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Adozioni in casi speciali? Arriva il sì dal Tribunale per i Minorenni di Roma

Nota alla Sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma del 30 giugno-30 luglio 2014, n. 299

1. Introduzione alla Legge n. 184 del 1983

La Legge sull’adozione, numero 184 del 1983, è intitolata “Diritto del minore ad una famiglia”. Nel nostro ordinamento giuridico la parola “famiglia” non è mai individuata come una coppia formata da uomo e donna, tuttavia le convinzioni tradizionali e i costumi sociali l’hanno individuata come tale.

La famiglia è una formazione sociale naturalmente composta da due persone al fine di assicurare maggior protezione possibile ai figli: nell’eventualità che uno dei due genitori abbandoni la famiglia o muoia prematuramente, il piccolo può contare sull’altro genitore. Qualunque minore ha maggiori garanzie se la sua famiglia è formata da due persone, di qualunque sesso queste siano, anziché da una sola.

Il caso oggetto della sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma si occupa proprio di questo: di una bambina con una madre naturale ed con “un’altra madre di fatto”, intenzionata a diventare tale anche giuridicamente in modo da offrire la sua protezione alla piccola.

 

2. Il caso oggetto della sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma

La piccola A. è nata dalla madre naturale O. che si è sottoposta a procreazione assistita eterologa in un paese straniero di comune accordo con la convivente C. Nelle intenzioni delle due donne, entrambe avrebbero partecipato al progetto di nascita, crescita, educativo ed al mantenimento della minore ed entrambe avrebbero convissuto con lei comportandosi come due genitori. E così è stato.

Dopo qualche anno dalla sua nascita, la sig.ra C. ha fatto ricorso al Tribunale per i Minorenni di Roma per adottare la piccola A. L’adozione è stata richiesta ex articolo 44 lettera d) legge numero 184 del 1983 che prevede “I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al primo comma dell’articolo 7: […] d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”. L’articolo 7 comma 1 prevede che “L’adozione è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità ai sensi degli articoli seguenti”.

 

3. La soluzione del Tribunale per i Minorenni: analisi giuridica della fattispecie 

Il Pubblico Ministero presso il Tribunale ha concluso con parere negativo, rilevando che nel caso di specie mancava il presupposto specifico per l’adozione (legittimante) costituito dallo stato d’abbandono.

Il Tribunale, di diverso avviso, ritiene che la lettera d) dell’articolo 44 prevede che l’adozione in casi particolari si possa applicare proprio quando manca questo presupposto, poiché così letteralmente afferma la norma.

Il ragionamento del Collegio parte dunque dalla lettera dell’articolo richiamato e conclude fin da subito che non sussistono ostacoli all’adozione di un minore da parte della convivente omosessuale del genitore e che la fattispecie concreta rientra all’interno della norma richiamata. Il presupposto di applicazione dell’articolo 44, ovverosia l’impossibilità di affidamento preadottivo di fatto/di diritto del minore è realizzato nel caso di specie: la bambina ha già una madre naturale che l’accudisce e non avrebbe mai potuto essere dichiarata in stato d’abbandono e collocata in affidamento presso un’altra coppia.

Per fugare ogni dubbio, la sentenza si dipana in seguito in un ragionamento a contrario sull’inopportunità di rigettare la domanda della ricorrente.

Non costituisce ostacolo il fatto che la ricorrente non sia coniugata con la madre: il requisito del coniugio è previsto solo alla lettera b) della norma. Inoltre in giurisprudenza sussistono molti casi di applicazione della lettera d) dell’articolo 44 a conviventi non coniugati, e per analogia è illogico escluderne l’applicazione al caso di specie sul presupposto che le due conviventi non risultano coniugate per lo Stato italiano. La stessa Corte Costituzionale con Sentenza n. 145 del 1969 prevede che, con riferimento agli articoli 3, 29 e 30, queste disposizioni (lettera b) non vincolano l’adozione dei minori al criterio dell’imitatio naturae, ovvero del matrimonio, ma esprimono solo un’indicazione di preferenza per il matrimonio, data l’esigenza di garantire al minore una stabilità.

Il Tribunale per i Minorenni osserva a questo punto che la riflessione sulla stabilità del matrimonio compiuta dalla Consulta nel 1989 ha un valore molto più relativo oggi avuto riguardo all’elevatissimo numero di separazioni e divorzi presenti.

