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Negoziazione assistita: considerazioni sulla procedura partecipativa

Recentemente si è parlato molto di “negoziazione assistita”. Soprattutto a seguito delle dichiarazioni rese al Senato dal ministro della giustizia Andrea Orlando, il quale ha annunciato un provvedimento d’urgenza volto a favorire il ricorso alla via stragiudiziale per la soluzione delle controversie attraverso procedure arbitrali e mediante la negoziazione assistita da un avvocato, istituto quest’ultimo mutuato dall’esperienza francese (cosiddetto convention de procedure partecipative di cui agli articoli 2062-2068 Code Civil).

1. Elementi peculiari

L’elemento caratterizzante il disegno di legge n. 148, comunicato alla presidenza del Senato il 15 marzo 2013, è certamente quello di riconoscere alle parti il potere di autoregolamentare i loro rapporti e ai rispettivi avvocati un ruolo fondamentale di assistenza nella negoziazione. Negoziazione che mira alla ricerca di un accordo che, una volta raggiunto e poi fatto omologare dal giudice, diviene esecutivo.

La procedura prende avvio con la firma di una convenzione, che contiene l’impegno delle parti di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza dei propri legali. Eventualmente anche con l’ausilio di esperti e consulenti di fiducia nominati dalle parti stesse.

Condizione per accedere a questa procedura è che le parti non siano già in causa e che oggetto della contesa siano diritti disponibili. La durata può essere concordata dalle parti da uno a quattro mesi, salvo possibilità di proroga.

Qualora non si raggiunga un accordo, l’espletamento della procedura partecipativa di negoziazione assistita esonera le parti dalla conciliazione e dalla mediazione nei casi in cui queste ultime siano previste dalla legge. Come per la mediazione, anche in questo caso è previsto il dovere dell’avvocato di informare il proprio assistito della possibilità di ricorrere alla procedura partecipativa.

L’accordo, che può essere anche parziale (purché redatto in modo completo), può essere sottoposto al Presidente del Tribunale territorialmente competente. In questo caso, grazie al decreto di omologazione, si ottiene un titolo esecutivo, idoneo per la trascrizione, l’annotazione, l’iscrizione o la cancellazione di qualsiasi formalità immobiliare.

2. Nell’ambito della separazione e del divorzio

Il disegno di legge prevede l’applicazione di tale procedura anche nella ricerca di una soluzione consensuale della separazione e del divorzio, o della modifica delle loro condizioni, anche in presenza di figli minori, o ancora per la regolamentazione dei rapporti tra genitori non coniugati nell’interesse dei figli.

In ciascuna di queste ipotesi l’articolo 14 del disegno di legge prevede la proposizione di un ricorso congiunto (riportante il contenuto dell’accordo raggiunto all’esito della procedura partecipativa di negoziazione assistita da un avvocato) al Tribunale che, senza sentire le parti, dopo aver acquisito il parere del pubblico ministero, provvede con decreto alla sua omologazione.

L’intervento dell’autorità giudiziaria potrà attuarsi solo in caso di regolamentazione dell’affidamento o del mantenimento dei figli, quando questo appaia in contrasto con il loro interesse. Solo allora il Giudice convocherà le parti e i rispettivi difensori al fine di chiedere chiarimenti sulla procedura partecipativa, indicando se necessario le modificazioni da adottare. In caso di inidonea soluzione il Tribunale potrà rifiutare l’omologazione.

3. Qualche considerazione

Cosa dire? Restiamo in attesa della decisione del Legislatore.

Certo è che questa riforma consentirebbe alle parti di pervenire ad un titolo esecutivo senza la burocratizzazione attualmente esistente, senza dover affrontare lo stress e la tensione di presentarsi in un’aula di Tribunale, senza dover affidarsi a professionisti nominati da terzi o ricorrere ad un organismo di mediazione sconosciuto. Con vantaggi in termini di tempo e forse anche di denaro.

In particolare, nell’ambito delle controversie familiari, questa procedura potrà rappresentare un punto di svolta. Un modo per risolvere le delicate problematiche che insorgono con la crisi familiare, consentendo alla coppia di procedere, con l’assistenza degli avvocati e il supporto di tecnici da loro scelti, verso la ricerca di un accordo che possa soddisfare la volontà e le esigenze di entrambi.

Resta inteso che, per un corretto utilizzo di tale procedura partecipativa, sarà necessaria un’alta professionalità e preparazione degli avvocati, che dovranno imparare a spogliarsi delle vesti del difensore ad oltranza, per assumere quelle dell’esperto competente e qualificato.

D’altro canto, bisognerà educare i cittadini alla responsabilizzazione e far comprendere loro l’importanza della prevenzione dei conflitti. Prevenzione in cui l’avvocato gioca un ruolo fondamentale, potendo fornire un servizio utile per conoscere diritti ed obbligazioni legate al percorso di vita di ciascuno e per valutare preventivamente il rischio giuridico che si assume.

