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Petrolio e Costituzione

Alcuni spunti di discussione

Se ne discute intensamente a proposito della Basilicata, nel cui sottosuolo si nascondono giacimenti tra i migliori in Europa in quantità e qualità. Che lì ci fosse greggio lo si sapeva, in realtà, da moli anni, dai tempi di Enrico Mattei e delle origini dell’Eni. La crisi e i problemi di finanza pubblica hanno riacceso i riflettori su un percorso di utilizzo e indirizzo territoriale che nel Dopoguerra fu interrotto e abbandonato. E dire che allora, negli anni ‘50, con l’industrializzazione da farsi, il bisogno di energia e il Mezzogiorno da recuperare, le risorse lucane avrebbero potuto svolgere un ruolo importantissimo di riequilibrio territoriale e di freno alla diaspora di capitale umano.

Adesso c’è il Paese che, per bocca del Governo, chiede accesso a quelle risorse, ampliando i punti di estrazione. C’è la Regione che si scopre potenzialmente più ricca ma anche con tanti dubbi su come utilizzare il greggio, impostare relazioni trasparenti e responsabili col Governo e con le compagnie petrolifere, soprattutto non perdere di vista la sicurezza dei cittadini, la conservazione dell’ambiente e le direttrici di sviluppo regionale. Queste ultime, che neppure nel Dopoguerra presero, in Basilicata, la forma di programmi di industrializzazione energivora, adesso volgono in tutt’altra direzione, puntando alla valorizzazione del patrimonio storico-artistico-naturalistico, ad agricoltura modernizzata e di qualità, al turismo culturale, all’accoglienza, anche in forma residenziale prolungata o permanente, di think tank e gruppi di lavoro.

Logico e necessario, quindi, che la comunità regionale si interroghi sulla compatibilità di una trivellazione intensiva e diffusa  con lo sviluppo locale e il benessere dei cittadini. E le incertezze su questa compatibilità emergono anche soltanto se si guarda all’altra grande risorsa “liquida” di cui la Basilicata è ricca: il petrolio azzurro, l’acqua potabile e irrigua che scorre da nord a sud lungo le fondovalli, e che da sempre viene condivisa con le Regioni limitrofe.  L’acqua è una risorsa scarsa che a quelle latitudini del Paese (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia) conta più del petrolio. Resterà lo sfruttamento massivo dei giacimenti petroliferi compatibile con la protezione e il miglioramento dell’offerta idrica? Su quanto essenziale sarà il petrolio nei prossimi decenni ci sono visioni differenti; sull’indispensabilità dell’acqua non ci sono dubbi. Tra qualche anno potrebbe valere più del petrolio.

Tentando di evitare luoghi comuni o possibili eccessi affettivi (chi scrive è di Matera), si propongono alcune sintetiche considerazioni su quattro punti:

  1. quali sono i termini costituzionali?;
  2. si tratta di un “classico” problema di nimby fobia?;
  3. c’è chiarezza sull’impatto ambientale a medio-lungo termine?;
  4. fino a dove la Regione può reclamare l’appropriabilità delle risorse, direttamente o indirettamente?

 

I termini costituzionali

Nel dibattito è spesso stata chiamata in causa la Costituzione. Sono almeno quattro gli articoli direttamente coinvolti dai fatti.

L’articolo 9, quello caro a Antonio Cederna e che compare tra i principi fondamentali all’inizio della Carta: esso chiama la Repubblica a tutelare il paesaggio e il patrimonio storico e artistico. Paesaggio e patrimonio storico-artistico sono, assieme all’acqua, qualità distintive della Basilicata, conservate sino a noi proprio perché la Regione è rimasta ai margini delle scelte (spesso a queste latitudini sbagliate) di industrializzazione del Dopoguerra. Prima di mettere in discussione, in maniera postuma, equilibri territoriali che altrove ci si è pentiti di aver compromesso (si pensi a Taranto o a Bagnoli di Napoli o a Siracusa), bene rifletterci approfonditamente.

L’articolo 117 assegna allo Stato, in legislazione esclusiva, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (lettera s del secondo comma). Prima ancora di trovare nella Regione, negli Enti Locali e nei cittadini residenti una democratica resistenza, dovrebbe essere direttamente lo Stato, l’Amministrazione centrale, a valutare appieno le ricadute sull’ambiente e sul patrimonio culturale in senso lato.

Sempre l’articolo 117 assegna alla Regione, tra le altre materie a legislazione concorrente: tutela della salute; protezione civile; governo del territorio; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, quest’ultima riservata alla legislazione dello Stato. Su tutti questi ambiti direttamente coinvolti da progetti di trivellazione su grande scala, la Regione ha, nel Titolo V riformato nel 2001, un ruolo attivo di responsabilità legislativa e regolamentare. Merita di essere qui evidenziata la tutela della salute, in una Regione come la Basilicata che già soffre di una incidenza tumorale doppiamente strana, sia perché elevata rispetto alle medie delle altre Regioni, sia perché si registra in aree che, almeno in linea teorica, dovrebbero esser libere e lontane da fattori normalmente collegati all’insorgenza delle patologie (poli industriali, addensamenti urbani, inquinamento, etc.).

L’articolo 120 contiene un principio di coordinamento e unitarietà delle scelte strategiche che potrebbe essere invocato anche di fronte alla gestione di giacimenti petroliferi così importanti: il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni […] quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica […].  Non v’è dubbio che lo sfruttamento delle risorse naturali del sottosuolo debba rispondere a un disegno di respiro nazionale, a tutela da egoismi dei singoli territori.

