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Considerazioni circa la tecnica redazionale degli atti di trust

tecniche di redazione
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L’argomento, con rare eccezioni, non sembra aver dato luogo ad accesi dibattiti, ma fornisce, al contrario, spunto per alcune considerazioni.

In linea generale il problema si pone dal momento che il trust deve, secondo quanto prevede la Convenzione dell’Aja essere disciplinato dalla legge di un paese che conosca il trust, pena la mancata applicazione della Convenzione stessa, con conseguente impossibilità di ottenere l’effetto segregativo tipico. Secondo l’articolo 5 della Convenzione, infatti, “la Convenzione non si applica qualora la legge specificata al capitolo II non preveda l’istituto del trust o la categoria di trust in questione”.

Siccome i paesi le cui leggi sono utilizzate per disciplinare gli atti di trust appartengono ai sistemi anglosassoni, e si rifanno quindi alla cultura del precedente, senza disporre di un corpus codicistico che serva come naturale riferimento di supporto nella stesura di atti, come accade laddove questi siano redatti in base alla legge italiana, tale situazione si riverbera nella scrittura dell’atto che deve presentarsi completo nelle sue previsioni non potendosi far rifermento, in caso di lacune, a norme di portata generale automaticamente applicabili. D’altra parte, il riferimento alla giurisprudenza straniera pone non poche difficoltà, in primo luogo perché la stessa non è sempre di facile reperibilità, poi perché nel caso dei trust interni il giudice dovrebbe essere svolgere un ruolo attivo nel giudicare secondo un modello  tipico del sistema di common law - in cui le regole e le sentenze variano sulla base del precedente - mentre è culturalmente abituato a riferirsi a un sistema, formato dai codici e dalle leggi, che copre tutte le eventualità che possono prospettarsi. Poi ancora perché la legge , e la relativa casistica, devono essere interpretate, nel caso in cui la controversia approdi in un’aula di giustizia, dal magistrato italiano che sarà inevitabilmente più portato a dare una lettura in linea con i principi vigenti nell’ordinamento che sovente divergono sensibilmente rispetto a quelli che trovano applicazione negli ordinamenti da cui la legge regolatrice deriva.

Ciò detto, mentre nei paesi anglosassoni è possibile che un trust sorga anche per effetto di comportamenti concludenti, indipendentemente cioè dalla presenza di una forma scritta (che è sempre richiesta, invece, e sia pure ad probationem dalla Convenzione), o che, altrettanto spesso un trust venga a esistenza senza che si debba precisare che si è voluto istituire un trust, perché quella del trust è una struttura immanente al sistema anglosassone, quando si parla di trust “interni” quelli cioè in cui l’unico elemento di estraneità è rappresentato dalla legge regolatrice, si avverte l’esigenza di redigere atti che siano il più possibile completi, proprio per la mancanza di un sistema normativo di riferimento, disciplinando cioè ogni più remota ipotesi, al fine di evitare che  l’atto presenti delle lacune che sarebbe poi difficile poter integrare. Questo non vuol dire che non si possano redigere atti validi in forma molto concisa: “Consegno la somma di euro diecimila a Tizio come trustee del trust, regolato dalla legge di Jersey, e istituito con la presente scrittura, perché la consegni a quello fra i miei nipoti che avrà, per primo, conseguito un diploma di laurea in materie umanistiche”. Si tratta sicuramente di un trust che, previa accettazione del trustee, è perfettamente valido, meritevole di tutela, anche se non sono precisati i poteri del trustee, come deve impiegare le somme ricevute; come si regola la sua successione, quale sia la durata, quale sia il foro competente per le eventuali controversie.

In questo caso non appare difficile procedere all’integrazione delle clausole mancanti.

La legge di Jersey contiene infatti una serie di norme di default che possono servire a integrare  la mancata presenza di clausole ad hoc.

