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Mantenimento per il figlio maggiorenne: chi può richiederlo dopo la Legge n. 54/2006?

1. Le massime

I. Non essendo venuto meno il dovere, a carico del genitore convivente, di provvedere direttamente ed in modo completo al mantenimento, alla formazione e all’istruzione del figlio, deve ritenersi che – pure a fronte dell’art. 155 quinquies c.c., introdotto con L. 8 febbraio 2006, n. 54, ove è previsto il versamento diretto all’avente diritto, “salvo diversa determinazione del giudice” – sussista a tutt’oggi il diritto del coniuge alla percezione dell’assegno di contribuzione al mantenimento del figlio maggiorenne non ancora divenuto autonomo.

II. L'art. 155 quinquies c.c., comma 1, seconda parte, si è limitato a dettare, in seno ai giudizi di separazione e divorzio, delle mere norme regolanti il “momento attuativo” dell'obbligo di corresponsione dell'assegno (che, tuttavia, si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, ai sensi dell'art. 4, L. n. 54/2006), prevedendo il versamento nelle mani direttamente del figlio maggiorenne, ovvero del genitore convivente laddove ravvisato opportuno dal giudice; il giudice, laddove investito da una domanda proveniente dal genitore convivente con figlio maggiorenne non autosufficiente, in assenza di un'autonoma richiesta da parte del figlio, dovrà quindi (sussistendone i presupposti) riconoscere in ogni caso il diritto al contributo fatto valere dal genitore che abbia avanzato la relativa domanda, salva la facoltà di modulare in concreto il provvedimento, prevedendo un "versamento” nelle sue mani, ovvero direttamente nelle mani del figlio maggiorenne, ovvero in parte all'uno ed in parte all'altro; assume, quindi, rilievo giuridico l'inerzia del figlio maggiorenne alla percezione dell'assegno di mantenimento, essendo comunque salva la possibilità per quest’ultimo di iniziare un procedimento ordinario inteso al riconoscimento di quel diritto, in maniera tale da eclissare la legittimazione in capo al genitore convivente, nonché salvo il diritto del figlio stesso di intervenire nel procedimento relativo alla determinazione e all'attribuzione.

2. Il caso

Tizia, madre di Caietto, figlio maggiorenne nato dalla relazione con Caio, adiva il Tribunale di Roma per ottenere settecento euro da Caio a titolo di contributo per il mantenimento di Caietto. Il Tribunale adito accoglieva, nella misura indicata, l’istanza di Tizia, sulla base della valutazione comparata dei redditi e delle consistenze patrimoniali dei genitori.

Caio proponeva appello avverso la sentenza, deducendo che il giudice di prime cure non avrebbe correttamente applicato il principio di proporzionalità di cui all’art. 155 c.c. Il giudice di appello confermava la sentenza del Tribunale, rilevando che la somma determinata sostanzialmente rispecchiava le rispettive potenzialità economiche dei genitori: se, infatti, la madre era titolare di un cospicuo e redditizio patrimonio immobiliare, doveva pure tenersi conto della redditizia attività di antiquario svolta dal padre, in forma societaria. Quanto precede, pure a fronte di dichiarazioni fiscali che attestavano l’esiguità del reddito di Caio, essendo dette dichiarazioni ritenute dal giudicante non attendibili anche tenuto conto dell’ingente patrimonio immobiliare posseduto da quest’ultimo. La Corte di appello, considerando il tenore medio alto delle condizioni di vita mantenute dalla coppia in costanza della loro convivenza, valutate le maggiori esigenze del figlio, ormai ventenne e studente universitario, seppure ritenute preponderanti le condizioni economiche della madre, riteneva congrua la somma determinata dal Tribunale, anche perché comprensiva delle spese straordinarie.

Caio proponeva ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi:

1) l’aver la Corte territoriale fatto riferimento alla sua presunta "buona posizione economica", senza indicare le risultanze probatorie relative alla consistenza patrimoniale dello stesso, per poi esprimere un giudizio di congruità del contributo posto a suo carico nonostante la preponderante situazione economica della madre Tizia e la conseguita autosufficienza del figlio;

2) la Corte territoriale avrebbe omesso di specificare le ragioni in base alle quali avrebbe derogato al principio, enunciato dall’art. 155 quinquies c.c., secondo cui la corresponsione della somma stabilita a titolo di contributo per il suo mantenimento dovrebbe versarsi in via diretta dal genitore non convivente al figlio maggiorenne;

3) insufficienza della motivazione circa la propria posizione economica, la contraddittorietà della comparazione dei redditi dei genitori, nonché l'omesso esame della dedotta attività lavorativa del figlio.

