiche”[17]. Pur se le due fenomenologie andrebbero tenute distinte, non si può fare a meno di notare come la criminalità organizzata modifichi il proprio modus operandi proprio grazie allo “strumento” corruzione: la coercizione fisica, da sempre considerata componente strutturale del crimine organizzato, viene adoperata solo se strettamente necessaria[18]. Se caratteristica essenziale del crimine organizzato è, infatti, il rapporto con il mondo legale, la corruzione diventa uno strumento necessario: proprio il ricorso alla violenza viene evitato in quanto idonea ad esporre a rischi elevati, riducendo il consenso sociale e scatenando temibili reazioni dello Stato[19]. Autorevole dottrina, mettendo in evidenza una serie di elementi di affinità, individua una sorta di “vena giugulare”[20] in cui i due fenomeni comunicano e si potenziano reciprocamente.

Innanzi tutto, viene individuata una comunanza riguardo al requisito dell’organizzazione: la corruzione-sistema, svelata dalle inchieste degli anni ’90, richiama, in maniera pressoché automatica, il meccanismo organizzativo che è proprio dell’associazione criminale. Altra caratteristica comune, è rappresentata dall’opacità: “sia la corruzione, sia la criminalità organizzata prosperano nel buio”[21]. Nota condivisa tra le fenomenologie in esame, è, anche, l’omertà: tale dato condiviso costituisce una delle possibili cause dell’aumento della cifra nera[22], infatti, “possiamo ipotizzare che la presenza massiccia della criminalità organizzata, per una serie di fattori legati alle peculiari modalità di criminodinamica che caratterizzano tale tipologia delittuosa e alla sottocultura che ne costituisce la matrice ideologica, ostacoli l’emersione della criminalità legata al malaffare politico-amministrativo (concussione e corruzione)”[23].

La cultura dell’omertà dà la possibilità al crimine organizzato di fungere da “collante” a tenuta del sinallagma corrotto, infatti, “pagando politici, funzionari, magistrati o agenti di polizia perché chiudano un occhio sui traffici illegali, il gruppo criminale agisce come un comune corruttore”[24]. La cifra nera esce, dunque, rafforzata proprio dalla cultura dell’omertà, frutto del clima di intimidazione[25].

Altro fattore comune è l’ambiguità: la stagione di Mani pulite, infatti, ha messo in luce tutta una serie di rapporti fra mondo dell’imprenditoria e mondo della politica in cui si è sempre resa protagonista una perenne ambiguità riguardo ai ruoli assunti dai soggetti coinvolti; in un caso l’imprenditore rivestiva la qualità di vittima costretta a subire la coazione (si versava, dunque, nell'ipotesi concussiva di cui all’art. 317 c.p.); in un altro, anche nel caso in cui, il privato, avesse subito una forma di coazione da parte del pubblico agente, riusciva a trarre comunque vantaggi in termini di competitività rispetto ad altre imprese che non cedevano alle dazioni illecite.

Si trattava di vantaggi illusori e di breve periodo; fenomeno riscontrabile fra gli imprenditori o gli esercenti commerciali che soggiacciono all'estorsione, alla dazione del c.d. “pizzo” imposto dalla criminalità organizzata: sono vittime, ma, al tempo stesso, è una vittimizzazione che porta anche dei vantaggi, seppur nel breve periodo in quanto l’espansione di tale fenomeno criminale, propria anche della corruzione, porterà ad una perdita dell’autonomia dell’impresa o dell’esercizio commerciale[26].

Altro elemento accomunante è il welfare: l’organizzazione criminale vende anche servizi di “benessere sociale” e questo servizio si traduce in termini di occupazione chiaramente clientelare che spesso coinvolge una fascia molto estesa di territorio e popolazione. In quest’ambito, l’evidenza empirica, mostra un quadro inquietante: “la classe politica spesso favorisce questo stato di dipendenza dal welfare mafioso”[27]. Un’autorevole voce mostra come “una dispersione di risorse comporta la riproduzione delle condizioni strutturali della povertà ed è costante il rischio che il disagio sociale delle masse urbane tracimi talora in disordine sociale. Per evitare l’implosione o l’entropia, il management del sottosviluppo (ovvero quella politica decisa a mantenere condizioni di sottosviluppo) delega all'economia criminale la gestione del problema della sopravvivenza economica di masse sterminate di vecchi e nuovi poveri”[28].

Questo, dunque, porta al contrasto verso le misure anticriminalità nella misura in cui tali misure non siano adeguatamente accompagnate da politiche di sostegno più efficaci di quelle messe in campo dall'associazione criminale “benefattrice”. Ultimo, ma sicuramente non esaustivo, fattore di comunanza, è la diffusività: tendenza sia della criminalità organizzata sia della corruzione ad estendersi orizzontalmente sul territorio, verticalmente all’interno dell’apparato statale[29].

