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Polizze vita meramente apparenti e tutela del consumatore per investimenti finanziari inadeguati

Premessa

Sovente, dietro la denominazione “polizza vita”, si celano dei veri e propri prodotti finanziari.

Il primo elemento che deve guidare l’interprete al fine di individuare l’effettiva natura del contratto è il complessivo regolamento contrattuale, unilateralmente predisposto dalle compagnie assicurative, che consente di verificare l’effettiva incidenza del cosiddetto “rischio demografico” ai fini del pagamento di un capitale o di una rendita al verificarsi di un evento connesso alla vita umana (articolo 1882 del Codice Civile); oppure l’eventuale influenza sulla prestazione da erogarsi, in maniera preponderante, di altri fattori (tipo, ad esempio, l’andamento dei mercati finanziari, la fluttuazione di un determinato indice, etc.), sì da ricondurre il prodotto offerto ad un vero e proprio prodotto finanziario, con tutte le conseguenze che quest’ultima forma di investimento comporta in termini di oneri e cautele posti ex lege a carico dell’intermediario finanziario prima di procedere all’investimento.

In buona sostanza occorre accertare, al fine di cogliere l’essenza del contratto (e la reale natura delle polizze sottoscritte dai risparmiatori) in quale misura la prestazione, capitale o rendita, sarà correlata all’andamento dei mercati finanziari (ed in quali settori saranno investititi i fondi raccolti dalle compagnie) ed in quale misura, invece, sarà correlata ai versamenti eseguiti dall’assicurato e ad un evento attinente alla vita umana.

È evidente che i suddetti elementi determinano, in positivo o in negativo, la prestazione futura da erogare all’assicurato, e che dagli stessi si inferirà la natura giuridica – e la causa concreta – del contratto (polizza vita o altro prodotto finanziario).

Qualora dal regolamento contrattuale si rilevi l’assenza della garanzia di riottenere il capitale versato, la natura previdenziale della polizza analizzata va esclusa o, quanto meno, risulterà dubbia, emergendo in tali ipotesi un chiaro indice della sussistenza di una diversa tipologia di investimento.

Prima di rispondere al quesito, occorre precisare che il nomen iuris –  polizza di assicurazione – assai spesso viene utilizzato come una sorta di specchio per allodole, volto a presentare un prodotto che dovrebbe garantire, all’atto della prestazione da parte della compagnia, il capitale versato incrementato di un sia pur modesto rendimento, mentre, viceversa, quando il nomen iuris funge da paravento, i risparmiatori si ritrovano ad avere sottoscritto un investimento suscettibile di una performance (in positivo o in negativo) fortemente altalenante.

Al cospetto di eventuali consistenti erosioni del capitale versato, appaiono poco convincenti le spiegazioni date dalle compagnie, le quali giustificano le perdite finanziarie con la congiuntura negativa che ha imperversato sui mercati finanziari in questi ultimi quindici anni, giacché le polizze vita “pure” servono proprio a proteggere il capitale versato dai risparmiatori dalle fluttuazioni dei mercati, diversamente dalle polizze index linked o unit linked, che sono agganciate ad un indice di riferimento o a dei prodotti finanziari sottostanti.

La conclusione, registrata con allarmante frequenza, è che le compagnie emittenti delle cosiddette “polizze vita”, piuttosto che mirare a forme di investimento volte a preservare il capitale (come si conviene ad una vera e propria polizza vita), collochino strumenti finanziari le cui performance sono dipendenti dalle fluttuazioni dei mercati borsistici, operando, in concreto, secondo modalità analoghe a quelle in cui collocano presso il pubblico indistinto dei piccoli risparmiatori dei fondi comuni di investimento.

Questi ultimi, come noto, non danno garanzie di riottenere il capitale versato e possono registrare – come dimostra l’esperienza di questi anni – anche rilevantissime minusvalenze.

La normativa di riferimento

Secondo la definizione data dal legislatore, il contratto di assicurazione sulla vita è il contratto col quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a pagare all’assicurato un capitale o una rendita “al verificarsi di un evento attinente alla vita umana” (articolo 1882 del Codice Civile).

Restando alla disciplina codicistica, sorprende la lungimiranza del legislatore del 1942 di garantire all’assicurato –  già allora –  il diritto di “conoscere in ogni momento” il valore di riscatto o di riduzione della polizza di assicurazione, secondo il chiaro dettato dell’articolo 1925 del Codice Civile, stabilendo un incisivo obbligo di trasparenza a carico delle compagnie che, talvolta, non appare osservato.