3. La decisione

Circa il primo motivo, la Suprema Corte ne deduce l’inammissibilità alla luce del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, in vigore dal 2 marzo 2006 sino al 4 luglio 2009 ed applicabile ratione temporis anche al ricorso proposto da Caio, relativo ad un provvedimento emesso nel marzo del 2008.

Circa il secondo motivo, la Corte prende in esame la sola denunciata violazione dell’art. 155 quinquies c.c. poiché solo in relazione ad essa, la Corte ritiene correttamente formulati i quesiti di diritto. La Corte anzitutto sottolinea che la disciplina prevista dalla L. n. 54 del 2006, art. 4, comma 2, si applica anche "ai figli di genitori non coniugati". Il Supremo Collegio opera, quindi una ricognizione storica della pertinente disciplina, così come evolutasi nel diritto vivente.

Prima dell'entrata in vigore della L. n. 54 del 2006, la giurisprudenza di legittimità era costante nel ritenere che il coniuge, il quale provvedesse direttamente ed integralmente al mantenimento del figlio convivente divenuto maggiorenne e non ancora autosufficiente, fosse legittimato iure proprio a pretendere l'assegno di mantenimento (oltre che il rimborso di quanto sostenuto) dall'altro coniuge. Tale "legittimazione", definita "concorrente" rispetto a quella del figlio maggiorenne, restava subordinata alla mancata iniziativa giudiziaria di quest'ultimo e si fondava sulla circostanza che in ragione della convivenza uno dei genitori sopporta delle spese che gravano, ai sensi dell’art. 148 c.c., su entrambi.

Su tale consolidato quadro giurisprudenziale è intervenuta la nuova formulazione dell'art. 155 quinquies c.c., comma 1, secondo cui "il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico e che tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto".

Con riferimento al "versamento diretto" a figlio maggiorenne non autosufficiente convivente con uno dei genitori sono state prospettate diverse soluzioni interpretative:

1. secondo una prima tesi sarebbe stato sancito il diritto esclusivo alla percezione dell'assegno da parte del figlio maggiorenne non autosufficiente;

2. secondo un altro indirizzo interpretativo la norma citata attribuirebbe il diritto alla percezione dell'assegno di mantenimento, quale regola generale, al figlio maggiorenne, e solo in ipotesi residuali, da verificare caso per caso, un diritto iure proprio al genitore convivente;

3. secondo una ulteriore tesi, poi, l'art. 155 quinquies c.c., comma 1, seconda parte, si sarebbe limitato a dettare, in seno ai giudizi di separazione e divorzio, delle mere norme regolanti il “momento attuativo” dell'obbligo di corresponsione dell'assegno, prevedendo il versamento nelle mani direttamente del figlio maggiorenne, ovvero del genitore convivente laddove ravvisato opportuno dal giudice.

La Corte aderisce a quest’ultimo indirizzo, in base al quale sono fatti salvi i previgenti principi operanti nei giudizi di separazione personale e di divorzio (applicabili, anche nell'ambito dell'ormai superata distinzione fra figli legittimi e naturali, anche nell'ipotesi di genitori non coniugati) e attinenti al potere del giudice del relativo provvedimento di determinare il contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne, salvo poi stabilire, tenuto conto delle esigenze e delle richieste specifiche, le modalità del relativo versamento.

La modulazione delle modalità di attuazione del versamento del contributo deve tendere, da un lato, ad assicurare l'autonomia del figlio maggiorenne nella selezione e nella cura dei propri interessi; dall'altro, a non comprimere l'interesse del genitore convivente ad ottenere l'anticipazione di quelle spese, che per forza di cose gravano su di lui, ma che, tuttavia, costituiscono l'adempimento di un obbligo solidale facente capo ad entrambi i genitori. Si è al riguardo osservato che con il raggiungimento della maggiore età, ove il figlio tuttora economicamente dipendente continui a vivere con il genitore che ne era affidatario, resta invariata la situazione di fatto oggetto di regolamentazione, e restano identiche le modalità di adempimento dell'obbligazione di mantenimento da parte del genitore convivente.

