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Par condicio: funzioni della Commissione Bicamerale di Vigilanza

Il “pluralismo politico” venne considerato e cristallizzato, per la prima volta, tra i principi del servizio pubblico, dalla Legge n. 103/1975 (articolo 1, comma 2), legge istitutiva della Commissione parlamentare per l’ indirizzo e la vigilanza sui servizi radiotelevisivi, alla quale (articolo 4) si riservava il compito di disciplinare in modo diretto le varie rubriche delle Tribune (politica, sindacale, elettorale, stampa) che la RAI trasmetteva.

Si demandava dunque, con delega inconsueta, la regolamentazione dell’accesso dei partiti, insieme alla conseguente determinazione dei diritti e dei doveri caratterizzanti sia i soggetti politici che l’emittente, alle disposizioni dettate da un organo parlamentare, per loro natura insindacabili. In realtà la disciplina si devolveva, per i periodi elettorali e non, ad una normativa “interna”, “autogestita” dai partiti facenti parte della Commissione parlamentare.[1]

L’accesso si configurava, fondamentalmente, nelle sole Tribune, ovvero i comizi televisivi degli esponenti partitici, all’interno delle quali i rappresentanti politici rispondevano alle domande dei giornalisti, escludendo qualsiasi forma di propaganda, sia a pagamento che gratuita. La disciplina dell’accesso dei partiti, tuttavia, non toccava la spinosa questione della “non discriminazione” dei partiti all’interno delle trasmissioni di informazione del servizio pubblico radiotelevisivo, che rifluiva, molto genericamente, nel tema della garanzia del pluralismo, affidata dalla riforma del ’75 al sistema di governo della concessionaria del servizio pubblico.

Di conseguenza, l’attività della Commissione parlamentare di vigilanza riguarda direttamente non solo la libertà di manifestazione del pensiero (articolo 21 della Costituzione) ma anche l’esercizio del diritto di cronaca: la scelta degli strumenti di intervento normativo da adoperare, per tutelare direttamente o meno la par condicio, diventa fondamentale, al fine di evitare censure preventive o successive nei confronti dell’attività radiotelevisiva.

Tra questi, i poteri di indirizzo generale si traducono, in sostanza, nell’elaborazione di testi il cui contenuto consiste in considerazioni di contesto ed indicazioni di obiettivi e, più frequentemente, di risultati da valutare ex post, che in pochi casi assumono le caratteristiche di disposizioni di dettaglio. Si esprime un orientamento, al quale la società concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico si conforma non necessariamente con puntualità, badando più al conseguimento degli obiettivi indicati nell’atto di indirizzo che alla puntuale realizzazione del precetto specifico.

L’esempio più rilevante di atto di indirizzo “generale” in materia, è rappresentato dal provvedimento del 13 febbraio del 1997, il quale definisce la nozione di “pluralismo” nelle sue varie accezioni: non solo dunque il pluralismo politico, ma anche quello sociale, culturale, religioso, etnico, di genere, di età, geografico (in rapporto alle varie istanze sociali), e addirittura produttivo (relativo all’esigenza di non affidare la realizzazione dei programmi ad un unico produttore)[2]. Di portata più “tecnica”, ma parimenti generale, risulta il provvedimento dell’ 11 marzo del 2003 “sulle garanzie del pluralismo del servizio radiotelevisivo pubblico”, che preclude, in linea di principio, la presenza di esponenti politici nelle trasmissioni di intrattenimento. Tra i provvedimenti della Commissione, quelli che hanno per oggetto la RAI, e nello specifico la disciplina del pluralismo, dunque, rivestono la forma della risoluzione: si sottolinea così il proposito della Commissione di individuare una forma parlamentare dei propri atti che si accordi col carattere non tassativo degli indirizzi.

Le funzioni della Commissione di vigilanza RAI in materia di par condicio si traducono in una serie di competenze specifiche, che prevedono talvolta lo svolgimento di compiti prettamente amministrativi quanto ai contenuti. Contigue a tali attribuzioni, sono enumerabili ulteriori potestà che richiedono, per la loro attuazione, la stesura di provvedimenti a carattere “regolatorio”, attuativi di norme di legge.

In generale, è compito della Commissione parlamentare la disciplina diretta delle Tribune politiche, elettorali, sindacali e della stampa (articolo 4, comma 1, Legge n. 103/1975); la disciplina dei programmi che illustrano le fasi del procedimento elettorale (articolo 19, comma 1, Legge n. 53/1990); le prescrizioni per garantire parità tra le forze politiche nell’accesso agli spazi radiotelevisivi di propaganda elettorale della concessionaria pubblica, nonché la disciplina diretta delle rubriche e dei programmi di informazione elettorale della concessionaria pubblica (articolo 1, comma 1, Legge n. 515/1993); stabilire le modalità, i criteri e gli ambiti territoriali di diffusione della comunicazione politica della concessionaria pubblica e dei messaggi autogestiti nelle campagne elettorali e referendarie (articolo 4, commi 2, 3 e 11, Legge n. 28/2000); definire i criteri specifici per i programmi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie (articolo 5, comma 1, Legge n. 28/2000)[3]; stabilire regole applicative della disciplina della comunicazione politica radiotelevisiva della concessionaria pubblica in periodi non coincidenti con campagne elettorali (articolo 2, comma 5, Legge n. 28/2000); emanare le disposizioni per la disciplina dei messaggi politici autogestiti trasmessi dalla concessionaria pubblica in periodi non coincidenti con campagne elettorali (articolo 3, commi 3 e 8, Legge n. 28/2000); la disciplina di carattere generale dei programmi dell’Accesso e la loro gestione diretta, tramite l’ apposita Sottocommissione, nonché la definizione dei ricorsi in materia di Accesso contro i provvedimenti della Sottocommissione (articolo 4, comma 1, e articolo 6, legge 103/1975).

Rispetto al passato, le maglie strette della Legge n. 28/2000 hanno reso, con molta probabilità, la Commissione parlamentare meno libera nell’ esercizio delle proprie funzioni e valutazioni, rendendo, di conseguenza, le indicazioni emesse meno appropriate: una dimostrazione consiste sicuramente nella scarsa efficacia della programmazione radiotelevisiva per le elezioni politiche del 2008, più volte criticata sui mass media stessi.

La programmazione è, ad esempio, obbligata, dalla legge e dai provvedimenti della Commissione, i quali non possono violarla, a sovraesporre (al di fuori anche delle Tribune elettorali) sigle politiche oggettivamente non coincidenti a movimenti rilevanti nella realtà del Paese.

La menomazione, da ciò derivante indirettamente, del ruolo e del dovere comunicativo e informativo del servizio radiotelevisivo pubblico è palese: la situazione, dunque, non corrisponde, verosimilmente, alle intenzioni e soprattutto ai risultati che il legislatore voleva perseguire con la Legge n. 28/2000. E’utile, a tal proposito, riportare i contenuti di merito in questa normativa, cui si è attenuta la Commissione parlamentare nell’emanazione dei relativi provvedimenti attuativi.

La Legge n. 515/1993 ha attribuito alla Commissione, oltre alla potestà di dettare le prescrizioni finalizzate a garantire parità di trattamento tra le forze politiche, il compito di “disciplinare direttamente le rubriche elettorali ed i servizi o i programmi di informazione elettorale della RAI” (articolo 1, comma 1). La Legge n. 28/2000 conferma tale potestà, distinguendo in aggiunta le trasmissioni di “comunicazione politica”, i “messaggi autogestiti”, e l’“informazione” dalle altre forme di programmazione televisiva, prevedendo inoltre che la Commissione e L’Autorità, “previa consultazione tra loro, e ciascuna nell’ ambito della propria competenza, stabiliscano le regole per l’applicazione della disciplina” per ciascuna tipologia ( articolo 2, comma 5; articolo 3, comma 8; articolo 4, comma 2 e 11; articolo 5, comma 1).