Infine, come rilevato da un illustre Autore, nell’analisi dei rapporti che le organizzazioni criminali sviluppano con il mondo esterno, può apparire difficoltosa la distinzione fra corruzione in senso stretto e connivenza. Tecnicamente, la distanza è evidente: la connivenza può anche non essere determinata dalla dazione o dalla promessa di una somma di denaro o di altre utilità; la corruzione esige la dazione o la promessa. Empiricamente, invece, accade che comportamenti c.d. “di favore” nei confronti di appartenenti alla criminalità organizzata, siano realizzati indipendentemente da un rapporto di corrispettività immediata, ma nell’ambito di rapporti di solidarietà familiare, amicale, massonico, presupponendo la restituzione del suddetto favore al manifestarsi dell’esigenza. La connivenza, dunque, nell'ambito delle dinamiche perverse della criminalità organizzata, non risulta scissa dalla corruzione, ma si sviluppa e prende forma nell'alveo di un habitus corruttivo[30].

[1]Cfr. MANNOZZI, G., che, nell’ambito del progetto “Conoscere l’Italia. Lezioni di legalità”, ha posto all’attenzione tematiche fondamentali ai fini di un efficace contrato alla corruzione. Incontro “Lezioni di legalità: la legislazione anti-mafia e anti-corruzione” 12/04/2010. Incontro organizzato da Avviso Pubblico, Gruppo 24ore, Università Bicocca, Centro studi “Saveria Antiochia Omicron”, con il patrocinio di Libera e Gruppo Intesa San Paolo. Intervento reperibile su www.avvisopubblico.it.

[2] Così, MANNOZZI, G., Percezione della corruzione e dinamiche politico-criminali di contenimento e repressione del fenomeno corruttivo, in “Rivista trimestrale di Diritto penale dell’Economia”, 3/2011, pp. 445-475.

[3] Così, ARNONE, M., ILIOPULOS, E., La corruzione costa. Effetti economici, istituzionali e sociali, Vita e Pensiero, Milano 2005, p. 24.

[4] BALZAC, H., Papà Goriot, Garzanti, Milano 2008.

[5] Così, ARNONE, M., ILIOPULOS, E., La corruzione costa, op. cit., p. 22.

[6] Così, Ivi, p. 44, in cui è riportata un’indagine empirica che “ha condotto all’identificazione di 532 società quotate politicamente connesse, che rappresentano il 2,68% di tutte le società quotate complessivamente nei Paesi in questione, e il 7,76 % della capitalizzazione mondiale di mercato. Il 59,8% delle connessioni si realizza attraverso i top directors e il 40,2% attraverso gli azionisti di maggioranza. Analizzando tali connessioni dal punto di vista della politica, si può osservare che il 59,6% delle connessioni identificate avviene con un parlamentare, il 15,5 con un ministro e il 24,9% dei casi di connessione, principalmente concentrati in Malesia e in Indonesia, consiste in stretti rapporti di amicizia con personaggi politici influenti. Dei Paesi del campione, dodici mostrano di avere pochissimi casi di connessione o di non averli affatto, mentre in Indonesia, Italia, Malesia, Russia e Tailandia oltre il 10% delle società quotate appare politicamente connesso. Da una serie di regressioni è emerso che i Paesi con le più alte incidenze di connessioni politiche sono caratterizzati da alti indici di corruzione percepita, restrizioni al movimento dei capitali per i residenti, da un basso grado di sviluppo economico, e dall’assenza di ogni restrizione in merito alle attività che un politico può svolgere”.

[7] Le analisi empiriche in esame dimostrano che il potere di mercato può venire sia da posizioni di semi-monopolio, sia da vantaggi nell’ottenere concessioni o licenze. Le imprese connesse mostrano quote di mercato notevolmente più elevate di quelle non connesse. Cfr. Ivi, pp. 46 ss.

[8] Cfr. anche, DAVIGO, P., intervento al Convegno nazionale “La legalità come fattore di sviluppo della democrazia e della competitività”, Milano 14/05/2010, www.avvisopubblico.it

[9]Particolare risalto, viene dato nella Convenzione delle Nazioni Unite, aperta alla firma il 9 dicembre 2003 a Merida, alla pericolosità dei legami tra corruzione e criminalità organizzata (la quale assume, in Italia, prevalentemente le note della criminalità di stampo mafioso) e la esplicita preoccupazione per la c.d. grand corruption, che spesso si lega non solo alle élites cleptocratiche dei paesi in via di sviluppo ma anche alla realizzazione delle grandi infrastrutture nei paesi c.d. avanzati. In alcuni passaggi essenziali del suddetto testo convenzionale, infatti, si legge che gli Stati sono: “Preoccupati dalla gravità dei problemi posti dalla corruzione e dalla minaccia che essa costituisce per la stabilità e la sicurezza delle società, minando le istituzioni ed i valori democratici, i valori etici e la giustizia e compromettendo lo sviluppo sostenibile e lo

stato di diritto; Preoccupati anche dai nessi esistenti tra la corruzione ed altre forme di criminalità, in particolare la criminalità organizzata e la criminalità economica, compreso il riciclaggio di denaro; Preoccupati inoltre dai casi di corruzione relativi a considerevoli quantità di beni, i quali possono rappresentare una parte sostanziale delle risorse degli Stati, e che minacciano la stabilità politica e lo sviluppo sostenibile di tali Stati; Convinti che la corruzione non sia più una questione locale, ma un fenomeno transnazionale che colpisce tutte le società e tutte le economie, ciò che rende la cooperazione internazionale essenziale per prevenire e stroncare tale corruzione; Convinti anche che un approccio globale e multidisciplinare sia necessario per prevenire e combattere efficacemente la corruzione”.

