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Il caso Sicignano e la legittima difesa

Il caso Sicignano e la legittima difesa
Il caso Sicignano e la legittima difesa

Abstract

L’omicidio di un giovane ventiduenne rumeno introdottosi in una palazzina a Vaprio d’Adda di proprietà di un sessantacinquenne italiano ha fatto molto discutere giornali e stampa, dando adito a battaglie politiche lontane dalla nostra materia e cioè il diritto, lo “strettamente giuridico”. Ma quando si può parlare davvero di legittima difesa?

Leggendo i diversi quotidiani la percezione del giurista è senza dubbio chiara: troppa mitizzazione e poca sostanza dei fatti. Il Codice Rocco all’articolo 575 recita “Chiunque cagioni la morte di un uomo è punito …”, dunque ogni volta che si verifica un omicidio come evento naturale si interviene ex 575, ma questo non significa condanna certa o sicura; il giudice penale interviene solo perché c’è stato un omicidio come evento, nel nostro ordinamento infatti esiste l’obbligatorietà dell’azione penale, per cui di fronte a un fatto previsto chiaramente come reato, la legge non può che agire attraverso la magistratura. Dunque questo caso non è l’eccezione, ma anzi è la regola e non per il magistrato, bensì per il sistema penale italiano così come lo abbiamo conosciuto; di che se ne possa dire si può anche discorrere in merito a una modifica del sistema penale che, si spera non avvenga attraverso un decreto-legge, come si è soliti legiferare al giorno d’oggi per le diverse discipline, ma queste sono argomentazioni da affrontare in altra sede. Il 575 del codice penale prevede i cosiddetti reati “a forma libera” si tratta di tutti quei reati dove il soggetto agente, ovvero chi commette il reato viene processato per il semplice fatto di avere causato l’evento, nel nostro caso il sessantacinquenne di Vaprio d’Adda viene processato solo per la “causazione dell’evento naturalistico morte” del ladro rumeno.  Perché è morta una persona il processo ci deve essere. Ora, stabilito che il processo è necessario e non può non esserci, si comprende agevolmente che è al suo interno che il giudice stabilirà se il vecchietto ha agito o meno per legittima difesa. Ma come fa il giudice a stabilirlo? L’articolo di riferimento è il 59 del codice penale “Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate, a favore dell'agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti.  Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.  Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui. Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”. Con Legge 7 febbraio 1990, n. 19 il Legislatore intende allontanare alcuni dei residui della responsabilità oggettiva (per cui si è responsabili in relazione all’evento e non anche al coefficiente soggettivo, dolo e colpa) dal nostro ordinamento, grazie a questo intervento il vecchietto non viene punito per il semplice “fatto dell’evento” e cioè il dato morte. Le circostanze come elementi accidentali del reato (accidentali nella misura in cui incidono non sulla struttura del reato che di per sé è perfetto, è stato consumato nel momento in cui si è verificato l’evento morte, ma incide sulla pena che può essere ridotta oppure esclusa grazie alle “cause di esclusione del reato” che analizzeremo di qui a breve) attenuanti vengono concesse ex lege indipendentemente dalla conoscenza che di esse possa avere il soggetto agente, il primo comma dell’articolo 59 infatti è chiaro “Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate, a favore dell'agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti”. Facciamo delle ipotesi per capire come si dovrebbe comportare un magistrato in questi casi, se un ladro ruba un gioiello, una collana ad un’ ignara passante distratta credendo che l’oggetto abbia un cospicuo valore quando in realtà è semplice bigiotteria  il ladro beneficerà della riduzione della condanna grazie all’articolo 62 del codice penale, circa le attenuanti comuni; quella collana infatti ha un così scarso valore patrimoniale che risulterebbe distorto sotto la profilatura costituzionale