Recentemente si è parlato molto di “negoziazione assistita”. Soprattutto a seguito delle dichiarazioni rese al Senato dal ministro della giustizia Andrea Orlando, il quale ha annunciato un provvedimento d’urgenza volto a favorire il ricorso alla via stragiudiziale per la soluzione delle controversie attraverso procedure arbitrali e mediante la negoziazione assistita da un avvocato, istituto quest’ultimo mutuato dall’esperienza francese (cosiddetto convention de procedure partecipative di cui agli articoli 2062-2068 Code Civil).

1. Elementi peculiari

L’elemento caratterizzante il disegno di legge n. 148, comunicato alla presidenza del Senato il 15 marzo 2013, è certamente quello di riconoscere alle parti il potere di autoregolamentare i loro rapporti e ai rispettivi avvocati un ruolo fondamentale di assistenza nella negoziazione. Negoziazione che mira alla ricerca di un accordo che, una volta raggiunto e poi fatto omologare dal giudice, diviene esecutivo.

La procedura prende avvio con la firma di una convenzione, che contiene l’impegno delle parti di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza dei propri legali. Eventualmente anche con l’ausilio di esperti e consulenti di fiducia nominati dalle parti stesse.

Condizione per accedere a questa procedura è che le parti non siano già in causa e che oggetto della contesa siano diritti disponibili. La durata può essere concordata dalle parti da uno a quattro mesi, salvo possibilità di proroga.

Qualora non si raggiunga un accordo, l’espletamento della procedura partecipativa di negoziazione assistita esonera le parti dalla conciliazione e dalla mediazione nei casi in cui queste ultime siano previste dalla legge. Come per la mediazione, anche in questo caso è previsto il dovere dell’avvocato di informare il proprio assistito della possibilità di ricorrere alla procedura partecipativa.

L’accordo, che può essere anche parziale (purché redatto in modo completo), può essere sottoposto al Presidente del Tribunale territorialmente competente. In questo caso, grazie al decreto di omologazione, si ottiene un titolo esecutivo, idoneo per la trascrizione, l’annotazione, l’iscrizione o la cancellazione di qualsiasi formalità immobiliare.

2. Nell’ambito della separazione e del divorzio

Il disegno di legge prevede l’applicazione di tale procedura anche nella ricerca di una soluzione consensuale della separazione e del divorzio, o della modifica delle loro condizioni, anche in presenza di figli minori, o ancora per la regolamentazione dei rapporti tra genitori non coniugati nell’interesse dei figli.

In ciascuna di queste ipotesi l’articolo 14 del disegno di legge prevede la proposizione di un ricorso congiunto (riportante il contenuto dell’accordo raggiunto all’esito della procedura partecipativa di negoziazione assistita da un avvocato) al Tribunale che, senza sentire le parti, dopo aver acquisito il parere del pubblico ministero, provvede con decreto alla sua omologazione.

L’intervento dell’autorità giudiziaria potrà attuarsi solo in caso di regolamentazione dell’affidamento o del mantenimento dei figli, quando questo appaia in contrasto con il loro interesse. Solo allora il Giudice convocherà le parti e i rispettivi difensori al fine di chiedere chiarimenti sulla procedura partecipativa, indicando se necessario le modificazioni da adottare. In caso di inidonea soluzione il Tribunale potrà rifiutare l’omologazione.

3. Qualche considerazione

Cosa dire? Restiamo in attesa della decisione del Legislatore.

Certo è che questa riforma consentirebbe alle parti di pervenire ad un titolo esecutivo senza la burocratizzazione attualmente esistente, senza dover affrontare lo stress e la tensione di presentarsi in un’aula di Tribunale, senza dover affidarsi a professionisti nominati da terzi o ricorrere ad un organismo di mediazione sconosciuto. Con vantaggi in termini di tempo e forse anche di denaro.

In particolare, nell’ambito delle controversie familiari, questa procedura potrà rappresentare un punto di svolta. Un modo per risolvere le delicate problematiche che insorgono con la crisi familiare, consentendo alla coppia di procedere, con l’assistenza degli avvocati e il supporto di tecnici da loro scelti, verso la ricerca di un accordo che possa soddisfare la volontà e le esigenze di entrambi.

Resta inteso che, per un corretto utilizzo di tale procedura partecipativa, sarà necessaria un’alta professionalità e preparazione degli avvocati, che dovranno imparare a spogliarsi delle vesti del difensore ad oltranza, per assumere quelle dell’esperto competente e qualificato.

D’altro canto, bisognerà educare i cittadini alla responsabilizzazione e far comprendere loro l’importanza della prevenzione dei conflitti. Prevenzione in cui l’avvocato gioca un ruolo fondamentale, potendo fornire un servizio utile per conoscere diritti ed obbligazioni legate al percorso di vita di ciascuno e per valutare preventivamente il rischio giuridico che si assume.