Inoltre la legge prevede presupposti molto meno rigorosi per l’applicazione della disciplina di adozione “in casi particolari” di cui all’articolo 44, con effetti conseguentemente più limitati. La ratio è ovviamente permettere ai minori che non possono essere adottati ex articolo 7 di essere comunque protetti.

L’articolo 57 numero 2 della Legge sull’adozione prevede un ulteriore tipo di cautela per questo tipo di adozione: il Tribunale per i Minorenni deve verificare “se l’adozione realizza il preminente interesse del minore”. Il Collegio effettua questa verifica indagando il concetto di “utilità”. La Sentenza del Tribunale per i Minorenni di Milano 626/07 definisce l’utilità come la preminente somma di vantaggi di ogni genere e specie ed il minor numero di inconvenienti.

Per realizzare inoltre l’interesse del minore vanno salvaguardati il più possibile i rapporti di fatto che si sono già creati, come affermato anche in una Sentenza della Corte Costituzionale n. 198 del 1986: nel caso di specie la minore ha avuto due “mamme” che l’hanno accudita fin dalla nascita.

Infine, a sostegno della sua forte presa di posizione, il Collegio dichiara espressamente che non applicare l’articolo 44 lettera d alla fattispecie concreta, rigettando il ricorso, costituirebbe una grave violazione della ratio legis, dell’articolo 3 della Costituzione, e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo:

- Ratio legis: realizzazione del preminente interesse del minore. E l’interesse del minore ad essere accudito, istruito e mantenuto non può non realizzarsi solo perché i genitori sono omosessuali. Anche la Corte di Cassazione (Sentenza 601/2013) ha già ritenuto in passato che costituisce solo un pregiudizio che sia dannoso per un bambino vivere in una famiglia omosessuale;

- Articolo 3 Costituzione: una lettura della lettera d) dell’articolo 44 che discriminasse gli omosessuali sarebbe contrario all’articolo 3 della Costituzione. La Corte Costituzionale nella Sentenza 138/2010 definisce la formazione sociale come ogni forma di comunità semplice o complessa; anche una coppia omosessuale, intesa come la stabile convivenza di due persone dello stesso sesso, è una formazione sociale ed i suoi componenti hanno diritto a vivere la loro condizione di coppia, con i connessi diritti e doveri;

- Articolo 14 e 18 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: la Convenzione opera direttamente all’interno del nostro ordinamento ex articolo 117 primo comma della Costituzione, pertanto il giudice ordinario ha il compito di operare un’interpretazione convenzionalmente orientata delle norme italiane. Sull’argomento si registra una sentenza della Gran Camera (organo demandato a verificarne il rispetto) del 19/2/13 che ha ritenuto discriminatoria ex articoli 14 e 8 della Convenzione una legge austriaca che non consentiva la “second parent adoption” in caso di coppie omosessuali.

 

4. I presupposti di fatto per l’accoglimento del ricorso 

Il Collegio ritiene inoltre di accogliere il ricorso presentato dalla convivente omosessuale per i seguenti motivi di fatto oltre che per le ragioni giuridiche sopra evidenziate:

- la situazione in oggetto è cristallizzata da tempo, la bambina è stata voluta dalla coppia, è nata e cresciuta con loro, ha sviluppato un legame inscindibile con entrambe le donne tale che negare l’adozione alla convivente della madre naturale sarebbe contrario al suo interesse;

- non si tratta di concedere un diritto ex novo, ma di garantire una copertura giuridica ad una situazione di fatto esistente da anni;

- le due donne hanno utilizzato tutti gli strumenti giuridici a loro disposizione per legarsi: accordi privati, iscrizione nel Registro delle Unioni Civili, matrimonio celebrato all’estero, pertanto la loro unione è stabile e consolidata (convivono da 10 anni);

- sotto il profilo economico-assistenziale, la ricorrente ha già inserito la minore quale beneficiario nella propria assicurazione sanitaria e nella polizza integrativa privata, lavora ed ha un reddito sufficiente a sostenere insieme alla convivente i bisogni dell’adottanda e a fornirle sostegno psicologico. A sostegno di quest’ultimo assunto si citano le valutazioni estremamente positive della psicologa, dell’Assistente Sociale e dell’insegnante della bambina che sottolineano come, anche grazie alla presenza costante dei nonni, la minore ha modo di osservare i vari modelli di coppia;

- la madre naturale acconsente, anzi desidera l’adozione da parte della compagna.

Non essendovi alcun divieto della legge, essendovi condizioni di fatto estremamente positive, il Tribunale per i Minorenni deve proteggere il benessere della minore e tutelare il suo sano sviluppo psicologico. Per questo accoglie il ricorso e ordina di aggiungere il cognome della ricorrente al cognome della minore.