Tra l’altro, si osserva che le ragioni dell’elusione dell’obbligo di trasparenza, sancito dalla norma suddetta, sono facilmente intuibili, giacché i risparmiatori, ove compiutamente e tempestivamente resi edotti nel corso del rapporto delle variazioni in negativo dei loro investimenti, proporrebbero, verosimilmente, le loro rimostranze, agendo per le vie legali a tutela dei loro interessi, tanto più nei casi in cui, sotto le apparenti forme di una “polizza vita”, si ritroverebbero ad avere in mano un prodotto finanziario di tutt’altra natura, caratterizzato per l’estrema aleatorietà dell’investimento.

La diversa natura dell’investimento, rispetto all’apparente “polizza vita”, è individuabile dall’articolo 1, comma 1, lettera u), del Testo unico della finanza (Decreto Legislativo n. 58/1998), che definisce “prodotti finanziari: gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”.

Il successivo Decreto Legislativo n. 303/2006 ha introdotto un ulteriore lemma al comma in esame, denominato w-bis, con il quale ha esteso la definizione di prodotti finanziari a quelli “emessi da imprese di assicurazione: le polizze e le operazioni di cui ai rami vita III e V di cui all’art.2, comma 1, del d. lgs. 7.09.2005, n.209, con esclusione delle forme pensionistiche individuali di cui all’art.13, comma 1, lett. b) del d. lgs. 5.12.2005, n.252”.

Ciò posto, va detto che le caratteristiche dei contratti finanziari e dei tradizionali contratti denominati “polizze vita” sono nettamente distinte, e differenziato, in particolare, è l’esito dell’investimento finanziario: più fluttuante il primo (in positivo o in negativo), più stabile il secondo, essendo quest’ultimo comunque contraddistinto dalla finalità di conservazione del capitale investito.

La posizione della giurisprudenza

Quando la “polizza vita” sottoscritta dal risparmiatore indica, nelle condizioni contrattuali, che “vi è la possibilità che l’entità della prestazione sia inferiore al premio corrisposto” e, quindi, “il Contraente assume il rischio connesso all’andamento dei parametri di riferimento”, non sussiste un effettivo collegamento ad un evento attinente alla vita umana, essendo ancorato l’investimento al valore di titoli azionari, il rapporto rientra nella previsione della lettera u) dell’articolo 1, comma 1 del Decreto Legislativo n. 58/1998, integrando, in concreto, un vero e proprio contratto finanziario e, nello specifico, una polizza index linked, con conseguente applicazione della disciplina dettata in tema di intermediazione mobiliare, “posto che al contratto a causa mista deve applicarsi la disciplina del rapporto prevalente” (cfr. Tribunale Ferrara, Sentenza n.1010/2011, in www. Dirittobancario.it).

Il citato Tribunale ha ritenuto del tutto irrilevante la circostanza che solo a seguito dell’emanazione del Decreto Legislativo n. 303/2006 (entrato in vigore successivamente alla stipula del contratto per cui vi è stata la pronuncia in analisi), il legislatore ha contemplato espressamente i “prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione” nell’ambito della disciplina dell’intermediazione mobiliare, atteso che “anche prima della modifica del d. l.vo n.58/1998, i prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione rientravano a pieno titolo fra gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria” di cui alla lettera u) dell’articolo 1, comma 1, del T.U.F. più volte citato.

A coronamento di quanto sopra si è stabilito che gli obblighi posti a carico dell’intermediario/assicuratore, ex articoli 21 e 23, comma 1, del Decreto Legislativo n. 58/1998, per la vendita di strumenti finanziari, ed in particolare della previa sottoposizione al risparmiatore di un contratto quadro da sottoscrivere congiuntamente da entrambe le parti, sono ineludibili e che in mancanza del contratto quadro il rapporto sottostante (id est: polizza di assicurazione) è da ritenere nullo per espressa previsione della disposizione testé citata.

Non essendo stato pattuito, nel caso in specie, alcun contratto quadro, il Giudice ha dichiarato la nullità del contratto di acquisto della “polizza vita” nominalmente sottoscritta, ritenuta, invero, al di là del nomen iuris utilizzato, un vero e proprio prodotto finanziario.