Allo scopo di assicurare le garanzie del pluralismo, la trattazione di temi politici, dunque, è stata riservata alle tre tipologie indicate: pluralismo perseguito con maggior intransigenza nei periodi coincidenti con campagne elettorali e referendarie ed in quelli che, nell’immediato, le precedono.

Tuttavia la definizione tautologica che dà la legge n. 28/2000 (nel disposto dell’ articolo 2, comma 2) di comunicazione politica e le connotazioni spesso “filosofiche” che la caratterizzano, rendono complicata la definizione di ciò che, effettivamente, va considerata “politica”[4]. Si applica a tal fine, la disposizione di cui all’articolo 1, comma 5, della Legge n. 515/1993, che introduce un criterio “soggettivo”: si individuano, cioè, gli esponenti politici nei candidati, nei componenti dell’Esecutivo, nei membri dei partiti, vietandone la presenza nelle trasmissioni diverse da quelle informative, in periodi elettorali[5]. Relativamente agli altri periodi, l’“indirizzo” dell’ 11 marzo del 2003, non sempre rispettato, della Commissione preclude, di norma, la presenza dei politici nei programmi di intrattenimento.

Tale assetto normativo ha introdotto la consuetudine della “riconduzione” alla responsabilità delle testate, in periodo elettorale si intende, di trasmissioni che normalmente non vi appartengono, con il fine di poterle considerare “informazioni”, limitando di fatto il numero di programmi di comunicazione politica ( che si riducono nuovamente a consistere nelle sole Tribune).

Nella prassi, la Commissione, che a differenza dell’Autorità non deve dare indicazioni all’emittenza locale, non sempre disciplina le campagne elettorali e referendarie che riguardano percentuali ridotte di elettori. Tuttavia la frequenza dei provvedimenti della Commissione, dal 1975, è, senza dubbio, consistente: elezioni politiche, del Parlamento europeo, regionali a statuto ordinario, circa trenta delle Regioni a statuto speciale, amministrative (anche di realtà significative come i grandi Comuni), quindici tornate referendarie nazionali. Bisogna considerare, dunque, non solo l’ importanza di ogni consultazione, ma anche la sua intrinseca complessità, nel momento in cui la Commissione si confronta con la diversità dei sistemi elettorali, l’alto numero di liste e candidati e di quesiti referendari, le specificità locali. Le delibere, che riguardano tali tematiche, spesso si auto qualificano come “atti di indirizzo” alla RAI: dopo l’adozione delle Leggi n. 515/1993 e n. 28/2000, la tipologia dell’“indirizzo” avrebbe dovuto assumere caratteristiche distinte da quelle del “regolamento” attuativo.

Tuttavia, nella pratica, la questione ha un rilievo meramente terminologico.

Resta indiscutibile il fatto che, in questa attività, la Commissione dispone di poteri non trascurabili. Di notevole portata, resta il potere dell’individuazione di quali debbano essere i soggetti politici rilevanti, tra i quali andranno ripartiti gli spazi disponibili, i quali, per definizione, restano esigui.

Un numero elevato di “voci” politiche, rispetto alle capacità e alle esigenze di un telespettatore medio, comporta che nessuna di queste ultime venga effettivamente ascoltata: la valutazione delle “voci” oggettivamente rilevanti è, dunque, fondamentale. A tal fine, la tradizionale ripartizione del tempo in parti uguali nelle campagne elettorali, e con criteri di proporzionalità alla consistenza numerica dei soggetti al di fuori delle campagne elettorali, può considerarsi vincolante solo in linea di massima, essendosi constatate varie eccezioni.

La disciplina diretta della Commissione, infatti, si esercita, fondamentalmente e integralmente, solo su quelle trasmissioni di comunicazione politica che espressamente sono qualificate come Tribune: su queste ultime, all’organo parlamentare è riconosciuta la potestà di indicarne ora e data e di definire (o fornire criteri per farlo) quali personalità rappresenteranno ciascun soggetto politico nelle singole trasmissioni.

Relativamente a ciò, se, in periodo di campagna elettorale, l’individuazione dei soggetti politici cui assegnare spazi radiotelevisivi tiene conto di criteri stabiliti dalla legge (si considerano rilevanti, ad esempio, le liste e le coalizioni presentate in più ambiti territoriali da interessare almeno un quarto dell’ elettorato complessivo), nei periodi al di fuori delle consultazioni elettorali tale scelta è rimessa alla Commissione senza specifiche indicazioni.

Entra in gioco una valutazione discrezionale di rilevanza politica: normalmente le personalità politiche sono riconosciute in riferimento ai gruppi parlamentari, soggetti dotati sia di natura giuridica certa che di “referenti” sostanziali facilmente individuabili.

Accade spesso, tuttavia, che debbano essere garantiti spazi a forze politiche interne ai gruppi, in quanto espressione di minoranze rilevanti (anche costituzionalmente tali) come quelle linguistiche o etniche, o rappresentanti del Parlamento europeo, o, ancora, perché portatrici di istanze e opinioni rilevanti nella trattazione di temi specifici[6].

L’esigenza poi di riconoscere l’effettiva collocazione politica di ciascuno, nasce principalmente nella XV legislatura, caratterizzata da gruppi che risultavano, talvolta, dalla somma di parlamentari appartenenti a forze differenti tra loro[7]. La potestà, ovviamente, di decidere, caso per caso, a chi debba essere conferita “voce”, comporta un’assunzione di responsabilità, da svolgere con altrettanta legittimazione, non irrilevante.

La Legge n. 28/2000 introduce tre concetti fondamentali, sia per la ripartizione delle competenze tra Commissione e Autorità (un sistema duale da molti ritenuto “incomprensibile”) che per la regolazione della par condicio, e sono i programmi di informazione, i programmi di comunicazione politica, i messaggi autogestiti.

In relazione ai programmi di informazione, la legge si riferisce in primis a telegiornali e giornali radio, e quindi alle testate regolarmente registrate secondo le regole della stampa periodica. Sulla base di considerazioni di tipo contenutistico, la legge estende tale criterio anche ad alcune trasmissioni non registrate e che non sono connotate da periodicità. I principi di individuazione (“contenuto informativo”, “rilevante presentazione giornalistica”, “correlazione ai temi di attualità e di cronaca”) tuttavia sono assai indiziari e sottili: si tratta di una sfera caratterizzante fondamentalmente indefinita e indefinibile.

A tal proposito la Commissione parlamentare, con il provvedimento 23 marzo 2001, ha fatto espliciti riferimenti a tutti quei programmi riconducibili alla responsabilità delle testate giornalistiche delle emittenti nazionali, esponendo una serie di criteri formali (come “l’apporto giornalistico qualificante ma non esclusivo”) che la Commissione stessa tuttavia ha definito “indicativi”, specificando che per la qualificazione di un programma come di informazione, non sarebbe bastata la riconducibilità alla responsabilità di una testata. La Legge n. 28/2000 afferma inoltre che le emittenti “devono assicurare a tutti i soggetti politici con imparzialità ed equità l’ accesso all’informazione” (articolo 2, comma 1) ma tali disposizioni “non si applicano alla diffusione di notizie nei programmi di informazione” (articolo 2, comma 2).

In pratica la legge indica un obiettivo (imparzialità ed equità quando l’informazione “tratta” la politica) ma lascia alle emittenti la scelta delle modalità più idonee per realizzarlo, senza escludere, tra l’altro, che il programma di informazione possa seguire un proprio indirizzo critico.

L’onere dell’imparzialità e dell’equità per l’informazione è stato concepito, per la RAI, in maniera molto più rigida dalla Commissione parlamentare[8]: “nel rispetto della libertà di informazione” si impone infatti ai direttori di testata l’obbligo di “assicurare che i programmi di informazione a contenuto politico-parlamentare attuino un’ equa rappresentanza di tutte le opinioni politiche presenti in Parlamento”, avvicinando, di fatto, lo specifico segmento delle trasmissioni di informazione a quelle di comunicazione politica.

