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L’artificiale specialità dell’autodichia

L’articolo esprime esclusivamente le opinioni dell’autore e non impegna in alcun modo l’amministrazione di appartenenza.

Il potere di giudicare [1] in via esclusiva e definitiva i ricorsi avverso gli atti e i provvedimenti adottati dall’amministrazione del Senato non trova fondamento in leggi o atti aventi forza di legge. L’autodichia è prevista nei regolamenti parlamentari adottati ai sensi dell’articolo 64 della Costituzione.

La Corte riconferma così il tradizionale orientamento secondo cui sono insindacabili i regolamenti parlamentari in sede di giudizio di legittimità costituzionale limitato dall’articolo 134 solo alla legge e agli atti ad essa equiparati.

A fronte della questione posta dalla Cassazione [2] circa il contrasto che la previsione della autodichia realizzerebbe con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, si propone una ricostruzione sistematica del giudizio di costituzionalità che almeno formalmente disattende le motivazioni dell’ordinanza.

L’adozione di tale ricostruzione sistematica neutralizza anche il riferimento agli altri parametri di legittimità costituzionale violati rinvenibili negli articoli 102, 111 e 113 della Costituzione.

In vero, il pronunciamento della Corte Costituzionale è però più articolato e complesso di quanto potrebbe suggerirne una prima lettura [3].

In realtà di là dal mero pronunciamento formale, la Corte sembra comunque aderire sostanzialmente [4] alla visione prospettica della Cassazione.

Quest’ultima, infatti, così come riportato nella sentenza, sottolinea “la differenza tra l’esercizio delle funzioni legislative e politiche e gli atti con cui le camere provvedono alla propria organizzazione”.

Il ridimensionamento del carattere di specialità o di garanzia della disciplina delle camere è quindi il presupposto logico dell’ulteriore argomentazione della Cassazione. La necessità di garantire al Parlamento una posizione d’indipendenza scevra da vincoli esterni non giustifica una previsione, automatica e illimitata, dell’autodichia. In altri termini, tale potere sui dipendenti di Camera e Senato non costituisce una prerogativa necessaria a garantire l’indipendenza del Parlamento e non è affatto coessenziale alla natura costituzionale degli organi supremi.

Tale assunto costituisce il filo rosso che lega, accomunandoli, il percorso argomentativo della cassazione con quello del giudice delle leggi.

La Corte Costituzionale riprende le motivazioni sostanziali dell’ordinanza proprio quando rileva che la specialità dei regolamenti rende gli stessi insindacabili solo qualora tali norme si pongano a garanzia dell’indipendenza delle camere da ogni altro potere.

La specialità è giustificata dalla necessità di apprestare uno statuto di garanzia al procedimento legislativo.

L’esatta delimitazione dei confini di tale statuto di garanzia è rimesso al dinamico esercizio dei poteri costituzionali cosicché la Corte si pone come arbitro dell’esercizio di tali poteri.

In questo senso, allora la competenza regolamentare sulla disciplina del personale sembrerebbe essere subordinata all’individuazione della “funzione” che la disciplina del rapporto di lavoro ha nell’ambito dello statuto di garanzia previsto per il processo legislativo.

L’insussistenza di ragioni che giustificano l’attrazione della disciplina del lavoro nell’ambito dello statuto di garanzia del Senato non può limitare l’esercizio di diritti fondamentali. Inoltre, la stessa Corte rende evidente come la necessità di tale attrazione è stata superata negli ordinamenti costituzionali “a noi più vicini”.

Analogamente si precisa che l’ambito dell’immunità parlamentare, secondo la convergente interpretazione della Corte Costituzionale e di quella di Strasburgo è stato individuato solo in presenza di un nesso funzionale fra l’opinione espressa e l’attività parlamentare proprio per limitare l’impedimento all’accesso al giudice naturale da parte di chi si ritenga leso.

In questa prospettiva è chiaro come il contenzioso fra il datore di lavoro “Senato” e il geometra LP non può rivestire carattere di specialità tale da limitare la competenza del giudice ordinario o il normale riparto di giurisdizione[5].

La specialità insita nell’esercizio di funzioni pubbliche permea il riparto di giurisdizione previsto dal Decreto Legislativo n. 165/2001. Il giudice ordinario si occupa del lavoro più facilmente assimilabile a quello privato mentre al giudice amministrativo è rimessa la giurisdizione per attività a più forte connotazione pubblicistica.

