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La determinazione conclusiva della conferenza di servizi

1. La concezione esoprocedimentale tradizionale

A partire dalla Legge n. 340 del 2000 – con l’inserimento del comma 9 nell’articolo 14-ter della Legge n. 241 del 1990, poi modificato dalla Legge n. 15 del 2005 e infine abrogato dal Decreto Legge n. 78 del 2010 – il problema del rapporto tra le previgenti «determinazioni concordate» in conferenza e il provvedimento finale viene affrontato apertamente, nel suo duplice aspetto della necessità o meno che le prime siano seguite da un provvedimento formale, avente valore e significato costitutivo degli effetti, e, in caso affermativo, dell’individuazione del grado di vincolatività della determinazione conclusiva rispetto al provvedimento finale [1].

Sin dalle prime riflessioni giurisprudenziali la contrapposizione tra la concezione esoprocedimentale e quella endoprocedimentale si rivela inscindibilmente legata alla questione della natura dichiarativa o costitutiva del provvedimento finale, distinzione la cui importanza è apprezzabile anzitutto sotto il profilo della decorrenza del termine per l’impugnazione. Propendendo infatti per la natura dichiarativa, l’atto lesivo dal quale decorre il termine decadenziale è la determinazione conclusiva e non il provvedimento finale, per cui la tempestività dell’impugnazione di quest’ultimo non vale a consentire la rimessione in termini se il ricorso contro la determinazione conclusiva è tardivo.

Nella vigenza della Legge n. 340 del 2000 la giurisprudenza – per quanto assai scarsa [2] – afferma il carattere dichiarativo del provvedimento finale, non lesivo ex se, e la natura esoprocedimentale ed immediatamente lesiva della determinazione conclusiva.

A favore di tale interpretazione depone, anzitutto, il previgente comma 2 dell’articolo 14-quater, che definisce come «immediatamente esecutiva» la determinazione finale, un dato dal quale è possibile dedurre l’inutilità di un provvedimento ulteriore.

Nella stessa direzione milita il fatto che anche l’amministrazione procedente manifesta il suo avviso nella conferenza e non può poi modificare le indicazioni emerse in tale sede, sia per la previsione di conformità della determinazione conclusiva al provvedimento finale stabilita dal comma 9 dell’articolo 14-ter, sia perché è comunque illogica e contraria alla ratio della norma la possibilità di una rielaborazione della determinazione conclusiva, che costituisce il risultato dell’incontro delle volontà di più amministrazioni.

In tal senso depone poi il comma 7 dell’articolo 14-ter, che consente l’immediata impugnazione della determinazione conclusiva da parte dell’amministrazione dissenziente prima del recepimento nel provvedimento finale [3], il che porta ad escludere che l’atto produttivo degli effetti lesivi sia quest’ultimo, mentre sarebbe assurda la previsione dell’impugnabilità di una determinazione priva di effetti esterni.

Infine, a favore di tale opzione ermeneutica depone il successivo comma 9, che subordina l’operatività dell’effetto sostitutivo del provvedimento finale rispetto agli atti di assenso alla sua conformità alla determinazione conclusiva.

La concezione esoprocedimentale si riverbera poi anche sulla questione della motivazione del provvedimento finale. Infatti, l’insussistenza di un obbligo dell’amministrazione procedente di motivare il provvedimento che recepisce gli esiti della conferenza in maniera più articolata di un mero richiamo al verbale discende proprio dalla natura dichiarativa dell’atto provvedimentale, meramente confermativo e consequenziale della determinazione conclusiva [4].

2. La dottrina

A favore della natura dichiarativa del provvedimento finale si è espressa una parte autorevole della dottrina, attribuendogli natura di atto ricognitivo con funzione esternativa [5], «mera sanzione del deliberato della conferenza» [6].

Da un lato, la circostanza che con l’istituto del dissenso postumo successivamente possa avvenire un mutamento di maggioranza non è ostativa a tale interpretazione, perché in tal caso il provvedimento finale non risulterà conforme alla determinazione conclusiva, come richiesto invece dal comma 9, per cui l’amministrazione procedente si limiterà a prendere atto del venir meno della determinazione favorevole e, quindi, il provvedimento avrà anche in tal caso natura dichiarativa. Dall’altro, non costituisce un ostacolo in tal senso l’effetto sostitutivo, trattandosi di una conseguenza legale tipica dell’atto dichiarativo [7].

Talora si nega qualunque carattere decisorio al provvedimento finale deducendo la sua funzione meramente iterativa del contenuto della determinazione conclusiva dalla necessità della conformità ad essa sancita dal comma 9 dell’articolo 14-ter. Nondimeno, la distinzione tra natura dichiarativa e natura costitutiva del provvedimento finale, quantunque di dirimente importanza nella problematica in esame, è ritenuta assai dubbia, dato che vi sono atti che la giurisprudenza definisce dichiarativi (ad esempio quelli che dichiarano la decadenza di un permesso di costruire) ritenendoli ciononostante lesivi ed impugnabili. Di fatto, poiché si riconduce al provvedimento finale l’effetto sostitutivo di ogni atto di assenso, è quest’ultimo che assume carattere lesivo [8].

La maggioranza della dottrina propende in ogni caso per il carattere costitutivo del provvedimento finale, verso il quale depone anche la possibilità di richiedere ai proponenti dell’istanza o ai progettisti chiarimenti o ulteriore documentazione, prevista dal comma 8 dell’articolo 14-ter, un dato che attesta la permanenza di uno spazio di valutazione discrezionale per l’amministrazione procedente [9].

La necessità di un provvedimento finale viene giustificata proprio perché è con l’emanazione di questo che si producono gli effetti tipici derivanti dalla conclusione del procedimento. Mentre la determinazione conclusiva condiziona il profilo sostanziale del potere amministrativo, il provvedimento finale è indispensabile ai fini della produzione degli effetti giuridici [10]. Se la prima costituisce il risultato finale del processo logico di decisione, il secondo rappresenta il momento costitutivo degli effetti giuridici. La tesi che assegna la conferenza alla sola fase istruttoria si fonda sull’erronea riduzione della fase decisoria alla sola fase costitutiva degli effetti, ovvero alla sola adozione formale del provvedimento finale, laddove «la determinazione del voluto è proprio ciò che contraddistingue lo stato terminale del processo decisionale, coincidendo totalmente con la decisione definitivamente compiuta» [11].

In effetti, il sistema del dissenso postumo sopravvissuto fino alla Legge n. 15 del 2005 non garantiva affatto che il provvedimento finale avesse sempre natura dichiarativa, perché, nei trenta giorni successivi alla determinazione conclusiva, la maggioranza delle amministrazioni che – pur presenti – non si erano espresse in quella sede poteva far mutare l’orientamento adottato a maggioranza e confluito nella determinazione conclusiva.

In tal caso, il provvedimento finale adottato dall’amministrazione procedente avrebbe inevitabilmente assunto natura costitutiva e non meramente dichiarativa. In sostanza, esso assumeva una natura duplice, o meglio asimmetrica, dichiarativa o costitutiva a seconda del numero di amministrazioni silenti che si riscontravano al termine dei lavori conferenziali. Qualora tale numero non fosse stato comunque sufficiente ad operare un capovolgimento della maggioranza espressasi in conferenza, il provvedimento finale avrebbe assunto una veste sostanzialmente confermativa della determinazione conclusiva e dunque dichiarativa, con decorrenza del termine di impugnazione dalla sua effettiva conoscenza.

Nel caso, invece, in cui il numero di amministrazioni silenti fosse stato così elevato da rendere ipotizzabile un mutamento di indirizzo a seguito del possibile rilascio del dissenso postumo, per far scattare il termine decadenziale sarebbe stato necessario attendere lo scadere dei trenta giorni dalla data di ricezione della determinazione conclusiva – come previsto dal previgente comma 7 dell’articolo 14-ter – e, quindi, l’adozione del provvedimento finale costitutivo degli effetti, il quale avrebbe ben potuto essere difforme dalla determinazione conclusiva, non foss’altro per evitare in extremis il perfezionamento di un vizio di legittimità [12].