1. Introduzione alla Legge n. 184 del 1983

La Legge sull’adozione, numero 184 del 1983, è intitolata “Diritto del minore ad una famiglia”. Nel nostro ordinamento giuridico la parola “famiglia” non è mai individuata come una coppia formata da uomo e donna, tuttavia le convinzioni tradizionali e i costumi sociali l’hanno individuata come tale.

La famiglia è una formazione sociale naturalmente composta da due persone al fine di assicurare maggior protezione possibile ai figli: nell’eventualità che uno dei due genitori abbandoni la famiglia o muoia prematuramente, il piccolo può contare sull’altro genitore. Qualunque minore ha maggiori garanzie se la sua famiglia è formata da due persone, di qualunque sesso queste siano, anziché da una sola.

Il caso oggetto della sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma si occupa proprio di questo: di una bambina con una madre naturale ed con “un’altra madre di fatto”, intenzionata a diventare tale anche giuridicamente in modo da offrire la sua protezione alla piccola.

 

2. Il caso oggetto della sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma

La piccola A. è nata dalla madre naturale O. che si è sottoposta a procreazione assistita eterologa in un paese straniero di comune accordo con la convivente C. Nelle intenzioni delle due donne, entrambe avrebbero partecipato al progetto di nascita, crescita, educativo ed al mantenimento della minore ed entrambe avrebbero convissuto con lei comportandosi come due genitori. E così è stato.

Dopo qualche anno dalla sua nascita, la sig.ra C. ha fatto ricorso al Tribunale per i Minorenni di Roma per adottare la piccola A. L’adozione è stata richiesta ex articolo 44 lettera d) legge numero 184 del 1983 che prevede “I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al primo comma dell’articolo 7: […] d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”. L’articolo 7 comma 1 prevede che “L’adozione è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità ai sensi degli articoli seguenti”.

 

3. La soluzione del Tribunale per i Minorenni: analisi giuridica della fattispecie 

Il Pubblico Ministero presso il Tribunale ha concluso con parere negativo, rilevando che nel caso di specie mancava il presupposto specifico per l’adozione (legittimante) costituito dallo stato d’abbandono.

Il Tribunale, di diverso avviso, ritiene che la lettera d) dell’articolo 44 prevede che l’adozione in casi particolari si possa applicare proprio quando manca questo presupposto, poiché così letteralmente afferma la norma.

Il ragionamento del Collegio parte dunque dalla lettera dell’articolo richiamato e conclude fin da subito che non sussistono ostacoli all’adozione di un minore da parte della convivente omosessuale del genitore e che la fattispecie concreta rientra all’interno della norma richiamata. Il presupposto di applicazione dell’articolo 44, ovverosia l’impossibilità di affidamento preadottivo di fatto/di diritto del minore è realizzato nel caso di specie: la bambina ha già una madre naturale che l’accudisce e non avrebbe mai potuto essere dichiarata in stato d’abbandono e collocata in affidamento presso un’altra coppia.

Per fugare ogni dubbio, la sentenza si dipana in seguito in un ragionamento a contrario sull’inopportunità di rigettare la domanda della ricorrente.

Non costituisce ostacolo il fatto che la ricorrente non sia coniugata con la madre: il requisito del coniugio è previsto solo alla lettera b) della norma. Inoltre in giurisprudenza sussistono molti casi di applicazione della lettera d) dell’articolo 44 a conviventi non coniugati, e per analogia è illogico escluderne l’applicazione al caso di specie sul presupposto che le due conviventi non risultano coniugate per lo Stato italiano. La stessa Corte Costituzionale con Sentenza n. 145 del 1969 prevede che, con riferimento agli articoli 3, 29 e 30, queste disposizioni (lettera b) non vincolano l’adozione dei minori al criterio dell’imitatio naturae, ovvero del matrimonio, ma esprimono solo un’indicazione di preferenza per il matrimonio, data l’esigenza di garantire al minore una stabilità.

Il Tribunale per i Minorenni osserva a questo punto che la riflessione sulla stabilità del matrimonio compiuta dalla Consulta nel 1989 ha un valore molto più relativo oggi avuto riguardo all’elevatissimo numero di separazioni e divorzi presenti.

Inoltre la legge prevede presupposti molto meno rigorosi per l’applicazione della disciplina di adozione “in casi particolari” di cui all’articolo 44, con effetti conseguentemente più limitati. La ratio è ovviamente permettere ai minori che non possono essere adottati ex articolo 7 di essere comunque protetti.

