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Avvocato, Irap, studio associato e requisito dell’autonoma organizzazione

L’Irap è un’imposta di carattere reale, il cui presupposto oggettivo è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. Essa, pertanto, si applica a tutti i soggetti che esercitano una o più di tali attività.

Come è noto, il problema più tormentato in materia di Irap è rappresentato dalla definizione dell’attività “autonomamente organizzata”, che l’articolo 2 del Decreto Legislativo n. 446/1997 richiede affinché sia realizzato il presupposto del tributo.

Orbene, con riferimento a questo aspetto, la Corte di Cassazione Sezioni Unite, con Sentenze numero 12108, 12109, 12110 e 12111 depositate il 26 maggio 2009, ha chiarito che il requisito dell’autonoma organizzazione, rilevante ai fini Irap, “il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, sussiste tutte le volte in cui il contribuente che eserciti l’attività di lavoro autonomo: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’id quod plerumque accidit, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisceonere del contribuente che chieda il rimborso dell'imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell'assenza delle predette condizioni”.

Premesso ciò, la questione relativa all’assoggettamento all’Irap dell’avvocato inserito in uno studio associato è spesso dibattuta e costituisce oggetto di pronunce sempre più numerose sia da parte della giurisprudenza di merito che da parte della giurisprudenza di legittimità.

Fra tali decisioni si vuole in questa sede segnalare l’Ordinanza 9 gennaio 2013, n. 382  della Corte di Cassazione e la Sentenza 3 marzo 2014, n. 279  della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze.

Con l’Ordinanza n. 382/2013, la Cassazione ha chiarito che l’avvocato inserito (da un punto di vista professionale) in uno studio associato ha diritto al rimborso dell’Irap qualora i costi sostenuti dallo stesso non superino una ragionevole soglia.

Nella fattispecie, i giudici di merito, pur avendo accertato che il legale non faceva parte dello studio associato per cui svolgeva la propria attività, avevano ritenuto che il contribuente disponesse di una propria autonoma struttura sufficientemente articolata e complessa da determinare la soggezione all’imposta.

In particolare il giudice di secondo grado aveva considerato sufficiente per la sottoposizione all’Irap l’esistenza di spese per euro 8.869; cifra che i giudici di legittimità hanno, invece, ritenuto non adeguata a determinare “l’esistenza di una struttura organizzata che possa cagionare un significativo maggior reddito del contribuente, specie se tiene conto che non compaiono esborsi per personale dipendente; mentre oltre 2.000 euro sono stati spesi per prestazioni alberghiere”.

Insomma, affinché si configuri l’autonoma organizzazione è necessario che si spendano cifre ben più importanti di quelle appena considerate.

Inoltre, a fare la differenza ai fini impositivi è il ricorso al lavoro altrui, che nel caso di specie non è stato ravvisato.

Fattispecie differente è, invece, quella che è stata affrontata dai giudici fiorentini.

Infatti, con la Sentenza 3 marzo 2014, n. 279, la Commissione Tributaria Provinciale di Firenze ha statuito che, in materia di imposizione Irap, “l’avvocato che sia inserito in uno studio associato, secondo l’id quod plerumque accidit, sebbene svolga anche una distinta e separata attività professionale (diversa da quella svolta in forma associata), egli deve dimostrare di non fruire dei benefici organizzativi recati proprio dalla sua adesione alla detta associazione che, proprio in ragione della sua forma collettiva, normalmente fa conseguire ai suoi aderenti altre utilità aggiuntive, che non si esauriscono in quelle della separata attività collettiva, in quanto, solitamente, queste ultime comportano anche altri vantaggi organizzativi…che comportano vantaggi organizzativi ed incrementativi della ricchezza prodotta”.

La vertenza processuale nasceva dal ricorso presentato da un avvocato contro il silenzio rifiuto dell’Ufficio alla sua istanza di rimborso Irap relativa agli anni dal 2005 al 2010.

In particolare, la ricorrente sosteneva, a sostegno dell’impugnazione, di svolgere la propria attività in assenza di autonoma organizzazione per aver svolto tale attività presso la propria residenza, utilizzata ad uso promiscuo, e prestato soltanto la propria collaborazione professionale nello studio associato.

I giudici fiorentini non hanno accolto la linea difensiva sostenuta dalla ricorrente, in quanto la stessa non ha fornito alcuna prova di aver prestato solo una collaborazione professionale con lo studio associato, ossia non ha provato la estraneità del proprio operato rispetto all’attività generale dello studio professionale: in tal modo viene dimostrata l’autonoma organizzazione e la conseguente assoggettabilità all’Irap, soprattutto in considerazione dei compensi non modesti dichiarati dalla stessa ricorrente che inducono a ritenere la sua presenza all’interno dello studio non alla stregua di un mero ospite quanto invece di una figura strutturata.