Di tale rischio è pienamente consapevole la stessa giurisprudenza, la quale, pur esprimendosi a favore dell’interpretazione dichiarativa, riconosce che «il provvedimento conclusivo, quando non ribalti le decisioni prese in sede di conferenza, è atto meramente confermativo e consequenziale delle determinazioni assunte in sede di conferenza» [13]. Anche laddove si accoglie la concezione endoprocedimentale, non si sottace che la possibilità del dissenso postumo amplifica la distinzione tra i due atti, per cui, anche successivamente alla pronuncia positiva da parte della conferenza di servizi, non è affatto preclusa alle amministrazioni assenti o dissenzienti la possibilità di esprimere il proprio dissenso nei confronti delle conclusioni emerse in tale sede, con le conseguenze disciplinate dall’articolo 14-quater e che, in taluni casi, possono giungere sino a porre nel nulla le determinazioni assunte in conferenza [14].

3. La concezione endoprocedimentale

La concezione endoprocedimentale della determinazione conclusiva, con il corollario della natura costitutiva del provvedimento finale, resta comunque maggioritaria.

Essa è stata inaugurata da alcune pronunce del Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana successive alla Legge n. 15 del 2005, a partire dalle quali si è iniziato ad individuare nella conferenza di servizi una struttura bifasica: il momento istruttorio, caratterizzato dall’acquisizione degli avvisi dei soggetti pubblici necessariamente coinvolti, e il momento conclusivo, costituito dal provvedimento successivo e monocratico adottato dall’amministrazione procedente tenendo conto degli esiti della conferenza [15].

Peraltro, in precedenza la giurisprudenza aveva già affermato che la determinazione conclusiva della conferenza rappresentava un atto di impulso per l’adozione del successivo provvedimento [16], mentre la nozione di “determinazione conclusiva della conferenza di servizi” non poteva essere sovrapposta a quella di “determinazione conclusiva del procedimento”, dato che, indipendentemente dall’esito della conferenza, in essa non si verificava l’effetto di sottrarre al responsabile del procedimento la competenza all’emanazione dell’atto conclusivo della serie procedimentale [17].

La concezione endoprocedimentale viene ampliata ed sistematizzata dalla fondamentale sentenza del Consiglio di Stato n. 5620 del 2008 alla luce delle modifiche introdotte dalla Legge n. 15 del 2005, con argomentazioni riprese da larga parte della successiva giurisprudenza sia di primo che di secondo grado [18].

Tre le principali motivazioni alla base di tale orientamento vi è anzitutto l’espressa abrogazione ad opera della novella legislativa del comma 2 dell’articolo 14-quater, che prevedeva l’immediata esecutività della determinazione conclusiva. La sua espunzione dall’ordinamento non può essere intesa se non come espressione di chiara “voluntas legis” volta al superamento del carattere di autonoma impugnabilità della richiamata determinazione conclusiva.

In secondo luogo, in tal senso depone la formulazione del comma 6-bis dell’articolo 14-ter quale uscito dalla riforma, che indica chiaramente come la conferenza non si concluda con un provvedimento, che è rimesso all’amministrazione procedente, e costituisce dunque un posterius rispetto alla conclusione del procedimento conferenziale [19]. La formulazione della disposizione in esame rafforza il ruolo e la responsabilità dell’amministrazione procedente, sulla quale si concentra l’imputazione di responsabilità derivante dall’assunzione della decisione amministrativa che segue la valutazione collegiale, responsabilità che non è condivisa dagli altri partecipanti alla conferenza.

A favore della concezione endoprocedimentale depone poi magistralmente l’abrogazione del successivo comma 7 dell’articolo 14-ter, che consentiva alle amministrazioni dissenzienti di impugnare direttamente la determinazione conclusiva.

Nello stesso senso milita anche il comma 9 dello stesso articolo, che parla esplicitamente di atto provvedimentale. L’espressione «provvedimento finale, conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6-bis» implica chiaramente una distinzione, sia logica che cronologica, tra i due momenti [20]. Il mantenimento della disposizione da parte della Legge n. 15 del 2005 non potrebbe essere considerato una svista – «una sorta di lapsus calami» – del legislatore, ma corrisponde ad un preciso intento normativo.

Parimenti, anche la volontà di anticipare già al momento della conclusione dei lavori della conferenza la manifestazione delle volontà delle amministrazioni partecipanti, come attesta l’abrogazione del meccanismo del dissenso postumo, non implica che le stesse esigenze di semplificazione e concentrazione alla base di tale specifica modifica richiedano una svalutazione sistematica delle ragioni sottese alla distinzione tra momento procedimentale e momento provvedimentale.

Il mantenimento della struttura dicotomica risponde poi all’esigenza di consentire che il cittadino interessato dal procedimento abbia come proprio referente ed interlocutore il solo responsabile del complessivo procedimento e quindi un’unica amministrazione, mentre le relazioni tra amministrazioni ben possono restare confinate all’interno dei processi decisionali della pubblica amministrazione.

Tale sistema bifasico appare oltretutto pienamente coerente con le linee di politica legislativa sottese alla Legge n. 15 del 2005, volta ad enfatizzare la valenza sistematica e la piena autonomia concettuale del momento provvedimentale nell’ambito dell’azione amministrativa.

La scelta di mantenere un provvedimento espresso come momento conclusivo dell’iter conferenziale appare anche ispirata dalla volontà di lasciare inalterato il complessivo sistema di garanzie trasfuso nel nuovo Capo IV-bis sull’efficacia e l’invalidità del provvedimento amministrativo, con particolare riguardo all’onere di comunicazione, all’acquisto di efficacia e all’esecutorietà del provvedimento.

Diversamente opinando, si arriverebbe a configurare irragionevolmente, in capo agli altri partecipanti alla conferenza, l’assunzione occasionale di un potere pubblico non di loro competenza, senza responsabilità né preposizione, non previsto dalla legge che regola il singolo procedimento, con sospetto di violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione.

Tale orientamento respinge poi la tesi secondo cui per l’assolvimento dell’onere motivazionale sia sempre sufficiente un mero richiamo al verbale della conferenza. Nel caso in cui il provvedimento finale disattenda in tutto o in parte gli esiti della conferenza, ed in particolare le posizioni prevalenti emerse in quella sede e di cui il comma 6-bis dell’articolo 14-ter impone si tenga conto, risulterà assoggettato allo specifico obbligo di motivazione previsto da tale disposizione.

Qualora, invece, esso aderisca ai contenuti della conferenza, approvandoli e considerandoli come definitivi, l’obbligo di motivazione potrà ben essere soddisfatto “per relationem”, mediante il semplice richiamo al verbale, come affermato dall’opposto orientamento per la generalità dei casi [21], fermo restando che l’atto lesivo non è il verbale ma il provvedimento finale, che resta il solo atto con cui l’amministrazione procedente prende posizione sui risultati della conferenza, approvandoli o discostandosene, e quindi manifesta la sua volontà al riguardo [22].

Indubbiamente, nel sistema delineato dalla Legge n. 340 del 2000, il rapporto tra determinazione conclusiva e provvedimento finale era lacunoso. In particolare, oltre alle critiche sul dimezzamento del termine di decadenza ordinario, non poche incertezze erano emerse sulle possibilità di tutela giurisdizionale contro il provvedimento finale per l’amministrazione che aveva espresso il proprio avviso fuori conferenza.

La giurisprudenza sembrava avere delineato una sorta di ripartizione in base alla quale ai soggetti estranei alla conferenza era riservata la possibilità di impugnare per vizi sostanziali il provvedimento finale entro l’ordinario termine di decadenza dei sessanta giorni, prerogativa che era invece preclusa alle amministrazioni partecipanti alla conferenza, cui era tendenzialmente riservata la possibilità di impugnare la determinazione conclusiva ai sensi del comma 7 dell’articolo 14-ter, ossia entro trenta giorni dalla sua adozione, per vizi procedimentali, e in particolare per ragioni legate al mancato rispetto delle regole di organizzazione della conferenza o di quelle fissate per legge o di quelle stabilite dalla stessa conferenza, nella misura in cui la loro violazione avesse inciso negativamente sul corretto svolgimento dei lavori della conferenza e sui diritti delle amministrazioni partecipanti [23].