L’assicuratore, indi, in conseguenza dell’accertata nullità, è stato condannato a rifondere al risparmiatore tutte le somme versate dalla sottoscrizione del contratto, sicché ha dovuto sopportare le perdite finanziarie correlate all’operazione dichiarata nulla.

Occorre aggiungere, sul punto, che l’applicabilità del T.U.F. impone a carico dello intermediario/assicuratore l’osservanza di norme imperative e di rango pubblicistico ivi riportate e della disciplina di dettaglio di cui al regolamento Consob, recante n. 1522/1998, dalle quali non si può prescindere, a pena di nullità dei relativi contratti e/o di responsabilità contrattuale e/o precontrattuale da parte della società proponente l’investimento (come chiarito con la nota pronuncia della Suprema Corte, Sezioni Unite, n. 26724/2007).

Sullo stesso solco della sopra citata pronuncia di merito si pone il Tribunale di Siracusa, in composizione collegiale, che ha stabilito, con la recente sentenza 17 ottobre 2013, n. 1540, che il contratto di assicurazione sulla vita nominalmente sottoscritto inter partes, in realtà integrava una polizza unit linked agganciata al valore di un fondo azionario, parimenti senza alcuna garanzia di esito non negativo della gestione.

Pertanto, non essendo stato sottoscritto neanche in quest’ultima fattispecie il cosiddetto “contratto quadro”, è stata dichiarata la nullità del contatto di assicurazione sulla vita – polizza unit linked – accollando il rischio dell’inadempimento e/o insolvenza dell’emittente a carico della società assicuratrice, la quale è stata condannata al risarcimento dei relativi danni.

Infine, sul punto, va segnalata l’ordinanza emessa dal Tribunale di Gela il 2 marzo 2013, in esito a procedimento sommario ex articolo 702 bis del Codice di Procedura Civile, la quale, previa riqualificazione del rapporto da polizza vita in polizza unit linked, ha accolto la domanda di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale proposta da un consumatore, ritenendo applicabile al caso sottoposto al suo esame gli articoli 21 e 23 del T.U.F., nonché le disposizioni attuative di cui agli articoli 27, 28 e 29 del Regolamento Consob n. 1522/1988 (obbligo di profilatura dell’investitore circa la sua esperienza, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi e la sua propensione al rischio; obbligo per l’intermediario di astenersi dall’effettuare operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione; obbligo di segnalare il conflitto di interessi), in tema di oneri a carico dell’intermediario.

Nel quantificare il danno patito dal ricorrente, il suddetto Tribunale ha ritenuto che “…in materia di responsabilità precontrattuale si afferma che il risarcimento del danno deve essere parametrato all’interesse negativo, circoscritto alle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative in vista della conclusione del contratto (danno emergente) oltre che alla perdita di ulteriori occasioni di stipulare contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi (lucro cessante). Tuttavia, con l’estensione della fattispecie di cui all’art. 1337 c.c. ai contratti validi ma dannosi, si è affermato che ‘in caso di responsabilità precontrattuale relativa alla conclusione di un contratto valido ed efficace ma sconveniente, il risarcimento del danno pur non potendosi commisurare al pregiudizio derivante dalla mancata conclusione del contratto, ma neppure può coincidere con la tradizionale figura dell’interesse negativo commisurato alle spese vanamente sostenute ed alle occasioni alternative mancate, bensì deve ragguagliarsi al minore vantaggio o al maggior aggravio economico subito dalla vittima per il comportamento sleale della controparte, salva la prova di ulteriori danni che risultino collegati a tale comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto’ (Cass. Sezione I, n.19024/2005). Nel caso di specie, rispetto all’intento perseguito dal contraente la polizza… la perdita del capitale rappresenta un evento del tutto inaspettato, che non si sarebbe verificato qualora il contratto sottoscritto fosse stato una vera e propria polizza vita. Per tale ragione il pregiudizio risarcibile deve essere determinato nella misura… corrispondente alla differenza tra il valore iniziale del capitale sottoscritto ed il valore attuale della quota…”.

In virtù dei principi sopra sintetizzati, il Tribunale ha riconosciuto quale risarcimento dovuto al risparmiatore, anche in fattispecie in cui si è dichiarata la responsabilità precontrattuale, la minusvalenza patita per effetto della condotta sleale e scorretta tenuta dall’assicuratore.