Quanto all’impiego delle somme infatti, il trustee in primo luogo è tenuto (s.21) in primo luogo a preservarne il valore e poi, per quanto è possibile, a incrementarne il valore astenendosi  dal porre in essere investimenti  rischiosi a vantaggio di investimenti più conservativi. Nel caso poi in cui il trustee venga a mancare prima di aver potuto distribuire le somme, i suoi eredi gli succederebbero nella stessa posizione, e a quel punto, il disponente potrebbe nominare un  nuovo trustee cui gli eredi del defunto sarebbero  tenuti a trasferire il fondo in trust. La morte del disponente invece non produrrebbe conseguenze, ma se venisse a mancare anche il trustee prima di aver adempiuto al suo mandato, allora le somme ritornerebbero in resulting trust agli eredi del disponente e seguirebbero le norme sulla successione secondo la sua legge nazionale. Un altro esempio di atto molto conciso può essere quello in cui si consegnano certe somme a un terzo perché le trattenga in trust presso di sé in attesa che venga risolta una controversia fra due soggetti, ovvero al prodursi di altro accadimento. Si tratta di situazioni particolari  cui si ricorre quando si prevede che il verificarsi dell’evento che determinerà la cessazione del trust interverrà  in un arco temporale ristretto.

Al di là di queste esaminate, che comunque sono situazioni residuali, la stesura di un atto è solitamente molto articolata e diffusa. Un rilevante numero di trust appare modellato sulla base del formulario a suo tempo predisposto dal prof Lupoi che, oltre aver trovato larghissima diffusione attraverso i suoi “allievi”, costituisce un  modello di completezza e di coerenza  particolarmente apprezzato.

D’altra parte è noto anche come qualsiasi formulario possa rappresentare un utile supporto solo per chi abbia già un’approfondita conoscenza della materia potendo rivelarsi, in caso contrario, pericoloso farvi ricorso così come lo sarebbe un’auto veloce messa in mano a un guidatore inesperto.

Un’ulteriore tecnica, che può offrire innegabili vantaggi sul piano della riservatezza oltre che per la possibilità di intervenire sul contenuto dispositivo dell’atto, è quella che prevede una redazione stringata del deed  cui allegare una serie di schede  in cui siano elencati quei dati che sono suscettibili di variare nel corso della durata del trust: i beni conferiti, i beneficiari, i nomi del trustee, del guardiano e dei rispettivi successori.

La redazione di un atto di trust ruota, infatti, su poche clausole fondamentali che devono essere stilate di volta in volta sulla base delle  volontà e delle indicazioni dal disponente, e  che riguardano l’individuazione dei beneficiari, la determinazione delle loro spettanze, la durata del trust, i poteri del trustee e quelli del guardiano. Accanto a queste poi vi sono le clausole definitorie, e tutto quel corpus che deve disciplinare i meccanismi di successione e di nomina dei vari soggetti del trust, l’indicazione della legge regolatrice, le disposizioni sulla giurisdizione ecc., la parte sugli investimenti.

Quindi, accanto a un contenuto tipico di ciascun trust, e solo di quello, ciascun atto presenta una serie di clausole ricorrenti e standardizzabili, quantomeno per tipologia di atto (trust di garanzia, trust liberali).

Il quadro descritto evidenzia pertanto esigenze fra loro potenzialmente contrastanti, e cioè

da un lato quella di avere atti di trust  di lunghezza contenuta, sia per ragioni di riservatezza  che di praticità; dall’altro quella di sapere quali norme applicare in difetto di una specifica previsione o di lacune presenti nell’atto.

Infatti, non è sufficiente affermare che il contenuto dell’atto può essere integrato dalle norme di default della legge regolatrice, perché le stesse possono risultare talora fra loro in contrasto o presentare un contenuto non  coerente con la struttura o le finalità dell’atto che si è posto in essere. Del resto, non è neppure pensabile che si rediga un atto stringato per dire poi che determinate norme non si applicano, senza però indicare la disciplina relativa.

Le Standard Provisions sono una pubblicazione, redatta in base alla legge inglese e del Galles, dalla Society of Trust and Estate Practitioners (STEP) che prevede una serie di disposizioni da inserire in un testamento o in un contratto, senza ricorrere a termini troppo tecnici che possono confondere il lettore profano, considerando che in ogni testamento o in ogni trust si incontrano un certo numero di clausole molto spesso ricorrenti. STEP ha dunque condensato questo materiale in un articolato, pubblicato la prima volta nel 1992 e poi nel 2011, in una nuova edizione che tiene conto dei mutamenti intervenuti in questo arco di tempo nella normativa sui trust.