D’altra parte, dalla stessa premessa dell’abrogazione del dissenso postumo e della possibilità di impugnare la determinazione conclusiva entro il termine di trenta giorni, disposta dalla Legge n. 15 del 2005, è stata tratta conferma tanto del carattere costitutivo del provvedimento finale, come ha fatto la giurisprudenza maggioritaria, quanto, all’opposto, del carattere dichiarativo dello stesso, perché con tali modifiche è sembrato venir meno il problema stesso del momento in cui impugnare gli atti della conferenza, essendovi piena conformità tra il contenuto della determinazione conclusiva e quello del provvedimento finale. Poiché la lesione si radica dunque già nell’atto che sancisce la chiusura dei lavori della conferenza, trova conferma l’orientamento giurisprudenziale in base al quale il provvedimento finale costituisce «atto meramente esecutivo e consequenziale delle determinazioni assunte in sede di conferenza di servizi» [24].

Il tema in esame è poi inevitabilmente connesso a quello della natura giuridica della conferenza di servizi [25]. È evidente, infatti, che ove la conferenza abbia valore organizzativo, configurando un organo collegiale comune, la deliberazione conclusiva avrebbe valore provvedimentale e sarebbe imputabile alla conferenza in quanto tale e non alle amministrazioni partecipanti. Per contro, come riconosce ormai la giurisprudenza dominante a partire dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 1193 del 1999, qualora la conferenza costituisca solo un modulo procedimentale, essa resterebbe solo uno strumento di semplificazione e di accelerazione delle procedure amministrative, senza effetti sulle competenze delle amministrazioni ad essa partecipanti.

Nel quadro dell’orientamento maggioritario natura endoprocedimentale della determinazione conclusiva e carattere non organico della conferenza sono spesso considerati come due aspetti strettamente interrelati [26]. Se per una parte della giurisprudenza che sposa la concezione esoprocedimentale occorre «considerare la conferenza quale unico organo collegiale qualificato ad esprimere il provvedimento di sua competenza e la relativa motivazione» [27], per l’opposto orientamento la necessità dell’adozione di un provvedimento finale in grado di responsabilizzare l’amministrazione procedente discende proprio dall’assenza di carattere organico della conferenza [28], atteso che la natura di modulo procedimentale della conferenza è il presupposto stesso dell’assenza di valore provvedimentale del relativo verbale [29].

La concezione endoprocedimentale della determinazione conclusiva è connessa quindi alla particolare soluzione data alla questione della natura giuridica della conferenza di servizi, nel senso che, proprio perché è solo un modulo procedimentale e non costituisce un ufficio speciale della pubblica amministrazione, autonomo rispetto ai soggetti che vi partecipano, essa riverbera certamente i suoi effetti di natura procedimentale sull’atto finale, ma non assurge alla dignità di organo ad hoc [30]. Il compito della conferenza di servizi è quello di procedere ad un esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti e di comporre le discrezionalità amministrative e i poteri spettanti alle amministrazioni partecipanti, ponendosi come momento di confluenza delle volontà dei singoli enti, «il cui coagulo è rappresentato dal verbale della conferenza che deve trovare esatta corrispondenza nel contenuto del provvedimento finale» [31].

 4. Sviluppi recenti e rilievi critici

Dopo la sentenza del Consiglio di Stato n. 5620 del 2008 la successiva giurisprudenza che ha accolto la concezione costitutiva del provvedimento finale non ha evidenziato una particolare elaboratezza argomentativa, assumendo tale pronuncia quale parametro di paragone indefettibile ma senza apportarvi grossi apporti chiarificatori [32].

Degno di nota è, semmai, che negli ultimi anni tale orientamento ha mostrato una decisa accentuazione del momento provvedimentale, con affermazioni che vanno nella direzione del riconoscimento di ampi margini decisionali all’amministrazione procedente. Si sottolinea, infatti, con enfasi «l’autonomia del potere provvedimentale dell’autorità procedente» [33], cui «non può non corrispondere un’autonomia di valutazione» [34] nell’adozione del provvedimento finale, «espressione di un’ulteriore e autonoma attività specificamente demandata all’amministrazione procedente» [35], un potere «affatto legato da un nesso di presupposizione/consequenzialità automatica con le determinazioni della conferenza, né, specularmente, in caso di patologia delle delibere conferenziali, da un effetto caducatorio automatico all’eventuale invalidità di quest’ultime» [36].

Tali risolute prese di posizione, sottraendo rilievo alla determinazione conclusiva e valorizzando il provvedimento finale, non hanno tardato a sollevare critiche per la possibile alterazione della ripartizione di competenze tra le amministrazioni coinvolte nella conferenza a tutto vantaggio dell’amministrazione procedente, con il rischio di una svalutazione del momento comparativo e di confronto dell’attività conferenziale [37].

Il ruolo sempre maggiore attribuito all’amministrazione procedente, in disconoscimento della reale portata della distinzione tra determinazione conclusiva e provvedimento finale, è parso uno snaturamento dell’istituto rispetto alle finalità impressegli dal legislatore [38].

Non è tanto il carattere costitutivo del provvedimento finale e l’approccio ricostruttivo che configura in termini dicotomici la struttura della conferenza di servizi ad attirare le critiche, quanto l’equazione tra natura costitutiva del provvedimento finale e scarsa rilevanza della determinazione conclusiva [39].

Laddove la giurisprudenza prospetta che la negazione della struttura dicotomica implicherebbe la necessità di configurare, in capo alle altre amministrazioni partecipanti alla conferenza, «l’assunzione occasionale di un potere pubblico non di loro competenza, senza responsabilità né preposizione, non previsto dalla legge che regola il singolo procedimento», cosicché «la conferenza diverrebbe da occasione procedimentale di accelerazione e coordinamento dei casi complessi, qual è, luogo privato di formazione collegiale della decisione, vale a dire organo decidente» [40], essa pare dimenticare che per la dottrina largamente prevalente la finalità primaria della conferenza di servizi è la comparazione contestuale e comune degli interessi e non la semplificazione e l’accelerazione del procedimento [41].

Il rischio è, insomma, che, sotto l’involucro della semplificazione, si miri in realtà ad affermare una preminenza di ruoli e interessi non coerente con la garanzia delle competenze [42].

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[1] Cfr. D. D’Orsogna, Conferenza di servizi ed amministrazione della complessità, Torino, 2002, p. 259.

[2] Come ben sottolineano Cons. Stato, sez. VI, 11 novembre 2008, n. 5620, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 3 dicembre 2009, n. 7570, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2417, in http://www.giustizia-amministrativa.it. Tale orientamento è costituito essenzialmente da T.A.R. Veneto, sez. II, 24 gennaio 2003, n. 672, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 1 ottobre 2003, n. 5708, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Toscana, sez. I, 1 marzo 2005, n. 978, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[3] Nella versione antecedente la l. n. 15 del 2005 la disposizione stabiliva infatti che «si considera acquisito l’assenso dell’amministrazione il cui rappresentante non abbia espresso definitivamente la volontà dell’amministrazione rappresentata e non abbia notificato all’amministrazione procedente, entro il termine di trenta giorni dalla data di ricezione della determinazione di conclusione del procedimento, il proprio motivato dissenso, ovvero nello stesso termine non abbia impugnato la determinazione conclusiva della conferenza di servizi».

[4] Cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 9 ottobre 2009, n. 1736, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[5] Cfr. G. Fares, La conferenza di servizi dopo la l. 24 novembre 2000, n. 340, in St. iur., 2001, pp. 807 ss., p. 817.

[6] S. Agnes, Commento all’articolo 14 legge n. 241/1990, in Nuove leggi civili comm., 1995, pp. 80 ss., p. 83.

[7] Cfr. G. Morbidelli, Il procedimento amministrativo, in L. Mazzarolli-G. Pericu-A. Romano-F.A. Roversi Monaco-F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, 4a ed., Bologna, 2005, vol. II, pp. 531 ss., p. 704.

[8] Cfr. S. Civitarese Matteucci, Conferenza di servizi (dir. amm.), in Enc. dir., Ann., vol. II, t. 2, Milano, 2008, pp. 271 ss., pp. 288.