Quest’ultimo principio fa intendere la necessità di un bilanciamento attento delle conseguenze delle scelte. Non contraddice affatto gli articoli 9 e 117; l’intenzione non è certo quella di introdurre una opzione decisionista in mano allo Stato. Anche perché c’è poi l’articolo 127, che permette a Stato e Regioni di ricorrere alla Corte Costituzionale qualora si ritenga che una legge o un atto avente valore di legge infranga la legittimità costituzionale. Colpi di mano decisionisti dello Stato potrebbero facilmente essere portati innanzi alla Corte da parte della Regioni, così come lo Stato potrebbe appellarsi alla Corte contro ostruzionismi o difese temerarie della Regione.

Insomma, alla Costituzione non possiam ovviamente chiedere di darci una soluzione “chiavi in mano”. Il punto su cui si deve convenire è che ognuna delle istanze portate all’attenzione dal dibattito (sicurezza, salute, paesaggio, equilibrio territoriale, sviluppo economico, indirizzo unitario della politica economica, etc.) ha nella Costituzione un riferimento di principio. Non esistono soluzioni ovvie e lampanti, ma si ha di fronte una scelta seria e gravida di conseguenze su più dimensioni. Non una ordinaria questione di politica economica o politica industriale. È stata, questa scelta, sinora trattata a questo livello di rilievo e importanza?

È nimby fobia?

Gli economisti chiamano così - Not in My Back Yard Fobia - il tentativo delle comunità locali di allontanare il più possibile dal loro territorio infrastrutture, insediamenti industriali, interporti, dorsali, centrali elettriche, rigassificatori, tunnel, etc.. Nella misura in cui si può comunque partecipare ai loro benefici, molto meglio che le infrastrutture si realizzino “nel giardino” di altri, in modo tale da evitarne gli effetti collaterali (inquinamento, rumore, danni al paesaggio, etc.). In altri termini: sì, serve, è necessario per ammodernare il Paese, ma perché proprio qui?

La nimby fobia o nimby syndrome aiuta a spiegare molte delle diatribe che negli ultimi quindici-venti anni sono sorte riguardo progettazione e realizzazione di grandi opere. Su di un piano puramente teorico, la soluzione democratica esiste: distribuire in maniera il più possibile equilibrata su tutto il territorio nazionale l’onere di ospitare le infrastrutture, sotto il vincolo non oltrepassabile della salute e della sicurezza dei cittadini e con le cautele più opportune per l’ambiente. Tutti sarebbero chiamati a dare un contributo alla infrastrutturazione e modernizzazione  del Paese, e i vantaggi sarebbero condivisi, dal tunnel sotto le Alpi al rigassificatore sulle coste meridionali. Quando si passi dal piano teorico a quello effettivo, tuttavia, la scelta diventa molto più difficile, soprattutto in un Paese come l’Italia, con elevata densità abitativa, geomorfologia complessa , equilibri territoriali delicati, netti divari di sviluppo tra aree geografiche.

Non è questa la sede per discutere della nimby fobia. Il punto che qui si vuole sottolineare è un altro. Nonostante sia stata più volte evocata nel dibattito, questa fobia c’entra poco con il petrolio in Basilicata. In questo caso la prospettiva di analisi appare inopportuna e sviante. I programmi di trivellazione riguarderebbero la quasi totalità del territorio regionale, coinvolgendo Provincia di Potenza e Provincia di Matera, aree montuose, aree collinari, rocciose, argillose, territori che si affacciano lungo le fondovalli dei fiumi, sino a spingersi sui fondali marini jonici. Non esistono casi “nimby” di questa proporzione: non un’area circoscritta e asservita a una nuova funzione, ma una intera Regione modificata nella sua “vocazione” economica. Non si tratta di una nimby fobia o, se questa terminologia si vuole usare, bisogna ammettere che si tratta di un caso “nimby” di dimensioni straordinarie, tali da giustificare tutti i dubbi e gli interrogativi e i timori dei cittadini residenti.

L’impatto ambientale a medio-lungo termine

Nonostante dimensioni e pervasività dei programmi di trivellazione, non esiste una valutazione completa e dettagliata degli effetti sugli equilibri dell’ambiente e del territorio. Non sono sufficienti le spiegazioni tecniche delle compagnie petrolifere sulle caratteristiche degli strumenti e degli interventi. È necessario che si esprima una vera e propria equipe terza e composta da professionalità diverse e complementari.

Soprattutto, è necessario che la valutazione non si limiti all’immediato, ai primi anni, ma si spinga il più possibile al medio-lungo termine. Si tratta di regola di base della valutazione di impatto: l’orizzonte temporale deve essere coerente con la durata delle azioni e delle conseguenze. Una intensiva conversione “petrolifera” della Basilicata sarebbe non reversibile o reversibile solo nel medio-lungo periodo e con costi, difficilmente stimabili ma certamente elevati, di ri-conversione.

Non va dimenticato quanto accaduto poco distante dalle fondovalli lucane, con il caso “Ilva” di Taranto. Molto diverso per tanti aspetti, ma anche con delle similitudini. Nessuno, per decenni, si è mai interrogato a fondo sulle conseguenze immediate e future sull’uomo, sulla campagna, sul mare di un impianto industriale di quelle dimensioni e funzionante in quella maniera. Come già per il caso “Ilva”, Basilicata e Puglia si ritrovano accomunate nelle potenzialità ma anche nei controeffetti delle scelte. Come i problemi dell’Ilva hanno riguardato anche la costa jonica lucana e il suo entroterra, allo stesso modo le conseguenze di scelte sul petrolio non si fermerebbero ai confini amministrativi tra Regioni. È, questo, un punto sottovalutato nel dibattito; ci dovrebbe aspettare molta più cooperazione tra amministrazioni regionali.