Oltre i vincoli che si possono desumere dalla legge n. 28/2000, la Commissione prescrive, inoltre, che i programmi diversi dai notiziari non possono trattare temi politici o elettorali (articolo 2, comma 1, lett. d); che, durante le campagne elettorali, i notiziari debbano perseguire indipendenza, obiettività, completezza, pluralismo “con particolare rigore” (articolo 7); che i direttori di telegiornali e trasmissioni di approfondimento, insieme ai conduttori e gli addetti alla regia debbano prendere in considerazione “in maniera particolarmente rigorosa ogni cautela atta ad evitare che si determinino situazioni di svantaggio per determinate forze politiche o determinati competitori elettorali”, curando nello specifico “che gli utenti non siano oggettivamente nella considerazione di poter attribuire, in base alla conduzione del programma, specifici orientamenti politici ai conduttori o alla testata e che non si determini, in modo ingiustificato, un uso eccessivo di riprese con presenza diretta di candidati, di membri del governo o di notori esponenti politici” (articolo 7, comma 2).

Una minuziosità, di prescrizioni e divieti, giustificata da una indiretta affermazione di pratiche di “spoil system” e di eccessiva politicizzazione, concernente reti, testate e conduzioni e che obbliga, di conseguenza, le stesse forze politiche, per voce della Commissione di vigilanza, a chiedere una moderazione dell’eccessivo servilismo e della faziosità sfacciata.

Sono da considerarsi programmi di comunicazione politica invece (definiti inizialmente nell’ articolo 2, comma 2 e 3 della Legge n. 28/2000), quelle trasmissioni “in cui assuma carattere rilevante l’ esposizione di opinioni e valutazioni politiche manifestate attraverso tipologie di programmazione che comunque consentano un confronto dialettico tra più opinioni, anche se conseguito nel corso di più trasmissioni” (articolo 11 Legge n. 241/2003). Tale comunicazione non assume le caratteristiche della propaganda o dell’informazione politica “autogestita”, ma rappresenta una sede ideale di dibattito politico, nella quale ci si confronta dialetticamente sulle proprie opinioni messe al vaglio critico dell’opinione pubblica.

La disciplina recata della Legge n. 28/2000, relativamente ai programmi di comunicazione politica, è assai carente: stabilisce che l’offerta di tali trasmissioni debba essere obbligatoria per le emittenti nazionali (senza indicarne tuttavia la consistenza minima[9]); che la partecipazione ai programmi debba essere gratuita e che all’interno di questi ultimi debba essere garantita parità di espressione.

Nonostante, per i periodi elettorali, la legge fornisca criteri specifici di riparto degli spazi tra i soggetti politici, ai quali le regolamentazioni di Commissione e Autorità devono rifarsi, sostanzialmente la disciplina dei programmi è delegata ai due organi, per il servizio pubblico radiotelevisivo e per l’emittenza privata. Secondo l’articolo 2 del provvedimento “Comunicazione politica e messaggi autogestiti nella programmazione della Società concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico” della Commissione, i soggetti politici beneficianti della par condicio sono: “ a) ciascuna delle forze politiche che costituiscono gruppo in almeno un ramo del Parlamento; b) ciascuna delle forze politiche, diverse da quelle di cui al punto “a”, che hanno eletto con proprio simbolo almeno due rappresentanti al Parlamento europeo; c) ciascuna delle forze politiche, diverse da quelle di cui al punto “a” e “b” che hanno eletto con proprio simbolo almeno un rappresentante al Parlamento nazionale o nel Parlamento europeo e che sono oggettivamente riferibili ad una delle minoranze linguistiche indicate dall’ articolo 2 della legge n. 482/1999; d) limitatamente alle Tribune, il gruppo Misto della Camera dei Deputati e il gruppo Misto del Senato della Repubblica[10]; e) i Comitati promotori di referendum abrogativi ai sensi dell’ articolo 75 della Costituzione”.

In termini pressoché corrispondenti si esprime l’Autorità, nell’ analisi dei soggetti politici, con il provvedimento n. 200/00/csp; al contrario, sui criteri di ripartizione degli spazi tra i diversi attori politici, persiste una sensibile disomogeneità tra i provvedimenti della Commissione parlamentare e l’ AGCOM. Secondo la Commissione, a tal proposito, (articolo 3, comma 4 e 5) “nelle trasmissioni di comunicazione politica, la ripartizione massima del tempo disponibile tra i soggetti indicati all’ articolo 2 è effettuata dividendo metà del tempo in parti uguali, e l’ altra metà in proporzione alla consistenza di ciascuna forza politica o coalizione nelle assemblee di riferimento”; “nel caso di trasmissioni dedicate alle coalizioni, lo spazio di ciascuna coalizione è quello risultante dalla somma degli spazi spettanti a ciascun soggetto che la compone. In ogni caso, alcuni dei soggetti di cui all’ articolo 2 possono convenire di attribuire lo spazio loro spettante ad una rappresentanza comune”[11]; inoltre “la presenza di tutti i soggetti aventi diritto, qualora non abbia luogo nella medesima trasmissione, deve realizzarsi in trasmissioni omogenee o della stessa serie, entro il termine di due mesi decorrenti dalla messa in onda della prima trasmissione”; e ancora “ogni trasmissione del ciclo o della serie deve avere una collocazione che garantisca le medesime opportunità di ascolto delle altre”.

La soluzione della Commissione bilancia, mediando, il criterio dell’ eguale tempo e quello del peso politico, distribuendo i tempi di parola per metà secondo un principio paritetico, per l’altra sulla base della consistenza delle rappresentanze parlamentari o assembleari[12].

Per il servizio radiotelevisivo pubblico, i cicli di trasmissioni (e cioè l’ inserimento dei programmi nei palinsesti) hanno scansione bimestrale (articolo 3, comma 6) e non trimestrale, come per le emittenti private. Secondo gli indirizzi della Commissione, “la RAI programma le trasmissioni di comunicazione politica su tutte le reti, in orari che assicurino buoni ascolti, e le organizza con modalità che ne facilitino la fruizione da parte di ampie fasce di pubblico, privilegiando in particolare l’ agilità della conduzione”.

La RAI, dunque, oltre ad essere tenuta a trasmettere, in modo autonomo, programmi del suddetto tipo, è obbligata, in quanto servizio pubblico e a norma degli articolo 1 e 4 della Legge n. 103/1975, le “Tribune”[13] gestite dalla Commissione parlamentare di vigilanza.

Anche i messaggi politici autogestiti, come i programmi di comunicazione politica, sono spazi di accesso, messi a disposizione dalle televisioni nazionali, di cui i soggetti politici devono poter usufruire (soggetti che sono identificati direttamente nei provvedimenti attuativi della Commissione e dell’ Autorità).

Tuttavia, a differenza delle trasmissioni di comunicazione politica, i messaggi autogestiti sono minuziosamente disciplinati dalla legge[14], onde evitare una loro degenerazione in termini pubblicitari. Privilegiando la forma dialogica e informativa della comunicazione, la Commissione parlamentare, in linea con le disposizioni della Legge n. 28/2000, ha ribadito che tali messaggi, al fine di tutelare il pubblico, devono: recare obbligatoriamente elementi che identifichino il committente e la finalità; non possono superare uno spazio superiore al 25% di quello destinato ai programmi di comunicazione politica; il numero dei contenitori non può essere maggiore di due al giorno (quattro in campagna elettorale); nel corso di ciascun contenitore, un attore politico non può emettere più di un messaggio; gli spazi all’ interno dei contenitori sono assegnati per sorteggio e quelli non utilizzati non possono essere ceduti o destinati ad altro tipo di messaggio.