Tale ripartizione non si ritrova nei regolamenti parlamentari con la conseguenza evidente di attrarre nello statuto di garanzia finalizzato alla protezione del procedimento legislativo anche la prestazione di un geometra che nulla a che vedere con l’autonomia degli organi costituzionali.

Qualora si individui la disciplina in base alla natura della prestazione, le ragioni a sostegno di una regolamentazione omogenea per tutte o per la maggior parte delle prestazioni tecniche e serventi a prescindere dal rilievo costituzionale dell’ente di appartenenza appaiono evidenti.

Identico discorso vale a proposito degli appalti sui quali la dottrina [6] ha in termini generali segnalato la necessità di un superamento “della tesi secondo cui un’attività, ordinariamente compiuta da qualsiasi altro soggetto istituzionale (o addirittura privato), diviene «guarentigiata» se compiuta nel perimetro delle Camere (e sol per questo sottratta alla disciplina imperativa di legge, nonché alla valutazione giurisdizionale necessaria per sussumerla)”.

Il principio d’effettività [7] della tutela e il divieto di non discriminazione nel rapporto di lavoro, per la giurisprudenza comunitaria [8], sono modulabili o derogabili a seconda delle caratteristiche delle diverse prestazioni lavorative. Solo la presenza di determinati indici di “pubblicità delle funzioni esercitate” permette deroghe alle modalità ordinarie di tutela dei diritti dei lavoratori.

Pertanto, senza il concreto accertamento di tali indici anche l’esercizio della potestà regolamentare del Senato sembrerebbe essere immotivato quantomeno alla luce di un principio generale posto in ambito comunitario.

In questi termini, la questione [9] assume poi una valenza più ampia della mera individuazione del giudice competente. Si pone cioè in discussione l’esistenza stesso di un fondamento giuridico per una disciplina speciale del rapporto di lavoro alle dipendenze degli organi costituzionali qualora lo stesso non abbia caratteri di specialità ovvero il cui esercizio non sia strettamente connesso a funzioni pubblicistiche.

***

[1] L’articolo 12 del Regolamento 12.2.1971 attribuisce a tale organo costituzionale il potere di dirimere direttamente le controversie con il proprio personale senza alcuna verifica esterna.

[2] Corte di Cassazione Civile, Sezioni Unite, Ordinanza del 6 maggio 2013 n. 10400

[3] Renzo Dickmann, Tramonto o rilegittimazione dell’autodichia delle camere (nota a Corte Costituzionale, 5 maggio 2014 n. 120), in www.federalismi.it

[4] Luigi Testa, La corte salva (ma non troppo) l’autodichia del senato. Brevi note su Corte Costituzionale, sentenza n. 120 del 2014, in www. federalismi.it. L’autore pone l’accento sul fatto che “secondo la corte, infatti, l’insindacabilità dei regolamenti non comporta che essi siano come nel lontano passato, fonti puramente interne e con ciò s’intende chiarire che essi, pur sottratti all’area degli atti la cui legittimità costituzionale è custode la consulta ex art 134, prima alinea Cost., non possono risolversi in una lesione, diretta o indiretta, del rispetto dei diritti fondamentali, tra i quali il diritto d’accesso alla giustizia, così come l’attuazione di principi inderogabili. L’indipendenza delle camere non può infatti compromettere diritti fondamentali né pregiudicare l’attuazione di principi inderogabili. Se questo non bastasse a rendere chiaro l’orientamento della corte, toglierà infine ogni perplessità la scelta di rilevare come peraltro negli ordinamenti costituzionali a noi vicini, come Francia, Germania, Regno Unito Spagna l’autodichia sui rapporti di lavoro con i dipendenti e sui rapporti con i terzi non è più prevista. In definitiva, è soltanto, quindi, un mero ostacolo processuale quello che ha frenato la corte dall’intervenire sul vivo della materia”.

[5] Antonio Ruggeri, Novità in tema di insindacabilità dei regolamenti parlamentari in una pronunzia-ponte della Consulta (a margine di Corte Costituzionale n.120 del 2014), in www.giurcost.it. L’autore sottolinea che “insomma il soggetto ricorrente che lamenta la lesione del diritto ha, forse ragione (diciamo pure , con ogni probabilità ce l’ha e lo lascia intendere lo stesso atto di rimessione della questione); sbagliata si è rilevata la scelta del mezzo processuale idoneo a farla valere. Se, di contro, la cassazione si fosse avvalsa dello strumento giusto, con ogni probabilità la partita avrebbe preso un’altra piega”.

