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Le lobby in Italia - Mancanza di legislazione o mancanza di cultura?

L’attività di lobby viene identificata e definita come l’attività di gruppi organizzati volta ad influenzare il processo di formazione delle leggi e, più in generale, le decisioni pubbliche.

Prendo spunto da un recente approfondito studio di Trasparency Italia “Lobbying e democrazia. La rappresentanza degli interessi in Italia” per svolgere qualche considerazione sulla situazione delle Lobby in Italia.

Nonostante siano state presentate, dal dopoguerra in poi, decine di proposte di legge per disciplinare le Lobby, in Italia non esiste una legge nazionale che regolamenti, in modo specifico, la rappresentanza degli interessi attraverso il “lobbismo”.

Non solo, ma sono pochissime le proposte di legge che sono state effettivamente discusse all’interno delle Commissioni parlamentari e/o nelle Camere. Conseguentemente non risulta che siano mai state, non solo approvate, ma neppure discusse in modo articolato proposte di legge in proposito.

L’altro fronte di attività da promuovere, oltre all’attività legislativa, al fine di  facilitare la regolamentazione delle Lobby, è costituito da codici di autoregolamentazione e/o codici etici, da parte dei lobbisti stessi, associazioni di categoria, associazioni professionali, rappresentanti del mondo degli affari. Questi codici dovrebbero redatti e adottati con estremo senso pratico, senza formalismi ridondanti. Anche sotto questo aspetto l’Italia non brilla per le iniziative intraprese, che sono scarse o nulle

In Italia fino ad oggi l’attività di lobbying è sempre stata un’attività fantasma. Tutti sanno che esiste, ma risulta molto difficile, se non impossibile, definire con precisione chi svolge quest’attività, nei confronti di chi, con quali mezzi e con quali obiettivi. In mancanza di una regolamentazione, di fronte a un’attività quasi completamente segreta, l’attività di lobby viene assimilata, nell’immaginario collettivo in Italia, ad una grande fucina della corruzione.

I vari attori in gioco: politici, mondo accademico, la stessa società civile, non hanno voluto e/ o saputo inserirsi nel dialogo della regolamentazione e di indirizzare di conseguenza il dibattito pubblico al fine di rendere l’attività di lobby trasparente e quindi indebolire l’immagine e i pregiudizi esistenti

Al contrario uno dei presupposti base per lo svolgimento dell’attività di lobby è la trasparenza. Nei paesi a democrazia avanzata, USA e UK ad esempio, l’attività di lobby è pubblicamente riconosciuta e adeguatamente regolamentata.

La mancanza di legislazione nazionale in materia è anche figlia di una nostra cultura del clientelismo, che mal si concilia con la trasparenza richiesta per portare l’attività di lobby alla luce del sole. Il clientelismo, come noto, deriva da un fenomeno diffuso nell’antica Roma, che indica il rapporto tra chi, pur godendo dello status libertatis, si trovava in stato di dipendenza da un patronus, dal quale riceveva protezione.

L’espressione «relazioni patrono-cliente», coniata in origine per indicare un istituto caratteristico dell’antica Roma repubblicana, è stata usata in riferimento a un’ampia gamma di legami di dipendenza, che hanno in comune il fatto di essere contratti da attori sociali i quali dispongono di risorse ineguali, che vengono scambiate in transazioni.

Studi più recenti hanno messo in evidenza il fatto che, per quanto i fenomeni clientelari siano presenti in quasi tutte le società umane, la loro importanza istituzionale e il loro impatto variano da una società all’altra. In alcuni casi, specialmente nel bacino del Mediterraneo, nell’America Latina e nel Sud-Est asiatico, le relazioni patrono-cliente si sono insinuate per lunghi periodi nel cuore delle istituzioni, modellando gli scambi interpersonali e quelli tra le organizzazioni, e il flusso e l’utilizzo delle risorse.

Concludo elencando le 7 raccomandazioni per l’Italia, del citato saggio di Trasparency:

  1. L’istituzione, da parte del governo, di un registro pubblico dei lobbisti, garantito da un’autorità super partes. Il registro deve essere obbligatorio e essere mantenuto con i requisiti di trasparenza e rendicontazione
  2. L’apertura al pubblico del processo legislativo, soprattutto nelle primissime fasi dell’iter normativo, e nelle fasi cruciali in cui le proposte di legge passano nelle Commissioni parlamentari: due fasi salienti che attualmente non sono pubbliche
  3. L’obbligo per i parlamentari di rendere pubblici i dettagli degli incontri con lobbisti e gruppi di interesse, oltre ad un maggior controllo e alla trasparenza degli accessi al Parlamento e ai Ministeri, che devono essere registrati e resi pubblici
  4. L’introduzione di un “Freedom of information act”, che garantisca libero accesso ad ogni informazione  e ai documenti prodotti e detenuti dalla Pubblica amministrazione, comprese quindi le informazioni inerenti le attività di lobbying
  5. La regolamentazione del cd fenomeno delle “porte girevoli” (revolving doors), che includa anche l’attività di lobby. In particolare l’introduzione di periodi di attesa (cooling off periods) per i membri del Parlamento, del Governo e gli alti funzionari pubblici, durate i quali non può essere loro consentito di effettuare l’attività di lobbying nei confronti dell’istituzione in cui hanno svolto le loro funzioni precedentemente
  6. Da parte dei lobbisti, l’elaborazione e l’introduzione, a livello nazionale da parte delle associazioni di lobbisti, di un sistema di linee guida per tutta la categoria
  7. Per il mondo dell’informazione, la promozione, anche attraverso una maggior tutela del giornalismo investigativo, che può contribuire a far conoscere e comprendere il fenomeno in modo più obiettivo.