Dunque le SP sembrerebbero richiamare per analogia le condizioni generali di contratto, ma in realtà se ne differenziano perché si riferiscono ad atti unilaterali, testamenti e trust, in cui non si può tecnicamente parlare di altre parti al di fuori del testatore e del disponente. I beneficiari divengono parti, e quindi titolari di autonomi centri di  interesse dopo che il trust è stato istituito e per questo devono prendere atto delle norme che regolano il trust, ma non concorrono alla loro formazione. Pertanto è il testatore o il disponente che, per ragioni di praticità richiama tali norme mediante una formula del tipo: The standard provisions and the following special provisions of the Society of Trust and Estate Practitioners (2nd Edition) shall apply, o analoga, con la conseguenza per cui dette norme, divengono parte integrante dell’atto cui si riferiscono a condizione che il loro impiego sia richiamato nell’atto di trust (Re Beatty, [1990], 1 W.L.R.) pur senza che siano materialmente allegate, equiparandole sostanzialmente a una norma di legge la cui applicazione viene  espressamente richiamata senza la necessità di doverla allegare.

Ciò premesso, ci si chiede se le SP siano utilizzabili, anche con i trusts interni.

In linea di principio nulla vieta che un atto consti di un testo e di una serie di allegati che ne costituiscano parte integrante e sostanziale. Ora però le SP sono state elaborate secondo la legge inglese e del Galles. Di per sé questo non rappresenta un ostacolo, anche nel caso in cui la legge regolatrice del trust fosse diversa da quella inglese, perché la Convenzione espressamente prevede (articolo 9) che “aspetti del trust suscettibili di essere regolati a parte, quali quelli relativi alla sua amministrazione, possono essere disciplinati da una legge diversa”. Senza entrare in un’approfondita analisi della norma richiamata, la cui portata non consente un depecage senza limiti,  si rileva come il rinvio non può riferirsi a una singola norma, ma ad “aspetti” quali per esempio il complesso delle norme sull’amministrazione. In questo senso le SP hanno un carattere organico perché si riferiscono in particolare all’elencazione dei poteri da riconoscere al trustee, alla sua remunerazione, alla disciplina del conflitto di interessi, alla sua responsabilità (dall’articolo 2 all’articolo 12), quindi in generale si riferiscono all’Amministrazione del trust, e riguardano i punti più salienti di questo “aspetto”, oltre a quelli suscettibili di esser fonte di controversie, sui quali è opportuno che il testatore e il disponente prestino particolare attenzione Negli articoli da 14 a 23, che contengono le Special Provisions (SSP), un’altra categoria di norme, particolare attenzione viene posta su alcuni poteri del trustee in relazione al reddito e al capitale, nonché sulla sua nomina e sulle sue dimissioni, ampliando quindi la casistica che si riferisce però sempre ad aspetti concernenti l’amministrazione del trust. Quindi non vi sono in linea di principio ostacoli che si frappongano all’impiego delle SP o delle SSP anche in un trust interno, la cui legge regolatrice non sia quella inglese, perché le norme in esame, che possono essere anche parzialmente richiamate, rispondono ai criteri posti dalla Convenzione. Dal punto di vista pratico si pone un problema, nei confronti dell’esterno, cioè nei confronti di chi entra o entrerà in contatto con il trustee. Infatti, è vero che l’atto istituivo può contenere una clausola di rinvio alle SP (o alla SSP), e il rinvio ne determina l’applicazione, ma questo non esime dalla materiale allegazione delle stesse all’atto come del resto accade nel caso delle condizioni generali di contratto perché - contrariamente a quanto accade, come abbiamo visto, in Inghilterra, non si tratta comunque di un testo, come nel caso di una legge, la cui conoscenza può esser data per scontata. Per questo motivo, anche se il ricorso a questa tecnica redazionale non può dirsi escluso, esso non appare utile perché da un lato costringe a recepire le clausole così come sono state redatte nel senso che se ne possono escludere alcune, ma non se ne può modificare il contenuto, dall’altro non si ottiene il risultato di disporre di un testo “leggero” dell’atto perché comunque le SP dovrebbero formare con lo stesso un tutt’uno.

Concludendo, salvo le ipotesi residuali cui abbiamo fatto cenno, riteniamo che la stesura di una atto di trust debba costituire un tutto organico e completo, tendenzialmente senza riferimento ad allegati la cui presenza si giustifica tuttavia per ragioni di riservatezza, in caso di situazioni che non si desidera pubblicizzare, o quando una gestione dinamica del fondo comporti la frequente modifica dei beni costituenti il fondo in trust.