[6] Giampiero Buonomo, L’autodichia parlamentare di nuovo in Corte costituzionale, in Giustizia Civile 2013, 5-6, 0933. L’autore sottolinea come pronunce come Tar Lazio, sez. I, 6 giugno 2012 n. 5779 secondo cui “è indubitabile che il servizio di ristorazione, per cui è controversia, sia funzionale principalmente allo svolgimento dell’attività dell’Assemblea” sono destinate a diventare sempre più recessive, nel loro arrestare la tutela (in quel caso appalti) alla soglia delle Camere, sotto forma di apodittica presa d’atto della carenza di giurisdizione.

[7] A questo proposito può citarsi la Corte di Giustizia Europea che nell’ordinanza del 13.12.2013, causa C 50/13, ha avuto modo di chiarire che “il rispetto del principio di effettività, che è particolarmente evidenziato dalla questione proposta dal giudice del rinvio, dalla giurisprudenza della Corte si evince che accertare se una norma nazionale di procedura renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti ai cittadini dal diritto dell’Unione implica un’analisi, che tenga conto della collocazione della norma in questione nel complesso della procedura nonché dello svolgimento e delle particolarità che presenta quest’ultima nei diversi gradi di giudizio nazionali. Sotto tale profilo, si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (v. sentenze del 21 febbraio 2008, Tele2 Telecommunication, C 426/05, Racc. pag. I 685, punto 55 e giurisprudenza ivi citata, nonché Pontin, cit., punto 47)” Pertanto la Corte ha stabilito che “L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quell’oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità d’impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione”.

[8]Sia consentito rinviare a Marco Maria Carlo Coviello, Nota all’Ordinanza della Corte di Giustizia Europea del 7.3.2013 C-393/11, in www.amministrativamente.com Fasc. 6/2013.

[9] Sia consentito rinviare a Marco Maria Carlo Coviello, Le inaspettate asimmetrie dell’imperfetta privatizzazione del pubblico impiego: equo indennizzo e pensioni privilegiate, in Lavoro nelle pubbliche amministrazioni - Fasc. 3-4, 2013 Giuffrè.

L’articolo esprime esclusivamente le opinioni dell’autore e non impegna in alcun modo l’amministrazione di appartenenza.

Il potere di giudicare [1] in via esclusiva e definitiva i ricorsi avverso gli atti e i provvedimenti adottati dall’amministrazione del Senato non trova fondamento in leggi o atti aventi forza di legge. L’autodichia è prevista nei regolamenti parlamentari adottati ai sensi dell’articolo 64 della Costituzione.

La Corte riconferma così il tradizionale orientamento secondo cui sono insindacabili i regolamenti parlamentari in sede di giudizio di legittimità costituzionale limitato dall’articolo 134 solo alla legge e agli atti ad essa equiparati.

A fronte della questione posta dalla Cassazione [2] circa il contrasto che la previsione della autodichia realizzerebbe con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, si propone una ricostruzione sistematica del giudizio di costituzionalità che almeno formalmente disattende le motivazioni dell’ordinanza.

L’adozione di tale ricostruzione sistematica neutralizza anche il riferimento agli altri parametri di legittimità costituzionale violati rinvenibili negli articoli 102, 111 e 113 della Costituzione.

In vero, il pronunciamento della Corte Costituzionale è però più articolato e complesso di quanto potrebbe suggerirne una prima lettura [3].

In realtà di là dal mero pronunciamento formale, la Corte sembra comunque aderire sostanzialmente [4] alla visione prospettica della Cassazione.

Quest’ultima, infatti, così come riportato nella sentenza, sottolinea “la differenza tra l’esercizio delle funzioni legislative e politiche e gli atti con cui le camere provvedono alla propria organizzazione”.

Il ridimensionamento del carattere di specialità o di garanzia della disciplina delle camere è quindi il presupposto logico dell’ulteriore argomentazione della Cassazione. La necessità di garantire al Parlamento una posizione d’indipendenza scevra da vincoli esterni non giustifica una previsione, automatica e illimitata, dell’autodichia. In altri termini, tale potere sui dipendenti di Camera e Senato non costituisce una prerogativa necessaria a garantire l’indipendenza del Parlamento e non è affatto coessenziale alla natura costituzionale degli organi supremi.