eccedere nella pena rispetto al valore della stessa. Non bisogna dimenticare le ragioni profonde che danno origine al sistema penale come “mezzo” di risoluzione delle controversie tra consociati, che nel nostro ordinamento, nonostante primi dubbi tra dottrina e giurisprudenza, viene interpretato in senso ristretto, cioè come uno strumento al quale ricorrere in ragione di “extrema ratio”, solo se non se ne può fare almeno, che in termini netti vuol dire se non c’è altro mezzo al quale ricorrere data la natura lesiva dell’attitudine penale sulla sfera personale dei consociati, le ragioni del ricorso al diritto penale trovano enfasi all’interno del comma 3 dell’articolo 27 della Costituzione e cioè sotto il profilo della “rieducazione”. Un ladro che venga punito eccessivamente rispetto al valore della cosa rubata, che nella nostra “fictio” è una collana di modesto valore economico (la nostra prospettiva del patrimonio è economico-giuridica con le giustapposizioni personali ex art. 41 Cost. sulla libera iniziativa economica), rimarrà sempre rancoroso nei confronti della società e dell’ordinamento, perché si sentirà appunto punito ingiustamente e il principio di rieducazione cristallizzato all’interno della Carta Costituzionale rimarrà semplice “verba”. Lo stesso ragionamento si deve proporre nel caso del vecchietto di Vaprio d’Adda, se infatti egli si è sentito aggredito nella sua abitazione da degli sconosciuti è ratione materiae consequenziale pensare all’applicazione della causa di esclusione della pena alla luce del fatto che non si può rieducare un soggetto che pure avendo agito anti- giuridicamente (l’evento morte è infatti un dato che rimane come risultante dell’azione) verta in una posizione giustificante. Arriviamo così alla considerazione delle cause di giustificazione del reato: nel nostro caso, la legittima difesa, articolo 52 del codice penale. “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.Scomponiamo l’articolo adattandolo al caso in questione ancora una volta, supponendo sempre che come dicono i giornali il vecchietto abbia sentito di dover difendere un proprio diritto contro l’imminenza di un pericolo grave per la sua persona, tale causa giustificante funziona solo se si versi nell’ipotesi che il sessantacinquenne sapesse dell’esistenza dell’esimente e che fosse consapevole (sempre sostenendo una tesi d’innocenza) che la sua fosse legittima difesa, altrimenti avrebbe apparentemente ucciso un uomo senza motivo, da qui l’importanza del coefficiente soggettivo nel ben più ampio campo delle esimenti ristretto nel nostro caso alle cause di giustificazione. Ma la questione forse più difficile da analizzare riguarda la proporzione; il principio di proporzionalità ha da sempre caratterizzato i “limes” del reato e della pena al di fuori dei quali ne deriva un eccesso colposo e se di eccesso colposo si tratta l’ultimo comma dell’articolo 59 ci chiarisce le idee “Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”. La punibilità del fatto, ne consegue, non è esclusa quando l’errore è determinato dalla colpa ed ex lege si parli di delitto colposo, l’articolo 55 del codice penale stabilisce cosa sia l’eccesso colposo nelle cause di giustificazione “quando nel commettere alcuni dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54 si eccedano colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine dell'autorità ovvero imposti dalla necessità...”; in tali casi, la norma ci dice che “...si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”. Se manca la proporzione rispetto alla condotta posta in essere dall’agente si cade, perciò, nell’eccesso colposo. La proporzione riferibile in astratto può essere data solo dal fatto che l’agente, che con la sua condotta abbia posto in essere un reato e/o una serie di reati che dovranno essere accertati (violazione di domicilio, tentativo di furto o rapina a seconda se sia presente o meno la “violenza”), fosse sul punto di minacciare il “bene vita”, questo deve implicare l’uso di un’arma e la minaccia in un connubio di pericolo di offesa/aggressione al bene giuridico tutelato (la