[10] Cfr. FIANDACA, G., Esigenze e prospettive di riforma dei reati di corruzione e concussione, in “Rivista italiana di Diritto e Procedura penale”, XLIII, 2000, p. 892.

[11] Così GROSSO, C.F., Le fattispecie associative: problemi dogmatici e di politica criminale, in “Rivista italiana di Diritto e Procedura penale”, 1996, p. 421. Si ritiene, dunque, che la mancata contestazione del reato associativo che, secondo la dottrina, sarebbe stata doverosa in forza dei principi di legalità e obbligatorietà dell’azione penale, si possa spiegare sulla base di calcoli che hanno indotto gli organi inquirenti a mantenere il controllo penale entro i più “rassicuranti” confini dei classici reati contro la pubblica amministrazione.

[12] Così, FIANDACA, G., Esigenze e prospettive di riforma, op. cit., p. 893.

[13] Cfr. VIOLANTE, L., Corruzione e mafia, in D’ALBERTI, M., FINOCCHI, R. (a cura di), Corruzione e sistema istituzionale, il Mulino, Bologna 1994, pp. 69 ss., in cui l’Autore, mettendo in luce le connessioni fra corruzione e associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.), ritiene che “l’analisi tradizionale del processo di espansione delle organizzazioni mafiose si occupa della violenza, ma trascura il ruolo della corruzione. Eppure le cronache sono piene di vicende che riguardano i rapporti della mafia con burocrati, magistrati, politici e che dovrebbero perciò far pensare alla corruzione non come circostanza accidentale ma come fattore strumentale dell’espansione mafiosa. Tre, essenzialmente, le ragioni del silenzio: a) solo oggi cominciano ad essere documentati i rapporti tra mafiosi, burocrati, magistrati, appartenenti alle forze dell’ordine, politici; b) gli studi relativi alla struttura delle organizzazioni mafiose si sono sinora concentrati sulla violenza trascurando invece la corruzione; c) quando si è parlato di vicende di corruzione connesse alla mafia, più della tecnica del coinvolgimento corruttivo, ha colpito l’aspetto scandalistico legato al nome o agli incarichi dei pubblici funzionari coinvolti. È opportuno ora avviare una riflessione sul ruolo della corruzione nella struttura delle organizzazioni mafiose e nel loro processo espansivo. Ciò potrebbe servire ad acquisire ulteriori elementi di conoscenza e a predisporre più incisive misure di difesa”. (Ivi, p. 69).

[14] Cfr. DI NICOLA, A., Dieci anni di lotta alla corruzione, in BARBAGLI, M. (a cura di), Rapporto sulla criminalità in Italia, il Mulino, Bologna 2003, p. 112.

[15] Così, VANNUCCI, A., Il mercato della corruzione. I meccanismi dello scambio occulto in Italia, Società aperta, Milano 199, p. 178.

[16] Così, Ivi, p. 179.

[17] Ibidem.

[18] Cfr. FALCONE, G., Cose di Cosa Nostra, in collaborazione con PADOVANI, M., Rizzoli, Milano 1991. Il magistrato osservava: ”Nell’organizzazione, violenza e crudeltà non sono mai gratuite, rappresentano sempre l’extrema ratio, l’ultima via d’uscita quando tutte le altre forme d’intimidazione sono inefficaci o quando la gravità di uno sgarro è tale da meritare soltanto la morte” (Ivi, p. 28).

[19] Cfr. VIOLANTE, L., op. cit., p. 76: “La corruzione resta perciò nei rapporti con le pubbliche istituzioni l’arma principale della mafia perché caratterizzata dal silenzio, dal coinvolgimento del destinatario dell’azione mafiosa, dall’omertà conseguente e quindi dalla creazione di un ambiente idoneo all’ulteriore sviluppo degli affari mafiosi”.

[20] Così, FORTI, G., “Conoscere l’Italia. Lezioni di legalità”, Incontro 12/04/2010. Intervento reperibile su www.avvisopubblico.it.

[21] Così, Ibidem.

[22]La dottrina insegna che per cifra nera debba intendersi “uno scarto, spesso imponente, tra il numero complessivo dei fatti penalmente punibili commessi in un certo periodo di tempo e in un certo territorio e il numero di quelli che giungono effettivamente a conoscenza delle Autorità e, dunque, risultano registrati nelle statistiche criminali”. Cfr. FORTI, G., Tra criminologia e diritto penale: “cifre nere” e funzione generalpreventiva della pena, in MARINUCCI, G., DOLCINI, E. (a cura di), Diritto penale in trasformazione, Giuffrè, Milano 1985, p. 53.

[23] Così, DAVIGO, P., MANNOZZI, G., La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale, Laterza, Roma-Bari 2007, p. 115.

[24] Così, VANNUCCI, A., Il mercato della corruzione, op. cit., p. 163.