Premessa

Sovente, dietro la denominazione “polizza vita”, si celano dei veri e propri prodotti finanziari.

Il primo elemento che deve guidare l’interprete al fine di individuare l’effettiva natura del contratto è il complessivo regolamento contrattuale, unilateralmente predisposto dalle compagnie assicurative, che consente di verificare l’effettiva incidenza del cosiddetto “rischio demografico” ai fini del pagamento di un capitale o di una rendita al verificarsi di un evento connesso alla vita umana (articolo 1882 del Codice Civile); oppure l’eventuale influenza sulla prestazione da erogarsi, in maniera preponderante, di altri fattori (tipo, ad esempio, l’andamento dei mercati finanziari, la fluttuazione di un determinato indice, etc.), sì da ricondurre il prodotto offerto ad un vero e proprio prodotto finanziario, con tutte le conseguenze che quest’ultima forma di investimento comporta in termini di oneri e cautele posti ex lege a carico dell’intermediario finanziario prima di procedere all’investimento.

In buona sostanza occorre accertare, al fine di cogliere l’essenza del contratto (e la reale natura delle polizze sottoscritte dai risparmiatori) in quale misura la prestazione, capitale o rendita, sarà correlata all’andamento dei mercati finanziari (ed in quali settori saranno investititi i fondi raccolti dalle compagnie) ed in quale misura, invece, sarà correlata ai versamenti eseguiti dall’assicurato e ad un evento attinente alla vita umana.

È evidente che i suddetti elementi determinano, in positivo o in negativo, la prestazione futura da erogare all’assicurato, e che dagli stessi si inferirà la natura giuridica – e la causa concreta – del contratto (polizza vita o altro prodotto finanziario).

Qualora dal regolamento contrattuale si rilevi l’assenza della garanzia di riottenere il capitale versato, la natura previdenziale della polizza analizzata va esclusa o, quanto meno, risulterà dubbia, emergendo in tali ipotesi un chiaro indice della sussistenza di una diversa tipologia di investimento.

Prima di rispondere al quesito, occorre precisare che il nomen iuris –  polizza di assicurazione – assai spesso viene utilizzato come una sorta di specchio per allodole, volto a presentare un prodotto che dovrebbe garantire, all’atto della prestazione da parte della compagnia, il capitale versato incrementato di un sia pur modesto rendimento, mentre, viceversa, quando il nomen iuris funge da paravento, i risparmiatori si ritrovano ad avere sottoscritto un investimento suscettibile di una performance (in positivo o in negativo) fortemente altalenante.

Al cospetto di eventuali consistenti erosioni del capitale versato, appaiono poco convincenti le spiegazioni date dalle compagnie, le quali giustificano le perdite finanziarie con la congiuntura negativa che ha imperversato sui mercati finanziari in questi ultimi quindici anni, giacché le polizze vita “pure” servono proprio a proteggere il capitale versato dai risparmiatori dalle fluttuazioni dei mercati, diversamente dalle polizze index linked o unit linked, che sono agganciate ad un indice di riferimento o a dei prodotti finanziari sottostanti.

La conclusione, registrata con allarmante frequenza, è che le compagnie emittenti delle cosiddette “polizze vita”, piuttosto che mirare a forme di investimento volte a preservare il capitale (come si conviene ad una vera e propria polizza vita), collochino strumenti finanziari le cui performance sono dipendenti dalle fluttuazioni dei mercati borsistici, operando, in concreto, secondo modalità analoghe a quelle in cui collocano presso il pubblico indistinto dei piccoli risparmiatori dei fondi comuni di investimento.

Questi ultimi, come noto, non danno garanzie di riottenere il capitale versato e possono registrare – come dimostra l’esperienza di questi anni – anche rilevantissime minusvalenze.

La normativa di riferimento

Secondo la definizione data dal legislatore, il contratto di assicurazione sulla vita è il contratto col quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a pagare all’assicurato un capitale o una rendita “al verificarsi di un evento attinente alla vita umana” (articolo 1882 del Codice Civile).

Restando alla disciplina codicistica, sorprende la lungimiranza del legislatore del 1942 di garantire all’assicurato –  già allora –  il diritto di “conoscere in ogni momento” il valore di riscatto o di riduzione della polizza di assicurazione, secondo il chiaro dettato dell’articolo 1925 del Codice Civile, stabilendo un incisivo obbligo di trasparenza a carico delle compagnie che, talvolta, non appare osservato.

