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L’adozione di maggiorenne. Brevi riflessioni

L’adozione di maggiorenne (articoli 291-314 del codice civile, modificati dalla legge 4 maggio 1983, n. 184) è un istituto nato per consentire a chi non abbia una discendenza legittima di tramandare il nome ed il patrimonio familiare.

L’adottato acquista uno status assimilabile a quello del figlio legittimo. Egli assume il cognome dell’adottante, anteponendolo al proprio, acquista i diritti successori  nei confronti dell’adottante  ed il diritto agli alimenti.

Possono adottare le persone, coniugate o meno, che abbiano compiuto 35 anni e che superino di almeno 18 anni l’età di coloro che vogliono adottare. Non esiste un limite massimo di età. Così, in teoria, un ottantenne potrebbe adottare validamente un sessantenne.

È ammissibile una pluralità di adozioni da parte dello stesso adottante, ma nessuno può essere adottato da più di una persona, salvo il caso che gli adottanti siano marito e moglie. Il divieto, giustificato dalla necessità di evitare status familiari confliggenti, resta anche se il primo adottante è deceduto (Tribunale  Milano 21 novembre 1988).  

L’adozione non ha effetti legittimanti e l’adottato conserva i diritti e doveri verso la famiglia di origine. L’adozione non induce alcun rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato, né tra l’adottato ed i parenti dell’adottante, salve le eccezioni previste dalla legge (es. in tema di impedimenti matrimoniali,  ex articolo 587 del codice civile).

Diversamente, i figli dell’adottato assumono la stessa posizione giuridica dei discendenti del figlio legittimo (Cassazione 6 settembre 1978, n. 420).

L’adozione non attribuisce all’adottante alcun diritto di successione. Lo scopo evidente della norma è quello di evitare adozioni interessate. Non è invece impedito all’adottante di ereditare dall’adottato per testamento, sia a titolo universale, che a titolo di legato.

Per l’adozione si richiede il consenso dell’adottante e dell’adottato.

Serve poi l’assenso degli eventuali rispettivi coniugi (non legalmente separati) e dei genitori dell’adottando. Se viene negato l’assenso di uno dei predetti soggetti (salvo che si tratti dell’assenso del coniuge, se convivente, dell’adottante o dell’adottato), il tribunale, su istanza dell’adottante, pronuncia ugualmente l’adozione, quando ritiene che il rifiuto sia ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottato.

Il tribunale può comunque disporre l’adozione quando risulti impossibile ottenere l’assenso per incapacità o irreperibilità dei soggetti chiamati ad esprimerlo.

Così il Tribunale di Trento, con Sentenza del 10 marzo 2005, ha stabilito che il marito possa adottare la figlia maggiorenne, avuta dalla moglie nel precedente matrimonio anche nell’ipotesi in cui il padre ex marito non dia l’assenso. Il Tribunale ha precisato, al riguardo, che il mancato assenso del padre biologico sia agevolmente superabile ex articolo 297 del codice civile, in considerazione del disinteresse dimostrato dallo stesso ad assistere moralmente e materialmente la figlia, disinteresse ulteriormente evidenziato dalla sua assenza in giudizio, nonostante la rituale convocazione.

La presenza di figli del richiedente l’adozione costituisce, di regola, un impedimento alla richiesta, non più invece la presenza di figli maggiorenni consenzienti, dopo la Sentenza della Corte costituzionale 19 maggio 1988, n. 557.

Tuttavia la Corte di Cassazione con Sentenza n. 2426 del 3 febbraio 2006 ha precisato che quando l’adozione riguardi il figlio del coniuge che già appartenga, assieme al proprio genitore naturale ed ai fratelli minorenni, al contesto affettivo della famiglia di accoglienza dell’adottante, la presenza dei figli minorenni non preclude in assoluto l’adozione. Spetterà al giudice del merito valutare, caso per caso, la convenienza dell’adozione nell’interesse dell’adottando. Tale convenienza sussiste quando detto interesse trovi effettiva e concreta realizzazione nel costituendo vincolo formale, vale a dire nella comunione di intenti di tutti i membri del nucleo domestico compresi i figli dell’adottante.

Nello stesso senso si è espresso di recente il Tribunale di Torino, con Sentenza del 25 luglio 2014, nel caso di adottanda maggiorenne, sorella uterina dei figli minori dell’adottante, che da anni aveva interrotto i rapporti con il padre effettivo ed aveva instaurato un solido legame familiare con il marito della propria madre. L’eccezione alla regola si giustifica in quanto l’adozione contribuisce, nel caso di specie, a consolidare l’unità familiare.