[25] Cfr. LICANDRO, A., VARANO, A., La città dolente, op. cit., p.7: risulta emblematico il caso di Agatino Licandro dimessosi da sindaco di Reggio Calabria il 13 maggio 1992 per vicende personali legate alla corruzione, il quale racconta: ”Appena ho finito di riempire i nastri con le mie confessioni ho dovuto cambiare la mia vita, quella dei miei figli, di mia moglie Carla e delle persone che più mi vogliono bene, Sono dovuto partire immediatamente per destinazione ignota. Io Carla e i bambini viviamo blindati. Casa, macchine, abitudini: tutto stravolto. Una cosa è la corruzione a Milano. Un’altra è la corruzione diventata punto di riferimento della mafia come a Reggio Calabria. Se parli a Milano la gente ti considera. Se lo fai a Reggio pensano che sei un infame”.

[26] Cfr. FORTI, G., “Conoscere l’Italia. Lezioni di legalità”,  op. cit., Incontro 12/04/2010.

[27] Così, Ibidem.

[28] Così, SCARPINATO, R., Il welfare mafioso, in “CorrierEconomia”, 01/12/2008.

[29] Cfr. per tutti, PULITANÒ, D., La giustizia penale alla prova del fuoco, in “Rivista italiana di Diritto e Procedura penale”, XL, 1997, p. 4, a stigmatizzare la diffusività del fenomeno: “la capillare diffusione, ad ogni livello, della pratica delle tangenti, significa feudalizzazione della politica e dell’amministrazione pubblica, subordinazione dell’esercizio di pubbliche funzioni e della gestione del potere politico ad interessi privati, personali o di parte”.

[30] Cfr. VIOLANTE, L., op. cit., p. 76.

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Come rilevato da autorevole dottrina, una fra le voci più impegnate nel segnalare le esigenze di apertura del diritto penale[1], vengono individuati, dalla letteratura criminologica, tre modelli principali di corruzione: la corruzione amministrativa decentrata, caratterizzata da un elevato numero di tangenti di piccolo ammontare; la corruzione amministrativa accentrata, in cui viene rilevata una dazione tangentizia quantitativamente meno elevata, ma di considerevole ammontare, corrisposta ai massimi livelli della pubblica amministrazione e dell’apparato politico; la c.d. State capture, considerata, ad onor del vero inappropriatamente, caratteristica esclusiva dei c.d. Paesi in via sviluppo.

Il primo modello, ovvero la corruzione amministrativa decentrata, anche definita “corruzione di piccolo cabotaggio”[2], è generalmente correlata ad una molteplicità numerica di soggetti coinvolti e a distorsioni che hanno effetti negativi estremamente pervasivi. Questa forma corruttiva, prevede uno scambio c.d. diffuso, ma il valore totale delle tangenti corrisposte a livello decentrato è relativamente basso. Come rileva un’autorevole analisi, “da ciò non ne consegue però che gli effetti sul benessere sociale siano meno gravi in quanto, quando la corruzione è a livello decentrato, lo Stato è generalmente debole e i meccanismi di controllo sono meno efficaci”[3]. Nel modello decentrato, è possibile rinvenire il rapporto fra corruzione e attività imprenditoriale. Nel 1834, Balzac scriveva, “la corruzione è l’arma dei mediocri”[4]: tale affermazione risulta reale nella misura in cui, allo strumento corruttivo, facciano ricorso quegli assetti imprenditoriali dotati di scarsa competitività, con enormi deficit di produttività ed efficienza che, avvalendosi, appunto, del “mezzo” corruzione, riescono ad aggirare le suddette carenze raggiungendo il tanto “agognato” appalto.

Il modello denominato State capture o, letteralmente, presa di controllo dello Stato, individua “il controllo di uno o più agenti privati, comprendente tutti gli atti di uno o più agenti finalizzati ad influenzare il processo di formazione di regole o leggi, secondo la dimensione statale in cui avviene”[5].

Avvalendosi di autorevoli analisi empiriche, è possibile notare come l’influenza dei privati nell’attività pubblica di regolamentazione sia una caratteristica facente parte della natura delle democrazie e, non necessariamente, questa deve essere considerata negativamente. L’influenza dei privati, infatti, può consistere in uno stimolo importante in un’ottica riformatrice o al fine di ridurre le inefficienze del sistema

Tuttavia, quello che definisce il confine fra ciò che è un’attività legale e ciò che è State capture, dipende dal canale attraverso il quale i gruppi di interesse agiscono. Tale modello empirico di corruzione è stato, inopportunamente, ricondotto esclusivamente ai c.d. Paesi in via di sviluppo; la convinzione che tale modello non riverberi i suoi effetti anche su Paesi come l’Italia, mostra la sua fallacia già a partire dalla dimostrazione di una fondamentale caratteristica di tale forma di corruzione, ossia, il forte legame con le c.d. imprese politicamente connesse: “un’impresa viene considerata politicamente connessa se almeno uno dei suoi azionisti di maggioranza (si intende chiunque, direttamente o indirettamente, controlli almeno il 10% dei voti), o uno dei suoi dirigenti o amministratori (amministratore delegato, presidente, vicepresidente e segretario) è membro del parlamento, un ministro (incluso il Primo ministro), il Capo dello Stato (dittatore, presidente, sovrano) oppure è closely related a un uomo politico importante e influente o ad un partito”[6].