L’articolo 2, comma 8, della legge n. 28/2000 delega la definizione di criteri di rotazione, per l’ utilizzo in ogni ambito mensile degli spazi, alla Commissione parlamentare, per il servizio pubblico radiotelevisivo, e all’ Autorità, per le emittenti private.

[1] C. CHIOLA, Notazioni sulla propaganda elettorale televisiva, in Studi in onore di M. Mazziotti di Celso, p. 245, vol. I, 1995, Padova

[2] G. MALINCONICO, La Commissione di vigilanza RAI a vent’ anni dalla riforma della radiotelevisione pubblica, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 4, p. 924, 1998

[3] Tra i contenuti più significativi, la disciplina dell’ illustrazione delle modalità di voto ha iniziato a trovare applicazione a partire dal 1994: si realizza con brevi spot illustrativi (il cui testo è preventivamente inoltrato alla Commissione) che divulgano sia gli adempimenti per la presentazione delle candidature, sia le concrete modalità per esprimere il voto (incluse, ad esempio, le agevolazioni per i disabili). Si menziona inoltre l’ individuazione, da parte della Commissione RAI, entro i limiti di legge, dei soggetti politici legittimati ad accedere alle trasmissioni, ed i criteri di riparto dei tempi (A. VALASTRO, Parità di accesso al mezzo televisivo in campagna elettorale, in Diritto dell’ informazione , p. 695, 2001)

[4] Se tutto o quasi può essere considerato “politica”, di fatto si vanifica l’ applicazione della legge. Se invece si restringe troppo il numero di trasmissioni “politiche”, molti programmi sfuggirebbero all’ intento regolatorio (tra l’ altro, trattare tematiche di tale tipologia in poche e sorvegliate trasmissioni, rischierebbe di provocare una “ghettizzazione”della politica, dando la sensazione di affrontare argomenti problematici, poco trasparenti, per nulla attraenti)(R. BORRELLO, Soggetti politici e trasmissioni radiotelevisive, in Giur. Della Costituzione , I, p. 639, 2000)

[5] L’ articolo 20 della legge n. 515/1993 estende tale divieto, ideato fondamentalmente per le elezioni “politiche”, anche alle altre fattispecie di elezioni, a prescindere dal numero di elettori coinvolti. Ne risulta una regola (figlia di un concepimento frettoloso) che, in corrispondenza di qualsiasi tipo di consultazione elettorale, vieterebbe la presenza di soggetti politici in ogni trasmissione “non informativa” irradiata su territorio nazionale. Il buonsenso, nella pratica, permette un regolare svolgimento delle attività (G. MALINCONICO, La Commissione parlamentare di vigilanza RAI a vent’ anni dalla riforma della radiotelevisione pubblica, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 4, p. 488, 1998)

[6] Nel 1998, prima dell’ entrata in vigore della legge n. 28/2000, emblematica è la situazione venutasi a creare a seguito della crisi del primo governo Prodi. In essa, Rifondazione comunista aveva avuto un ruolo determinante, tuttavia, scindendosi, perse la natura di gruppo parlamentare per mancanza del numero richiesto di deputati. Poiché alle Tribune della crisi erano ammessi i soli gruppi , si sarebbe giunti alla conseguenza paradossale di un dibattito sulla crisi istituzionale escludendo il maggiore protagonista, se la Commissione non avesse avuto la potestà di modificare, tempestivamente e con precisione, i propri criteri (B. FILIPPO, Storia e funzioni della Commissione parlamentare di vigilanza RAI, p. 75-76, 2009, Cedis, Roma)

[7] I Verdi, nella XV legislatura, erano in una Camera un gruppo autonomo, nell’ altra una frazione di un gruppo diverso dal Misto; situazioni affini si sono verificate anche con i partiti richiamanti le “autonomie”, il partito socialista e i radicali, presenti in più gruppi, incluso il Misto, ed i relativi componenti avevano preso spesso posizioni opposte per quanto concerne la fiducia al Governo. In tali situazioni, la Commissione deve sia evitare accorpamenti arbitrari, sia impedire la moltiplicazione di un soggetto politico unico in più entità fittizie (B. FILIPPO, Storia e funzioni della Commissione parlamentare di vigilanza RAI, p. 79-80, 2009, Cedis, Roma)

[8] Provvedimento 23 marzo 2001, recante disposizioni per la “Comunicazione politica e messaggi autogestiti nella programmazione della Società concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico”.

[9] L’ offerta di trasmissioni di comunicazione politica non costituirebbe un “onere” inteso in senso tecnico, ma in senso “sostanziale” , per l’ assenza appunto di una sorta di quantificazione (O. GRANDINETTI, Par condicio e programmi di informazione, p. 131, in Giornale di dir. amministrativo, n. 10, 2004)

[10] “I rispettivi presidenti individuano, secondo criteri ed esigenze di rappresentatività e pariteticità, le forze politiche, diverse da quelle di cui al punto “a”, “b” e “c” che di volta in volta rappresenteranno ciascun gruppo”

[11] “Si intendono per coalizioni l’ insieme dei gruppi parlamentari i cui componenti siano stati, interamente o in parte, eletti su quota maggioritaria nelle ultime elezioni politiche. L’ appartenenza dei singoli gruppi alle coalizioni è certificata dai loro Presidenti, ovvero, per le componenti del gruppo Misto, dal Presidente della componente, ovvero, per le forze politiche che non costituiscono componente, dai parlamentari interessati appartenenti al gruppo Misto”

[12] Secondo il provvedimento dell’ Autorità (articolo 2, comma 3, n. 200/00/csp), “i soggetti politici partecipano alle trasmissioni in ragione del proprio consenso elettorale e, ove concordato, anche attraverso rappresentanti delle comuni coalizioni di riferimento. In tale caso lo spazio delle coalizioni sarà dato dalla somma degli spazi delle diverse componenti della coalizione”

[13] Nello specifico sulle Tribune post legge n. 28/2000: “La Commissione parlamentare stabilisce il tempo della effettiva durata minima settimanale di programmazione, anche ai fini della proporzione con il tempo dei messaggi autogestiti di cui all’ articolo 3, comma 4, della legge n. 28/2000. Nelle Tribune, salvo disposizioni della Commissione: a) i calendari delle trasmissioni sono preventivamente comunicati alla Commissione; b) ciascun soggetto politico avente diritto designa autonomamente la persona o le persone che lo rappresenteranno nella trasmissione; c) ove necessaria, la ripartizione degli aventi diritto in più trasmissioni ha luogo mediante sorteggio, la RAI può concordare con la Commissione criteri di ponderazione; d) la trasmissione ha ruolo di regola in diretta: l’ eventuale registrazione deve essere effettuata nelle 24 ore precedenti la messa in onda; e) la presenza di tutti gli aventi diritto si realizza in un periodo inferiore a quello di due mesi; f) l’ eventuale rinuncia di un soggetto avente diritto a partecipare alle trasmissioni non pregiudica la facoltà degli altri di intervenirvi, anche nella medesima trasmissione, nella quale è fatta menzione della rinuncia; g) per le Tribune regionali,le funzioni attribuite alla Commissione ai sensi del presente provvedimento, sono rimesse ai relativi Corerat o ai Corecom, i quali possono nuovamente investirne la Commissione. Possono inoltre proporre alla Commissione la programmazione di cicli di Tribune riferiti ad una specifica regione, autonomi rispetto alla programmazione generale regionale”

[14] Secondo l’ articolo 3, comma 3, della legge n. 28/2000, “i messaggi recano la motivata espressione di un programma o di un’ opinione politica ed hanno una durata compresa da uno a tre minuti per le emittenti televisive e trenta o novanta secondi per le emittenti radiofoniche, a scelta del richiedente. I messaggi non possono interrompere altri programmi, hanno un’ autonoma collocazione nella programmazione e sono trasmessi entro appositi contenitori”

Il “pluralismo politico” venne considerato e cristallizzato, per la prima volta, tra i principi del servizio pubblico, dalla Legge n. 103/1975 (articolo 1, comma 2), legge istitutiva della Commissione parlamentare per l’ indirizzo e la vigilanza sui servizi radiotelevisivi, alla quale (articolo 4) si riservava il compito di disciplinare in modo diretto le varie rubriche delle Tribune (politica, sindacale, elettorale, stampa) che la RAI trasmetteva.