[9] Cfr. P. De Geronimo, La conferenza di servizi: innovazioni, cambiamenti e conferme nella l. 115/2005, in G. Clemente di San Luca (a cura di), La nuova disciplina dell’attività amministrativa dopo la riforma della legge sul procedimento, Torino, 2005, pp. 369 ss., p. 373.

[10] Cfr. P. Bertini, La conferenza di servizi, in Dir. amm., 1997, pp. 271 ss., p. 326; F. Caringella-M. Santini, Il nuovo volto della conferenza di servizi, in F. Caringella-D. De Carolis-G. De Marzo (a cura di), Le nuove regole dell’azione amministrativa dopo le leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, Milano, 2005, pp. 493 ss., p. 548; D. Ponte, sub articolo 14, in S. Cogliani (a cura di), Commentario alla legge sul procedimento amministrativo. L. n. 241 del 1990 e successive modificazioni, 2a ed., Padova, 2007, pp. 593 ss., p. 607.

[11] F.G. Scoca, Analisi giuridica della conferenza di servizi, in Dir. amm., 1999, pp. 255 ss., p. 267.

[12] Cfr. Caringella-Santini, op. cit., pp. 545 s.; DE Geronimo, op. cit., p. 379; M. Santini, Analisi della recente giurisprudenza del Consiglio di Stato in tema di conferenza di servizi, in Urb. e app., 2004, pp. 512 ss., p. 517.

[13] T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 9 ottobre 2009, n. 1737, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[14] Cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 7 giugno 2005, n. 3131, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[15] Cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 12 ottobre 2006, n. 4274, in http://www.giustizia-amministrativa.it; id., sez. II, 20 ottobre 2006, n. 4565, in http://www.giustizia-amministrativa.it; id., sez. I, 7 marzo 2007, n. 292, in http://www.giustizia-amministrativa.it; id., sez. II, 14 marzo 2007, n. 383, in http://www.giustizia-amministrativa.it; id., T.A.R. Toscana, sez. II, 18 maggio 2007, n. 758, in http://www.giustizia-amministrativa.it. Sul punto cfr. M. Santini, Note sparse sulla giurisprudenza in tema di conferenza di servizi, in Urb. e app., 2008, pp. 20 ss., pp. 24 ss.

[16] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 maggio 2004, n. 2874, in http://www.giustizia-amministrativa.it. Nello stesso senso più di recente cfr. T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 20 ottobre 2009, n. 1118, in http://www.giustizia-amministrativa.it e Cons. Stato, sez. V, 31 ottobre 2013, n. 5254, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[17] Cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 7 giugno 2005, n. 3131, cit.; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 24 settembre 2009, n. 5048, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Toscana, sez. III, 26 novembre 2010, n. 6635, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[18] Per la quale, cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 3 dicembre 2009, n. 7570, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 9 novembre 2010, n. 7981, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 31 gennaio 2011, n. 712, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2378, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 11 novembre 2011, n. 5286, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 13 gennaio 2012, n. 141, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-quater, 14 maggio 2012, n. 4308, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2417, cit.

[19] Cfr. T.A.R. Umbria, sez. I, 21 maggio 2012, n. 192, in http://www.giustizia-amministrativa.it. Tale disposizione, infatti, «testimonia dell’architettura che il legislatore ha voluto fare propria nel fissare le regole di funzionamento dell’istituto della conferenza di servizi e che si compendia nella necessità che rispetto all’esito dei lavori della conferenza di servizi decisoria si sostituisca pur sempre un provvedimento conclusivo del procedimento (del quale la conferenza costituisce solo un passaggio procedurale), avente la veste di atto adottato (di regola e tranne specifiche eccezioni) da un organo monocratico dell’amministrazione procedente» (T.A.R. Toscana, sez. II, 12 ottobre 2006, n. 4274, cit.; id., sez. I, 7 marzo 2007, n. 292, cit.; id., sez. II, 14 marzo 2007, n. 383, cit.; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 5 aprile 2007, n. 291, in http://www.giustizia-amministrativa.it).

[20] Cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 24 settembre 2009, n. 5048, cit. e T.A.R. Toscana, sez. III, 26 novembre 2010, n. 6635, cit.

[21] Cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 9 ottobre 2009, n. 1737, cit.

[22] Cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 19 maggio 2010, n. 1523, in http://www.giustizia-amministrativa.it e T.A.R. Toscana, sez. II, 22 dicembre 2010, n. 6798, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[23] Cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 11 aprile 2003, n. 1387, in http://www.giustizia-amministrativa.it. Sul punto cfr. Caringella-Santini, op. cit., p. 541 e, ivi, nt. 55.

[24] Cfr. Caringella-Santini, op. cit., p. 547, che richiama Cons. Stato, sez. VI, 1 ottobre 2003, n. 5708, cit. Sul punto cfr. anche G. Cocozza, Il provvedimento finale della conferenza di servizi, in Dir. amm., 2012, pp. 503 ss., p. 521.

[25] Sul punto sia consentito il rinvio a R. Musone, La conferenza di servizi in materia ambientale, Roma, 2013, pp. 41 ss.

[26] Cfr., fra i tanti, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 2 ottobre 2009, n. 1014, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Liguria, sez. I, 2 luglio 2013, n. 982, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Toscana, sez. II, 16 settembre 2013, n. 1261, in http://www.giustizia-amministrativa.it

[27] Cons. Stato, sez. VI, 1 ottobre 2003, n. 5708, cit. Vedi però, quando ormai la concezione organicista risulta recessiva, T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 13 agosto 2007, n. 3068, in http://www.giustizia-amministrativa.it, la quale, pur specificando che il contenuto del verbale, «per il suo carattere dichiaratamente deliberativo e decisorio, lo rendeva concretamente e direttamente lesivo, giustificandone dunque l’immediata impugnabilità», chiarisce che la conferenza di servizi «non ha natura di organo collegiale ma costituisce una modalità di semplificazione dell’azione amministrativa, finalizzata, nella sua accezione decisoria, alla più celere formazione di atti complessi, ossia di atti per la cui formazione è necessario il concorso di volontà di più amministrazioni».

[28] Cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 26 luglio 2007, n. 1254, cit.

[29] Cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 22 gennaio 2014, n. 63, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[30] Cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 31 agosto 2010, n. 5145, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[31] T.A.R. Toscana, sez. II, 12 ottobre 2006, n. 4274, cit.; id., sez. II, 20 ottobre 2006, n. 4565, cit.; id., sez. II, 14 marzo 2007, n. 383, cit.; id., sez. II, 18 maggio 2007, n. 758, cit. A tale problematica, a ben vedere, non è estranea nemmeno la tematica della motivazione. In tal senso si è affermato che, «proprio perché la conferenza di servizi non è un organo a sé, ma un raggruppamento di organi di una pluralità di enti, ben può ammettersi che non vi sia una autonoma motivazione dell’atto finale della conferenza, ma che la motivazione si desuma, “per relationem”, dagli argomenti esposti dagli organi che si sono espressi in seno alla conferenza» (Cons. Stato, sez. VI, 11 dicembre 2006, n. 7217, in http://www.giustizia-amministrativa.it).

[32] Cfr. Cocozza, op cit., pp. 513 ss.

[33] Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2378, cit.; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 11 novembre 2011, n. 5286, cit.; T.A.R. Umbria, sez. I, 21 maggio 2012, n. 192, cit.; T.A.R. Toscana, sez. II, 8 ottobre 2013, n. 1344, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[34] Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2378, cit.

[35] T.A.R. Veneto, sez. I, 18 dicembre 2012, n. 1573, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[36] Cons. Stato, sez. VI, 31 gennaio 2011, n. 712, cit.; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 11 novembre 2011, n. 5286, cit.; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 13 gennaio 2012, n. 141, cit.; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-quater, 14 maggio 2012, n. 4308, cit.

[37] Cfr. Cocozza, op cit., pp. 515 ss.

[38] Cfr., in senso particolarmente critico, I. Cacciavillani, Determinazione della conferenza di servizi e atto finale del procedimento; un equivoco apicale, in Lexitalia.it, n. 7-8/2011.

[39] Cfr. Cocozza, op. cit., p. 526.

[40] Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2378, cit.

[41] Cfr. Cocozza, op. cit., p. 525, che richiama Scoca, op. cit., p. 259 e Bertini, op. cit., p. 271.

[42] Id., p. 527.