Tra l’altro, si osserva che le ragioni dell’elusione dell’obbligo di trasparenza, sancito dalla norma suddetta, sono facilmente intuibili, giacché i risparmiatori, ove compiutamente e tempestivamente resi edotti nel corso del rapporto delle variazioni in negativo dei loro investimenti, proporrebbero, verosimilmente, le loro rimostranze, agendo per le vie legali a tutela dei loro interessi, tanto più nei casi in cui, sotto le apparenti forme di una “polizza vita”, si ritroverebbero ad avere in mano un prodotto finanziario di tutt’altra natura, caratterizzato per l’estrema aleatorietà dell’investimento.

La diversa natura dell’investimento, rispetto all’apparente “polizza vita”, è individuabile dall’articolo 1, comma 1, lettera u), del Testo unico della finanza (Decreto Legislativo n. 58/1998), che definisce “prodotti finanziari: gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”.

Il successivo Decreto Legislativo n. 303/2006 ha introdotto un ulteriore lemma al comma in esame, denominato w-bis, con il quale ha esteso la definizione di prodotti finanziari a quelli “emessi da imprese di assicurazione: le polizze e le operazioni di cui ai rami vita III e V di cui all’art.2, comma 1, del d. lgs. 7.09.2005, n.209, con esclusione delle forme pensionistiche individuali di cui all’art.13, comma 1, lett. b) del d. lgs. 5.12.2005, n.252”.

Ciò posto, va detto che le caratteristiche dei contratti finanziari e dei tradizionali contratti denominati “polizze vita” sono nettamente distinte, e differenziato, in particolare, è l’esito dell’investimento finanziario: più fluttuante il primo (in positivo o in negativo), più stabile il secondo, essendo quest’ultimo comunque contraddistinto dalla finalità di conservazione del capitale investito.

La posizione della giurisprudenza

Quando la “polizza vita” sottoscritta dal risparmiatore indica, nelle condizioni contrattuali, che “vi è la possibilità che l’entità della prestazione sia inferiore al premio corrisposto” e, quindi, “il Contraente assume il rischio connesso all’andamento dei parametri di riferimento”, non sussiste un effettivo collegamento ad un evento attinente alla vita umana, essendo ancorato l’investimento al valore di titoli azionari, il rapporto rientra nella previsione della lettera u) dell’articolo 1, comma 1 del Decreto Legislativo n. 58/1998, integrando, in concreto, un vero e proprio contratto finanziario e, nello specifico, una polizza index linked, con conseguente applicazione della disciplina dettata in tema di intermediazione mobiliare, “posto che al contratto a causa mista deve applicarsi la disciplina del rapporto prevalente” (cfr. Tribunale Ferrara, Sentenza n.1010/2011, in www. Dirittobancario.it).

Il citato Tribunale ha ritenuto del tutto irrilevante la circostanza che solo a seguito dell’emanazione del Decreto Legislativo n. 303/2006 (entrato in vigore successivamente alla stipula del contratto per cui vi è stata la pronuncia in analisi), il legislatore ha contemplato espressamente i “prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione” nell’ambito della disciplina dell’intermediazione mobiliare, atteso che “anche prima della modifica del d. l.vo n.58/1998, i prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione rientravano a pieno titolo fra gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria” di cui alla lettera u) dell’articolo 1, comma 1, del T.U.F. più volte citato.

A coronamento di quanto sopra si è stabilito che gli obblighi posti a carico dell’intermediario/assicuratore, ex articoli 21 e 23, comma 1, del Decreto Legislativo n. 58/1998, per la vendita di strumenti finanziari, ed in particolare della previa sottoposizione al risparmiatore di un contratto quadro da sottoscrivere congiuntamente da entrambe le parti, sono ineludibili e che in mancanza del contratto quadro il rapporto sottostante (id est: polizza di assicurazione) è da ritenere nullo per espressa previsione della disposizione testé citata.

Non essendo stato pattuito, nel caso in specie, alcun contratto quadro, il Giudice ha dichiarato la nullità del contratto di acquisto della “polizza vita” nominalmente sottoscritta, ritenuta, invero, al di là del nomen iuris utilizzato, un vero e proprio prodotto finanziario.