Si demandava dunque, con delega inconsueta, la regolamentazione dell’accesso dei partiti, insieme alla conseguente determinazione dei diritti e dei doveri caratterizzanti sia i soggetti politici che l’emittente, alle disposizioni dettate da un organo parlamentare, per loro natura insindacabili. In realtà la disciplina si devolveva, per i periodi elettorali e non, ad una normativa “interna”, “autogestita” dai partiti facenti parte della Commissione parlamentare.[1]

L’accesso si configurava, fondamentalmente, nelle sole Tribune, ovvero i comizi televisivi degli esponenti partitici, all’interno delle quali i rappresentanti politici rispondevano alle domande dei giornalisti, escludendo qualsiasi forma di propaganda, sia a pagamento che gratuita. La disciplina dell’accesso dei partiti, tuttavia, non toccava la spinosa questione della “non discriminazione” dei partiti all’interno delle trasmissioni di informazione del servizio pubblico radiotelevisivo, che rifluiva, molto genericamente, nel tema della garanzia del pluralismo, affidata dalla riforma del ’75 al sistema di governo della concessionaria del servizio pubblico.

Di conseguenza, l’attività della Commissione parlamentare di vigilanza riguarda direttamente non solo la libertà di manifestazione del pensiero (articolo 21 della Costituzione) ma anche l’esercizio del diritto di cronaca: la scelta degli strumenti di intervento normativo da adoperare, per tutelare direttamente o meno la par condicio, diventa fondamentale, al fine di evitare censure preventive o successive nei confronti dell’attività radiotelevisiva.

Tra questi, i poteri di indirizzo generale si traducono, in sostanza, nell’elaborazione di testi il cui contenuto consiste in considerazioni di contesto ed indicazioni di obiettivi e, più frequentemente, di risultati da valutare ex post, che in pochi casi assumono le caratteristiche di disposizioni di dettaglio. Si esprime un orientamento, al quale la società concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico si conforma non necessariamente con puntualità, badando più al conseguimento degli obiettivi indicati nell’atto di indirizzo che alla puntuale realizzazione del precetto specifico.

L’esempio più rilevante di atto di indirizzo “generale” in materia, è rappresentato dal provvedimento del 13 febbraio del 1997, il quale definisce la nozione di “pluralismo” nelle sue varie accezioni: non solo dunque il pluralismo politico, ma anche quello sociale, culturale, religioso, etnico, di genere, di età, geografico (in rapporto alle varie istanze sociali), e addirittura produttivo (relativo all’esigenza di non affidare la realizzazione dei programmi ad un unico produttore)[2]. Di portata più “tecnica”, ma parimenti generale, risulta il provvedimento dell’ 11 marzo del 2003 “sulle garanzie del pluralismo del servizio radiotelevisivo pubblico”, che preclude, in linea di principio, la presenza di esponenti politici nelle trasmissioni di intrattenimento. Tra i provvedimenti della Commissione, quelli che hanno per oggetto la RAI, e nello specifico la disciplina del pluralismo, dunque, rivestono la forma della risoluzione: si sottolinea così il proposito della Commissione di individuare una forma parlamentare dei propri atti che si accordi col carattere non tassativo degli indirizzi.

Le funzioni della Commissione di vigilanza RAI in materia di par condicio si traducono in una serie di competenze specifiche, che prevedono talvolta lo svolgimento di compiti prettamente amministrativi quanto ai contenuti. Contigue a tali attribuzioni, sono enumerabili ulteriori potestà che richiedono, per la loro attuazione, la stesura di provvedimenti a carattere “regolatorio”, attuativi di norme di legge.

In generale, è compito della Commissione parlamentare la disciplina diretta delle Tribune politiche, elettorali, sindacali e della stampa (articolo 4, comma 1, Legge n. 103/1975); la disciplina dei programmi che illustrano le fasi del procedimento elettorale (articolo 19, comma 1, Legge n. 53/1990); le prescrizioni per garantire parità tra le forze politiche nell’accesso agli spazi radiotelevisivi di propaganda elettorale della concessionaria pubblica, nonché la disciplina diretta delle rubriche e dei programmi di informazione elettorale della concessionaria pubblica (articolo 1, comma 1, Legge n. 515/1993); stabilire le modalità, i criteri e gli ambiti territoriali di diffusione della comunicazione politica della concessionaria pubblica e dei messaggi autogestiti nelle campagne elettorali e referendarie (articolo 4, commi 2, 3 e 11, Legge n. 28/2000); definire i criteri specifici per i programmi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie (articolo 5, comma 1, Legge n. 28/2000)[3]; stabilire regole applicative della disciplina della comunicazione politica radiotelevisiva della concessionaria pubblica in periodi non coincidenti con campagne elettorali (articolo 2, comma 5, Legge n. 28/2000); emanare le disposizioni per la disciplina dei messaggi politici autogestiti trasmessi dalla concessionaria pubblica in periodi non coincidenti con campagne elettorali (articolo 3, commi 3 e 8, Legge n. 28/2000); la disciplina di carattere generale dei programmi dell’Accesso e la loro gestione diretta, tramite l’ apposita Sottocommissione, nonché la definizione dei ricorsi in materia di Accesso contro i provvedimenti della Sottocommissione (articolo 4, comma 1, e articolo 6, legge 103/1975).

Rispetto al passato, le maglie strette della Legge n. 28/2000 hanno reso, con molta probabilità, la Commissione parlamentare meno libera nell’ esercizio delle proprie funzioni e valutazioni, rendendo, di conseguenza, le indicazioni emesse meno appropriate: una dimostrazione consiste sicuramente nella scarsa efficacia della programmazione radiotelevisiva per le elezioni politiche del 2008, più volte criticata sui mass media stessi.

La programmazione è, ad esempio, obbligata, dalla legge e dai provvedimenti della Commissione, i quali non possono violarla, a sovraesporre (al di fuori anche delle Tribune elettorali) sigle politiche oggettivamente non coincidenti a movimenti rilevanti nella realtà del Paese.

La menomazione, da ciò derivante indirettamente, del ruolo e del dovere comunicativo e informativo del servizio radiotelevisivo pubblico è palese: la situazione, dunque, non corrisponde, verosimilmente, alle intenzioni e soprattutto ai risultati che il legislatore voleva perseguire con la Legge n. 28/2000. E’utile, a tal proposito, riportare i contenuti di merito in questa normativa, cui si è attenuta la Commissione parlamentare nell’emanazione dei relativi provvedimenti attuativi.

La Legge n. 515/1993 ha attribuito alla Commissione, oltre alla potestà di dettare le prescrizioni finalizzate a garantire parità di trattamento tra le forze politiche, il compito di “disciplinare direttamente le rubriche elettorali ed i servizi o i programmi di informazione elettorale della RAI” (articolo 1, comma 1). La Legge n. 28/2000 conferma tale potestà, distinguendo in aggiunta le trasmissioni di “comunicazione politica”, i “messaggi autogestiti”, e l’“informazione” dalle altre forme di programmazione televisiva, prevedendo inoltre che la Commissione e L’Autorità, “previa consultazione tra loro, e ciascuna nell’ ambito della propria competenza, stabiliscano le regole per l’applicazione della disciplina” per ciascuna tipologia ( articolo 2, comma 5; articolo 3, comma 8; articolo 4, comma 2 e 11; articolo 5, comma 1).