Se si hanno in mente i principi costituzionali prima citati, e le corrispondenti responsabilità che la Costituzione assegna allo Stato e alle Regioni, la valutazione a medio-lungo termine degli effetti delle trivellazioni dovrebbe trovare lì la sua necessità giuridica, prima ancora che economica. Non si sta sostenendo alcuna posizione anti-industrialista o anti-tecnologica o anti-progressista. Si sta unicamente portando argomentazioni a favore di una valutazione approfondita dei passi da compiere. C’è stata sinora?

L’appropriabilità delle risorse

L’altro snodo su cui si sta svolgendo il dibattito è quello della distribuzione dei vantaggi economici, delle risorse: quanto alle compagnie petrolifere, quanto al Paese, quanto allo Stato e quanto alla Regione e agli Enti Locali. Gli ordini di grandezza di cui si discute appaiono, per la Regione, assolutamente insufficienti di fronte all’entità delle estrazioni programmate e al coinvolgimento del territorio. Una contrattazione seria e democratica dovrebbe tener conto di alcuni punti:

- Tra un giacimento petrolifero e altra caratteristica/conformazione naturale, come un porto, una baia, la vicinanza di un fiume navigabile, la prossimità a nodi intermodali internazionali, etc., non c’è, dal punto di vista giuridico, costituzionale e amministrativo, alcuna differenza. Tant’è vero che nell’articolo 117 della Costituzione porti, aeroporti, grandi reti di comunicazione e trasporto sono tutte voci inserite, assieme alle tematiche energetiche, all’interno della legislazione concorrente Stato-Regioni. Della ricchezza del sottosuolo è giusto che una Regione e un territorio traggano benefici allo stesso modo che le Regioni e i territori dalla presenza di altre vantaggiose caratteristiche morfologiche e strutturali. Quanto valgono fondali che permettono una baia industriale? O quanto vale la vicinanza a corridoi europei?;

- In qualunque contesto democratico, una Regione ricca di acqua e di petrolio può, contestualmente alle scelte di destinazione di queste risorse, costruirsi certezze su processi di sviluppo economico e sociale a medio-lungo termine. Lo sviluppo di una Regione come la Basilicata corrisponderebbe allo sviluppo del Paese, ne sarebbe parte, concorrendo tra l’altro al riassorbimento dello storico divario Nord-Sud. Sconti carburante, social card, ritocchi alle addizionali regionali di imposizione sui redditi, sono queste le “compensazioni” sinora prese in considerazione, e appaiono tutte di dimensione non comparabile con i valori, i rischi e le sfide in campo;

- Come si è detto, trivellazioni estensive per terra e per mare implicherebbero, oggi, un cambiamento radicale nella destinazione del territorio. Ma Regione e cittadini non possono affidarsi alla “monocultura” del petrolio, soprattutto con tutti i dubbi che oggi esistono sulla validità strategica del programma (enfatizzata probabilmente dalla crisi) e sulle compatibilità con la salute, l’ambiente e gli altri punti ricordati in precedenza. La Regione deve mettersi ed esser messa in condizione di avere altre linee di sviluppo, altri sbocchi, in modo tale da poter “uscire dal petrolio”, o ridurre anche sensibilmente le estrazioni, se e non appena se ne ravviseranno i motivi. Puntare solo sul petrolio - che è quanto avverrebbe se venisse realizzato l’intero programma di trivellazione senza nessun’altra visione al medio-lungo periodo - significherebbe vincolarsi al petrolio, e rimanere in posizione di subalternità rispetto alle compagnie petrolifere e di debolezza contrattuale rispetto al Governo centrale;

- Per evitare che la scelta del petrolio diventi, una volta intrapresa, un percorso obbligato e vincolante tra generazioni, è necessario che lo sfruttamento dei giacimenti si traduca per la Regione, non in piccole compensazioni con la ratio dei “buoni spesa”, ma in un collegamento stabile e strutturale con il finanziamento di progetti per infrastrutture, ripresa e conservazione del territorio, valorizzazione  del patrimonio naturalistico e culturale, creazione di capitale umano, tecnologie, digitalizzazione e banda larga adattate ai contesti, finanziamento di un moderno sistema di welfare integrato (altro punto di rilievo costituzionale, lì dove la Costituzione assegna ruoli e responsabilità in termini di Lea e Lep);

- Per quanto riguarda le infrastrutture, c’è solo l’“imbarazzo” della scelta: dal completamento della superstrada Bradanica alla messa in sicurezza delle altre superstrade nelle altre fondovalli; dal consolidamento della costa jonica (il tratto tra Metaponto e Policoro sta scomparendo) alla costruzione di depuratori lungo il torrente Gravina; dalla trasformazione in superstrada del collegamento Matera-Bari al raddoppio della linea ferroviaria che da Salerno, passando per Potenza lungo la fondovalle del Basento, arriva a Taranto (oggi i tempi di percorrenza da Roma Termini a Ferrandina Scalo sono di oltre 6 ore, il doppio di quello che serve per viaggiare da Roma Termini a Milano Centrale su Freccia Rossa); dall’ammodernamento degli acquedotti (hanno percentuali di perdita record) al completamento della superstrada Jonica nel tratto lucano e in quello calabrese, sino a Reggio Calabria;

- Fondamentali anche gli interventi progettabili sul territorio, in una Regione in cui l’agricoltura e l’allevamento non sono solo le origini e la tradizione, ma anche potenziali per il futuro, con l’applicazione di tecnologie nuove e anche sperimentali. Una parte importante del territorio della Toscana - solo per fare un esempio - è dedicata alla coltivazione di viti, ulivi e frutta con scala e approccio imprenditoriale. Non sarebbero l’agricoltura e la pastorizia del secolo scorso, ma attività modernizzate e coinvolgenti anche equipe di figure professionali specializzate (agrari, geologi, biologi, manager, etc.). Riscoprire il territorio come patrimonio produttivo offrirebbe anche possibilità per la valorizzazione del patrimonio storico-culturale che a queste latitudini d’Italia è rimasto visceralmente legato alla terra e alle stagioni almeno sino alla metà del Novecento;