La soluzione accolta in sentenza, come evidenziato dall’estensore, viene anche suggerita dalla lettura dell'art. 148, comma secondo, c.c., laddove si prevede che il Presidente del Tribunale, in caso di inadempimento di uno dei due coniugi, possa disporre che una quota dei redditi dell'obbligato sia versata all'altro coniuge o a chi sopporta direttamente le spese di mantenimento della prole. Non minor rilievo assume la collocazione sistematica della norma in questione in un contesto normalmente riservato ai coniugi quali parti essenziali del procedimento.

Deve pertanto ritenersi che, non essendo intervenuta una sostanziale modifica degli assetti normativi che disciplinano gli obblighi di entrambi i genitori nei confronti dei figli, ancorché maggiorenni, la legittimazione del coniuge convivente ("concorrente" o, secondo altri, "straordinaria") ad agire iure proprio nei confronti dell'altro genitore, in assenza di un'autonoma richiesta da parte del figlio, per richiedere tanto il rimborso, pro quota, delle spese già sostenute per il mantenimento del figlio stesso, quanto il versamento di un assegno periodico a titolo di contributo per detto mantenimento, sussista tuttora.

Il giudice, laddove investito da una domanda proveniente dal genitore convivente con figlio maggiorenne non autosufficiente, dovrà quindi – sussistendone i presupposti – riconoscere in ogni caso il diritto al contributo fatto valere dal genitore che abbia avanzato la relativa domanda, salva la facoltà di modulare in concreto il provvedimento, prevedendo un "versamento" nelle sue mani, ovvero direttamente nelle mani del figlio maggiorenne, ovvero in parte all'uno ed in parte all'altro. Assume, quindi, rilievo giuridico l'inerzia del figlio maggiorenne alla percezione dell'assegno di mantenimento, essendo comunque salva la possibilità per lo stesso di iniziare un procedimento ordinario inteso al riconoscimento di quel diritto, in maniera tale da eclissare la legittimazione in capo al genitore convivente, nonché salvo il diritto del figlio stesso di intervenire nel procedimento relativo alla determinazione e all'attribuzione.

Il terzo motivo, è ritenuto inammissibile in quanto non formulato con le modalità di cui all'art. 366 bis c.p.c..

In conclusione, il ricorso è rigettato, con condanna di Caio al pagamento delle spese processuali.

1. Le massime

I. Non essendo venuto meno il dovere, a carico del genitore convivente, di provvedere direttamente ed in modo completo al mantenimento, alla formazione e all’istruzione del figlio, deve ritenersi che – pure a fronte dell’art. 155 quinquies c.c., introdotto con L. 8 febbraio 2006, n. 54, ove è previsto il versamento diretto all’avente diritto, “salvo diversa determinazione del giudice” – sussista a tutt’oggi il diritto del coniuge alla percezione dell’assegno di contribuzione al mantenimento del figlio maggiorenne non ancora divenuto autonomo.

II. L'art. 155 quinquies c.c., comma 1, seconda parte, si è limitato a dettare, in seno ai giudizi di separazione e divorzio, delle mere norme regolanti il “momento attuativo” dell'obbligo di corresponsione dell'assegno (che, tuttavia, si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, ai sensi dell'art. 4, L. n. 54/2006), prevedendo il versamento nelle mani direttamente del figlio maggiorenne, ovvero del genitore convivente laddove ravvisato opportuno dal giudice; il giudice, laddove investito da una domanda proveniente dal genitore convivente con figlio maggiorenne non autosufficiente, in assenza di un'autonoma richiesta da parte del figlio, dovrà quindi (sussistendone i presupposti) riconoscere in ogni caso il diritto al contributo fatto valere dal genitore che abbia avanzato la relativa domanda, salva la facoltà di modulare in concreto il provvedimento, prevedendo un "versamento” nelle sue mani, ovvero direttamente nelle mani del figlio maggiorenne, ovvero in parte all'uno ed in parte all'altro; assume, quindi, rilievo giuridico l'inerzia del figlio maggiorenne alla percezione dell'assegno di mantenimento, essendo comunque salva la possibilità per quest’ultimo di iniziare un procedimento ordinario inteso al riconoscimento di quel diritto, in maniera tale da eclissare la legittimazione in capo al genitore convivente, nonché salvo il diritto del figlio stesso di intervenire nel procedimento relativo alla determinazione e all'attribuzione.