Allo scopo di assicurare le garanzie del pluralismo, la trattazione di temi politici, dunque, è stata riservata alle tre tipologie indicate: pluralismo perseguito con maggior intransigenza nei periodi coincidenti con campagne elettorali e referendarie ed in quelli che, nell’immediato, le precedono.

Tuttavia la definizione tautologica che dà la legge n. 28/2000 (nel disposto dell’ articolo 2, comma 2) di comunicazione politica e le connotazioni spesso “filosofiche” che la caratterizzano, rendono complicata la definizione di ciò che, effettivamente, va considerata “politica”[4]. Si applica a tal fine, la disposizione di cui all’articolo 1, comma 5, della Legge n. 515/1993, che introduce un criterio “soggettivo”: si individuano, cioè, gli esponenti politici nei candidati, nei componenti dell’Esecutivo, nei membri dei partiti, vietandone la presenza nelle trasmissioni diverse da quelle informative, in periodi elettorali[5]. Relativamente agli altri periodi, l’“indirizzo” dell’ 11 marzo del 2003, non sempre rispettato, della Commissione preclude, di norma, la presenza dei politici nei programmi di intrattenimento.

Tale assetto normativo ha introdotto la consuetudine della “riconduzione” alla responsabilità delle testate, in periodo elettorale si intende, di trasmissioni che normalmente non vi appartengono, con il fine di poterle considerare “informazioni”, limitando di fatto il numero di programmi di comunicazione politica ( che si riducono nuovamente a consistere nelle sole Tribune).

Nella prassi, la Commissione, che a differenza dell’Autorità non deve dare indicazioni all’emittenza locale, non sempre disciplina le campagne elettorali e referendarie che riguardano percentuali ridotte di elettori. Tuttavia la frequenza dei provvedimenti della Commissione, dal 1975, è, senza dubbio, consistente: elezioni politiche, del Parlamento europeo, regionali a statuto ordinario, circa trenta delle Regioni a statuto speciale, amministrative (anche di realtà significative come i grandi Comuni), quindici tornate referendarie nazionali. Bisogna considerare, dunque, non solo l’ importanza di ogni consultazione, ma anche la sua intrinseca complessità, nel momento in cui la Commissione si confronta con la diversità dei sistemi elettorali, l’alto numero di liste e candidati e di quesiti referendari, le specificità locali. Le delibere, che riguardano tali tematiche, spesso si auto qualificano come “atti di indirizzo” alla RAI: dopo l’adozione delle Leggi n. 515/1993 e n. 28/2000, la tipologia dell’“indirizzo” avrebbe dovuto assumere caratteristiche distinte da quelle del “regolamento” attuativo.

Tuttavia, nella pratica, la questione ha un rilievo meramente terminologico.

Resta indiscutibile il fatto che, in questa attività, la Commissione dispone di poteri non trascurabili. Di notevole portata, resta il potere dell’individuazione di quali debbano essere i soggetti politici rilevanti, tra i quali andranno ripartiti gli spazi disponibili, i quali, per definizione, restano esigui.

Un numero elevato di “voci” politiche, rispetto alle capacità e alle esigenze di un telespettatore medio, comporta che nessuna di queste ultime venga effettivamente ascoltata: la valutazione delle “voci” oggettivamente rilevanti è, dunque, fondamentale. A tal fine, la tradizionale ripartizione del tempo in parti uguali nelle campagne elettorali, e con criteri di proporzionalità alla consistenza numerica dei soggetti al di fuori delle campagne elettorali, può considerarsi vincolante solo in linea di massima, essendosi constatate varie eccezioni.

La disciplina diretta della Commissione, infatti, si esercita, fondamentalmente e integralmente, solo su quelle trasmissioni di comunicazione politica che espressamente sono qualificate come Tribune: su queste ultime, all’organo parlamentare è riconosciuta la potestà di indicarne ora e data e di definire (o fornire criteri per farlo) quali personalità rappresenteranno ciascun soggetto politico nelle singole trasmissioni.

Relativamente a ciò, se, in periodo di campagna elettorale, l’individuazione dei soggetti politici cui assegnare spazi radiotelevisivi tiene conto di criteri stabiliti dalla legge (si considerano rilevanti, ad esempio, le liste e le coalizioni presentate in più ambiti territoriali da interessare almeno un quarto dell’ elettorato complessivo), nei periodi al di fuori delle consultazioni elettorali tale scelta è rimessa alla Commissione senza specifiche indicazioni.

Entra in gioco una valutazione discrezionale di rilevanza politica: normalmente le personalità politiche sono riconosciute in riferimento ai gruppi parlamentari, soggetti dotati sia di natura giuridica certa che di “referenti” sostanziali facilmente individuabili.

Accade spesso, tuttavia, che debbano essere garantiti spazi a forze politiche interne ai gruppi, in quanto espressione di minoranze rilevanti (anche costituzionalmente tali) come quelle linguistiche o etniche, o rappresentanti del Parlamento europeo, o, ancora, perché portatrici di istanze e opinioni rilevanti nella trattazione di temi specifici[6].

L’esigenza poi di riconoscere l’effettiva collocazione politica di ciascuno, nasce principalmente nella XV legislatura, caratterizzata da gruppi che risultavano, talvolta, dalla somma di parlamentari appartenenti a forze differenti tra loro[7]. La potestà, ovviamente, di decidere, caso per caso, a chi debba essere conferita “voce”, comporta un’assunzione di responsabilità, da svolgere con altrettanta legittimazione, non irrilevante.

La Legge n. 28/2000 introduce tre concetti fondamentali, sia per la ripartizione delle competenze tra Commissione e Autorità (un sistema duale da molti ritenuto “incomprensibile”) che per la regolazione della par condicio, e sono i programmi di informazione, i programmi di comunicazione politica, i messaggi autogestiti.

In relazione ai programmi di informazione, la legge si riferisce in primis a telegiornali e giornali radio, e quindi alle testate regolarmente registrate secondo le regole della stampa periodica. Sulla base di considerazioni di tipo contenutistico, la legge estende tale criterio anche ad alcune trasmissioni non registrate e che non sono connotate da periodicità. I principi di individuazione (“contenuto informativo”, “rilevante presentazione giornalistica”, “correlazione ai temi di attualità e di cronaca”) tuttavia sono assai indiziari e sottili: si tratta di una sfera caratterizzante fondamentalmente indefinita e indefinibile.

A tal proposito la Commissione parlamentare, con il provvedimento 23 marzo 2001, ha fatto espliciti riferimenti a tutti quei programmi riconducibili alla responsabilità delle testate giornalistiche delle emittenti nazionali, esponendo una serie di criteri formali (come “l’apporto giornalistico qualificante ma non esclusivo”) che la Commissione stessa tuttavia ha definito “indicativi”, specificando che per la qualificazione di un programma come di informazione, non sarebbe bastata la riconducibilità alla responsabilità di una testata. La Legge n. 28/2000 afferma inoltre che le emittenti “devono assicurare a tutti i soggetti politici con imparzialità ed equità l’ accesso all’informazione” (articolo 2, comma 1) ma tali disposizioni “non si applicano alla diffusione di notizie nei programmi di informazione” (articolo 2, comma 2).

In pratica la legge indica un obiettivo (imparzialità ed equità quando l’informazione “tratta” la politica) ma lascia alle emittenti la scelta delle modalità più idonee per realizzarlo, senza escludere, tra l’altro, che il programma di informazione possa seguire un proprio indirizzo critico.

L’onere dell’imparzialità e dell’equità per l’informazione è stato concepito, per la RAI, in maniera molto più rigida dalla Commissione parlamentare[8]: “nel rispetto della libertà di informazione” si impone infatti ai direttori di testata l’obbligo di “assicurare che i programmi di informazione a contenuto politico-parlamentare attuino un’ equa rappresentanza di tutte le opinioni politiche presenti in Parlamento”, avvicinando, di fatto, lo specifico segmento delle trasmissioni di informazione a quelle di comunicazione politica.

