x

x

Trasparenza e linee giuda Anac per prevenzione corruzione

Il principio di trasparenza e le linee guida Anac per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici
Trasparenza e linee giuda Anac per prevenzione corruzione
Trasparenza e linee giuda Anac per prevenzione corruzione

Abstract

Il presente lavoro, dopo un primo breve inquadramento del principio di trasparenza a livello comunitario e nazionale, analizza le modifiche dell’ambito soggettivo di applicazione del d.lgs.n. 33/2013 anche sulla base di quanto definito dalle recenti “Linee guide per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici” approvate con determinazione n. 8/2015 dall’Autorità Nazionale Anticorruzione.

 

SOMMARIO

1. Breve inquadramento del principio di trasparenza nell’ordinamento europeo e nazionale

2. Linee guida ANAC per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici e profili applicativi
3. Conclusioni

1. Breve inquadramento del principio di trasparenza nell’ordinamento europeo e nazionale

Il principio di trasparenza è un principio presente da tempo nell’ordinamento europeo che tuttavia solo con l’adozione del Trattato di Amsterdam, che modifica il trattato sull'Unione europea e i trattati istitutivi delle Comunità europee, entrato in vigore il 1° maggio 1999, ha trovato una precisa collocazione tra i principi fondamentali del diritto europeo.

Tale principio si sostanzia nel diritto dei cittadini europei di essere informati e di conoscere tutte le attività delle istituzioni europee, anche al fine anche di esprimere un parere sulle decisioni adottate - o in taluni casi in corso di adozione mediante consultazioni, dibattiti e European Citizens’ Iniziative - funzionale all’esercizio del potere partecipativo e condizione indispensabile per accrescere l’accountability dei pubblici poteri decisionali.

L’Articolo 1 del Trattato sull’Unione Europea (TUE) impone infatti alle istituzioni europee di assumere le decisioni nel <<modo più trasparente possibile>>, così come l’Articolo 15 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) precisa che <<le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione operano nel modo più trasparente possibile>.

Anche l’Articolo 10 della Carta europea dei diritti dell’uomo riconosce quale corollario del diritto alla libertà d’espressione <<la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera>>.

Perno del principio di trasparenza è il diritto di accesso, la cui qualificazione ha subito nel corso degli anni un progressivo mutamento fino alla più recente attribuzione di un valore politico della trasparenza, con l’adozione del “Libro bianco sulla Governance” (COM 20001) che ha riconosciuto alla stessa natura di requisito fondante della legittimità delle istituzioni europee [1].

A livello nazionale il tema trasparenza ha assunto una nuova rilevanza con l’entrata in vigore della Legge n. 190/2012 e del successivo Decreto attuativo n. 33/2013 denominato “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni” entrato in vigore il 20 Aprile 2013 e del Decreto attuativo n. 39/2013 denominato “Disposizioni in materia di inconferibilita' e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'Articolo 1, commi 49 e 50, della Legge 6 novembre 2012, n. 190” entrato in vigore il 4 Maggio 2013.

Con l’adozione del Decreto Legislativo n. 33/2013 cd. “Codice della trasparenza”, il legislatore nazionale ha inteso attribuire un autonomo riconoscimento nell’ordinamento al principio di trasparenza, quale principio implicito fondato sulla Costituzione, volto ad attuare una pluralità di principi, quali in particolare il principio democratico di cui all’Articolo 1 della Costituzione e i principi generali dell’azione amministrativa codificati all’Articolo 97 quali il principio di legalità, imparzialità e buon andamento.

La trasparenza pertanto, definita dall’Articolo 1, comma 15 della Legge n. 190/2012, come <<accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni>> è volta a favorire forme diffuse di controllo sociale sull’operato delle pubbliche amministrazioni e sul perseguimento delle relative funzioni istituzionali e rappresenta lo strumento essenziale per garantire il diritto ad una “buona amministrazione”, al fine di promuovere la cultura dell’integrità e la prevenzione di fenomeni corruttivi.

Rispetto alle previsioni di cui alla Legge n. 241 del 7 Agosto 1990 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, che già prevedeva tra i principi generali dell'attività amministrativa quelli di pubblicità, di trasparenza ed un rinvio espresso ai principi dell’ordimento comunitario, con il Decreto Legislativo n. 33/2013 l’approccio del legislatore è profondamente mutato e la prevalenza del principio di segretezza è stato superata dal principio di informazione. Infatti, mentre il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi della Legge n. 241/1990 è esercitabile mediante presentazione di istanza motivata da parte di soggetti titolari di posizioni giuridiche soggettive coinvolte nell’azione amministrativa e nel rispetto dei limiti di cui all’Articolo 24 della stessa Legge, tra cui il divieto di utilizzare l’accesso ai fini di un controllo generalizzato sull’operato della Pubblica Amministrazione, l’accesso alle informazioni di cui al Decreto n. 33/2013 è garantito a qualunque cittadino senza necessità di alcuna autenticazione né identificazione e motivazione, al fine di favorire, da parte dei soggetti destinatari del provvedimento, il controllo diffuso sul perseguimento dei fini istituzionali e di rendicontazione dell’utilizzo delle risorse pubbliche.