L’articolo 57 numero 2 della Legge sull’adozione prevede un ulteriore tipo di cautela per questo tipo di adozione: il Tribunale per i Minorenni deve verificare “se l’adozione realizza il preminente interesse del minore”. Il Collegio effettua questa verifica indagando il concetto di “utilità”. La Sentenza del Tribunale per i Minorenni di Milano 626/07 definisce l’utilità come la preminente somma di vantaggi di ogni genere e specie ed il minor numero di inconvenienti.

Per realizzare inoltre l’interesse del minore vanno salvaguardati il più possibile i rapporti di fatto che si sono già creati, come affermato anche in una Sentenza della Corte Costituzionale n. 198 del 1986: nel caso di specie la minore ha avuto due “mamme” che l’hanno accudita fin dalla nascita.

Infine, a sostegno della sua forte presa di posizione, il Collegio dichiara espressamente che non applicare l’articolo 44 lettera d alla fattispecie concreta, rigettando il ricorso, costituirebbe una grave violazione della ratio legis, dell’articolo 3 della Costituzione, e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo:

- Ratio legis: realizzazione del preminente interesse del minore. E l’interesse del minore ad essere accudito, istruito e mantenuto non può non realizzarsi solo perché i genitori sono omosessuali. Anche la Corte di Cassazione (Sentenza 601/2013) ha già ritenuto in passato che costituisce solo un pregiudizio che sia dannoso per un bambino vivere in una famiglia omosessuale;

- Articolo 3 Costituzione: una lettura della lettera d) dell’articolo 44 che discriminasse gli omosessuali sarebbe contrario all’articolo 3 della Costituzione. La Corte Costituzionale nella Sentenza 138/2010 definisce la formazione sociale come ogni forma di comunità semplice o complessa; anche una coppia omosessuale, intesa come la stabile convivenza di due persone dello stesso sesso, è una formazione sociale ed i suoi componenti hanno diritto a vivere la loro condizione di coppia, con i connessi diritti e doveri;

- Articolo 14 e 18 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: la Convenzione opera direttamente all’interno del nostro ordinamento ex articolo 117 primo comma della Costituzione, pertanto il giudice ordinario ha il compito di operare un’interpretazione convenzionalmente orientata delle norme italiane. Sull’argomento si registra una sentenza della Gran Camera (organo demandato a verificarne il rispetto) del 19/2/13 che ha ritenuto discriminatoria ex articoli 14 e 8 della Convenzione una legge austriaca che non consentiva la “second parent adoption” in caso di coppie omosessuali.

 

4. I presupposti di fatto per l’accoglimento del ricorso 

Il Collegio ritiene inoltre di accogliere il ricorso presentato dalla convivente omosessuale per i seguenti motivi di fatto oltre che per le ragioni giuridiche sopra evidenziate:

- la situazione in oggetto è cristallizzata da tempo, la bambina è stata voluta dalla coppia, è nata e cresciuta con loro, ha sviluppato un legame inscindibile con entrambe le donne tale che negare l’adozione alla convivente della madre naturale sarebbe contrario al suo interesse;

- non si tratta di concedere un diritto ex novo, ma di garantire una copertura giuridica ad una situazione di fatto esistente da anni;

- le due donne hanno utilizzato tutti gli strumenti giuridici a loro disposizione per legarsi: accordi privati, iscrizione nel Registro delle Unioni Civili, matrimonio celebrato all’estero, pertanto la loro unione è stabile e consolidata (convivono da 10 anni);

- sotto il profilo economico-assistenziale, la ricorrente ha già inserito la minore quale beneficiario nella propria assicurazione sanitaria e nella polizza integrativa privata, lavora ed ha un reddito sufficiente a sostenere insieme alla convivente i bisogni dell’adottanda e a fornirle sostegno psicologico. A sostegno di quest’ultimo assunto si citano le valutazioni estremamente positive della psicologa, dell’Assistente Sociale e dell’insegnante della bambina che sottolineano come, anche grazie alla presenza costante dei nonni, la minore ha modo di osservare i vari modelli di coppia;

- la madre naturale acconsente, anzi desidera l’adozione da parte della compagna.

Non essendovi alcun divieto della legge, essendovi condizioni di fatto estremamente positive, il Tribunale per i Minorenni deve proteggere il benessere della minore e tutelare il suo sano sviluppo psicologico. Per questo accoglie il ricorso e ordina di aggiungere il cognome della ricorrente al cognome della minore.