Oltre i vincoli che si possono desumere dalla legge n. 28/2000, la Commissione prescrive, inoltre, che i programmi diversi dai notiziari non possono trattare temi politici o elettorali (articolo 2, comma 1, lett. d); che, durante le campagne elettorali, i notiziari debbano perseguire indipendenza, obiettività, completezza, pluralismo “con particolare rigore” (articolo 7); che i direttori di telegiornali e trasmissioni di approfondimento, insieme ai conduttori e gli addetti alla regia debbano prendere in considerazione “in maniera particolarmente rigorosa ogni cautela atta ad evitare che si determinino situazioni di svantaggio per determinate forze politiche o determinati competitori elettorali”, curando nello specifico “che gli utenti non siano oggettivamente nella considerazione di poter attribuire, in base alla conduzione del programma, specifici orientamenti politici ai conduttori o alla testata e che non si determini, in modo ingiustificato, un uso eccessivo di riprese con presenza diretta di candidati, di membri del governo o di notori esponenti politici” (articolo 7, comma 2).

Una minuziosità, di prescrizioni e divieti, giustificata da una indiretta affermazione di pratiche di “spoil system” e di eccessiva politicizzazione, concernente reti, testate e conduzioni e che obbliga, di conseguenza, le stesse forze politiche, per voce della Commissione di vigilanza, a chiedere una moderazione dell’eccessivo servilismo e della faziosità sfacciata.

Sono da considerarsi programmi di comunicazione politica invece (definiti inizialmente nell’ articolo 2, comma 2 e 3 della Legge n. 28/2000), quelle trasmissioni “in cui assuma carattere rilevante l’ esposizione di opinioni e valutazioni politiche manifestate attraverso tipologie di programmazione che comunque consentano un confronto dialettico tra più opinioni, anche se conseguito nel corso di più trasmissioni” (articolo 11 Legge n. 241/2003). Tale comunicazione non assume le caratteristiche della propaganda o dell’informazione politica “autogestita”, ma rappresenta una sede ideale di dibattito politico, nella quale ci si confronta dialetticamente sulle proprie opinioni messe al vaglio critico dell’opinione pubblica.

La disciplina recata della Legge n. 28/2000, relativamente ai programmi di comunicazione politica, è assai carente: stabilisce che l’offerta di tali trasmissioni debba essere obbligatoria per le emittenti nazionali (senza indicarne tuttavia la consistenza minima[9]); che la partecipazione ai programmi debba essere gratuita e che all’interno di questi ultimi debba essere garantita parità di espressione.

Nonostante, per i periodi elettorali, la legge fornisca criteri specifici di riparto degli spazi tra i soggetti politici, ai quali le regolamentazioni di Commissione e Autorità devono rifarsi, sostanzialmente la disciplina dei programmi è delegata ai due organi, per il servizio pubblico radiotelevisivo e per l’emittenza privata. Secondo l’articolo 2 del provvedimento “Comunicazione politica e messaggi autogestiti nella programmazione della Società concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico” della Commissione, i soggetti politici beneficianti della par condicio sono: “ a) ciascuna delle forze politiche che costituiscono gruppo in almeno un ramo del Parlamento; b) ciascuna delle forze politiche, diverse da quelle di cui al punto “a”, che hanno eletto con proprio simbolo almeno due rappresentanti al Parlamento europeo; c) ciascuna delle forze politiche, diverse da quelle di cui al punto “a” e “b” che hanno eletto con proprio simbolo almeno un rappresentante al Parlamento nazionale o nel Parlamento europeo e che sono oggettivamente riferibili ad una delle minoranze linguistiche indicate dall’ articolo 2 della legge n. 482/1999; d) limitatamente alle Tribune, il gruppo Misto della Camera dei Deputati e il gruppo Misto del Senato della Repubblica[10]; e) i Comitati promotori di referendum abrogativi ai sensi dell’ articolo 75 della Costituzione”.

In termini pressoché corrispondenti si esprime l’Autorità, nell’ analisi dei soggetti politici, con il provvedimento n. 200/00/csp; al contrario, sui criteri di ripartizione degli spazi tra i diversi attori politici, persiste una sensibile disomogeneità tra i provvedimenti della Commissione parlamentare e l’ AGCOM. Secondo la Commissione, a tal proposito, (articolo 3, comma 4 e 5) “nelle trasmissioni di comunicazione politica, la ripartizione massima del tempo disponibile tra i soggetti indicati all’ articolo 2 è effettuata dividendo metà del tempo in parti uguali, e l’ altra metà in proporzione alla consistenza di ciascuna forza politica o coalizione nelle assemblee di riferimento”; “nel caso di trasmissioni dedicate alle coalizioni, lo spazio di ciascuna coalizione è quello risultante dalla somma degli spazi spettanti a ciascun soggetto che la compone. In ogni caso, alcuni dei soggetti di cui all’ articolo 2 possono convenire di attribuire lo spazio loro spettante ad una rappresentanza comune”[11]; inoltre “la presenza di tutti i soggetti aventi diritto, qualora non abbia luogo nella medesima trasmissione, deve realizzarsi in trasmissioni omogenee o della stessa serie, entro il termine di due mesi decorrenti dalla messa in onda della prima trasmissione”; e ancora “ogni trasmissione del ciclo o della serie deve avere una collocazione che garantisca le medesime opportunità di ascolto delle altre”.

La soluzione della Commissione bilancia, mediando, il criterio dell’ eguale tempo e quello del peso politico, distribuendo i tempi di parola per metà secondo un principio paritetico, per l’altra sulla base della consistenza delle rappresentanze parlamentari o assembleari[12].

Per il servizio radiotelevisivo pubblico, i cicli di trasmissioni (e cioè l’ inserimento dei programmi nei palinsesti) hanno scansione bimestrale (articolo 3, comma 6) e non trimestrale, come per le emittenti private. Secondo gli indirizzi della Commissione, “la RAI programma le trasmissioni di comunicazione politica su tutte le reti, in orari che assicurino buoni ascolti, e le organizza con modalità che ne facilitino la fruizione da parte di ampie fasce di pubblico, privilegiando in particolare l’ agilità della conduzione”.

La RAI, dunque, oltre ad essere tenuta a trasmettere, in modo autonomo, programmi del suddetto tipo, è obbligata, in quanto servizio pubblico e a norma degli articolo 1 e 4 della Legge n. 103/1975, le “Tribune”[13] gestite dalla Commissione parlamentare di vigilanza.

Anche i messaggi politici autogestiti, come i programmi di comunicazione politica, sono spazi di accesso, messi a disposizione dalle televisioni nazionali, di cui i soggetti politici devono poter usufruire (soggetti che sono identificati direttamente nei provvedimenti attuativi della Commissione e dell’ Autorità).

Tuttavia, a differenza delle trasmissioni di comunicazione politica, i messaggi autogestiti sono minuziosamente disciplinati dalla legge[14], onde evitare una loro degenerazione in termini pubblicitari. Privilegiando la forma dialogica e informativa della comunicazione, la Commissione parlamentare, in linea con le disposizioni della Legge n. 28/2000, ha ribadito che tali messaggi, al fine di tutelare il pubblico, devono: recare obbligatoriamente elementi che identifichino il committente e la finalità; non possono superare uno spazio superiore al 25% di quello destinato ai programmi di comunicazione politica; il numero dei contenitori non può essere maggiore di due al giorno (quattro in campagna elettorale); nel corso di ciascun contenitore, un attore politico non può emettere più di un messaggio; gli spazi all’ interno dei contenitori sono assegnati per sorteggio e quelli non utilizzati non possono essere ceduti o destinati ad altro tipo di messaggio.