1. La concezione esoprocedimentale tradizionale

A partire dalla Legge n. 340 del 2000 – con l’inserimento del comma 9 nell’articolo 14-ter della Legge n. 241 del 1990, poi modificato dalla Legge n. 15 del 2005 e infine abrogato dal Decreto Legge n. 78 del 2010 – il problema del rapporto tra le previgenti «determinazioni concordate» in conferenza e il provvedimento finale viene affrontato apertamente, nel suo duplice aspetto della necessità o meno che le prime siano seguite da un provvedimento formale, avente valore e significato costitutivo degli effetti, e, in caso affermativo, dell’individuazione del grado di vincolatività della determinazione conclusiva rispetto al provvedimento finale [1].

Sin dalle prime riflessioni giurisprudenziali la contrapposizione tra la concezione esoprocedimentale e quella endoprocedimentale si rivela inscindibilmente legata alla questione della natura dichiarativa o costitutiva del provvedimento finale, distinzione la cui importanza è apprezzabile anzitutto sotto il profilo della decorrenza del termine per l’impugnazione. Propendendo infatti per la natura dichiarativa, l’atto lesivo dal quale decorre il termine decadenziale è la determinazione conclusiva e non il provvedimento finale, per cui la tempestività dell’impugnazione di quest’ultimo non vale a consentire la rimessione in termini se il ricorso contro la determinazione conclusiva è tardivo.

Nella vigenza della Legge n. 340 del 2000 la giurisprudenza – per quanto assai scarsa [2] – afferma il carattere dichiarativo del provvedimento finale, non lesivo ex se, e la natura esoprocedimentale ed immediatamente lesiva della determinazione conclusiva.

A favore di tale interpretazione depone, anzitutto, il previgente comma 2 dell’articolo 14-quater, che definisce come «immediatamente esecutiva» la determinazione finale, un dato dal quale è possibile dedurre l’inutilità di un provvedimento ulteriore.

Nella stessa direzione milita il fatto che anche l’amministrazione procedente manifesta il suo avviso nella conferenza e non può poi modificare le indicazioni emerse in tale sede, sia per la previsione di conformità della determinazione conclusiva al provvedimento finale stabilita dal comma 9 dell’articolo 14-ter, sia perché è comunque illogica e contraria alla ratio della norma la possibilità di una rielaborazione della determinazione conclusiva, che costituisce il risultato dell’incontro delle volontà di più amministrazioni.

In tal senso depone poi il comma 7 dell’articolo 14-ter, che consente l’immediata impugnazione della determinazione conclusiva da parte dell’amministrazione dissenziente prima del recepimento nel provvedimento finale [3], il che porta ad escludere che l’atto produttivo degli effetti lesivi sia quest’ultimo, mentre sarebbe assurda la previsione dell’impugnabilità di una determinazione priva di effetti esterni.

Infine, a favore di tale opzione ermeneutica depone il successivo comma 9, che subordina l’operatività dell’effetto sostitutivo del provvedimento finale rispetto agli atti di assenso alla sua conformità alla determinazione conclusiva.

La concezione esoprocedimentale si riverbera poi anche sulla questione della motivazione del provvedimento finale. Infatti, l’insussistenza di un obbligo dell’amministrazione procedente di motivare il provvedimento che recepisce gli esiti della conferenza in maniera più articolata di un mero richiamo al verbale discende proprio dalla natura dichiarativa dell’atto provvedimentale, meramente confermativo e consequenziale della determinazione conclusiva [4].

2. La dottrina

A favore della natura dichiarativa del provvedimento finale si è espressa una parte autorevole della dottrina, attribuendogli natura di atto ricognitivo con funzione esternativa [5], «mera sanzione del deliberato della conferenza» [6].

Da un lato, la circostanza che con l’istituto del dissenso postumo successivamente possa avvenire un mutamento di maggioranza non è ostativa a tale interpretazione, perché in tal caso il provvedimento finale non risulterà conforme alla determinazione conclusiva, come richiesto invece dal comma 9, per cui l’amministrazione procedente si limiterà a prendere atto del venir meno della determinazione favorevole e, quindi, il provvedimento avrà anche in tal caso natura dichiarativa. Dall’altro, non costituisce un ostacolo in tal senso l’effetto sostitutivo, trattandosi di una conseguenza legale tipica dell’atto dichiarativo [7].

Talora si nega qualunque carattere decisorio al provvedimento finale deducendo la sua funzione meramente iterativa del contenuto della determinazione conclusiva dalla necessità della conformità ad essa sancita dal comma 9 dell’articolo 14-ter. Nondimeno, la distinzione tra natura dichiarativa e natura costitutiva del provvedimento finale, quantunque di dirimente importanza nella problematica in esame, è ritenuta assai dubbia, dato che vi sono atti che la giurisprudenza definisce dichiarativi (ad esempio quelli che dichiarano la decadenza di un permesso di costruire) ritenendoli ciononostante lesivi ed impugnabili. Di fatto, poiché si riconduce al provvedimento finale l’effetto sostitutivo di ogni atto di assenso, è quest’ultimo che assume carattere lesivo [8].

La maggioranza della dottrina propende in ogni caso per il carattere costitutivo del provvedimento finale, verso il quale depone anche la possibilità di richiedere ai proponenti dell’istanza o ai progettisti chiarimenti o ulteriore documentazione, prevista dal comma 8 dell’articolo 14-ter, un dato che attesta la permanenza di uno spazio di valutazione discrezionale per l’amministrazione procedente [9].

La necessità di un provvedimento finale viene giustificata proprio perché è con l’emanazione di questo che si producono gli effetti tipici derivanti dalla conclusione del procedimento. Mentre la determinazione conclusiva condiziona il profilo sostanziale del potere amministrativo, il provvedimento finale è indispensabile ai fini della produzione degli effetti giuridici [10]. Se la prima costituisce il risultato finale del processo logico di decisione, il secondo rappresenta il momento costitutivo degli effetti giuridici. La tesi che assegna la conferenza alla sola fase istruttoria si fonda sull’erronea riduzione della fase decisoria alla sola fase costitutiva degli effetti, ovvero alla sola adozione formale del provvedimento finale, laddove «la determinazione del voluto è proprio ciò che contraddistingue lo stato terminale del processo decisionale, coincidendo totalmente con la decisione definitivamente compiuta» [11].

In effetti, il sistema del dissenso postumo sopravvissuto fino alla Legge n. 15 del 2005 non garantiva affatto che il provvedimento finale avesse sempre natura dichiarativa, perché, nei trenta giorni successivi alla determinazione conclusiva, la maggioranza delle amministrazioni che – pur presenti – non si erano espresse in quella sede poteva far mutare l’orientamento adottato a maggioranza e confluito nella determinazione conclusiva.

In tal caso, il provvedimento finale adottato dall’amministrazione procedente avrebbe inevitabilmente assunto natura costitutiva e non meramente dichiarativa. In sostanza, esso assumeva una natura duplice, o meglio asimmetrica, dichiarativa o costitutiva a seconda del numero di amministrazioni silenti che si riscontravano al termine dei lavori conferenziali. Qualora tale numero non fosse stato comunque sufficiente ad operare un capovolgimento della maggioranza espressasi in conferenza, il provvedimento finale avrebbe assunto una veste sostanzialmente confermativa della determinazione conclusiva e dunque dichiarativa, con decorrenza del termine di impugnazione dalla sua effettiva conoscenza.

Nel caso, invece, in cui il numero di amministrazioni silenti fosse stato così elevato da rendere ipotizzabile un mutamento di indirizzo a seguito del possibile rilascio del dissenso postumo, per far scattare il termine decadenziale sarebbe stato necessario attendere lo scadere dei trenta giorni dalla data di ricezione della determinazione conclusiva – come previsto dal previgente comma 7 dell’articolo 14-ter – e, quindi, l’adozione del provvedimento finale costitutivo degli effetti, il quale avrebbe ben potuto essere difforme dalla determinazione conclusiva, non foss’altro per evitare in extremis il perfezionamento di un vizio di legittimità [12].