L’assicuratore, indi, in conseguenza dell’accertata nullità, è stato condannato a rifondere al risparmiatore tutte le somme versate dalla sottoscrizione del contratto, sicché ha dovuto sopportare le perdite finanziarie correlate all’operazione dichiarata nulla.

Occorre aggiungere, sul punto, che l’applicabilità del T.U.F. impone a carico dello intermediario/assicuratore l’osservanza di norme imperative e di rango pubblicistico ivi riportate e della disciplina di dettaglio di cui al regolamento Consob, recante n. 1522/1998, dalle quali non si può prescindere, a pena di nullità dei relativi contratti e/o di responsabilità contrattuale e/o precontrattuale da parte della società proponente l’investimento (come chiarito con la nota pronuncia della Suprema Corte, Sezioni Unite, n. 26724/2007).

Sullo stesso solco della sopra citata pronuncia di merito si pone il Tribunale di Siracusa, in composizione collegiale, che ha stabilito, con la recente sentenza 17 ottobre 2013, n. 1540, che il contratto di assicurazione sulla vita nominalmente sottoscritto inter partes, in realtà integrava una polizza unit linked agganciata al valore di un fondo azionario, parimenti senza alcuna garanzia di esito non negativo della gestione.

Pertanto, non essendo stato sottoscritto neanche in quest’ultima fattispecie il cosiddetto “contratto quadro”, è stata dichiarata la nullità del contatto di assicurazione sulla vita – polizza unit linked – accollando il rischio dell’inadempimento e/o insolvenza dell’emittente a carico della società assicuratrice, la quale è stata condannata al risarcimento dei relativi danni.

Infine, sul punto, va segnalata l’ordinanza emessa dal Tribunale di Gela il 2 marzo 2013, in esito a procedimento sommario ex articolo 702 bis del Codice di Procedura Civile, la quale, previa riqualificazione del rapporto da polizza vita in polizza unit linked, ha accolto la domanda di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale proposta da un consumatore, ritenendo applicabile al caso sottoposto al suo esame gli articoli 21 e 23 del T.U.F., nonché le disposizioni attuative di cui agli articoli 27, 28 e 29 del Regolamento Consob n. 1522/1988 (obbligo di profilatura dell’investitore circa la sua esperienza, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi e la sua propensione al rischio; obbligo per l’intermediario di astenersi dall’effettuare operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione; obbligo di segnalare il conflitto di interessi), in tema di oneri a carico dell’intermediario.

Nel quantificare il danno patito dal ricorrente, il suddetto Tribunale ha ritenuto che “…in materia di responsabilità precontrattuale si afferma che il risarcimento del danno deve essere parametrato all’interesse negativo, circoscritto alle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative in vista della conclusione del contratto (danno emergente) oltre che alla perdita di ulteriori occasioni di stipulare contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi (lucro cessante). Tuttavia, con l’estensione della fattispecie di cui all’art. 1337 c.c. ai contratti validi ma dannosi, si è affermato che ‘in caso di responsabilità precontrattuale relativa alla conclusione di un contratto valido ed efficace ma sconveniente, il risarcimento del danno pur non potendosi commisurare al pregiudizio derivante dalla mancata conclusione del contratto, ma neppure può coincidere con la tradizionale figura dell’interesse negativo commisurato alle spese vanamente sostenute ed alle occasioni alternative mancate, bensì deve ragguagliarsi al minore vantaggio o al maggior aggravio economico subito dalla vittima per il comportamento sleale della controparte, salva la prova di ulteriori danni che risultino collegati a tale comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto’ (Cass. Sezione I, n.19024/2005). Nel caso di specie, rispetto all’intento perseguito dal contraente la polizza… la perdita del capitale rappresenta un evento del tutto inaspettato, che non si sarebbe verificato qualora il contratto sottoscritto fosse stato una vera e propria polizza vita. Per tale ragione il pregiudizio risarcibile deve essere determinato nella misura… corrispondente alla differenza tra il valore iniziale del capitale sottoscritto ed il valore attuale della quota…”.

In virtù dei principi sopra sintetizzati, il Tribunale ha riconosciuto quale risarcimento dovuto al risparmiatore, anche in fattispecie in cui si è dichiarata la responsabilità precontrattuale, la minusvalenza patita per effetto della condotta sleale e scorretta tenuta dall’assicuratore.