- Se per superare la crisi europea e internazionale è necessario tornare a investire e stimolare la domanda aggregata, progetti ad ampio raggio di questo tipo non avrebbero ovviamente ritorni solo per la Basilicata, ma i moltiplicatori coinvolgerebbero l’intero Paese. Tra l’altro le infrastrutture di comunicazione citate non servirebbero solo la Basilicata ma migliorerebbero l’interconnessione di tutto il Mezzogiorno;

- Ci si chieda, infine, che cosa accadrebbe se il valore dell’attività estrattiva entrasse stabilmente nel Pil e nel valore aggiunto della Basilicata. Ce ne sarebbero probabilmente già i presupposti per le estrazioni in atto, ma di fronte a un programma di ampliamento delle estrazioni come quello in discussione questa diverrebbe la contabilizzazione più coerente. In loco, infatti, non ci sarebbe una semplice appendice strumentale di una attività coordinata e svolta altrove, ma un vero e proprio complesso di impianti che lì funzionano e lì producono. Cambierebbero in maniera drastica gli scenari di sostenibilità della finanza pubblica regionale, con maggiori spazi, per fare un esempio importante, per il finanziamento della sanità (sia voci correnti che voci in conto capitale) e di quegli altri istituti di welfare, come assistenza agli anziani, ai lungodegenti, alle famiglie con minori o con casi di diversa abilità, importanti anche per favorire la mobilità dei giovani e la mobilità professionale.

In conclusione

Qui, in queste poche righe, non si dice né un sì né un no secco allo sfruttamento delle risorse petrolifere in Basilicata. Il vero problema, quando si segua il dibattito, è l’assenza di una visione economica e sociale a medio-lungo termine, visione che non può non partire dal futuro di questi territori e di questi luoghi, non può non esser parte di quella trasformazione a cui la Regione sarebbe obbligata dalla “scelta petrolio”. Una chiusura ecologista totale potrebbe precludere potenzialità importanti gestibili in trasparenza e sicurezza; ma a oggi tutto fa pensare che stia accadendo esattamente il contrario, e cioè che si guardi alle risorse nel sottosuolo della Basilicata come a un tesoretto di facile accesso e in funzione anticrisi. Risorse di cui si era a conoscenza sin dal Dopoguerra non sono state mobilitate nella fase storica in cui si credeva a un certo tipo di industrializzazione energivora del Mezzogiorno, le si vuole mobilitare su larga scala e in tempi stretti adesso che quell’idea di sviluppo è tramontata.

Una soluzione radicale che non può non suscitare reazioni ecologiste e protettive altrettanto radicali come quelle che stanno arrivando dalla società civile. Passando in rassegna gli aspetti giuridico-costituzionali ed economici, emerge chiaramente la superficialità con cui si sta affrontando un momento gravido di conseguenze, anche permanenti, per il territorio. Sinora gli organi di governo della Regione sono apparsi troppo “molli” nella contrattazione sia con il Governo che, di riflesso, con le compagnie petrolifere. Ben altro si dovrebbe chiedere che non piccoli ritorni con la “filosofia” delle compensazioni sganciate da qualsiasi disegno sul futuro.

I cambiamenti e le grandezze in campo sono tali da dover e poter chiedere molto di più: che le estrazioni (anche quelle che già si compiono) entrino direttamente nel Pil e nel valore aggiunto della Basilicata, e che alla Regione venga riconosciuto uno Statuto speciale. Gli Statuti speciali oggi esistenti risalgono al Dopoguerra e rispecchiano difficoltà e svantaggi che in gran parte non esistono più. Perché mai una Regione a cui si chiede di prestare gran parte della sua estensione alle trivellazioni non dovrebbe avere poteri e garanzie speciali? E invece si va addirittura ipotizzando (c’è anche questo nel dibattito) una revisione costituzionale per uscire dalle “incertezze terminologiche” del Titolo V della Costituzione e  limitare le potestà in termini di legislazione concorrente, per dare slancio e decisionismo al Legislatore statale.

E poi, perché non si discute della presenza qualificata della Regione e di rappresentanti delle comunità locali nei Consigli di Sorveglianza delle compagnie petrolifere (una forma di garanzia utilizzata per i servizi pubblici locali di interesse economico)? Snodi chiari e concreti che non possono essere ignorati. La Regione li metta in agenda, sapendo che l’importanza del tema sarà percepita - dall’opinione pubblica nazionale, dal Governo, dai mercati - anche in base alle richieste e ai limiti avanzati dal territorio.

La maniera migliore, anzi l’unica maniera, per fare delle risorse del sottosuolo una fruttuosa occasione di sviluppo nazionale è che il percorso parta di qui, dove di crescita, occupazione e innovazione c’è bisogno da che è stata fatta l’Italia. Questa volta non si chiederebbero Ministeri ad hoc, piani della Cassa del Mezzogiorno, flussi di perequazione territoriale difficili da trovare e da stabilizzare in momenti di crisi. Questa volta risorse e responsabilità di scelta verrebbero dall’interno. O nasce all’insegna della collaborazione tra Istituzioni e di promozione della ricchezza collettiva, o questa del petrolio rischia di diventare una ennesima spaccatura geografica di un Paese sempre più piccolo rispetto al mondo.

 

Costituzione della Repubblica Italiana

Articolo 9

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Articolo 117

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea; b) immigrazione; c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie; f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo; g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; i) cittadinanza, stato civile e anagrafi; l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; n) norme generali sull’istruzione; o) previdenza sociale; p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane; q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno; s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.

Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.

La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.

La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni.

Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.

Articolo 120

La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, né limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale.

Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.

Articolo 127

Il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione.