L’Irap è un’imposta di carattere reale, il cui presupposto oggettivo è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. Essa, pertanto, si applica a tutti i soggetti che esercitano una o più di tali attività.

Come è noto, il problema più tormentato in materia di Irap è rappresentato dalla definizione dell’attività “autonomamente organizzata”, che l’articolo 2 del Decreto Legislativo n. 446/1997 richiede affinché sia realizzato il presupposto del tributo.

Orbene, con riferimento a questo aspetto, la Corte di Cassazione Sezioni Unite, con Sentenze numero 12108, 12109, 12110 e 12111 depositate il 26 maggio 2009, ha chiarito che il requisito dell’autonoma organizzazione, rilevante ai fini Irap, “il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, sussiste tutte le volte in cui il contribuente che eserciti l’attività di lavoro autonomo: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’id quod plerumque accidit, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisceonere del contribuente che chieda il rimborso dell'imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell'assenza delle predette condizioni”.

Premesso ciò, la questione relativa all’assoggettamento all’Irap dell’avvocato inserito in uno studio associato è spesso dibattuta e costituisce oggetto di pronunce sempre più numerose sia da parte della giurisprudenza di merito che da parte della giurisprudenza di legittimità.

Fra tali decisioni si vuole in questa sede segnalare l’Ordinanza 9 gennaio 2013, n. 382  della Corte di Cassazione e la Sentenza 3 marzo 2014, n. 279  della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze.

Con l’Ordinanza n. 382/2013, la Cassazione ha chiarito che l’avvocato inserito (da un punto di vista professionale) in uno studio associato ha diritto al rimborso dell’Irap qualora i costi sostenuti dallo stesso non superino una ragionevole soglia.

Nella fattispecie, i giudici di merito, pur avendo accertato che il legale non faceva parte dello studio associato per cui svolgeva la propria attività, avevano ritenuto che il contribuente disponesse di una propria autonoma struttura sufficientemente articolata e complessa da determinare la soggezione all’imposta.

In particolare il giudice di secondo grado aveva considerato sufficiente per la sottoposizione all’Irap l’esistenza di spese per euro 8.869; cifra che i giudici di legittimità hanno, invece, ritenuto non adeguata a determinare “l’esistenza di una struttura organizzata che possa cagionare un significativo maggior reddito del contribuente, specie se tiene conto che non compaiono esborsi per personale dipendente; mentre oltre 2.000 euro sono stati spesi per prestazioni alberghiere”.

Insomma, affinché si configuri l’autonoma organizzazione è necessario che si spendano cifre ben più importanti di quelle appena considerate.

Inoltre, a fare la differenza ai fini impositivi è il ricorso al lavoro altrui, che nel caso di specie non è stato ravvisato.

Fattispecie differente è, invece, quella che è stata affrontata dai giudici fiorentini.

Infatti, con la Sentenza 3 marzo 2014, n. 279, la Commissione Tributaria Provinciale di Firenze ha statuito che, in materia di imposizione Irap, “l’avvocato che sia inserito in uno studio associato, secondo l’id quod plerumque accidit, sebbene svolga anche una distinta e separata attività professionale (diversa da quella svolta in forma associata), egli deve dimostrare di non fruire dei benefici organizzativi recati proprio dalla sua adesione alla detta associazione che, proprio in ragione della sua forma collettiva, normalmente fa conseguire ai suoi aderenti altre utilità aggiuntive, che non si esauriscono in quelle della separata attività collettiva, in quanto, solitamente, queste ultime comportano anche altri vantaggi organizzativi…che comportano vantaggi organizzativi ed incrementativi della ricchezza prodotta”.

La vertenza processuale nasceva dal ricorso presentato da un avvocato contro il silenzio rifiuto dell’Ufficio alla sua istanza di rimborso Irap relativa agli anni dal 2005 al 2010.

In particolare, la ricorrente sosteneva, a sostegno dell’impugnazione, di svolgere la propria attività in assenza di autonoma organizzazione per aver svolto tale attività presso la propria residenza, utilizzata ad uso promiscuo, e prestato soltanto la propria collaborazione professionale nello studio associato.

I giudici fiorentini non hanno accolto la linea difensiva sostenuta dalla ricorrente, in quanto la stessa non ha fornito alcuna prova di aver prestato solo una collaborazione professionale con lo studio associato, ossia non ha provato la estraneità del proprio operato rispetto all’attività generale dello studio professionale: in tal modo viene dimostrata l’autonoma organizzazione e la conseguente assoggettabilità all’Irap, soprattutto in considerazione dei compensi non modesti dichiarati dalla stessa ricorrente che inducono a ritenere la sua presenza all’interno dello studio non alla stregua di un mero ospite quanto invece di una figura strutturata.