x

x

L’illegittimità della reiterazione dei contratti a tempo determinato nella scuola

L’illegittimità della reiterazione dei contratti a tempo determinato nella scuola
L’illegittimità della reiterazione dei contratti a tempo determinato nella scuola

La Sentenza del 26 novembre 2014, è stata emessa dalla C.g.u.e. in seguito alla pregiudiziale comunitaria che ha interessato alcuni giudizi proposti da dipendenti della scuola, assunti con contratti a tempo determinato più volte scaduti e reiterati, non solo su posti resisi disponibili in seguito ad assenze del personale di ruolo, ma anche per ricoprire posti di organico vacanti, in ordine ai quali si era in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali.

I ricorsi erano stati proposti da lavoratori precari dinanzi l’autorità giudiziaria per chiedere la trasformazione dei loro rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nonché per ottenere il risarcimento del danno che ritenevano aver subito e il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata per effetto dei precedenti contratti a tempo determinati stipulati.

I giudici nazionali chiamati a decidere in molti casi sospendevano i giudizi sollevando dinanzi la Corte di Lussemburgo questione interpretativa pregiudiziale delle norme di diritto interno, in particolare dell’articolo 36, comma 5, del Decreto legislativo n. 165/2001 - volto a disciplinare il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche - e dell’articolo 5, comma 4-bis, del Decreto Legislativo n. 368/01 - costituente attuazione della Direttiva 1999/70 CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato - al fine di verificarne la compatibilità con l’ordinamento comunitario.

L’articolo 36, comma 5 del Decreto Legislativo suddetto stabilisce, nell’attuale formulazione, che “in ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative”.

Secondo l’articolo 5 del Decreto Legislativo n. 368/01, invece, è stabilito, al comma 4-bis (comma introdotto con la Legge 24.12.2007 n. 247), che qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato.

Tuttavia il legislatore nazionale, preoccupato di un’applicazione estensiva della norma succitata, si è curato, successivamente, di inserire nel corpo dell’articolo 10 del medesimo Decreto Legislativo n. 368/01, il comma 4-bis, entrato in vigore il 13.5.2011 per effetto dell’introduzione operata tramite il Decreto Legge n. 70/2011, escludendo l’effetto previsto dall’articolo 5 comma 4 bis sopra citato “per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato”.

In virtù della sentenza emessa dalla C.g.u.e. del 26.11.2014 la normativa nazionale viola i principi comunitari dell’accordo quadro sul rapporto di lavoro a tempo determinato fissati nella clausola 4 della Direttiva 1999/70 CE.

Secondo l’articolato pronunciamento del giudice comunitario la normativa italiana non è volta a conseguire l’obiettivo perseguito, non essendovi certezza alcuna sulle procedure concorsuali ed apparendo surrettizie le finalità indicate.

Traspare, indi, che la normativa nazionale in materia mira a consentire notevoli risparmi per le casse dell’amministrazione, stante i minori costi del personale precario rispetto al personale di ruolo.

In buona sostanza in Italia vi è abuso del contratto a tempo determinato nel settore scuola, sia per il personale docente che per il personale ATA, con conseguente elusione dei principi comunitari stabiliti in subiecta materia.

Inoltre, l’abusivo ricorso al precariato consente, a conti fatti, considerevoli risparmi per le disastrate casse dell’erario, stimabili in centinaia di milioni di euro per ogni anno.

In ultimo, e questo appare un profilo dirompente per scardinare definitivamente la legittimità della normativa interna, secondo la C.g.u.e. viene svuotato di efficacia il formale diritto al risarcimento dei danni spettanti ai lavoratori precari, previsto dall’articolo 36 del Decreto Legislativo n.  165/2001, i quali, per effetto dell’interpretazione dei giudici nazionali dei principi civilistici disciplinanti il risarcimento del danno, finiscono per non ottenere, in effetti, alcun indennizzo.

Pertanto l’ordinamento interno non prevede, se non astrattamente, alcuna misura diretta a prevenire e sanzionare l’abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato per i lavoratori del settore scuola, ai quali viene, di fatto, impedito l’immissione nei ruoli e viene altresì frustrato ogni diritto al risarcimento di eventuali danni, violandosi in maniera palmare la clausola 4 della Direttiva 199/70/CE (principio di non discriminazione).