Da illustri indagini empiriche è stato dimostrato che oltre il 10% delle società quotate italiane appaia politicamente connesso; gli Autori delle suddette analisi, dimostrano empiricamente che le imprese connesse ottengono dal loro legame privilegiato con la politica vantaggi in termini di miglior accesso al finanziamento, di potere di mercato[7] e di benefici fiscali rispetto alle imprese non connesse.

Il terzo modello individuato dalla letteratura criminologica è quello della corruzione amministrativa accentrata, in cui la dazione risulta quantitativamente inferiore, ma qualitativamente importante[8]. La caratteristica principale di tale modello è rinvenibile nel sinallagma fra corruzione e criminalità organizzata[9].

La stessa dottrina penalistica più autorevole ritiene necessario, al fine di attenuare il rapporto di tensione tra la struttura attuale dei tipi legali e i referenti criminologici sottostanti, mettere in evidenza le caratteristiche rispettive della corruzione sistemica e del crimine organizzato[10]. In linea con tale necessità, un altro Esponente della dottrina contribuisce a rendere più salde le fondamenta della presente linea d’indagine, ritenendo che “da Mani pulite è emerso che secondo prassi consolidate politici, boiardi di Stato, grandi, medi e piccoli imprenditori, hanno stipulato intese durature per spartire appalti pubblici secondo criteri concordati e per procurare vantaggi imprenditoriali indebiti dietro il pagamento di tangenti, e che ciò è diventato addirittura sistema di gestione politica e di economia di impresa. A fronte di situazioni di questo tipo la realizzazione di associazioni a delinquere non pare seriamente contestabile: attraverso intese ben congegnate, tre o più persone si sono infatti organizzate per compiere una pluralità di delitti (art. 416 c.p.). Eppure la realizzazione del delitto previsto dall’art. 416 c.p. non è stata contestata agli indagati (…). Qui, forse, politica giudiziaria o politica tout court, hanno prevalso sulle ragioni del diritto”[11]. Voci autorevoli, dunque, si interrogano sulla possibilità di ricomprendere i fenomeni di corruzione sistemica nell’alveo del reato associativo, secondo il paradigma generale dell’associazione per delinquere (art. 416 c.p.) e se, questo, consentirebbe una risposta penale “per un verso, più adeguata al disvalore insito nel carattere duraturo e strutturato delle prassi illecite e, per altro verso, più idonea ad assicurare comunque la punibilità nei casi di difficile prova del rapporto di connessione tra retribuzione indebita e compimento di atti di ufficio ben individuati”[12]. Le considerazione appena delineate sollecitano una ricognizione in chiave comparatistica fra i due “mondi”[13].

L’economia legale “visibile” di cui si avvale la criminalità organizzata, ha bisogno del malaffare politico-amministrativo (corruzione e concussione)[14], ma ciò non significa che criminalità organizzata e corruzione siano la stessa cosa; l’empiria, infatti, dimostra che si tratta di “industrie”[15] che si occupano di beni distinti: la criminalità organizzata fornisce “protezione privata”[16], la corruzione permette l’acquisizione illegale di “diritti di proprietà su rendite politiche”[17]. Pur se le due fenomenologie andrebbero tenute distinte, non si può fare a meno di notare come la criminalità organizzata modifichi il proprio modus operandi proprio grazie allo “strumento” corruzione: la coercizione fisica, da sempre considerata componente strutturale del crimine organizzato, viene adoperata solo se strettamente necessaria[18]. Se caratteristica essenziale del crimine organizzato è, infatti, il rapporto con il mondo legale, la corruzione diventa uno strumento necessario: proprio il ricorso alla violenza viene evitato in quanto idonea ad esporre a rischi elevati, riducendo il consenso sociale e scatenando temibili reazioni dello Stato[19]. Autorevole dottrina, mettendo in evidenza una serie di elementi di affinità, individua una sorta di “vena giugulare”[20] in cui i due fenomeni comunicano e si potenziano reciprocamente.

Innanzi tutto, viene individuata una comunanza riguardo al requisito dell’organizzazione: la corruzione-sistema, svelata dalle inchieste degli anni ’90, richiama, in maniera pressoché automatica, il meccanismo organizzativo che è proprio dell’associazione criminale. Altra caratteristica comune, è rappresentata dall’opacità: “sia la corruzione, sia la criminalità organizzata prosperano nel buio”[21]. Nota condivisa tra le fenomenologie in esame, è, anche, l’omertà: tale dato condiviso costituisce una delle possibili cause dell’aumento della cifra nera[22], infatti, “possiamo ipotizzare che la presenza massiccia della criminalità organizzata, per una serie di fattori legati alle peculiari modalità di criminodinamica che caratterizzano tale tipologia delittuosa e alla sottocultura che ne costituisce la matrice ideologica, ostacoli l’emersione della criminalità legata al malaffare politico-amministrativo (concussione e corruzione)”[23].