vita). In assenza di questi presupposti è difficile inquadrare “la proporzionalità”. La reazione infatti nella legittima difesa si deve configurare come “assolutamente necessaria”, fermo restando i presupposti della proporzionalità, essa deve essere astrattamente riferibile sempre nella fattispecie ad una necessità di azione quando non vi sia desistenza da parte dell’agente, contro un pericolo attuale per la propria o l’altrui incolumità. In questo articolo non s’intende parlare della veridicità dei fatti dei quali sarebbe per il vero impossibile ricostruire un excursus valido e completo in sede diversa da quella giudiziaria, naturalmente preposta all’attendibilità dei fatti, in questa sede si cerca invece di fare comprendere cosa leghi le possibilità di applicazione della causa giustificante “legittima difesa” ex 52 codice penale in relazione al fatto. Facciamo degli esempi logici sulle modalità dell’azione e su come un giudice possa ragionare, è bene sottolineare che a seconda dello “sviluppo-evento” cambiano i presupposti di applicazione ex 52: A) il ventiduenne rumeno fugge con il bottino; B) il ventiduenne rumeno è armato e tenta l’aggressione; C) il ventiduenne rumeno non è armato e non compie nessun tentativo di aggressione e/o minaccia non essendosi neanche accorto della presenza del padrone di casa. Nell’ipotesi A la legittima difesa sarebbe del tutto da rigettare, come ci si potrebbe infatti difendere da un uomo che sta fuggendo ed è ormai lontano dall’abitazione? Lontano dall’abitazione, infatti, l’agente non potrebbe minacciare l’incolumità del sessantacinquenne, ergo non si potrebbe parlare di “pericolo attuale” e di “necessità dell’azione”. Nell’ipotesi B il rumeno armato, non desiste rispetto alla condotta posta in essere e c’è il serio rischio che porti avanti l’azione minacciando l’incolumità del sessantacinquenne e dei conviventi nell’abitazione, pertanto l’azione di legittima difesa potrebbe sì configurarsi come “assolutamente necessaria”. Nell’ultima ipotesi, la C, il rumeno non è armato e sul punto di “minacciare” il bene vita pur avendo violato il domicilio, ciò nonostante questo potrebbe non essere sufficiente per parlare di legittima difesa perché potrebbero mancare altresì degli elementi costitutivi fondamentali dell’esimente (ma ancora una volta si ribadisce che questa è una prospettiva di non poi così facile applicazione per il giudice, perché a seconda di tali sviluppi questi “elementi costitutivi” la causa giustificante potrebbero esserci così come potrebbero non esserci oppure potrebbe accadere che viene valutato a favore la presenza di un elemento ma denegata la presenza dell’altro; bisogna sempre guardare all’evoluzione delle azioni poste in essere e all’importanza degli interessi in gioco), due elementi in particolare e cioè la “proporzionalità” e una concreta possibilità di “desistenza” da parte dell’agente che non può essere scartata a priori (si tenga conto che a volte basta accendere una luce per mettere in fuga un malvivente, altre volte non basta nemmeno l’esibizione di un’arma, ma l’attualità del pericolo e la necessità di azione sono alla base della legittima difesa la quale non sussiste se si ignora la possibilità di desistenza e la proporzionalità fra azione e reazione, il malvivente deve avere infatti concretamente posto in essere una condotta dalla quale doveva desumersi da parte dell’aggredito quanto meno una concreta possibilità di minaccia al bene giuridico “vita”). Si tratta nei suddetti casi solo di ipotesi in cui aggressore e aggredito si atteggiano in modi più o meno diversi e danno vita dal punto di vista giuridico a conseguenze diverse che risultano direttamente proporzionali alle loro azioni, ma queste sono verità da stabilire ex 575 all’interno del processo. L’esimente di legittima difesa, una volta appurato che ne sussistano tutti i presupposti può essere concessa solo alla fine del processo. La verità processuale non sempre coincide con quella proposta a mezzo stampa. Ribadito questo concetto fondamentale, si resta in attesa di risposte da parte della magistratura competente.