L’attività di lobby viene identificata e definita come l’attività di gruppi organizzati volta ad influenzare il processo di formazione delle leggi e, più in generale, le decisioni pubbliche.

Prendo spunto da un recente approfondito studio di Trasparency Italia “Lobbying e democrazia. La rappresentanza degli interessi in Italia” per svolgere qualche considerazione sulla situazione delle Lobby in Italia.

Nonostante siano state presentate, dal dopoguerra in poi, decine di proposte di legge per disciplinare le Lobby, in Italia non esiste una legge nazionale che regolamenti, in modo specifico, la rappresentanza degli interessi attraverso il “lobbismo”.

Non solo, ma sono pochissime le proposte di legge che sono state effettivamente discusse all’interno delle Commissioni parlamentari e/o nelle Camere. Conseguentemente non risulta che siano mai state, non solo approvate, ma neppure discusse in modo articolato proposte di legge in proposito.

L’altro fronte di attività da promuovere, oltre all’attività legislativa, al fine di  facilitare la regolamentazione delle Lobby, è costituito da codici di autoregolamentazione e/o codici etici, da parte dei lobbisti stessi, associazioni di categoria, associazioni professionali, rappresentanti del mondo degli affari. Questi codici dovrebbero redatti e adottati con estremo senso pratico, senza formalismi ridondanti. Anche sotto questo aspetto l’Italia non brilla per le iniziative intraprese, che sono scarse o nulle

In Italia fino ad oggi l’attività di lobbying è sempre stata un’attività fantasma. Tutti sanno che esiste, ma risulta molto difficile, se non impossibile, definire con precisione chi svolge quest’attività, nei confronti di chi, con quali mezzi e con quali obiettivi. In mancanza di una regolamentazione, di fronte a un’attività quasi completamente segreta, l’attività di lobby viene assimilata, nell’immaginario collettivo in Italia, ad una grande fucina della corruzione.

I vari attori in gioco: politici, mondo accademico, la stessa società civile, non hanno voluto e/ o saputo inserirsi nel dialogo della regolamentazione e di indirizzare di conseguenza il dibattito pubblico al fine di rendere l’attività di lobby trasparente e quindi indebolire l’immagine e i pregiudizi esistenti

Al contrario uno dei presupposti base per lo svolgimento dell’attività di lobby è la trasparenza. Nei paesi a democrazia avanzata, USA e UK ad esempio, l’attività di lobby è pubblicamente riconosciuta e adeguatamente regolamentata.

La mancanza di legislazione nazionale in materia è anche figlia di una nostra cultura del clientelismo, che mal si concilia con la trasparenza richiesta per portare l’attività di lobby alla luce del sole. Il clientelismo, come noto, deriva da un fenomeno diffuso nell’antica Roma, che indica il rapporto tra chi, pur godendo dello status libertatis, si trovava in stato di dipendenza da un patronus, dal quale riceveva protezione.

L’espressione «relazioni patrono-cliente», coniata in origine per indicare un istituto caratteristico dell’antica Roma repubblicana, è stata usata in riferimento a un’ampia gamma di legami di dipendenza, che hanno in comune il fatto di essere contratti da attori sociali i quali dispongono di risorse ineguali, che vengono scambiate in transazioni.

Studi più recenti hanno messo in evidenza il fatto che, per quanto i fenomeni clientelari siano presenti in quasi tutte le società umane, la loro importanza istituzionale e il loro impatto variano da una società all’altra. In alcuni casi, specialmente nel bacino del Mediterraneo, nell’America Latina e nel Sud-Est asiatico, le relazioni patrono-cliente si sono insinuate per lunghi periodi nel cuore delle istituzioni, modellando gli scambi interpersonali e quelli tra le organizzazioni, e il flusso e l’utilizzo delle risorse.

Concludo elencando le 7 raccomandazioni per l’Italia, del citato saggio di Trasparency:

  1. L’istituzione, da parte del governo, di un registro pubblico dei lobbisti, garantito da un’autorità super partes. Il registro deve essere obbligatorio e essere mantenuto con i requisiti di trasparenza e rendicontazione
  2. L’apertura al pubblico del processo legislativo, soprattutto nelle primissime fasi dell’iter normativo, e nelle fasi cruciali in cui le proposte di legge passano nelle Commissioni parlamentari: due fasi salienti che attualmente non sono pubbliche
  3. L’obbligo per i parlamentari di rendere pubblici i dettagli degli incontri con lobbisti e gruppi di interesse, oltre ad un maggior controllo e alla trasparenza degli accessi al Parlamento e ai Ministeri, che devono essere registrati e resi pubblici
  4. L’introduzione di un “Freedom of information act”, che garantisca libero accesso ad ogni informazione  e ai documenti prodotti e detenuti dalla Pubblica amministrazione, comprese quindi le informazioni inerenti le attività di lobbying
  5. La regolamentazione del cd fenomeno delle “porte girevoli” (revolving doors), che includa anche l’attività di lobby. In particolare l’introduzione di periodi di attesa (cooling off periods) per i membri del Parlamento, del Governo e gli alti funzionari pubblici, durate i quali non può essere loro consentito di effettuare l’attività di lobbying nei confronti dell’istituzione in cui hanno svolto le loro funzioni precedentemente
  6. Da parte dei lobbisti, l’elaborazione e l’introduzione, a livello nazionale da parte delle associazioni di lobbisti, di un sistema di linee guida per tutta la categoria
  7. Per il mondo dell’informazione, la promozione, anche attraverso una maggior tutela del giornalismo investigativo, che può contribuire a far conoscere e comprendere il fenomeno in modo più obiettivo.