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Note critiche alla presunta salvaguardia del diritto all’oblio in capo a chi non dovrebbe (e non potrebbe): il motore di ricerca

Note a margine della Sentenza della Corte di Giustizia del 13 maggio 2014, causa C 131/12.

La funzione di esplorazione del motore di ricerca di Google, denominata «googlebot», perlustra Internet in modo costante e sistematico e, procedendo da una pagina web source all’altra sulla base di hyperlink tra le pagine, chiede ai siti visitati di inviarle una copia delle pagine visitate. Le copie di queste pagine web source vengono analizzate dalla funzione di indicizzazione di Google. Le sequenze di segni (parole chiave, termini di ricerca) trovate sulle pagine vengono registrate nell’indice del motore di ricerca.

Con l’espressione «motore di ricerca su Internet» si fa generalmente riferimento alla combinazione di software e strumenti che rendono possibile la ricerca di testi e contenuti audiovisivi su Internet. L’operatore economico che fornisce l’accesso ad un motore di ricerca può essere definito con l’espressione «fornitore di servizi di motore di ricerca su Internet».

Un motore di ricerca su Internet non crea, in linea di principio, contenuti autonomi nuovi. Nella sua forma più semplice, esso si limita a indicare dove può essere reperito un contenuto già esistente, messo a disposizione da terzi su Internet, fornendo un hyperlink verso il sito web contenente i termini di ricerca.

I risultati visualizzati da un motore di ricerca su Internet non sono basati su una ricerca istantanea dell’intero World Wide Web, ma sono raccolti dal contenuto che il motore di ricerca su Internet ha precedentemente trattato. Questo significa che il motore di ricerca su Internet ha recuperato contenuti dai siti web esistenti ed ha copiato, analizzato e indicizzato tali contenuti sui propri dispositivi. Questi contenuti recuperati includono dati personali se le pagine web source ne contengono a loro volta.

Per consentire un utilizzo più funzionale dei risultati di ricerca, i motori di ricerca su Internet visualizzano spesso contenuti addizionali a fianco del link verso il sito web originale. Può trattarsi di estratti di testi, di audiovisivi o di istantanee di pagine web source.

Il fornitore di servizi di motore di ricerca su Internet non ha alcun rapporto con il contenuto delle pagine web source di terzi su Internet in cui possono comparire dati personali. Inoltre, dato che il motore di ricerca lavora sulla base di copie di pagine web source che il crawler (è un software che analizza i contenuti di una rete o di un database) ha estratto e copiato, il fornitore di servizi non ha mezzi per cambiare le informazioni sui server host.

Il fornitore di servizi di motore di ricerca su Internet quindi, non può, né in diritto né in fatto, adempiere gli obblighi del responsabile del trattamento previsti dagli articoli 6, 7 e 8 della Direttiva in relazione ai dati personali contenuti in pagine web source ospitate su server di terzi.

Il  motore di ricerca su Internet «tratta» dati personali ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della Direttiva, tuttavia  non può essere considerato «responsabile del trattamento» di tali dati personali ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della Direttiva, fatta salve due eccezione:  per quanto riguarda i contenuti della memoria cache quando decida  di non rispettare i codici di esclusione (ossia quei codici indicati dal sito fornitore della notizia che “inibiscono” l’accesso alla notizia); ancora, nel caso in cui il fornitore di servizi di motore di ricerca su Internet non aggiorni una pagina web nella propria memoria cache nonostante il sito web gliene abbia fatto richiesta.

Il diritto di cancellazione e di congelamento dei dati, previsto all’articolo 12, lettera b), e il diritto di opposizione, previsto all’articolo 14, lettera d), della Direttiva 95/46, non consentono alla persona interessata di rivolgersi essa stessa ad un fornitore di servizi di motore di ricerca per impedire l’indicizzazione di informazioni che la riguardano personalmente, pubblicate legalmente su pagine web di terzi, facendo valere la sua volontà che tali informazioni non giungano a conoscenza degli utenti di Internet, quando la persona interessata ritenga che le suddette potrebbero arrecarle pregiudizio o desideri che vengano dimenticate.

Addossare un simile obbligo (di presunta tutela del diritto all’oblio), a differenza di quanto sostiene la Corte, implicherebbe un’interferenza con la libertà di espressione dell’editore di una pagina web, il quale non godrebbe di una tutela legale adeguata in tale situazione, poiché ogni «procedura di notifica e rimozione» non regolamentata altro non dovrebbe essere che una questione privata tra la persona interessata e il fornitore di servizi di motori di ricerca. Questo equivarrebbe ad una censura preventiva e non discussa del contenuto pubblicato.

Ancora in punto di diritto occorre dubitare che una analisi così prospettata porti a un’interpretazione fedele della Direttiva quando il trattamento verta su file che combinano dati personali e altri tipi di dati in maniera non sistematica, indiscriminata e aleatoria. Chi scrive, ad esempio, determina forse le finalità e i mezzi del trattamento dei dati personali figuranti nella sentenza della Corte che qui si commenta,  quando la scarica  sul proprio pc?

Seguendo l’impostazione della Corte potremmo arrivare ad un’interpretazione che renda responsabile del trattamento di dati personali pubblicati su Internet virtualmente qualsiasi persona in possesso di uno smartphone o di un tablet o di un computer portatile ?!?!.