La cultura dell’omertà dà la possibilità al crimine organizzato di fungere da “collante” a tenuta del sinallagma corrotto, infatti, “pagando politici, funzionari, magistrati o agenti di polizia perché chiudano un occhio sui traffici illegali, il gruppo criminale agisce come un comune corruttore”[24]. La cifra nera esce, dunque, rafforzata proprio dalla cultura dell’omertà, frutto del clima di intimidazione[25].

Altro fattore comune è l’ambiguità: la stagione di Mani pulite, infatti, ha messo in luce tutta una serie di rapporti fra mondo dell’imprenditoria e mondo della politica in cui si è sempre resa protagonista una perenne ambiguità riguardo ai ruoli assunti dai soggetti coinvolti; in un caso l’imprenditore rivestiva la qualità di vittima costretta a subire la coazione (si versava, dunque, nell'ipotesi concussiva di cui all’art. 317 c.p.); in un altro, anche nel caso in cui, il privato, avesse subito una forma di coazione da parte del pubblico agente, riusciva a trarre comunque vantaggi in termini di competitività rispetto ad altre imprese che non cedevano alle dazioni illecite.

Si trattava di vantaggi illusori e di breve periodo; fenomeno riscontrabile fra gli imprenditori o gli esercenti commerciali che soggiacciono all'estorsione, alla dazione del c.d. “pizzo” imposto dalla criminalità organizzata: sono vittime, ma, al tempo stesso, è una vittimizzazione che porta anche dei vantaggi, seppur nel breve periodo in quanto l’espansione di tale fenomeno criminale, propria anche della corruzione, porterà ad una perdita dell’autonomia dell’impresa o dell’esercizio commerciale[26].

Altro elemento accomunante è il welfare: l’organizzazione criminale vende anche servizi di “benessere sociale” e questo servizio si traduce in termini di occupazione chiaramente clientelare che spesso coinvolge una fascia molto estesa di territorio e popolazione. In quest’ambito, l’evidenza empirica, mostra un quadro inquietante: “la classe politica spesso favorisce questo stato di dipendenza dal welfare mafioso”[27]. Un’autorevole voce mostra come “una dispersione di risorse comporta la riproduzione delle condizioni strutturali della povertà ed è costante il rischio che il disagio sociale delle masse urbane tracimi talora in disordine sociale. Per evitare l’implosione o l’entropia, il management del sottosviluppo (ovvero quella politica decisa a mantenere condizioni di sottosviluppo) delega all'economia criminale la gestione del problema della sopravvivenza economica di masse sterminate di vecchi e nuovi poveri”[28].

Questo, dunque, porta al contrasto verso le misure anticriminalità nella misura in cui tali misure non siano adeguatamente accompagnate da politiche di sostegno più efficaci di quelle messe in campo dall'associazione criminale “benefattrice”. Ultimo, ma sicuramente non esaustivo, fattore di comunanza, è la diffusività: tendenza sia della criminalità organizzata sia della corruzione ad estendersi orizzontalmente sul territorio, verticalmente all’interno dell’apparato statale[29].

Infine, come rilevato da un illustre Autore, nell’analisi dei rapporti che le organizzazioni criminali sviluppano con il mondo esterno, può apparire difficoltosa la distinzione fra corruzione in senso stretto e connivenza. Tecnicamente, la distanza è evidente: la connivenza può anche non essere determinata dalla dazione o dalla promessa di una somma di denaro o di altre utilità; la corruzione esige la dazione o la promessa. Empiricamente, invece, accade che comportamenti c.d. “di favore” nei confronti di appartenenti alla criminalità organizzata, siano realizzati indipendentemente da un rapporto di corrispettività immediata, ma nell’ambito di rapporti di solidarietà familiare, amicale, massonico, presupponendo la restituzione del suddetto favore al manifestarsi dell’esigenza. La connivenza, dunque, nell'ambito delle dinamiche perverse della criminalità organizzata, non risulta scissa dalla corruzione, ma si sviluppa e prende forma nell'alveo di un habitus corruttivo[30].

[1]Cfr. MANNOZZI, G., che, nell’ambito del progetto “Conoscere l’Italia. Lezioni di legalità”, ha posto all’attenzione tematiche fondamentali ai fini di un efficace contrato alla corruzione. Incontro “Lezioni di legalità: la legislazione anti-mafia e anti-corruzione” 12/04/2010. Incontro organizzato da Avviso Pubblico, Gruppo 24ore, Università Bicocca, Centro studi “Saveria Antiochia Omicron”, con il patrocinio di Libera e Gruppo Intesa San Paolo. Intervento reperibile su www.avvisopubblico.it.

[2] Così, MANNOZZI, G., Percezione della corruzione e dinamiche politico-criminali di contenimento e repressione del fenomeno corruttivo, in “Rivista trimestrale di Diritto penale dell’Economia”, 3/2011, pp. 445-475.

[3] Così, ARNONE, M., ILIOPULOS, E., La corruzione costa. Effetti economici, istituzionali e sociali, Vita e Pensiero, Milano 2005, p. 24.