Tale assunto costituisce il filo rosso che lega, accomunandoli, il percorso argomentativo della cassazione con quello del giudice delle leggi.

La Corte Costituzionale riprende le motivazioni sostanziali dell’ordinanza proprio quando rileva che la specialità dei regolamenti rende gli stessi insindacabili solo qualora tali norme si pongano a garanzia dell’indipendenza delle camere da ogni altro potere.

La specialità è giustificata dalla necessità di apprestare uno statuto di garanzia al procedimento legislativo.

L’esatta delimitazione dei confini di tale statuto di garanzia è rimesso al dinamico esercizio dei poteri costituzionali cosicché la Corte si pone come arbitro dell’esercizio di tali poteri.

In questo senso, allora la competenza regolamentare sulla disciplina del personale sembrerebbe essere subordinata all’individuazione della “funzione” che la disciplina del rapporto di lavoro ha nell’ambito dello statuto di garanzia previsto per il processo legislativo.

L’insussistenza di ragioni che giustificano l’attrazione della disciplina del lavoro nell’ambito dello statuto di garanzia del Senato non può limitare l’esercizio di diritti fondamentali. Inoltre, la stessa Corte rende evidente come la necessità di tale attrazione è stata superata negli ordinamenti costituzionali “a noi più vicini”.

Analogamente si precisa che l’ambito dell’immunità parlamentare, secondo la convergente interpretazione della Corte Costituzionale e di quella di Strasburgo è stato individuato solo in presenza di un nesso funzionale fra l’opinione espressa e l’attività parlamentare proprio per limitare l’impedimento all’accesso al giudice naturale da parte di chi si ritenga leso.

In questa prospettiva è chiaro come il contenzioso fra il datore di lavoro “Senato” e il geometra LP non può rivestire carattere di specialità tale da limitare la competenza del giudice ordinario o il normale riparto di giurisdizione[5].

La specialità insita nell’esercizio di funzioni pubbliche permea il riparto di giurisdizione previsto dal Decreto Legislativo n. 165/2001. Il giudice ordinario si occupa del lavoro più facilmente assimilabile a quello privato mentre al giudice amministrativo è rimessa la giurisdizione per attività a più forte connotazione pubblicistica.

Tale ripartizione non si ritrova nei regolamenti parlamentari con la conseguenza evidente di attrarre nello statuto di garanzia finalizzato alla protezione del procedimento legislativo anche la prestazione di un geometra che nulla a che vedere con l’autonomia degli organi costituzionali.

Qualora si individui la disciplina in base alla natura della prestazione, le ragioni a sostegno di una regolamentazione omogenea per tutte o per la maggior parte delle prestazioni tecniche e serventi a prescindere dal rilievo costituzionale dell’ente di appartenenza appaiono evidenti.

Identico discorso vale a proposito degli appalti sui quali la dottrina [6] ha in termini generali segnalato la necessità di un superamento “della tesi secondo cui un’attività, ordinariamente compiuta da qualsiasi altro soggetto istituzionale (o addirittura privato), diviene «guarentigiata» se compiuta nel perimetro delle Camere (e sol per questo sottratta alla disciplina imperativa di legge, nonché alla valutazione giurisdizionale necessaria per sussumerla)”.

Il principio d’effettività [7] della tutela e il divieto di non discriminazione nel rapporto di lavoro, per la giurisprudenza comunitaria [8], sono modulabili o derogabili a seconda delle caratteristiche delle diverse prestazioni lavorative. Solo la presenza di determinati indici di “pubblicità delle funzioni esercitate” permette deroghe alle modalità ordinarie di tutela dei diritti dei lavoratori.

Pertanto, senza il concreto accertamento di tali indici anche l’esercizio della potestà regolamentare del Senato sembrerebbe essere immotivato quantomeno alla luce di un principio generale posto in ambito comunitario.

In questi termini, la questione [9] assume poi una valenza più ampia della mera individuazione del giudice competente. Si pone cioè in discussione l’esistenza stesso di un fondamento giuridico per una disciplina speciale del rapporto di lavoro alle dipendenze degli organi costituzionali qualora lo stesso non abbia caratteri di specialità ovvero il cui esercizio non sia strettamente connesso a funzioni pubblicistiche.

***

[1] L’articolo 12 del Regolamento 12.2.1971 attribuisce a tale organo costituzionale il potere di dirimere direttamente le controversie con il proprio personale senza alcuna verifica esterna.