Note a margine della Sentenza della Corte di Giustizia del 13 maggio 2014, causa C 131/12.

La funzione di esplorazione del motore di ricerca di Google, denominata «googlebot», perlustra Internet in modo costante e sistematico e, procedendo da una pagina web source all’altra sulla base di hyperlink tra le pagine, chiede ai siti visitati di inviarle una copia delle pagine visitate. Le copie di queste pagine web source vengono analizzate dalla funzione di indicizzazione di Google. Le sequenze di segni (parole chiave, termini di ricerca) trovate sulle pagine vengono registrate nell’indice del motore di ricerca.

Con l’espressione «motore di ricerca su Internet» si fa generalmente riferimento alla combinazione di software e strumenti che rendono possibile la ricerca di testi e contenuti audiovisivi su Internet. L’operatore economico che fornisce l’accesso ad un motore di ricerca può essere definito con l’espressione «fornitore di servizi di motore di ricerca su Internet».

Un motore di ricerca su Internet non crea, in linea di principio, contenuti autonomi nuovi. Nella sua forma più semplice, esso si limita a indicare dove può essere reperito un contenuto già esistente, messo a disposizione da terzi su Internet, fornendo un hyperlink verso il sito web contenente i termini di ricerca.

I risultati visualizzati da un motore di ricerca su Internet non sono basati su una ricerca istantanea dell’intero World Wide Web, ma sono raccolti dal contenuto che il motore di ricerca su Internet ha precedentemente trattato. Questo significa che il motore di ricerca su Internet ha recuperato contenuti dai siti web esistenti ed ha copiato, analizzato e indicizzato tali contenuti sui propri dispositivi. Questi contenuti recuperati includono dati personali se le pagine web source ne contengono a loro volta.

Per consentire un utilizzo più funzionale dei risultati di ricerca, i motori di ricerca su Internet visualizzano spesso contenuti addizionali a fianco del link verso il sito web originale. Può trattarsi di estratti di testi, di audiovisivi o di istantanee di pagine web source.

Il fornitore di servizi di motore di ricerca su Internet non ha alcun rapporto con il contenuto delle pagine web source di terzi su Internet in cui possono comparire dati personali. Inoltre, dato che il motore di ricerca lavora sulla base di copie di pagine web source che il crawler (è un software che analizza i contenuti di una rete o di un database) ha estratto e copiato, il fornitore di servizi non ha mezzi per cambiare le informazioni sui server host.

Il fornitore di servizi di motore di ricerca su Internet quindi, non può, né in diritto né in fatto, adempiere gli obblighi del responsabile del trattamento previsti dagli articoli 6, 7 e 8 della Direttiva in relazione ai dati personali contenuti in pagine web source ospitate su server di terzi.

Il  motore di ricerca su Internet «tratta» dati personali ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della Direttiva, tuttavia  non può essere considerato «responsabile del trattamento» di tali dati personali ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della Direttiva, fatta salve due eccezione:  per quanto riguarda i contenuti della memoria cache quando decida  di non rispettare i codici di esclusione (ossia quei codici indicati dal sito fornitore della notizia che “inibiscono” l’accesso alla notizia); ancora, nel caso in cui il fornitore di servizi di motore di ricerca su Internet non aggiorni una pagina web nella propria memoria cache nonostante il sito web gliene abbia fatto richiesta.

Il diritto di cancellazione e di congelamento dei dati, previsto all’articolo 12, lettera b), e il diritto di opposizione, previsto all’articolo 14, lettera d), della Direttiva 95/46, non consentono alla persona interessata di rivolgersi essa stessa ad un fornitore di servizi di motore di ricerca per impedire l’indicizzazione di informazioni che la riguardano personalmente, pubblicate legalmente su pagine web di terzi, facendo valere la sua volontà che tali informazioni non giungano a conoscenza degli utenti di Internet, quando la persona interessata ritenga che le suddette potrebbero arrecarle pregiudizio o desideri che vengano dimenticate.

Addossare un simile obbligo (di presunta tutela del diritto all’oblio), a differenza di quanto sostiene la Corte, implicherebbe un’interferenza con la libertà di espressione dell’editore di una pagina web, il quale non godrebbe di una tutela legale adeguata in tale situazione, poiché ogni «procedura di notifica e rimozione» non regolamentata altro non dovrebbe essere che una questione privata tra la persona interessata e il fornitore di servizi di motori di ricerca. Questo equivarrebbe ad una censura preventiva e non discussa del contenuto pubblicato.

Ancora in punto di diritto occorre dubitare che una analisi così prospettata porti a un’interpretazione fedele della Direttiva quando il trattamento verta su file che combinano dati personali e altri tipi di dati in maniera non sistematica, indiscriminata e aleatoria. Chi scrive, ad esempio, determina forse le finalità e i mezzi del trattamento dei dati personali figuranti nella sentenza della Corte che qui si commenta,  quando la scarica  sul proprio pc?

Seguendo l’impostazione della Corte potremmo arrivare ad un’interpretazione che renda responsabile del trattamento di dati personali pubblicati su Internet virtualmente qualsiasi persona in possesso di uno smartphone o di un tablet o di un computer portatile ?!?!.