2. Il caso

Tizia, madre di Caietto, figlio maggiorenne nato dalla relazione con Caio, adiva il Tribunale di Roma per ottenere settecento euro da Caio a titolo di contributo per il mantenimento di Caietto. Il Tribunale adito accoglieva, nella misura indicata, l’istanza di Tizia, sulla base della valutazione comparata dei redditi e delle consistenze patrimoniali dei genitori.

Caio proponeva appello avverso la sentenza, deducendo che il giudice di prime cure non avrebbe correttamente applicato il principio di proporzionalità di cui all’art. 155 c.c. Il giudice di appello confermava la sentenza del Tribunale, rilevando che la somma determinata sostanzialmente rispecchiava le rispettive potenzialità economiche dei genitori: se, infatti, la madre era titolare di un cospicuo e redditizio patrimonio immobiliare, doveva pure tenersi conto della redditizia attività di antiquario svolta dal padre, in forma societaria. Quanto precede, pure a fronte di dichiarazioni fiscali che attestavano l’esiguità del reddito di Caio, essendo dette dichiarazioni ritenute dal giudicante non attendibili anche tenuto conto dell’ingente patrimonio immobiliare posseduto da quest’ultimo. La Corte di appello, considerando il tenore medio alto delle condizioni di vita mantenute dalla coppia in costanza della loro convivenza, valutate le maggiori esigenze del figlio, ormai ventenne e studente universitario, seppure ritenute preponderanti le condizioni economiche della madre, riteneva congrua la somma determinata dal Tribunale, anche perché comprensiva delle spese straordinarie.

Caio proponeva ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi:

1) l’aver la Corte territoriale fatto riferimento alla sua presunta "buona posizione economica", senza indicare le risultanze probatorie relative alla consistenza patrimoniale dello stesso, per poi esprimere un giudizio di congruità del contributo posto a suo carico nonostante la preponderante situazione economica della madre Tizia e la conseguita autosufficienza del figlio;

2) la Corte territoriale avrebbe omesso di specificare le ragioni in base alle quali avrebbe derogato al principio, enunciato dall’art. 155 quinquies c.c., secondo cui la corresponsione della somma stabilita a titolo di contributo per il suo mantenimento dovrebbe versarsi in via diretta dal genitore non convivente al figlio maggiorenne;

3) insufficienza della motivazione circa la propria posizione economica, la contraddittorietà della comparazione dei redditi dei genitori, nonché l'omesso esame della dedotta attività lavorativa del figlio.

3. La decisione

Circa il primo motivo, la Suprema Corte ne deduce l’inammissibilità alla luce del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, in vigore dal 2 marzo 2006 sino al 4 luglio 2009 ed applicabile ratione temporis anche al ricorso proposto da Caio, relativo ad un provvedimento emesso nel marzo del 2008.

Circa il secondo motivo, la Corte prende in esame la sola denunciata violazione dell’art. 155 quinquies c.c. poiché solo in relazione ad essa, la Corte ritiene correttamente formulati i quesiti di diritto. La Corte anzitutto sottolinea che la disciplina prevista dalla L. n. 54 del 2006, art. 4, comma 2, si applica anche "ai figli di genitori non coniugati". Il Supremo Collegio opera, quindi una ricognizione storica della pertinente disciplina, così come evolutasi nel diritto vivente.

Prima dell'entrata in vigore della L. n. 54 del 2006, la giurisprudenza di legittimità era costante nel ritenere che il coniuge, il quale provvedesse direttamente ed integralmente al mantenimento del figlio convivente divenuto maggiorenne e non ancora autosufficiente, fosse legittimato iure proprio a pretendere l'assegno di mantenimento (oltre che il rimborso di quanto sostenuto) dall'altro coniuge. Tale "legittimazione", definita "concorrente" rispetto a quella del figlio maggiorenne, restava subordinata alla mancata iniziativa giudiziaria di quest'ultimo e si fondava sulla circostanza che in ragione della convivenza uno dei genitori sopporta delle spese che gravano, ai sensi dell’art. 148 c.c., su entrambi.

Su tale consolidato quadro giurisprudenziale è intervenuta la nuova formulazione dell'art. 155 quinquies c.c., comma 1, secondo cui "il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico e che tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto".