Di tale rischio è pienamente consapevole la stessa giurisprudenza, la quale, pur esprimendosi a favore dell’interpretazione dichiarativa, riconosce che «il provvedimento conclusivo, quando non ribalti le decisioni prese in sede di conferenza, è atto meramente confermativo e consequenziale delle determinazioni assunte in sede di conferenza» [13]. Anche laddove si accoglie la concezione endoprocedimentale, non si sottace che la possibilità del dissenso postumo amplifica la distinzione tra i due atti, per cui, anche successivamente alla pronuncia positiva da parte della conferenza di servizi, non è affatto preclusa alle amministrazioni assenti o dissenzienti la possibilità di esprimere il proprio dissenso nei confronti delle conclusioni emerse in tale sede, con le conseguenze disciplinate dall’articolo 14-quater e che, in taluni casi, possono giungere sino a porre nel nulla le determinazioni assunte in conferenza [14].

3. La concezione endoprocedimentale

La concezione endoprocedimentale della determinazione conclusiva, con il corollario della natura costitutiva del provvedimento finale, resta comunque maggioritaria.

Essa è stata inaugurata da alcune pronunce del Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana successive alla Legge n. 15 del 2005, a partire dalle quali si è iniziato ad individuare nella conferenza di servizi una struttura bifasica: il momento istruttorio, caratterizzato dall’acquisizione degli avvisi dei soggetti pubblici necessariamente coinvolti, e il momento conclusivo, costituito dal provvedimento successivo e monocratico adottato dall’amministrazione procedente tenendo conto degli esiti della conferenza [15].

Peraltro, in precedenza la giurisprudenza aveva già affermato che la determinazione conclusiva della conferenza rappresentava un atto di impulso per l’adozione del successivo provvedimento [16], mentre la nozione di “determinazione conclusiva della conferenza di servizi” non poteva essere sovrapposta a quella di “determinazione conclusiva del procedimento”, dato che, indipendentemente dall’esito della conferenza, in essa non si verificava l’effetto di sottrarre al responsabile del procedimento la competenza all’emanazione dell’atto conclusivo della serie procedimentale [17].

La concezione endoprocedimentale viene ampliata ed sistematizzata dalla fondamentale sentenza del Consiglio di Stato n. 5620 del 2008 alla luce delle modifiche introdotte dalla Legge n. 15 del 2005, con argomentazioni riprese da larga parte della successiva giurisprudenza sia di primo che di secondo grado [18].

Tre le principali motivazioni alla base di tale orientamento vi è anzitutto l’espressa abrogazione ad opera della novella legislativa del comma 2 dell’articolo 14-quater, che prevedeva l’immediata esecutività della determinazione conclusiva. La sua espunzione dall’ordinamento non può essere intesa se non come espressione di chiara “voluntas legis” volta al superamento del carattere di autonoma impugnabilità della richiamata determinazione conclusiva.

In secondo luogo, in tal senso depone la formulazione del comma 6-bis dell’articolo 14-ter quale uscito dalla riforma, che indica chiaramente come la conferenza non si concluda con un provvedimento, che è rimesso all’amministrazione procedente, e costituisce dunque un posterius rispetto alla conclusione del procedimento conferenziale [19]. La formulazione della disposizione in esame rafforza il ruolo e la responsabilità dell’amministrazione procedente, sulla quale si concentra l’imputazione di responsabilità derivante dall’assunzione della decisione amministrativa che segue la valutazione collegiale, responsabilità che non è condivisa dagli altri partecipanti alla conferenza.

A favore della concezione endoprocedimentale depone poi magistralmente l’abrogazione del successivo comma 7 dell’articolo 14-ter, che consentiva alle amministrazioni dissenzienti di impugnare direttamente la determinazione conclusiva.

Nello stesso senso milita anche il comma 9 dello stesso articolo, che parla esplicitamente di atto provvedimentale. L’espressione «provvedimento finale, conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6-bis» implica chiaramente una distinzione, sia logica che cronologica, tra i due momenti [20]. Il mantenimento della disposizione da parte della Legge n. 15 del 2005 non potrebbe essere considerato una svista – «una sorta di lapsus calami» – del legislatore, ma corrisponde ad un preciso intento normativo.

Parimenti, anche la volontà di anticipare già al momento della conclusione dei lavori della conferenza la manifestazione delle volontà delle amministrazioni partecipanti, come attesta l’abrogazione del meccanismo del dissenso postumo, non implica che le stesse esigenze di semplificazione e concentrazione alla base di tale specifica modifica richiedano una svalutazione sistematica delle ragioni sottese alla distinzione tra momento procedimentale e momento provvedimentale.

Il mantenimento della struttura dicotomica risponde poi all’esigenza di consentire che il cittadino interessato dal procedimento abbia come proprio referente ed interlocutore il solo responsabile del complessivo procedimento e quindi un’unica amministrazione, mentre le relazioni tra amministrazioni ben possono restare confinate all’interno dei processi decisionali della pubblica amministrazione.

Tale sistema bifasico appare oltretutto pienamente coerente con le linee di politica legislativa sottese alla Legge n. 15 del 2005, volta ad enfatizzare la valenza sistematica e la piena autonomia concettuale del momento provvedimentale nell’ambito dell’azione amministrativa.

La scelta di mantenere un provvedimento espresso come momento conclusivo dell’iter conferenziale appare anche ispirata dalla volontà di lasciare inalterato il complessivo sistema di garanzie trasfuso nel nuovo Capo IV-bis sull’efficacia e l’invalidità del provvedimento amministrativo, con particolare riguardo all’onere di comunicazione, all’acquisto di efficacia e all’esecutorietà del provvedimento.

Diversamente opinando, si arriverebbe a configurare irragionevolmente, in capo agli altri partecipanti alla conferenza, l’assunzione occasionale di un potere pubblico non di loro competenza, senza responsabilità né preposizione, non previsto dalla legge che regola il singolo procedimento, con sospetto di violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione.

Tale orientamento respinge poi la tesi secondo cui per l’assolvimento dell’onere motivazionale sia sempre sufficiente un mero richiamo al verbale della conferenza. Nel caso in cui il provvedimento finale disattenda in tutto o in parte gli esiti della conferenza, ed in particolare le posizioni prevalenti emerse in quella sede e di cui il comma 6-bis dell’articolo 14-ter impone si tenga conto, risulterà assoggettato allo specifico obbligo di motivazione previsto da tale disposizione.

Qualora, invece, esso aderisca ai contenuti della conferenza, approvandoli e considerandoli come definitivi, l’obbligo di motivazione potrà ben essere soddisfatto “per relationem”, mediante il semplice richiamo al verbale, come affermato dall’opposto orientamento per la generalità dei casi [21], fermo restando che l’atto lesivo non è il verbale ma il provvedimento finale, che resta il solo atto con cui l’amministrazione procedente prende posizione sui risultati della conferenza, approvandoli o discostandosene, e quindi manifesta la sua volontà al riguardo [22].

Indubbiamente, nel sistema delineato dalla Legge n. 340 del 2000, il rapporto tra determinazione conclusiva e provvedimento finale era lacunoso. In particolare, oltre alle critiche sul dimezzamento del termine di decadenza ordinario, non poche incertezze erano emerse sulle possibilità di tutela giurisdizionale contro il provvedimento finale per l’amministrazione che aveva espresso il proprio avviso fuori conferenza.

La giurisprudenza sembrava avere delineato una sorta di ripartizione in base alla quale ai soggetti estranei alla conferenza era riservata la possibilità di impugnare per vizi sostanziali il provvedimento finale entro l’ordinario termine di decadenza dei sessanta giorni, prerogativa che era invece preclusa alle amministrazioni partecipanti alla conferenza, cui era tendenzialmente riservata la possibilità di impugnare la determinazione conclusiva ai sensi del comma 7 dell’articolo 14-ter, ossia entro trenta giorni dalla sua adozione, per vizi procedimentali, e in particolare per ragioni legate al mancato rispetto delle regole di organizzazione della conferenza o di quelle fissate per legge o di quelle stabilite dalla stessa conferenza, nella misura in cui la loro violazione avesse inciso negativamente sul corretto svolgimento dei lavori della conferenza e sui diritti delle amministrazioni partecipanti [23].