La Regione, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente valore di legge. 

Se ne discute intensamente a proposito della Basilicata, nel cui sottosuolo si nascondono giacimenti tra i migliori in Europa in quantità e qualità. Che lì ci fosse greggio lo si sapeva, in realtà, da moli anni, dai tempi di Enrico Mattei e delle origini dell’Eni. La crisi e i problemi di finanza pubblica hanno riacceso i riflettori su un percorso di utilizzo e indirizzo territoriale che nel Dopoguerra fu interrotto e abbandonato. E dire che allora, negli anni ‘50, con l’industrializzazione da farsi, il bisogno di energia e il Mezzogiorno da recuperare, le risorse lucane avrebbero potuto svolgere un ruolo importantissimo di riequilibrio territoriale e di freno alla diaspora di capitale umano.

Adesso c’è il Paese che, per bocca del Governo, chiede accesso a quelle risorse, ampliando i punti di estrazione. C’è la Regione che si scopre potenzialmente più ricca ma anche con tanti dubbi su come utilizzare il greggio, impostare relazioni trasparenti e responsabili col Governo e con le compagnie petrolifere, soprattutto non perdere di vista la sicurezza dei cittadini, la conservazione dell’ambiente e le direttrici di sviluppo regionale. Queste ultime, che neppure nel Dopoguerra presero, in Basilicata, la forma di programmi di industrializzazione energivora, adesso volgono in tutt’altra direzione, puntando alla valorizzazione del patrimonio storico-artistico-naturalistico, ad agricoltura modernizzata e di qualità, al turismo culturale, all’accoglienza, anche in forma residenziale prolungata o permanente, di think tank e gruppi di lavoro.

Logico e necessario, quindi, che la comunità regionale si interroghi sulla compatibilità di una trivellazione intensiva e diffusa  con lo sviluppo locale e il benessere dei cittadini. E le incertezze su questa compatibilità emergono anche soltanto se si guarda all’altra grande risorsa “liquida” di cui la Basilicata è ricca: il petrolio azzurro, l’acqua potabile e irrigua che scorre da nord a sud lungo le fondovalli, e che da sempre viene condivisa con le Regioni limitrofe.  L’acqua è una risorsa scarsa che a quelle latitudini del Paese (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia) conta più del petrolio. Resterà lo sfruttamento massivo dei giacimenti petroliferi compatibile con la protezione e il miglioramento dell’offerta idrica? Su quanto essenziale sarà il petrolio nei prossimi decenni ci sono visioni differenti; sull’indispensabilità dell’acqua non ci sono dubbi. Tra qualche anno potrebbe valere più del petrolio.

Tentando di evitare luoghi comuni o possibili eccessi affettivi (chi scrive è di Matera), si propongono alcune sintetiche considerazioni su quattro punti:

  1. quali sono i termini costituzionali?;
  2. si tratta di un “classico” problema di nimby fobia?;
  3. c’è chiarezza sull’impatto ambientale a medio-lungo termine?;
  4. fino a dove la Regione può reclamare l’appropriabilità delle risorse, direttamente o indirettamente?

 

I termini costituzionali

Nel dibattito è spesso stata chiamata in causa la Costituzione. Sono almeno quattro gli articoli direttamente coinvolti dai fatti.

L’articolo 9, quello caro a Antonio Cederna e che compare tra i principi fondamentali all’inizio della Carta: esso chiama la Repubblica a tutelare il paesaggio e il patrimonio storico e artistico. Paesaggio e patrimonio storico-artistico sono, assieme all’acqua, qualità distintive della Basilicata, conservate sino a noi proprio perché la Regione è rimasta ai margini delle scelte (spesso a queste latitudini sbagliate) di industrializzazione del Dopoguerra. Prima di mettere in discussione, in maniera postuma, equilibri territoriali che altrove ci si è pentiti di aver compromesso (si pensi a Taranto o a Bagnoli di Napoli o a Siracusa), bene rifletterci approfonditamente.

L’articolo 117 assegna allo Stato, in legislazione esclusiva, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (lettera s del secondo comma). Prima ancora di trovare nella Regione, negli Enti Locali e nei cittadini residenti una democratica resistenza, dovrebbe essere direttamente lo Stato, l’Amministrazione centrale, a valutare appieno le ricadute sull’ambiente e sul patrimonio culturale in senso lato.

Sempre l’articolo 117 assegna alla Regione, tra le altre materie a legislazione concorrente: tutela della salute; protezione civile; governo del territorio; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, quest’ultima riservata alla legislazione dello Stato. Su tutti questi ambiti direttamente coinvolti da progetti di trivellazione su grande scala, la Regione ha, nel Titolo V riformato nel 2001, un ruolo attivo di responsabilità legislativa e regolamentare. Merita di essere qui evidenziata la tutela della salute, in una Regione come la Basilicata che già soffre di una incidenza tumorale doppiamente strana, sia perché elevata rispetto alle medie delle altre Regioni, sia perché si registra in aree che, almeno in linea teorica, dovrebbero esser libere e lontane da fattori normalmente collegati all’insorgenza delle patologie (poli industriali, addensamenti urbani, inquinamento, etc.).

L’articolo 120 contiene un principio di coordinamento e unitarietà delle scelte strategiche che potrebbe essere invocato anche di fronte alla gestione di giacimenti petroliferi così importanti: il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni […] quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica […].  Non v’è dubbio che lo sfruttamento delle risorse naturali del sottosuolo debba rispondere a un disegno di respiro nazionale, a tutela da egoismi dei singoli territori.