Vale la pena di sottolineare chela suddetta clausola costituisce “espressione di un principio costituzional/comuniatorio fondante l’Ordinamento dell’Unione europea e, quale principio fondamentale, si colloca ad un grado superiore addirittura alle disposizioni costituzionali interne deboli (residuando in capo allo Stato solo il controllo dei cd. controlimiti): i principi generali, collocandosi in un grado più elevato dei Trattati fondanti l’UE, operano addirittura in orizzontale nei rapporti interprivati” (obiter dictum del Tribunale di Napoli, giudice dott. Paolo Coppola, contenuto nella recentissima Sentenza 21.1.15, pag.44, che ha esitato favorevolmente il ricorso proposto da un lavoratore precario).

Alla luce dei principi espressi dai giudici della Corte di Lussemburgo, i giudici del lavoro nazionali dovranno verificare, accertati gli abusi delibati dal giudice dell’UE, di adottare “misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro” (cfr. punto 77 sent. C.g.u.e.).

Una recentissima applicazione dei principi suddetti è avvenuta in virtù della sentenza citata del Tribunale di Napoli del 21.1.2015, la quale ha costituito un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato del ricorrente con il MIUR applicando estensivamente l’articolo 5 comma 4-bis del Decreto Legislativo n. 368/01, operante “almeno fino all’introduzione del comma 4-bis dell’articolo 10 del Decreto Legislativo n. 368/01”, ossia fino al 13.5.2011.

Seguendo tale impostazione, che ha privilegiato l’applicazione estensiva dell’articolo 5, comma 4-bis, vigente per lo meno per quanto riguarda i lavoratori precari in servizio fino al 13.5.2011 (avendo nel caso deciso il lavoratore completato i 36 mesi di servizio a tempo determinato alla predetta data), i lavoratori precari hanno diritto alla stabilizzazione dei loro rapporti di lavoro.

Seguendo siffatta impostazione il giudice del lavoro partenopeo ha accolto la domanda del ricorrente, costituendo il rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra il medesimo e l’amministrazione resistente e condannando il MIUR a emettere i provvedimenti consequenziali, anche di ricostituzione della carriera e di ricalcolo, ai fini economici e normativi, dell’anzianità di servizio per il periodo pre ruolo in maniera integrale.

La Sentenza del 26 novembre 2014, è stata emessa dalla C.g.u.e. in seguito alla pregiudiziale comunitaria che ha interessato alcuni giudizi proposti da dipendenti della scuola, assunti con contratti a tempo determinato più volte scaduti e reiterati, non solo su posti resisi disponibili in seguito ad assenze del personale di ruolo, ma anche per ricoprire posti di organico vacanti, in ordine ai quali si era in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali.

I ricorsi erano stati proposti da lavoratori precari dinanzi l’autorità giudiziaria per chiedere la trasformazione dei loro rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nonché per ottenere il risarcimento del danno che ritenevano aver subito e il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata per effetto dei precedenti contratti a tempo determinati stipulati.

I giudici nazionali chiamati a decidere in molti casi sospendevano i giudizi sollevando dinanzi la Corte di Lussemburgo questione interpretativa pregiudiziale delle norme di diritto interno, in particolare dell’articolo 36, comma 5, del Decreto legislativo n. 165/2001 - volto a disciplinare il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche - e dell’articolo 5, comma 4-bis, del Decreto Legislativo n. 368/01 - costituente attuazione della Direttiva 1999/70 CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato - al fine di verificarne la compatibilità con l’ordinamento comunitario.

L’articolo 36, comma 5 del Decreto Legislativo suddetto stabilisce, nell’attuale formulazione, che “in ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative”.

Secondo l’articolo 5 del Decreto Legislativo n. 368/01, invece, è stabilito, al comma 4-bis (comma introdotto con la Legge 24.12.2007 n. 247), che qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato.

Tuttavia il legislatore nazionale, preoccupato di un’applicazione estensiva della norma succitata, si è curato, successivamente, di inserire nel corpo dell’articolo 10 del medesimo Decreto Legislativo n. 368/01, il comma 4-bis, entrato in vigore il 13.5.2011 per effetto dell’introduzione operata tramite il Decreto Legge n. 70/2011, escludendo l’effetto previsto dall’articolo 5 comma 4 bis sopra citato “per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato”.