D’altra parte, dalla stessa premessa dell’abrogazione del dissenso postumo e della possibilità di impugnare la determinazione conclusiva entro il termine di trenta giorni, disposta dalla Legge n. 15 del 2005, è stata tratta conferma tanto del carattere costitutivo del provvedimento finale, come ha fatto la giurisprudenza maggioritaria, quanto, all’opposto, del carattere dichiarativo dello stesso, perché con tali modifiche è sembrato venir meno il problema stesso del momento in cui impugnare gli atti della conferenza, essendovi piena conformità tra il contenuto della determinazione conclusiva e quello del provvedimento finale. Poiché la lesione si radica dunque già nell’atto che sancisce la chiusura dei lavori della conferenza, trova conferma l’orientamento giurisprudenziale in base al quale il provvedimento finale costituisce «atto meramente esecutivo e consequenziale delle determinazioni assunte in sede di conferenza di servizi» [24].

Il tema in esame è poi inevitabilmente connesso a quello della natura giuridica della conferenza di servizi [25]. È evidente, infatti, che ove la conferenza abbia valore organizzativo, configurando un organo collegiale comune, la deliberazione conclusiva avrebbe valore provvedimentale e sarebbe imputabile alla conferenza in quanto tale e non alle amministrazioni partecipanti. Per contro, come riconosce ormai la giurisprudenza dominante a partire dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 1193 del 1999, qualora la conferenza costituisca solo un modulo procedimentale, essa resterebbe solo uno strumento di semplificazione e di accelerazione delle procedure amministrative, senza effetti sulle competenze delle amministrazioni ad essa partecipanti.

Nel quadro dell’orientamento maggioritario natura endoprocedimentale della determinazione conclusiva e carattere non organico della conferenza sono spesso considerati come due aspetti strettamente interrelati [26]. Se per una parte della giurisprudenza che sposa la concezione esoprocedimentale occorre «considerare la conferenza quale unico organo collegiale qualificato ad esprimere il provvedimento di sua competenza e la relativa motivazione» [27], per l’opposto orientamento la necessità dell’adozione di un provvedimento finale in grado di responsabilizzare l’amministrazione procedente discende proprio dall’assenza di carattere organico della conferenza [28], atteso che la natura di modulo procedimentale della conferenza è il presupposto stesso dell’assenza di valore provvedimentale del relativo verbale [29].

La concezione endoprocedimentale della determinazione conclusiva è connessa quindi alla particolare soluzione data alla questione della natura giuridica della conferenza di servizi, nel senso che, proprio perché è solo un modulo procedimentale e non costituisce un ufficio speciale della pubblica amministrazione, autonomo rispetto ai soggetti che vi partecipano, essa riverbera certamente i suoi effetti di natura procedimentale sull’atto finale, ma non assurge alla dignità di organo ad hoc [30]. Il compito della conferenza di servizi è quello di procedere ad un esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti e di comporre le discrezionalità amministrative e i poteri spettanti alle amministrazioni partecipanti, ponendosi come momento di confluenza delle volontà dei singoli enti, «il cui coagulo è rappresentato dal verbale della conferenza che deve trovare esatta corrispondenza nel contenuto del provvedimento finale» [31].

 4. Sviluppi recenti e rilievi critici

Dopo la sentenza del Consiglio di Stato n. 5620 del 2008 la successiva giurisprudenza che ha accolto la concezione costitutiva del provvedimento finale non ha evidenziato una particolare elaboratezza argomentativa, assumendo tale pronuncia quale parametro di paragone indefettibile ma senza apportarvi grossi apporti chiarificatori [32].

Degno di nota è, semmai, che negli ultimi anni tale orientamento ha mostrato una decisa accentuazione del momento provvedimentale, con affermazioni che vanno nella direzione del riconoscimento di ampi margini decisionali all’amministrazione procedente. Si sottolinea, infatti, con enfasi «l’autonomia del potere provvedimentale dell’autorità procedente» [33], cui «non può non corrispondere un’autonomia di valutazione» [34] nell’adozione del provvedimento finale, «espressione di un’ulteriore e autonoma attività specificamente demandata all’amministrazione procedente» [35], un potere «affatto legato da un nesso di presupposizione/consequenzialità automatica con le determinazioni della conferenza, né, specularmente, in caso di patologia delle delibere conferenziali, da un effetto caducatorio automatico all’eventuale invalidità di quest’ultime» [36].

Tali risolute prese di posizione, sottraendo rilievo alla determinazione conclusiva e valorizzando il provvedimento finale, non hanno tardato a sollevare critiche per la possibile alterazione della ripartizione di competenze tra le amministrazioni coinvolte nella conferenza a tutto vantaggio dell’amministrazione procedente, con il rischio di una svalutazione del momento comparativo e di confronto dell’attività conferenziale [37].

Il ruolo sempre maggiore attribuito all’amministrazione procedente, in disconoscimento della reale portata della distinzione tra determinazione conclusiva e provvedimento finale, è parso uno snaturamento dell’istituto rispetto alle finalità impressegli dal legislatore [38].

Non è tanto il carattere costitutivo del provvedimento finale e l’approccio ricostruttivo che configura in termini dicotomici la struttura della conferenza di servizi ad attirare le critiche, quanto l’equazione tra natura costitutiva del provvedimento finale e scarsa rilevanza della determinazione conclusiva [39].

Laddove la giurisprudenza prospetta che la negazione della struttura dicotomica implicherebbe la necessità di configurare, in capo alle altre amministrazioni partecipanti alla conferenza, «l’assunzione occasionale di un potere pubblico non di loro competenza, senza responsabilità né preposizione, non previsto dalla legge che regola il singolo procedimento», cosicché «la conferenza diverrebbe da occasione procedimentale di accelerazione e coordinamento dei casi complessi, qual è, luogo privato di formazione collegiale della decisione, vale a dire organo decidente» [40], essa pare dimenticare che per la dottrina largamente prevalente la finalità primaria della conferenza di servizi è la comparazione contestuale e comune degli interessi e non la semplificazione e l’accelerazione del procedimento [41].

Il rischio è, insomma, che, sotto l’involucro della semplificazione, si miri in realtà ad affermare una preminenza di ruoli e interessi non coerente con la garanzia delle competenze [42].

***

[1] Cfr. D. D’Orsogna, Conferenza di servizi ed amministrazione della complessità, Torino, 2002, p. 259.

[2] Come ben sottolineano Cons. Stato, sez. VI, 11 novembre 2008, n. 5620, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 3 dicembre 2009, n. 7570, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2417, in http://www.giustizia-amministrativa.it. Tale orientamento è costituito essenzialmente da T.A.R. Veneto, sez. II, 24 gennaio 2003, n. 672, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 1 ottobre 2003, n. 5708, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Toscana, sez. I, 1 marzo 2005, n. 978, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[3] Nella versione antecedente la l. n. 15 del 2005 la disposizione stabiliva infatti che «si considera acquisito l’assenso dell’amministrazione il cui rappresentante non abbia espresso definitivamente la volontà dell’amministrazione rappresentata e non abbia notificato all’amministrazione procedente, entro il termine di trenta giorni dalla data di ricezione della determinazione di conclusione del procedimento, il proprio motivato dissenso, ovvero nello stesso termine non abbia impugnato la determinazione conclusiva della conferenza di servizi».

[4] Cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 9 ottobre 2009, n. 1736, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[5] Cfr. G. Fares, La conferenza di servizi dopo la l. 24 novembre 2000, n. 340, in St. iur., 2001, pp. 807 ss., p. 817.

[6] S. Agnes, Commento all’articolo 14 legge n. 241/1990, in Nuove leggi civili comm., 1995, pp. 80 ss., p. 83.

[7] Cfr. G. Morbidelli, Il procedimento amministrativo, in L. Mazzarolli-G. Pericu-A. Romano-F.A. Roversi Monaco-F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, 4a ed., Bologna, 2005, vol. II, pp. 531 ss., p. 704.

[8] Cfr. S. Civitarese Matteucci, Conferenza di servizi (dir. amm.), in Enc. dir., Ann., vol. II, t. 2, Milano, 2008, pp. 271 ss., pp. 288.

[9] Cfr. P. De Geronimo, La conferenza di servizi: innovazioni, cambiamenti e conferme nella l. 115/2005, in G. Clemente di San Luca (a cura di), La nuova disciplina dell’attività amministrativa dopo la riforma della legge sul procedimento, Torino, 2005, pp. 369 ss., p. 373.