[4] BALZAC, H., Papà Goriot, Garzanti, Milano 2008.

[5] Così, ARNONE, M., ILIOPULOS, E., La corruzione costa, op. cit., p. 22.

[6] Così, Ivi, p. 44, in cui è riportata un’indagine empirica che “ha condotto all’identificazione di 532 società quotate politicamente connesse, che rappresentano il 2,68% di tutte le società quotate complessivamente nei Paesi in questione, e il 7,76 % della capitalizzazione mondiale di mercato. Il 59,8% delle connessioni si realizza attraverso i top directors e il 40,2% attraverso gli azionisti di maggioranza. Analizzando tali connessioni dal punto di vista della politica, si può osservare che il 59,6% delle connessioni identificate avviene con un parlamentare, il 15,5 con un ministro e il 24,9% dei casi di connessione, principalmente concentrati in Malesia e in Indonesia, consiste in stretti rapporti di amicizia con personaggi politici influenti. Dei Paesi del campione, dodici mostrano di avere pochissimi casi di connessione o di non averli affatto, mentre in Indonesia, Italia, Malesia, Russia e Tailandia oltre il 10% delle società quotate appare politicamente connesso. Da una serie di regressioni è emerso che i Paesi con le più alte incidenze di connessioni politiche sono caratterizzati da alti indici di corruzione percepita, restrizioni al movimento dei capitali per i residenti, da un basso grado di sviluppo economico, e dall’assenza di ogni restrizione in merito alle attività che un politico può svolgere”.

[7] Le analisi empiriche in esame dimostrano che il potere di mercato può venire sia da posizioni di semi-monopolio, sia da vantaggi nell’ottenere concessioni o licenze. Le imprese connesse mostrano quote di mercato notevolmente più elevate di quelle non connesse. Cfr. Ivi, pp. 46 ss.

[8] Cfr. anche, DAVIGO, P., intervento al Convegno nazionale “La legalità come fattore di sviluppo della democrazia e della competitività”, Milano 14/05/2010, www.avvisopubblico.it

[9]Particolare risalto, viene dato nella Convenzione delle Nazioni Unite, aperta alla firma il 9 dicembre 2003 a Merida, alla pericolosità dei legami tra corruzione e criminalità organizzata (la quale assume, in Italia, prevalentemente le note della criminalità di stampo mafioso) e la esplicita preoccupazione per la c.d. grand corruption, che spesso si lega non solo alle élites cleptocratiche dei paesi in via di sviluppo ma anche alla realizzazione delle grandi infrastrutture nei paesi c.d. avanzati. In alcuni passaggi essenziali del suddetto testo convenzionale, infatti, si legge che gli Stati sono: “Preoccupati dalla gravità dei problemi posti dalla corruzione e dalla minaccia che essa costituisce per la stabilità e la sicurezza delle società, minando le istituzioni ed i valori democratici, i valori etici e la giustizia e compromettendo lo sviluppo sostenibile e lo

stato di diritto; Preoccupati anche dai nessi esistenti tra la corruzione ed altre forme di criminalità, in particolare la criminalità organizzata e la criminalità economica, compreso il riciclaggio di denaro; Preoccupati inoltre dai casi di corruzione relativi a considerevoli quantità di beni, i quali possono rappresentare una parte sostanziale delle risorse degli Stati, e che minacciano la stabilità politica e lo sviluppo sostenibile di tali Stati; Convinti che la corruzione non sia più una questione locale, ma un fenomeno transnazionale che colpisce tutte le società e tutte le economie, ciò che rende la cooperazione internazionale essenziale per prevenire e stroncare tale corruzione; Convinti anche che un approccio globale e multidisciplinare sia necessario per prevenire e combattere efficacemente la corruzione”.

[10] Cfr. FIANDACA, G., Esigenze e prospettive di riforma dei reati di corruzione e concussione, in “Rivista italiana di Diritto e Procedura penale”, XLIII, 2000, p. 892.

[11] Così GROSSO, C.F., Le fattispecie associative: problemi dogmatici e di politica criminale, in “Rivista italiana di Diritto e Procedura penale”, 1996, p. 421. Si ritiene, dunque, che la mancata contestazione del reato associativo che, secondo la dottrina, sarebbe stata doverosa in forza dei principi di legalità e obbligatorietà dell’azione penale, si possa spiegare sulla base di calcoli che hanno indotto gli organi inquirenti a mantenere il controllo penale entro i più “rassicuranti” confini dei classici reati contro la pubblica amministrazione.

[12] Così, FIANDACA, G., Esigenze e prospettive di riforma, op. cit., p. 893.