Quest’ultimo principio fa intendere la necessità di un bilanciamento attento delle conseguenze delle scelte. Non contraddice affatto gli articoli 9 e 117; l’intenzione non è certo quella di introdurre una opzione decisionista in mano allo Stato. Anche perché c’è poi l’articolo 127, che permette a Stato e Regioni di ricorrere alla Corte Costituzionale qualora si ritenga che una legge o un atto avente valore di legge infranga la legittimità costituzionale. Colpi di mano decisionisti dello Stato potrebbero facilmente essere portati innanzi alla Corte da parte della Regioni, così come lo Stato potrebbe appellarsi alla Corte contro ostruzionismi o difese temerarie della Regione.

Insomma, alla Costituzione non possiam ovviamente chiedere di darci una soluzione “chiavi in mano”. Il punto su cui si deve convenire è che ognuna delle istanze portate all’attenzione dal dibattito (sicurezza, salute, paesaggio, equilibrio territoriale, sviluppo economico, indirizzo unitario della politica economica, etc.) ha nella Costituzione un riferimento di principio. Non esistono soluzioni ovvie e lampanti, ma si ha di fronte una scelta seria e gravida di conseguenze su più dimensioni. Non una ordinaria questione di politica economica o politica industriale. È stata, questa scelta, sinora trattata a questo livello di rilievo e importanza?

È nimby fobia?

Gli economisti chiamano così - Not in My Back Yard Fobia - il tentativo delle comunità locali di allontanare il più possibile dal loro territorio infrastrutture, insediamenti industriali, interporti, dorsali, centrali elettriche, rigassificatori, tunnel, etc.. Nella misura in cui si può comunque partecipare ai loro benefici, molto meglio che le infrastrutture si realizzino “nel giardino” di altri, in modo tale da evitarne gli effetti collaterali (inquinamento, rumore, danni al paesaggio, etc.). In altri termini: sì, serve, è necessario per ammodernare il Paese, ma perché proprio qui?

La nimby fobia o nimby syndrome aiuta a spiegare molte delle diatribe che negli ultimi quindici-venti anni sono sorte riguardo progettazione e realizzazione di grandi opere. Su di un piano puramente teorico, la soluzione democratica esiste: distribuire in maniera il più possibile equilibrata su tutto il territorio nazionale l’onere di ospitare le infrastrutture, sotto il vincolo non oltrepassabile della salute e della sicurezza dei cittadini e con le cautele più opportune per l’ambiente. Tutti sarebbero chiamati a dare un contributo alla infrastrutturazione e modernizzazione  del Paese, e i vantaggi sarebbero condivisi, dal tunnel sotto le Alpi al rigassificatore sulle coste meridionali. Quando si passi dal piano teorico a quello effettivo, tuttavia, la scelta diventa molto più difficile, soprattutto in un Paese come l’Italia, con elevata densità abitativa, geomorfologia complessa , equilibri territoriali delicati, netti divari di sviluppo tra aree geografiche.

Non è questa la sede per discutere della nimby fobia. Il punto che qui si vuole sottolineare è un altro. Nonostante sia stata più volte evocata nel dibattito, questa fobia c’entra poco con il petrolio in Basilicata. In questo caso la prospettiva di analisi appare inopportuna e sviante. I programmi di trivellazione riguarderebbero la quasi totalità del territorio regionale, coinvolgendo Provincia di Potenza e Provincia di Matera, aree montuose, aree collinari, rocciose, argillose, territori che si affacciano lungo le fondovalli dei fiumi, sino a spingersi sui fondali marini jonici. Non esistono casi “nimby” di questa proporzione: non un’area circoscritta e asservita a una nuova funzione, ma una intera Regione modificata nella sua “vocazione” economica. Non si tratta di una nimby fobia o, se questa terminologia si vuole usare, bisogna ammettere che si tratta di un caso “nimby” di dimensioni straordinarie, tali da giustificare tutti i dubbi e gli interrogativi e i timori dei cittadini residenti.

L’impatto ambientale a medio-lungo termine

Nonostante dimensioni e pervasività dei programmi di trivellazione, non esiste una valutazione completa e dettagliata degli effetti sugli equilibri dell’ambiente e del territorio. Non sono sufficienti le spiegazioni tecniche delle compagnie petrolifere sulle caratteristiche degli strumenti e degli interventi. È necessario che si esprima una vera e propria equipe terza e composta da professionalità diverse e complementari.

Soprattutto, è necessario che la valutazione non si limiti all’immediato, ai primi anni, ma si spinga il più possibile al medio-lungo termine. Si tratta di regola di base della valutazione di impatto: l’orizzonte temporale deve essere coerente con la durata delle azioni e delle conseguenze. Una intensiva conversione “petrolifera” della Basilicata sarebbe non reversibile o reversibile solo nel medio-lungo periodo e con costi, difficilmente stimabili ma certamente elevati, di ri-conversione.

Non va dimenticato quanto accaduto poco distante dalle fondovalli lucane, con il caso “Ilva” di Taranto. Molto diverso per tanti aspetti, ma anche con delle similitudini. Nessuno, per decenni, si è mai interrogato a fondo sulle conseguenze immediate e future sull’uomo, sulla campagna, sul mare di un impianto industriale di quelle dimensioni e funzionante in quella maniera. Come già per il caso “Ilva”, Basilicata e Puglia si ritrovano accomunate nelle potenzialità ma anche nei controeffetti delle scelte. Come i problemi dell’Ilva hanno riguardato anche la costa jonica lucana e il suo entroterra, allo stesso modo le conseguenze di scelte sul petrolio non si fermerebbero ai confini amministrativi tra Regioni. È, questo, un punto sottovalutato nel dibattito; ci dovrebbe aspettare molta più cooperazione tra amministrazioni regionali.