Con riferimento al "versamento diretto" a figlio maggiorenne non autosufficiente convivente con uno dei genitori sono state prospettate diverse soluzioni interpretative:

1. secondo una prima tesi sarebbe stato sancito il diritto esclusivo alla percezione dell'assegno da parte del figlio maggiorenne non autosufficiente;

2. secondo un altro indirizzo interpretativo la norma citata attribuirebbe il diritto alla percezione dell'assegno di mantenimento, quale regola generale, al figlio maggiorenne, e solo in ipotesi residuali, da verificare caso per caso, un diritto iure proprio al genitore convivente;

3. secondo una ulteriore tesi, poi, l'art. 155 quinquies c.c., comma 1, seconda parte, si sarebbe limitato a dettare, in seno ai giudizi di separazione e divorzio, delle mere norme regolanti il “momento attuativo” dell'obbligo di corresponsione dell'assegno, prevedendo il versamento nelle mani direttamente del figlio maggiorenne, ovvero del genitore convivente laddove ravvisato opportuno dal giudice.

La Corte aderisce a quest’ultimo indirizzo, in base al quale sono fatti salvi i previgenti principi operanti nei giudizi di separazione personale e di divorzio (applicabili, anche nell'ambito dell'ormai superata distinzione fra figli legittimi e naturali, anche nell'ipotesi di genitori non coniugati) e attinenti al potere del giudice del relativo provvedimento di determinare il contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne, salvo poi stabilire, tenuto conto delle esigenze e delle richieste specifiche, le modalità del relativo versamento.

La modulazione delle modalità di attuazione del versamento del contributo deve tendere, da un lato, ad assicurare l'autonomia del figlio maggiorenne nella selezione e nella cura dei propri interessi; dall'altro, a non comprimere l'interesse del genitore convivente ad ottenere l'anticipazione di quelle spese, che per forza di cose gravano su di lui, ma che, tuttavia, costituiscono l'adempimento di un obbligo solidale facente capo ad entrambi i genitori. Si è al riguardo osservato che con il raggiungimento della maggiore età, ove il figlio tuttora economicamente dipendente continui a vivere con il genitore che ne era affidatario, resta invariata la situazione di fatto oggetto di regolamentazione, e restano identiche le modalità di adempimento dell'obbligazione di mantenimento da parte del genitore convivente.

La soluzione accolta in sentenza, come evidenziato dall’estensore, viene anche suggerita dalla lettura dell'art. 148, comma secondo, c.c., laddove si prevede che il Presidente del Tribunale, in caso di inadempimento di uno dei due coniugi, possa disporre che una quota dei redditi dell'obbligato sia versata all'altro coniuge o a chi sopporta direttamente le spese di mantenimento della prole. Non minor rilievo assume la collocazione sistematica della norma in questione in un contesto normalmente riservato ai coniugi quali parti essenziali del procedimento.

Deve pertanto ritenersi che, non essendo intervenuta una sostanziale modifica degli assetti normativi che disciplinano gli obblighi di entrambi i genitori nei confronti dei figli, ancorché maggiorenni, la legittimazione del coniuge convivente ("concorrente" o, secondo altri, "straordinaria") ad agire iure proprio nei confronti dell'altro genitore, in assenza di un'autonoma richiesta da parte del figlio, per richiedere tanto il rimborso, pro quota, delle spese già sostenute per il mantenimento del figlio stesso, quanto il versamento di un assegno periodico a titolo di contributo per detto mantenimento, sussista tuttora.

Il giudice, laddove investito da una domanda proveniente dal genitore convivente con figlio maggiorenne non autosufficiente, dovrà quindi – sussistendone i presupposti – riconoscere in ogni caso il diritto al contributo fatto valere dal genitore che abbia avanzato la relativa domanda, salva la facoltà di modulare in concreto il provvedimento, prevedendo un "versamento" nelle sue mani, ovvero direttamente nelle mani del figlio maggiorenne, ovvero in parte all'uno ed in parte all'altro. Assume, quindi, rilievo giuridico l'inerzia del figlio maggiorenne alla percezione dell'assegno di mantenimento, essendo comunque salva la possibilità per lo stesso di iniziare un procedimento ordinario inteso al riconoscimento di quel diritto, in maniera tale da eclissare la legittimazione in capo al genitore convivente, nonché salvo il diritto del figlio stesso di intervenire nel procedimento relativo alla determinazione e all'attribuzione.

Il terzo motivo, è ritenuto inammissibile in quanto non formulato con le modalità di cui all'art. 366 bis c.p.c..

In conclusione, il ricorso è rigettato, con condanna di Caio al pagamento delle spese processuali.