Abstract

L’omicidio di un giovane ventiduenne rumeno introdottosi in una palazzina a Vaprio d’Adda di proprietà di un sessantacinquenne italiano ha fatto molto discutere giornali e stampa, dando adito a battaglie politiche lontane dalla nostra materia e cioè il diritto, lo “strettamente giuridico”. Ma quando si può parlare davvero di legittima difesa?

Leggendo i diversi quotidiani la percezione del giurista è senza dubbio chiara: troppa mitizzazione e poca sostanza dei fatti. Il Codice Rocco all’articolo 575 recita “Chiunque cagioni la morte di un uomo è punito …”, dunque ogni volta che si verifica un omicidio come evento naturale si interviene ex 575, ma questo non significa condanna certa o sicura; il giudice penale interviene solo perché c’è stato un omicidio come evento, nel nostro ordinamento infatti esiste l’obbligatorietà dell’azione penale, per cui di fronte a un fatto previsto chiaramente come reato, la legge non può che agire attraverso la magistratura. Dunque questo caso non è l’eccezione, ma anzi è la regola e non per il magistrato, bensì per il sistema penale italiano così come lo abbiamo conosciuto; di che se ne possa dire si può anche discorrere in merito a una modifica del sistema penale che, si spera non avvenga attraverso un decreto-legge, come si è soliti legiferare al giorno d’oggi per le diverse discipline, ma queste sono argomentazioni da affrontare in altra sede. Il 575 del codice penale prevede i cosiddetti reati “a forma libera” si tratta di tutti quei reati dove il soggetto agente, ovvero chi commette il reato viene processato per il semplice fatto di avere causato l’evento, nel nostro caso il sessantacinquenne di Vaprio d’Adda viene processato solo per la “causazione dell’evento naturalistico morte” del ladro rumeno.  Perché è morta una persona il processo ci deve essere. Ora, stabilito che il processo è necessario e non può non esserci, si comprende agevolmente che è al suo interno che il giudice stabilirà se il vecchietto ha agito o meno per legittima difesa. Ma come fa il giudice a stabilirlo? L’articolo di riferimento è il 59 del codice penale “Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate, a favore dell'agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti.  Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.  Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui. Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”. Con Legge 7 febbraio 1990, n. 19 il Legislatore intende allontanare alcuni dei residui della responsabilità oggettiva (per cui si è responsabili in relazione all’evento e non anche al coefficiente soggettivo, dolo e colpa) dal nostro ordinamento, grazie a questo intervento il vecchietto non viene punito per il semplice “fatto dell’evento” e cioè il dato morte. Le circostanze come elementi accidentali del reato (accidentali nella misura in cui incidono non sulla struttura del reato che di per sé è perfetto, è stato consumato nel momento in cui si è verificato l’evento morte, ma incide sulla pena che può essere ridotta oppure esclusa grazie alle “cause di esclusione del reato” che analizzeremo di qui a breve) attenuanti vengono concesse ex lege indipendentemente dalla conoscenza che di esse possa avere il soggetto agente, il primo comma dell’articolo 59 infatti è chiaro “Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate, a favore dell'agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti”. Facciamo delle ipotesi per capire come si dovrebbe comportare un magistrato in questi casi, se un ladro ruba un gioiello, una collana ad un’ ignara passante distratta credendo che l’oggetto abbia un cospicuo valore quando in realtà è semplice bigiotteria  il ladro beneficerà della riduzione della condanna grazie all’articolo 62 del codice penale, circa le attenuanti comuni; quella collana infatti ha un così scarso valore patrimoniale che risulterebbe distorto sotto la profilatura costituzionale eccedere nella pena rispetto al valore della stessa. Non bisogna dimenticare le ragioni profonde che danno origine al