Se si hanno in mente i principi costituzionali prima citati, e le corrispondenti responsabilità che la Costituzione assegna allo Stato e alle Regioni, la valutazione a medio-lungo termine degli effetti delle trivellazioni dovrebbe trovare lì la sua necessità giuridica, prima ancora che economica. Non si sta sostenendo alcuna posizione anti-industrialista o anti-tecnologica o anti-progressista. Si sta unicamente portando argomentazioni a favore di una valutazione approfondita dei passi da compiere. C’è stata sinora?

L’appropriabilità delle risorse

L’altro snodo su cui si sta svolgendo il dibattito è quello della distribuzione dei vantaggi economici, delle risorse: quanto alle compagnie petrolifere, quanto al Paese, quanto allo Stato e quanto alla Regione e agli Enti Locali. Gli ordini di grandezza di cui si discute appaiono, per la Regione, assolutamente insufficienti di fronte all’entità delle estrazioni programmate e al coinvolgimento del territorio. Una contrattazione seria e democratica dovrebbe tener conto di alcuni punti:

- Tra un giacimento petrolifero e altra caratteristica/conformazione naturale, come un porto, una baia, la vicinanza di un fiume navigabile, la prossimità a nodi intermodali internazionali, etc., non c’è, dal punto di vista giuridico, costituzionale e amministrativo, alcuna differenza. Tant’è vero che nell’articolo 117 della Costituzione porti, aeroporti, grandi reti di comunicazione e trasporto sono tutte voci inserite, assieme alle tematiche energetiche, all’interno della legislazione concorrente Stato-Regioni. Della ricchezza del sottosuolo è giusto che una Regione e un territorio traggano benefici allo stesso modo che le Regioni e i territori dalla presenza di altre vantaggiose caratteristiche morfologiche e strutturali. Quanto valgono fondali che permettono una baia industriale? O quanto vale la vicinanza a corridoi europei?;

- In qualunque contesto democratico, una Regione ricca di acqua e di petrolio può, contestualmente alle scelte di destinazione di queste risorse, costruirsi certezze su processi di sviluppo economico e sociale a medio-lungo termine. Lo sviluppo di una Regione come la Basilicata corrisponderebbe allo sviluppo del Paese, ne sarebbe parte, concorrendo tra l’altro al riassorbimento dello storico divario Nord-Sud. Sconti carburante, social card, ritocchi alle addizionali regionali di imposizione sui redditi, sono queste le “compensazioni” sinora prese in considerazione, e appaiono tutte di dimensione non comparabile con i valori, i rischi e le sfide in campo;

- Come si è detto, trivellazioni estensive per terra e per mare implicherebbero, oggi, un cambiamento radicale nella destinazione del territorio. Ma Regione e cittadini non possono affidarsi alla “monocultura” del petrolio, soprattutto con tutti i dubbi che oggi esistono sulla validità strategica del programma (enfatizzata probabilmente dalla crisi) e sulle compatibilità con la salute, l’ambiente e gli altri punti ricordati in precedenza. La Regione deve mettersi ed esser messa in condizione di avere altre linee di sviluppo, altri sbocchi, in modo tale da poter “uscire dal petrolio”, o ridurre anche sensibilmente le estrazioni, se e non appena se ne ravviseranno i motivi. Puntare solo sul petrolio - che è quanto avverrebbe se venisse realizzato l’intero programma di trivellazione senza nessun’altra visione al medio-lungo periodo - significherebbe vincolarsi al petrolio, e rimanere in posizione di subalternità rispetto alle compagnie petrolifere e di debolezza contrattuale rispetto al Governo centrale;

- Per evitare che la scelta del petrolio diventi, una volta intrapresa, un percorso obbligato e vincolante tra generazioni, è necessario che lo sfruttamento dei giacimenti si traduca per la Regione, non in piccole compensazioni con la ratio dei “buoni spesa”, ma in un collegamento stabile e strutturale con il finanziamento di progetti per infrastrutture, ripresa e conservazione del territorio, valorizzazione  del patrimonio naturalistico e culturale, creazione di capitale umano, tecnologie, digitalizzazione e banda larga adattate ai contesti, finanziamento di un moderno sistema di welfare integrato (altro punto di rilievo costituzionale, lì dove la Costituzione assegna ruoli e responsabilità in termini di Lea e Lep);

- Per quanto riguarda le infrastrutture, c’è solo l’“imbarazzo” della scelta: dal completamento della superstrada Bradanica alla messa in sicurezza delle altre superstrade nelle altre fondovalli; dal consolidamento della costa jonica (il tratto tra Metaponto e Policoro sta scomparendo) alla costruzione di depuratori lungo il torrente Gravina; dalla trasformazione in superstrada del collegamento Matera-Bari al raddoppio della linea ferroviaria che da Salerno, passando per Potenza lungo la fondovalle del Basento, arriva a Taranto (oggi i tempi di percorrenza da Roma Termini a Ferrandina Scalo sono di oltre 6 ore, il doppio di quello che serve per viaggiare da Roma Termini a Milano Centrale su Freccia Rossa); dall’ammodernamento degli acquedotti (hanno percentuali di perdita record) al completamento della superstrada Jonica nel tratto lucano e in quello calabrese, sino a Reggio Calabria;

- Fondamentali anche gli interventi progettabili sul territorio, in una Regione in cui l’agricoltura e l’allevamento non sono solo le origini e la tradizione, ma anche potenziali per il futuro, con l’applicazione di tecnologie nuove e anche sperimentali. Una parte importante del territorio della Toscana - solo per fare un esempio - è dedicata alla coltivazione di viti, ulivi e frutta con scala e approccio imprenditoriale. Non sarebbero l’agricoltura e la pastorizia del secolo scorso, ma attività modernizzate e coinvolgenti anche equipe di figure professionali specializzate (agrari, geologi, biologi, manager, etc.). Riscoprire il territorio come patrimonio produttivo offrirebbe anche possibilità per la valorizzazione del patrimonio storico-culturale che a queste latitudini d’Italia è rimasto visceralmente legato alla terra e alle stagioni almeno sino alla metà del Novecento;