[13] Cfr. VIOLANTE, L., Corruzione e mafia, in D’ALBERTI, M., FINOCCHI, R. (a cura di), Corruzione e sistema istituzionale, il Mulino, Bologna 1994, pp. 69 ss., in cui l’Autore, mettendo in luce le connessioni fra corruzione e associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.), ritiene che “l’analisi tradizionale del processo di espansione delle organizzazioni mafiose si occupa della violenza, ma trascura il ruolo della corruzione. Eppure le cronache sono piene di vicende che riguardano i rapporti della mafia con burocrati, magistrati, politici e che dovrebbero perciò far pensare alla corruzione non come circostanza accidentale ma come fattore strumentale dell’espansione mafiosa. Tre, essenzialmente, le ragioni del silenzio: a) solo oggi cominciano ad essere documentati i rapporti tra mafiosi, burocrati, magistrati, appartenenti alle forze dell’ordine, politici; b) gli studi relativi alla struttura delle organizzazioni mafiose si sono sinora concentrati sulla violenza trascurando invece la corruzione; c) quando si è parlato di vicende di corruzione connesse alla mafia, più della tecnica del coinvolgimento corruttivo, ha colpito l’aspetto scandalistico legato al nome o agli incarichi dei pubblici funzionari coinvolti. È opportuno ora avviare una riflessione sul ruolo della corruzione nella struttura delle organizzazioni mafiose e nel loro processo espansivo. Ciò potrebbe servire ad acquisire ulteriori elementi di conoscenza e a predisporre più incisive misure di difesa”. (Ivi, p. 69).

[14] Cfr. DI NICOLA, A., Dieci anni di lotta alla corruzione, in BARBAGLI, M. (a cura di), Rapporto sulla criminalità in Italia, il Mulino, Bologna 2003, p. 112.

[15] Così, VANNUCCI, A., Il mercato della corruzione. I meccanismi dello scambio occulto in Italia, Società aperta, Milano 199, p. 178.

[16] Così, Ivi, p. 179.

[17] Ibidem.

[18] Cfr. FALCONE, G., Cose di Cosa Nostra, in collaborazione con PADOVANI, M., Rizzoli, Milano 1991. Il magistrato osservava: ”Nell’organizzazione, violenza e crudeltà non sono mai gratuite, rappresentano sempre l’extrema ratio, l’ultima via d’uscita quando tutte le altre forme d’intimidazione sono inefficaci o quando la gravità di uno sgarro è tale da meritare soltanto la morte” (Ivi, p. 28).

[19] Cfr. VIOLANTE, L., op. cit., p. 76: “La corruzione resta perciò nei rapporti con le pubbliche istituzioni l’arma principale della mafia perché caratterizzata dal silenzio, dal coinvolgimento del destinatario dell’azione mafiosa, dall’omertà conseguente e quindi dalla creazione di un ambiente idoneo all’ulteriore sviluppo degli affari mafiosi”.

[20] Così, FORTI, G., “Conoscere l’Italia. Lezioni di legalità”, Incontro 12/04/2010. Intervento reperibile su www.avvisopubblico.it.

[21] Così, Ibidem.

[22]La dottrina insegna che per cifra nera debba intendersi “uno scarto, spesso imponente, tra il numero complessivo dei fatti penalmente punibili commessi in un certo periodo di tempo e in un certo territorio e il numero di quelli che giungono effettivamente a conoscenza delle Autorità e, dunque, risultano registrati nelle statistiche criminali”. Cfr. FORTI, G., Tra criminologia e diritto penale: “cifre nere” e funzione generalpreventiva della pena, in MARINUCCI, G., DOLCINI, E. (a cura di), Diritto penale in trasformazione, Giuffrè, Milano 1985, p. 53.

[23] Così, DAVIGO, P., MANNOZZI, G., La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale, Laterza, Roma-Bari 2007, p. 115.

[24] Così, VANNUCCI, A., Il mercato della corruzione, op. cit., p. 163.

[25] Cfr. LICANDRO, A., VARANO, A., La città dolente, op. cit., p.7: risulta emblematico il caso di Agatino Licandro dimessosi da sindaco di Reggio Calabria il 13 maggio 1992 per vicende personali legate alla corruzione, il quale racconta: ”Appena ho finito di riempire i nastri con le mie confessioni ho dovuto cambiare la mia vita, quella dei miei figli, di mia moglie Carla e delle persone che più mi vogliono bene, Sono dovuto partire immediatamente per destinazione ignota. Io Carla e i bambini viviamo blindati. Casa, macchine, abitudini: tutto stravolto. Una cosa è la corruzione a Milano. Un’altra è la corruzione diventata punto di riferimento della mafia come a Reggio Calabria. Se parli a Milano la gente ti considera. Se lo fai a Reggio pensano che sei un infame”.

[26] Cfr. FORTI, G., “Conoscere l’Italia. Lezioni di legalità”,  op. cit., Incontro 12/04/2010.

[27] Così, Ibidem.

[28] Così, SCARPINATO, R., Il welfare mafioso, in “CorrierEconomia”, 01/12/2008.

[29] Cfr. per tutti, PULITANÒ, D., La giustizia penale alla prova del fuoco, in “Rivista italiana di Diritto e Procedura penale”, XL, 1997, p. 4, a stigmatizzare la diffusività del fenomeno: “la capillare diffusione, ad ogni livello, della pratica delle tangenti, significa feudalizzazione della politica e dell’amministrazione pubblica, subordinazione dell’esercizio di pubbliche funzioni e della gestione del potere politico ad interessi privati, personali o di parte”.

[30] Cfr. VIOLANTE, L., op. cit., p. 76.