[10] Cfr. P. Bertini, La conferenza di servizi, in Dir. amm., 1997, pp. 271 ss., p. 326; F. Caringella-M. Santini, Il nuovo volto della conferenza di servizi, in F. Caringella-D. De Carolis-G. De Marzo (a cura di), Le nuove regole dell’azione amministrativa dopo le leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, Milano, 2005, pp. 493 ss., p. 548; D. Ponte, sub articolo 14, in S. Cogliani (a cura di), Commentario alla legge sul procedimento amministrativo. L. n. 241 del 1990 e successive modificazioni, 2a ed., Padova, 2007, pp. 593 ss., p. 607.

[11] F.G. Scoca, Analisi giuridica della conferenza di servizi, in Dir. amm., 1999, pp. 255 ss., p. 267.

[12] Cfr. Caringella-Santini, op. cit., pp. 545 s.; DE Geronimo, op. cit., p. 379; M. Santini, Analisi della recente giurisprudenza del Consiglio di Stato in tema di conferenza di servizi, in Urb. e app., 2004, pp. 512 ss., p. 517.

[13] T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 9 ottobre 2009, n. 1737, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[14] Cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 7 giugno 2005, n. 3131, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[15] Cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 12 ottobre 2006, n. 4274, in http://www.giustizia-amministrativa.it; id., sez. II, 20 ottobre 2006, n. 4565, in http://www.giustizia-amministrativa.it; id., sez. I, 7 marzo 2007, n. 292, in http://www.giustizia-amministrativa.it; id., sez. II, 14 marzo 2007, n. 383, in http://www.giustizia-amministrativa.it; id., T.A.R. Toscana, sez. II, 18 maggio 2007, n. 758, in http://www.giustizia-amministrativa.it. Sul punto cfr. M. Santini, Note sparse sulla giurisprudenza in tema di conferenza di servizi, in Urb. e app., 2008, pp. 20 ss., pp. 24 ss.

[16] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 maggio 2004, n. 2874, in http://www.giustizia-amministrativa.it. Nello stesso senso più di recente cfr. T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 20 ottobre 2009, n. 1118, in http://www.giustizia-amministrativa.it e Cons. Stato, sez. V, 31 ottobre 2013, n. 5254, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[17] Cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 7 giugno 2005, n. 3131, cit.; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 24 settembre 2009, n. 5048, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Toscana, sez. III, 26 novembre 2010, n. 6635, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[18] Per la quale, cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 3 dicembre 2009, n. 7570, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 9 novembre 2010, n. 7981, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 31 gennaio 2011, n. 712, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2378, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 11 novembre 2011, n. 5286, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 13 gennaio 2012, n. 141, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-quater, 14 maggio 2012, n. 4308, in http://www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2417, cit.

[19] Cfr. T.A.R. Umbria, sez. I, 21 maggio 2012, n. 192, in http://www.giustizia-amministrativa.it. Tale disposizione, infatti, «testimonia dell’architettura che il legislatore ha voluto fare propria nel fissare le regole di funzionamento dell’istituto della conferenza di servizi e che si compendia nella necessità che rispetto all’esito dei lavori della conferenza di servizi decisoria si sostituisca pur sempre un provvedimento conclusivo del procedimento (del quale la conferenza costituisce solo un passaggio procedurale), avente la veste di atto adottato (di regola e tranne specifiche eccezioni) da un organo monocratico dell’amministrazione procedente» (T.A.R. Toscana, sez. II, 12 ottobre 2006, n. 4274, cit.; id., sez. I, 7 marzo 2007, n. 292, cit.; id., sez. II, 14 marzo 2007, n. 383, cit.; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 5 aprile 2007, n. 291, in http://www.giustizia-amministrativa.it).

[20] Cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 24 settembre 2009, n. 5048, cit. e T.A.R. Toscana, sez. III, 26 novembre 2010, n. 6635, cit.

[21] Cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 9 ottobre 2009, n. 1737, cit.

[22] Cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 19 maggio 2010, n. 1523, in http://www.giustizia-amministrativa.it e T.A.R. Toscana, sez. II, 22 dicembre 2010, n. 6798, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[23] Cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 11 aprile 2003, n. 1387, in http://www.giustizia-amministrativa.it. Sul punto cfr. Caringella-Santini, op. cit., p. 541 e, ivi, nt. 55.

[24] Cfr. Caringella-Santini, op. cit., p. 547, che richiama Cons. Stato, sez. VI, 1 ottobre 2003, n. 5708, cit. Sul punto cfr. anche G. Cocozza, Il provvedimento finale della conferenza di servizi, in Dir. amm., 2012, pp. 503 ss., p. 521.

[25] Sul punto sia consentito il rinvio a R. Musone, La conferenza di servizi in materia ambientale, Roma, 2013, pp. 41 ss.

[26] Cfr., fra i tanti, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 2 ottobre 2009, n. 1014, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Liguria, sez. I, 2 luglio 2013, n. 982, in http://www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Toscana, sez. II, 16 settembre 2013, n. 1261, in http://www.giustizia-amministrativa.it

[27] Cons. Stato, sez. VI, 1 ottobre 2003, n. 5708, cit. Vedi però, quando ormai la concezione organicista risulta recessiva, T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 13 agosto 2007, n. 3068, in http://www.giustizia-amministrativa.it, la quale, pur specificando che il contenuto del verbale, «per il suo carattere dichiaratamente deliberativo e decisorio, lo rendeva concretamente e direttamente lesivo, giustificandone dunque l’immediata impugnabilità», chiarisce che la conferenza di servizi «non ha natura di organo collegiale ma costituisce una modalità di semplificazione dell’azione amministrativa, finalizzata, nella sua accezione decisoria, alla più celere formazione di atti complessi, ossia di atti per la cui formazione è necessario il concorso di volontà di più amministrazioni».

[28] Cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 26 luglio 2007, n. 1254, cit.

[29] Cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 22 gennaio 2014, n. 63, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[30] Cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 31 agosto 2010, n. 5145, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[31] T.A.R. Toscana, sez. II, 12 ottobre 2006, n. 4274, cit.; id., sez. II, 20 ottobre 2006, n. 4565, cit.; id., sez. II, 14 marzo 2007, n. 383, cit.; id., sez. II, 18 maggio 2007, n. 758, cit. A tale problematica, a ben vedere, non è estranea nemmeno la tematica della motivazione. In tal senso si è affermato che, «proprio perché la conferenza di servizi non è un organo a sé, ma un raggruppamento di organi di una pluralità di enti, ben può ammettersi che non vi sia una autonoma motivazione dell’atto finale della conferenza, ma che la motivazione si desuma, “per relationem”, dagli argomenti esposti dagli organi che si sono espressi in seno alla conferenza» (Cons. Stato, sez. VI, 11 dicembre 2006, n. 7217, in http://www.giustizia-amministrativa.it).

[32] Cfr. Cocozza, op cit., pp. 513 ss.

[33] Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2378, cit.; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 11 novembre 2011, n. 5286, cit.; T.A.R. Umbria, sez. I, 21 maggio 2012, n. 192, cit.; T.A.R. Toscana, sez. II, 8 ottobre 2013, n. 1344, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[34] Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2378, cit.

[35] T.A.R. Veneto, sez. I, 18 dicembre 2012, n. 1573, in http://www.giustizia-amministrativa.it.

[36] Cons. Stato, sez. VI, 31 gennaio 2011, n. 712, cit.; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 11 novembre 2011, n. 5286, cit.; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 13 gennaio 2012, n. 141, cit.; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-quater, 14 maggio 2012, n. 4308, cit.

[37] Cfr. Cocozza, op cit., pp. 515 ss.

[38] Cfr., in senso particolarmente critico, I. Cacciavillani, Determinazione della conferenza di servizi e atto finale del procedimento; un equivoco apicale, in Lexitalia.it, n. 7-8/2011.

[39] Cfr. Cocozza, op. cit., p. 526.

[40] Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2378, cit.

[41] Cfr. Cocozza, op. cit., p. 525, che richiama Scoca, op. cit., p. 259 e Bertini, op. cit., p. 271.

[42] Id., p. 527.