L’articolo 2, comma 8, della legge n. 28/2000 delega la definizione di criteri di rotazione, per l’ utilizzo in ogni ambito mensile degli spazi, alla Commissione parlamentare, per il servizio pubblico radiotelevisivo, e all’ Autorità, per le emittenti private.

[1] C. CHIOLA, Notazioni sulla propaganda elettorale televisiva, in Studi in onore di M. Mazziotti di Celso, p. 245, vol. I, 1995, Padova

[2] G. MALINCONICO, La Commissione di vigilanza RAI a vent’ anni dalla riforma della radiotelevisione pubblica, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 4, p. 924, 1998

[3] Tra i contenuti più significativi, la disciplina dell’ illustrazione delle modalità di voto ha iniziato a trovare applicazione a partire dal 1994: si realizza con brevi spot illustrativi (il cui testo è preventivamente inoltrato alla Commissione) che divulgano sia gli adempimenti per la presentazione delle candidature, sia le concrete modalità per esprimere il voto (incluse, ad esempio, le agevolazioni per i disabili). Si menziona inoltre l’ individuazione, da parte della Commissione RAI, entro i limiti di legge, dei soggetti politici legittimati ad accedere alle trasmissioni, ed i criteri di riparto dei tempi (A. VALASTRO, Parità di accesso al mezzo televisivo in campagna elettorale, in Diritto dell’ informazione , p. 695, 2001)

[4] Se tutto o quasi può essere considerato “politica”, di fatto si vanifica l’ applicazione della legge. Se invece si restringe troppo il numero di trasmissioni “politiche”, molti programmi sfuggirebbero all’ intento regolatorio (tra l’ altro, trattare tematiche di tale tipologia in poche e sorvegliate trasmissioni, rischierebbe di provocare una “ghettizzazione”della politica, dando la sensazione di affrontare argomenti problematici, poco trasparenti, per nulla attraenti)(R. BORRELLO, Soggetti politici e trasmissioni radiotelevisive, in Giur. Della Costituzione , I, p. 639, 2000)

[5] L’ articolo 20 della legge n. 515/1993 estende tale divieto, ideato fondamentalmente per le elezioni “politiche”, anche alle altre fattispecie di elezioni, a prescindere dal numero di elettori coinvolti. Ne risulta una regola (figlia di un concepimento frettoloso) che, in corrispondenza di qualsiasi tipo di consultazione elettorale, vieterebbe la presenza di soggetti politici in ogni trasmissione “non informativa” irradiata su territorio nazionale. Il buonsenso, nella pratica, permette un regolare svolgimento delle attività (G. MALINCONICO, La Commissione parlamentare di vigilanza RAI a vent’ anni dalla riforma della radiotelevisione pubblica, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 4, p. 488, 1998)

[6] Nel 1998, prima dell’ entrata in vigore della legge n. 28/2000, emblematica è la situazione venutasi a creare a seguito della crisi del primo governo Prodi. In essa, Rifondazione comunista aveva avuto un ruolo determinante, tuttavia, scindendosi, perse la natura di gruppo parlamentare per mancanza del numero richiesto di deputati. Poiché alle Tribune della crisi erano ammessi i soli gruppi , si sarebbe giunti alla conseguenza paradossale di un dibattito sulla crisi istituzionale escludendo il maggiore protagonista, se la Commissione non avesse avuto la potestà di modificare, tempestivamente e con precisione, i propri criteri (B. FILIPPO, Storia e funzioni della Commissione parlamentare di vigilanza RAI, p. 75-76, 2009, Cedis, Roma)

[7] I Verdi, nella XV legislatura, erano in una Camera un gruppo autonomo, nell’ altra una frazione di un gruppo diverso dal Misto; situazioni affini si sono verificate anche con i partiti richiamanti le “autonomie”, il partito socialista e i radicali, presenti in più gruppi, incluso il Misto, ed i relativi componenti avevano preso spesso posizioni opposte per quanto concerne la fiducia al Governo. In tali situazioni, la Commissione deve sia evitare accorpamenti arbitrari, sia impedire la moltiplicazione di un soggetto politico unico in più entità fittizie (B. FILIPPO, Storia e funzioni della Commissione parlamentare di vigilanza RAI, p. 79-80, 2009, Cedis, Roma)

[8] Provvedimento 23 marzo 2001, recante disposizioni per la “Comunicazione politica e messaggi autogestiti nella programmazione della Società concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico”.

[9] L’ offerta di trasmissioni di comunicazione politica non costituirebbe un “onere” inteso in senso tecnico, ma in senso “sostanziale” , per l’ assenza appunto di una sorta di quantificazione (O. GRANDINETTI, Par condicio e programmi di informazione, p. 131, in Giornale di dir. amministrativo, n. 10, 2004)

[10] “I rispettivi presidenti individuano, secondo criteri ed esigenze di rappresentatività e pariteticità, le forze politiche, diverse da quelle di cui al punto “a”, “b” e “c” che di volta in volta rappresenteranno ciascun gruppo”

[11] “Si intendono per coalizioni l’ insieme dei gruppi parlamentari i cui componenti siano stati, interamente o in parte, eletti su quota maggioritaria nelle ultime elezioni politiche. L’ appartenenza dei singoli gruppi alle coalizioni è certificata dai loro Presidenti, ovvero, per le componenti del gruppo Misto, dal Presidente della componente, ovvero, per le forze politiche che non costituiscono componente, dai parlamentari interessati appartenenti al gruppo Misto”

[12] Secondo il provvedimento dell’ Autorità (articolo 2, comma 3, n. 200/00/csp), “i soggetti politici partecipano alle trasmissioni in ragione del proprio consenso elettorale e, ove concordato, anche attraverso rappresentanti delle comuni coalizioni di riferimento. In tale caso lo spazio delle coalizioni sarà dato dalla somma degli spazi delle diverse componenti della coalizione”

[13] Nello specifico sulle Tribune post legge n. 28/2000: “La Commissione parlamentare stabilisce il tempo della effettiva durata minima settimanale di programmazione, anche ai fini della proporzione con il tempo dei messaggi autogestiti di cui all’ articolo 3, comma 4, della legge n. 28/2000. Nelle Tribune, salvo disposizioni della Commissione: a) i calendari delle trasmissioni sono preventivamente comunicati alla Commissione; b) ciascun soggetto politico avente diritto designa autonomamente la persona o le persone che lo rappresenteranno nella trasmissione; c) ove necessaria, la ripartizione degli aventi diritto in più trasmissioni ha luogo mediante sorteggio, la RAI può concordare con la Commissione criteri di ponderazione; d) la trasmissione ha ruolo di regola in diretta: l’ eventuale registrazione deve essere effettuata nelle 24 ore precedenti la messa in onda; e) la presenza di tutti gli aventi diritto si realizza in un periodo inferiore a quello di due mesi; f) l’ eventuale rinuncia di un soggetto avente diritto a partecipare alle trasmissioni non pregiudica la facoltà degli altri di intervenirvi, anche nella medesima trasmissione, nella quale è fatta menzione della rinuncia; g) per le Tribune regionali,le funzioni attribuite alla Commissione ai sensi del presente provvedimento, sono rimesse ai relativi Corerat o ai Corecom, i quali possono nuovamente investirne la Commissione. Possono inoltre proporre alla Commissione la programmazione di cicli di Tribune riferiti ad una specifica regione, autonomi rispetto alla programmazione generale regionale”

[14] Secondo l’ articolo 3, comma 3, della legge n. 28/2000, “i messaggi recano la motivata espressione di un programma o di un’ opinione politica ed hanno una durata compresa da uno a tre minuti per le emittenti televisive e trenta o novanta secondi per le emittenti radiofoniche, a scelta del richiedente. I messaggi non possono interrompere altri programmi, hanno un’ autonoma collocazione nella programmazione e sono trasmessi entro appositi contenitori”