Nelle pronunce summenzionate i nuovi vincoli personali ed affettivi sono stati considerati preminenti sulle relazioni della famiglia biologica. L’adozione dà copertura giuridica ad una situazione di fatto meritevole di tutela.

La richiesta di adozione si presenta con domanda indirizzata al presidente del tribunale del luogo di residenza dell’adottante.

Il giudice dispone l’adozione dopo aver verificato che tutte le condizioni di legge sia state adempiute e che la stessa convenga all’adottando. L’adozione ha efficacia dalla data della sentenza con cui viene pronunciata. Il provvedimento viene poi trascritto a margine dell’atto di nascita dell’adottato.

L’adozione di maggiorenne può essere revocata, ma solo per indegnità dell’adottato o dell’adottante, nei casi tassativi previsti dalla legge (articoli 306 e 307 del codice civile).

Tradizionalmente si afferma che lo scopo dell’adozione ordinaria sia quello di assicurare una discendenza a chi non ha figli, attraverso la trasmissione del nome e del patrimonio. Oggi, soprattutto alla luce dell’evoluzione sociale dei rapporti familiari, questo punto di vista appare semplicistico e limitativo.

L’adozione di maggiorenne è infatti uno strumento duttile che si preste all’assolvimento di nuove funzioni, come quella del consolidamento dell’unità familiare, attraverso la formalizzazione di un rapporto di accoglienza già sperimentato e concretamente vissuto, come può avvenire nelle famiglie allargate. Sempre più frequentemente si manifesta il fenomeno delle “famiglie ricomposte”, formate da soggetti che provengono da esperienze di coppia andate male, con i figli nati e cresciuti nel contesto.

L’adozione potrebbe essere il suggello di un intenso rapporto affettivo tra persone, con disparità di età, nell’interesse di entrambe.

Alle ragioni affettive e solidaristiche che motivano l’adozione, si possono nel contempo aggiungere esigenze utilitaristiche. Si pensi al caso della zia anziana, senza discendenti diretti, che adotta la nipote prediletta anche nella prospettiva di non farle pagare, o farle pagare in misura ridotta, le imposte di successione.

Nella società del nostro tempo, dove sempre più spesso prevalgono l’aridità d’animo, l’indifferenza, l’egoismo, la solitudine, l’istituto di cui si tratta,  peraltro trascurato, anche perché poco conosciuto, può contribuire in modo determinante a migliorare la qualità della vita delle persone coinvolte.

L’adozione di maggiorenne (articoli 291-314 del codice civile, modificati dalla legge 4 maggio 1983, n. 184) è un istituto nato per consentire a chi non abbia una discendenza legittima di tramandare il nome ed il patrimonio familiare.

L’adottato acquista uno status assimilabile a quello del figlio legittimo. Egli assume il cognome dell’adottante, anteponendolo al proprio, acquista i diritti successori  nei confronti dell’adottante  ed il diritto agli alimenti.

Possono adottare le persone, coniugate o meno, che abbiano compiuto 35 anni e che superino di almeno 18 anni l’età di coloro che vogliono adottare. Non esiste un limite massimo di età. Così, in teoria, un ottantenne potrebbe adottare validamente un sessantenne.

È ammissibile una pluralità di adozioni da parte dello stesso adottante, ma nessuno può essere adottato da più di una persona, salvo il caso che gli adottanti siano marito e moglie. Il divieto, giustificato dalla necessità di evitare status familiari confliggenti, resta anche se il primo adottante è deceduto (Tribunale  Milano 21 novembre 1988).  

L’adozione non ha effetti legittimanti e l’adottato conserva i diritti e doveri verso la famiglia di origine. L’adozione non induce alcun rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato, né tra l’adottato ed i parenti dell’adottante, salve le eccezioni previste dalla legge (es. in tema di impedimenti matrimoniali,  ex articolo 587 del codice civile).

Diversamente, i figli dell’adottato assumono la stessa posizione giuridica dei discendenti del figlio legittimo (Cassazione 6 settembre 1978, n. 420).

L’adozione non attribuisce all’adottante alcun diritto di successione. Lo scopo evidente della norma è quello di evitare adozioni interessate. Non è invece impedito all’adottante di ereditare dall’adottato per testamento, sia a titolo universale, che a titolo di legato.

Per l’adozione si richiede il consenso dell’adottante e dell’adottato.

Serve poi l’assenso degli eventuali rispettivi coniugi (non legalmente separati) e dei genitori dell’adottando. Se viene negato l’assenso di uno dei predetti soggetti (salvo che si tratti dell’assenso del coniuge, se convivente, dell’adottante o dell’adottato), il tribunale, su istanza dell’adottante, pronuncia ugualmente l’adozione, quando ritiene che il rifiuto sia ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottato.