[2] Corte di Cassazione Civile, Sezioni Unite, Ordinanza del 6 maggio 2013 n. 10400

[3] Renzo Dickmann, Tramonto o rilegittimazione dell’autodichia delle camere (nota a Corte Costituzionale, 5 maggio 2014 n. 120), in www.federalismi.it

[4] Luigi Testa, La corte salva (ma non troppo) l’autodichia del senato. Brevi note su Corte Costituzionale, sentenza n. 120 del 2014, in www. federalismi.it. L’autore pone l’accento sul fatto che “secondo la corte, infatti, l’insindacabilità dei regolamenti non comporta che essi siano come nel lontano passato, fonti puramente interne e con ciò s’intende chiarire che essi, pur sottratti all’area degli atti la cui legittimità costituzionale è custode la consulta ex art 134, prima alinea Cost., non possono risolversi in una lesione, diretta o indiretta, del rispetto dei diritti fondamentali, tra i quali il diritto d’accesso alla giustizia, così come l’attuazione di principi inderogabili. L’indipendenza delle camere non può infatti compromettere diritti fondamentali né pregiudicare l’attuazione di principi inderogabili. Se questo non bastasse a rendere chiaro l’orientamento della corte, toglierà infine ogni perplessità la scelta di rilevare come peraltro negli ordinamenti costituzionali a noi vicini, come Francia, Germania, Regno Unito Spagna l’autodichia sui rapporti di lavoro con i dipendenti e sui rapporti con i terzi non è più prevista. In definitiva, è soltanto, quindi, un mero ostacolo processuale quello che ha frenato la corte dall’intervenire sul vivo della materia”.

[5] Antonio Ruggeri, Novità in tema di insindacabilità dei regolamenti parlamentari in una pronunzia-ponte della Consulta (a margine di Corte Costituzionale n.120 del 2014), in www.giurcost.it. L’autore sottolinea che “insomma il soggetto ricorrente che lamenta la lesione del diritto ha, forse ragione (diciamo pure , con ogni probabilità ce l’ha e lo lascia intendere lo stesso atto di rimessione della questione); sbagliata si è rilevata la scelta del mezzo processuale idoneo a farla valere. Se, di contro, la cassazione si fosse avvalsa dello strumento giusto, con ogni probabilità la partita avrebbe preso un’altra piega”.

[6] Giampiero Buonomo, L’autodichia parlamentare di nuovo in Corte costituzionale, in Giustizia Civile 2013, 5-6, 0933. L’autore sottolinea come pronunce come Tar Lazio, sez. I, 6 giugno 2012 n. 5779 secondo cui “è indubitabile che il servizio di ristorazione, per cui è controversia, sia funzionale principalmente allo svolgimento dell’attività dell’Assemblea” sono destinate a diventare sempre più recessive, nel loro arrestare la tutela (in quel caso appalti) alla soglia delle Camere, sotto forma di apodittica presa d’atto della carenza di giurisdizione.

[7] A questo proposito può citarsi la Corte di Giustizia Europea che nell’ordinanza del 13.12.2013, causa C 50/13, ha avuto modo di chiarire che “il rispetto del principio di effettività, che è particolarmente evidenziato dalla questione proposta dal giudice del rinvio, dalla giurisprudenza della Corte si evince che accertare se una norma nazionale di procedura renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti ai cittadini dal diritto dell’Unione implica un’analisi, che tenga conto della collocazione della norma in questione nel complesso della procedura nonché dello svolgimento e delle particolarità che presenta quest’ultima nei diversi gradi di giudizio nazionali. Sotto tale profilo, si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (v. sentenze del 21 febbraio 2008, Tele2 Telecommunication, C 426/05, Racc. pag. I 685, punto 55 e giurisprudenza ivi citata, nonché Pontin, cit., punto 47)” Pertanto la Corte ha stabilito che “L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quell’oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità d’impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione”.

[8]Sia consentito rinviare a Marco Maria Carlo Coviello, Nota all’Ordinanza della Corte di Giustizia Europea del 7.3.2013 C-393/11, in www.amministrativamente.com Fasc. 6/2013.

[9] Sia consentito rinviare a Marco Maria Carlo Coviello, Le inaspettate asimmetrie dell’imperfetta privatizzazione del pubblico impiego: equo indennizzo e pensioni privilegiate, in Lavoro nelle pubbliche amministrazioni - Fasc. 3-4, 2013 Giuffrè.