In virtù della sentenza emessa dalla C.g.u.e. del 26.11.2014 la normativa nazionale viola i principi comunitari dell’accordo quadro sul rapporto di lavoro a tempo determinato fissati nella clausola 4 della Direttiva 1999/70 CE.

Secondo l’articolato pronunciamento del giudice comunitario la normativa italiana non è volta a conseguire l’obiettivo perseguito, non essendovi certezza alcuna sulle procedure concorsuali ed apparendo surrettizie le finalità indicate.

Traspare, indi, che la normativa nazionale in materia mira a consentire notevoli risparmi per le casse dell’amministrazione, stante i minori costi del personale precario rispetto al personale di ruolo.

In buona sostanza in Italia vi è abuso del contratto a tempo determinato nel settore scuola, sia per il personale docente che per il personale ATA, con conseguente elusione dei principi comunitari stabiliti in subiecta materia.

Inoltre, l’abusivo ricorso al precariato consente, a conti fatti, considerevoli risparmi per le disastrate casse dell’erario, stimabili in centinaia di milioni di euro per ogni anno.

In ultimo, e questo appare un profilo dirompente per scardinare definitivamente la legittimità della normativa interna, secondo la C.g.u.e. viene svuotato di efficacia il formale diritto al risarcimento dei danni spettanti ai lavoratori precari, previsto dall’articolo 36 del Decreto Legislativo n.  165/2001, i quali, per effetto dell’interpretazione dei giudici nazionali dei principi civilistici disciplinanti il risarcimento del danno, finiscono per non ottenere, in effetti, alcun indennizzo.

Pertanto l’ordinamento interno non prevede, se non astrattamente, alcuna misura diretta a prevenire e sanzionare l’abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato per i lavoratori del settore scuola, ai quali viene, di fatto, impedito l’immissione nei ruoli e viene altresì frustrato ogni diritto al risarcimento di eventuali danni, violandosi in maniera palmare la clausola 4 della Direttiva 199/70/CE (principio di non discriminazione).

Vale la pena di sottolineare chela suddetta clausola costituisce “espressione di un principio costituzional/comuniatorio fondante l’Ordinamento dell’Unione europea e, quale principio fondamentale, si colloca ad un grado superiore addirittura alle disposizioni costituzionali interne deboli (residuando in capo allo Stato solo il controllo dei cd. controlimiti): i principi generali, collocandosi in un grado più elevato dei Trattati fondanti l’UE, operano addirittura in orizzontale nei rapporti interprivati” (obiter dictum del Tribunale di Napoli, giudice dott. Paolo Coppola, contenuto nella recentissima Sentenza 21.1.15, pag.44, che ha esitato favorevolmente il ricorso proposto da un lavoratore precario).

Alla luce dei principi espressi dai giudici della Corte di Lussemburgo, i giudici del lavoro nazionali dovranno verificare, accertati gli abusi delibati dal giudice dell’UE, di adottare “misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro” (cfr. punto 77 sent. C.g.u.e.).

Una recentissima applicazione dei principi suddetti è avvenuta in virtù della sentenza citata del Tribunale di Napoli del 21.1.2015, la quale ha costituito un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato del ricorrente con il MIUR applicando estensivamente l’articolo 5 comma 4-bis del Decreto Legislativo n. 368/01, operante “almeno fino all’introduzione del comma 4-bis dell’articolo 10 del Decreto Legislativo n. 368/01”, ossia fino al 13.5.2011.

Seguendo tale impostazione, che ha privilegiato l’applicazione estensiva dell’articolo 5, comma 4-bis, vigente per lo meno per quanto riguarda i lavoratori precari in servizio fino al 13.5.2011 (avendo nel caso deciso il lavoratore completato i 36 mesi di servizio a tempo determinato alla predetta data), i lavoratori precari hanno diritto alla stabilizzazione dei loro rapporti di lavoro.

Seguendo siffatta impostazione il giudice del lavoro partenopeo ha accolto la domanda del ricorrente, costituendo il rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra il medesimo e l’amministrazione resistente e condannando il MIUR a emettere i provvedimenti consequenziali, anche di ricostituzione della carriera e di ricalcolo, ai fini economici e normativi, dell’anzianità di servizio per il periodo pre ruolo in maniera integrale.