Il tribunale può comunque disporre l’adozione quando risulti impossibile ottenere l’assenso per incapacità o irreperibilità dei soggetti chiamati ad esprimerlo.

Così il Tribunale di Trento, con Sentenza del 10 marzo 2005, ha stabilito che il marito possa adottare la figlia maggiorenne, avuta dalla moglie nel precedente matrimonio anche nell’ipotesi in cui il padre ex marito non dia l’assenso. Il Tribunale ha precisato, al riguardo, che il mancato assenso del padre biologico sia agevolmente superabile ex articolo 297 del codice civile, in considerazione del disinteresse dimostrato dallo stesso ad assistere moralmente e materialmente la figlia, disinteresse ulteriormente evidenziato dalla sua assenza in giudizio, nonostante la rituale convocazione.

La presenza di figli del richiedente l’adozione costituisce, di regola, un impedimento alla richiesta, non più invece la presenza di figli maggiorenni consenzienti, dopo la Sentenza della Corte costituzionale 19 maggio 1988, n. 557.

Tuttavia la Corte di Cassazione con Sentenza n. 2426 del 3 febbraio 2006 ha precisato che quando l’adozione riguardi il figlio del coniuge che già appartenga, assieme al proprio genitore naturale ed ai fratelli minorenni, al contesto affettivo della famiglia di accoglienza dell’adottante, la presenza dei figli minorenni non preclude in assoluto l’adozione. Spetterà al giudice del merito valutare, caso per caso, la convenienza dell’adozione nell’interesse dell’adottando. Tale convenienza sussiste quando detto interesse trovi effettiva e concreta realizzazione nel costituendo vincolo formale, vale a dire nella comunione di intenti di tutti i membri del nucleo domestico compresi i figli dell’adottante.

Nello stesso senso si è espresso di recente il Tribunale di Torino, con Sentenza del 25 luglio 2014, nel caso di adottanda maggiorenne, sorella uterina dei figli minori dell’adottante, che da anni aveva interrotto i rapporti con il padre effettivo ed aveva instaurato un solido legame familiare con il marito della propria madre. L’eccezione alla regola si giustifica in quanto l’adozione contribuisce, nel caso di specie, a consolidare l’unità familiare.

Nelle pronunce summenzionate i nuovi vincoli personali ed affettivi sono stati considerati preminenti sulle relazioni della famiglia biologica. L’adozione dà copertura giuridica ad una situazione di fatto meritevole di tutela.

La richiesta di adozione si presenta con domanda indirizzata al presidente del tribunale del luogo di residenza dell’adottante.

Il giudice dispone l’adozione dopo aver verificato che tutte le condizioni di legge sia state adempiute e che la stessa convenga all’adottando. L’adozione ha efficacia dalla data della sentenza con cui viene pronunciata. Il provvedimento viene poi trascritto a margine dell’atto di nascita dell’adottato.

L’adozione di maggiorenne può essere revocata, ma solo per indegnità dell’adottato o dell’adottante, nei casi tassativi previsti dalla legge (articoli 306 e 307 del codice civile).

Tradizionalmente si afferma che lo scopo dell’adozione ordinaria sia quello di assicurare una discendenza a chi non ha figli, attraverso la trasmissione del nome e del patrimonio. Oggi, soprattutto alla luce dell’evoluzione sociale dei rapporti familiari, questo punto di vista appare semplicistico e limitativo.

L’adozione di maggiorenne è infatti uno strumento duttile che si preste all’assolvimento di nuove funzioni, come quella del consolidamento dell’unità familiare, attraverso la formalizzazione di un rapporto di accoglienza già sperimentato e concretamente vissuto, come può avvenire nelle famiglie allargate. Sempre più frequentemente si manifesta il fenomeno delle “famiglie ricomposte”, formate da soggetti che provengono da esperienze di coppia andate male, con i figli nati e cresciuti nel contesto.

L’adozione potrebbe essere il suggello di un intenso rapporto affettivo tra persone, con disparità di età, nell’interesse di entrambe.

Alle ragioni affettive e solidaristiche che motivano l’adozione, si possono nel contempo aggiungere esigenze utilitaristiche. Si pensi al caso della zia anziana, senza discendenti diretti, che adotta la nipote prediletta anche nella prospettiva di non farle pagare, o farle pagare in misura ridotta, le imposte di successione.

Nella società del nostro tempo, dove sempre più spesso prevalgono l’aridità d’animo, l’indifferenza, l’egoismo, la solitudine, l’istituto di cui si tratta,  peraltro trascurato, anche perché poco conosciuto, può contribuire in modo determinante a migliorare la qualità della vita delle persone coinvolte.