sistema penale come “mezzo” di risoluzione delle controversie tra consociati, che nel nostro ordinamento, nonostante primi dubbi tra dottrina e giurisprudenza, viene interpretato in senso ristretto, cioè come uno strumento al quale ricorrere in ragione di “extrema ratio”, solo se non se ne può fare almeno, che in termini netti vuol dire se non c’è altro mezzo al quale ricorrere data la natura lesiva dell’attitudine penale sulla sfera personale dei consociati, le ragioni del ricorso al diritto penale trovano enfasi all’interno del comma 3 dell’articolo 27 della Costituzione e cioè sotto il profilo della “rieducazione”. Un ladro che venga punito eccessivamente rispetto al valore della cosa rubata, che nella nostra “fictio” è una collana di modesto valore economico (la nostra prospettiva del patrimonio è economico-giuridica con le giustapposizioni personali ex art. 41 Cost. sulla libera iniziativa economica), rimarrà sempre rancoroso nei confronti della società e dell’ordinamento, perché si sentirà appunto punito ingiustamente e il principio di rieducazione cristallizzato all’interno della Carta Costituzionale rimarrà semplice “verba”. Lo stesso ragionamento si deve proporre nel caso del vecchietto di Vaprio d’Adda, se infatti egli si è sentito aggredito nella sua abitazione da degli sconosciuti è ratione materiae consequenziale pensare all’applicazione della causa di esclusione della pena alla luce del fatto che non si può rieducare un soggetto che pure avendo agito anti- giuridicamente (l’evento morte è infatti un dato che rimane come risultante dell’azione) verta in una posizione giustificante. Arriviamo così alla considerazione delle cause di giustificazione del reato: nel nostro caso, la legittima difesa, articolo 52 del codice penale. “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.Scomponiamo l’articolo adattandolo al caso in questione ancora una volta, supponendo sempre che come dicono i giornali il vecchietto abbia sentito di dover difendere un proprio diritto contro l’imminenza di un pericolo grave per la sua persona, tale causa giustificante funziona solo se si versi nell’ipotesi che il sessantacinquenne sapesse dell’esistenza dell’esimente e che fosse consapevole (sempre sostenendo una tesi d’innocenza) che la sua fosse legittima difesa, altrimenti avrebbe apparentemente ucciso un uomo senza motivo, da qui l’importanza del coefficiente soggettivo nel ben più ampio campo delle esimenti ristretto nel nostro caso alle cause di giustificazione. Ma la questione forse più difficile da analizzare riguarda la proporzione; il principio di proporzionalità ha da sempre caratterizzato i “limes” del reato e della pena al di fuori dei quali ne deriva un eccesso colposo e se di eccesso colposo si tratta l’ultimo comma dell’articolo 59 ci chiarisce le idee “Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”. La punibilità del fatto, ne consegue, non è esclusa quando l’errore è determinato dalla colpa ed ex lege si parli di delitto colposo, l’articolo 55 del codice penale stabilisce cosa sia l’eccesso colposo nelle cause di giustificazione “quando nel commettere alcuni dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54 si eccedano colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine dell'autorità ovvero imposti dalla necessità...”; in tali casi, la norma ci dice che “...si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”. Se manca la proporzione rispetto alla condotta posta in essere dall’agente si cade, perciò, nell’eccesso colposo. La proporzione riferibile in astratto può essere data solo dal fatto che l’agente, che con la sua condotta abbia posto in essere un reato e/o una serie di reati che dovranno essere accertati (violazione di domicilio, tentativo di furto o rapina a seconda se sia presente o meno la “violenza”), fosse sul punto di minacciare il “bene vita”, questo deve implicare l’uso di un’arma e la minaccia in un connubio di pericolo di offesa/aggressione al bene giuridico tutelato (la vita). In assenza di questi presupposti è difficile inquadrare “la proporzionalità”. La reazione infatti nella legittima difesa si deve configurare come “assolutamente necessaria”, fermo restando i presupposti della proporzionalità, essa deve essere astrattamente riferibile sempre nella fattispecie ad una necessità di azione quando non vi sia desistenza da parte dell’agente, contro un pericolo attuale per la propria o l’altrui incolumità. In questo articolo non s’intende parlare della veridicità dei fatti dei quali sarebbe per il vero impossibile ricostruire un excursus valido e completo in sede diversa da quella giudiziaria, naturalmente preposta all’attendibilità dei fatti, in questa sede si cerca invece di fare comprendere cosa leghi le possibilità di applicazione della causa giustificante “legittima difesa” ex 52 codice penale in relazione al fatto. Facciamo degli esempi logici sulle modalità dell’azione e su come un giudice possa ragionare, è bene sottolineare che a seconda dello “sviluppo-evento” cambiano i presupposti di applicazione ex 52: A) il ventiduenne rumeno fugge con il bottino; B) il ventiduenne rumeno è armato e tenta l’aggressione; C) il ventiduenne rumeno non è armato e non compie nessun tentativo di aggressione e/o minaccia non essendosi neanche accorto della presenza del padrone di casa. Nell’ipotesi A la legittima difesa sarebbe del tutto da rigettare, come ci si potrebbe infatti difendere da un uomo che sta fuggendo ed è ormai lontano dall’abitazione? Lontano dall’abitazione, infatti, l’agente non potrebbe minacciare l’incolumità del sessantacinquenne, ergo non si potrebbe parlare di “pericolo attuale” e di “necessità dell’azione”. Nell’ipotesi B il rumeno armato, non desiste rispetto alla condotta posta in essere e c’è il serio rischio che porti avanti l’azione minacciando l’incolumità del sessantacinquenne e dei conviventi nell’abitazione, pertanto l’azione di legittima difesa potrebbe sì configurarsi come “assolutamente necessaria”. Nell’ultima ipotesi, la C, il rumeno non è armato e sul punto di “minacciare” il bene vita pur avendo violato il domicilio, ciò nonostante questo potrebbe non essere sufficiente per parlare di legittima difesa perché potrebbero mancare altresì degli elementi costitutivi fondamentali dell’esimente (ma ancora una volta si ribadisce che questa è una prospettiva di non poi così facile applicazione per il giudice, perché a seconda di tali sviluppi questi “elementi costitutivi” la causa giustificante potrebbero esserci così come potrebbero non esserci oppure potrebbe accadere che viene valutato a favore la presenza di un elemento ma denegata la presenza dell’altro; bisogna sempre guardare all’evoluzione delle azioni poste in essere e all’importanza degli interessi in gioco), due elementi in particolare e cioè la “proporzionalità” e una concreta possibilità di “desistenza” da parte dell’agente che non può essere scartata a priori (si tenga conto che a volte basta accendere una luce per mettere in fuga un malvivente, altre volte non basta nemmeno l’esibizione di un’arma, ma l’attualità del pericolo e la necessità di azione sono alla base della legittima difesa la quale non sussiste se si ignora la possibilità di desistenza e la proporzionalità fra azione e reazione, il malvivente deve avere infatti concretamente posto in essere una condotta dalla quale doveva desumersi da parte dell’aggredito quanto meno una concreta possibilità di minaccia al bene giuridico “vita”). Si tratta nei suddetti casi solo di ipotesi in cui aggressore e aggredito si atteggiano in modi più o meno diversi e danno vita dal punto di vista giuridico a conseguenze diverse che risultano direttamente proporzionali alle loro azioni, ma queste sono verità da stabilire ex 575 all’interno del processo. L’esimente di legittima difesa, una volta appurato che ne sussistano tutti i presupposti può essere concessa solo alla fine del processo. La verità processuale non sempre coincide con quella proposta a mezzo stampa. Ribadito questo concetto fondamentale, si resta in attesa di risposte da parte della magistratura competente.