- Se per superare la crisi europea e internazionale è necessario tornare a investire e stimolare la domanda aggregata, progetti ad ampio raggio di questo tipo non avrebbero ovviamente ritorni solo per la Basilicata, ma i moltiplicatori coinvolgerebbero l’intero Paese. Tra l’altro le infrastrutture di comunicazione citate non servirebbero solo la Basilicata ma migliorerebbero l’interconnessione di tutto il Mezzogiorno;

- Ci si chieda, infine, che cosa accadrebbe se il valore dell’attività estrattiva entrasse stabilmente nel Pil e nel valore aggiunto della Basilicata. Ce ne sarebbero probabilmente già i presupposti per le estrazioni in atto, ma di fronte a un programma di ampliamento delle estrazioni come quello in discussione questa diverrebbe la contabilizzazione più coerente. In loco, infatti, non ci sarebbe una semplice appendice strumentale di una attività coordinata e svolta altrove, ma un vero e proprio complesso di impianti che lì funzionano e lì producono. Cambierebbero in maniera drastica gli scenari di sostenibilità della finanza pubblica regionale, con maggiori spazi, per fare un esempio importante, per il finanziamento della sanità (sia voci correnti che voci in conto capitale) e di quegli altri istituti di welfare, come assistenza agli anziani, ai lungodegenti, alle famiglie con minori o con casi di diversa abilità, importanti anche per favorire la mobilità dei giovani e la mobilità professionale.

In conclusione

Qui, in queste poche righe, non si dice né un sì né un no secco allo sfruttamento delle risorse petrolifere in Basilicata. Il vero problema, quando si segua il dibattito, è l’assenza di una visione economica e sociale a medio-lungo termine, visione che non può non partire dal futuro di questi territori e di questi luoghi, non può non esser parte di quella trasformazione a cui la Regione sarebbe obbligata dalla “scelta petrolio”. Una chiusura ecologista totale potrebbe precludere potenzialità importanti gestibili in trasparenza e sicurezza; ma a oggi tutto fa pensare che stia accadendo esattamente il contrario, e cioè che si guardi alle risorse nel sottosuolo della Basilicata come a un tesoretto di facile accesso e in funzione anticrisi. Risorse di cui si era a conoscenza sin dal Dopoguerra non sono state mobilitate nella fase storica in cui si credeva a un certo tipo di industrializzazione energivora del Mezzogiorno, le si vuole mobilitare su larga scala e in tempi stretti adesso che quell’idea di sviluppo è tramontata.

Una soluzione radicale che non può non suscitare reazioni ecologiste e protettive altrettanto radicali come quelle che stanno arrivando dalla società civile. Passando in rassegna gli aspetti giuridico-costituzionali ed economici, emerge chiaramente la superficialità con cui si sta affrontando un momento gravido di conseguenze, anche permanenti, per il territorio. Sinora gli organi di governo della Regione sono apparsi troppo “molli” nella contrattazione sia con il Governo che, di riflesso, con le compagnie petrolifere. Ben altro si dovrebbe chiedere che non piccoli ritorni con la “filosofia” delle compensazioni sganciate da qualsiasi disegno sul futuro.

I cambiamenti e le grandezze in campo sono tali da dover e poter chiedere molto di più: che le estrazioni (anche quelle che già si compiono) entrino direttamente nel Pil e nel valore aggiunto della Basilicata, e che alla Regione venga riconosciuto uno Statuto speciale. Gli Statuti speciali oggi esistenti risalgono al Dopoguerra e rispecchiano difficoltà e svantaggi che in gran parte non esistono più. Perché mai una Regione a cui si chiede di prestare gran parte della sua estensione alle trivellazioni non dovrebbe avere poteri e garanzie speciali? E invece si va addirittura ipotizzando (c’è anche questo nel dibattito) una revisione costituzionale per uscire dalle “incertezze terminologiche” del Titolo V della Costituzione e  limitare le potestà in termini di legislazione concorrente, per dare slancio e decisionismo al Legislatore statale.

E poi, perché non si discute della presenza qualificata della Regione e di rappresentanti delle comunità locali nei Consigli di Sorveglianza delle compagnie petrolifere (una forma di garanzia utilizzata per i servizi pubblici locali di interesse economico)? Snodi chiari e concreti che non possono essere ignorati. La Regione li metta in agenda, sapendo che l’importanza del tema sarà percepita - dall’opinione pubblica nazionale, dal Governo, dai mercati - anche in base alle richieste e ai limiti avanzati dal territorio.

La maniera migliore, anzi l’unica maniera, per fare delle risorse del sottosuolo una fruttuosa occasione di sviluppo nazionale è che il percorso parta di qui, dove di crescita, occupazione e innovazione c’è bisogno da che è stata fatta l’Italia. Questa volta non si chiederebbero Ministeri ad hoc, piani della Cassa del Mezzogiorno, flussi di perequazione territoriale difficili da trovare e da stabilizzare in momenti di crisi. Questa volta risorse e responsabilità di scelta verrebbero dall’interno. O nasce all’insegna della collaborazione tra Istituzioni e di promozione della ricchezza collettiva, o questa del petrolio rischia di diventare una ennesima spaccatura geografica di un Paese sempre più piccolo rispetto al mondo.

 

Costituzione della Repubblica Italiana

Articolo 9

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Articolo 117

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea; b) immigrazione; c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie; f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo; g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; i) cittadinanza, stato civile e anagrafi; l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; n) norme generali sull’istruzione; o) previdenza sociale; p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane; q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno; s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.

Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.

La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.

La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni.

Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.

Articolo 120

La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, né limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale.

Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.

Articolo 127

Il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione.

La Regione, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente valore di legge.