Al fine di garantire l’applicazione più generale ed estensiva del principio di trasparenza, l’ambito soggettivo del Decreto Legislativo n. 33/2013 è stato ridefinito con il Decreto Legge n. 90/2014 (convertito con Legge n. 114/2014) che ha modificato l’Articolo 11 del citato Decreto, prevedendo espressamente che la disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni, si applichi anche: a) agli enti di diritto pubblico non territoriali nazionali, regionali o locali, comunque denominati, istituiti, vigilati, finanziati dalla pubblica amministrazione che conferisce l’incarico, ovvero i cui amministratori siano da questa nominati; b) limitatamente all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea, agli enti di diritto privato in controllo pubblico, ossia alle società e agli altri enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, sottoposti a controllo ai sensi dell’Articolo 2359 del Codice Civile da parte di pubbliche amministrazioni, oppure agli enti nei quali siano riconosciuti alle stesse amministrazioni poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi, anche in assenza di una partecipazione azionaria.

Sempre limitatamente all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea, è previsto che alle società con partecipazione non maggioritaria da parte delle pubbliche amministrazioni si applichino esclusivamente le disposizioni dell’Articolo 1, commi da 15 a 33, della Legge n. 190/2012.

L’ampliamento dell’ambito soggettivo di applicazione delle norme citate ha determinato impatti significativi in merito all’attuazione delle previsioni in esse contenute, trattandosi di disposizioni elaborate che considerano come modello di riferimento quello delle pubbliche amministrazioni - così come individuate dall’Articolo 1, comma 2 del Decreto Legislativo n. 165/2001 -  con caratteristiche proprie, con riferimento sia all’assetto organizzativo sia ai diversi adempimenti a cui le stesse sono tenute, previsti in specifiche disposizioni di legge (tra le quali solo a titolo esemplificativo l’adozione del Piano e la Relazione sulle performance di cui  all'Articolo 10 del  Decreto Legislativo n. 150/2009 avente ad oggetto, come disposto all’Articolo 1 del citato Decreto, <<(...) una riforma organica della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, di cui all'Articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (...)>>).

Questo approccio, se da un lato è teso a garantire maggiori livelli di trasparenza anche nei confronti di soggetti che solo formalmente possono essere definiti “privati”, dall’altro lato genera numerose difficoltà applicative, rimettendo ai soggetti responsabili della trasmissione dei dati oggetto di pubblicazione, le decisioni in merito a quale tipologia di informazioni pubblicare vista la necessità di procedere ad adattamenti sulla base della struttura organizzativa di riferimento.

Vero è che gli enti possono pubblicare ulteriori contenuti rispetto a quanto previsto dal Decreto Legislativo n. 33/2013, tuttavia tale approccio rischia di vanificare parzialmente gli obiettivi che il legislatore si è posto.

2. Linee guida ANAC per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici e profili applicativi

Con l’intento di fornire utili indicazioni operative ai diversi soggetti destinatari del Decreto Legislativo n. 33/2013, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), a cui il Legislatore ha attribuito specifiche competenze in materia trasparenza e di prevenzione della corruzione nell’ambito delle amministrazioni pubbliche, delle società partecipate e controllate, dopo un consultazione pubblica avviata nel mese di aprile 2015, con Determinazione n. 8 del 17 giugno 2015, ha adottato le “Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e della trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici ”http://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/Comunicazione/News/_news?id=2acd14470a7780423e8e14ad73ade311, rivolte agli enti di diritto privati controllati e partecipati direttamente ed indirettamente da pubbliche amministrazioni e agli enti pubblici economici.

Ancor prima dell’adozione del Decreto Legislativo n. 33/2013, il Legislatore aveva adottato numerose disposizioni in materia di trasparenza nei confronti delle società partecipate sulla base dei diversi modelli societari e delle funzioni attribuite alle stesse società e alle diverse attività svolte, con una progressiva estensione degli obblighi propri dell’attività amministrativa, sulla base del presupposto che la partecipazione di capitale pubblico rafforza la necessità di trasparenza per garantire l’efficenza dell’attività della società ed il contenimento dei costi [2].

Come sopra riferito, la necessità di un intervento dell’ANAC a seguito della modifica dell’Articolo 11 del Decreto Legislativo n. 33/2013 è dovuto all’estensione dell’obbligo applicativo della norma ad una platea di soggetti particolarmente eterogenea, che presenta caratteristiche diverse anche con riferimento al contesto territoriale, e rivolta a quei soggetti che si avvalgono di risorse pubbliche, indipendentemente dalla loro natura giuridica,  prevedendo un differente livello di trasparenza per gli enti pubblici economici, gli enti di diritto privato in controllo pubblico e per le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni in via non maggioritaria.

Per quanto riguarda le società in controllo pubblico, per la cui definizione il Legislatore rinvia alla nozione di controllo di cui all’Articolo 2359 Codice Civile,  visto l’elevato livello di coinvolgimento delle amministrazioni controllanti nella gestione della società, che attiene all’esercizio dei poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi, come indicato nelle citate Linee guida ANAC, ad esse si estende l’applicazione integrale delle norme della Legge n. 190/2012, del Decreto Legislativo n. 33/2013 e del Decreto Legislativo n. 39/2013. Questo vale in modo particolare per le società in house providing  - ovvero le società a capitale interamente pubblico nelle quali l’ente o gli enti soci esercitano un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che svolgono la prevalente attività nei confronti degli enti soci - anche qualora il controllo sia esercitato da una pluralità di amministrazioni congiuntamente[3]. Proprio in quanto esposte agli stessi rischi in materia di prevenzione della corruzione individuati dal legislatore per l’amministrazione controllante, gli stessi enti nei confronti delle predette società sono tenuti ad effettuare stringenti controlli anche in merito all’adozione del modello di organizzazione e di gestione (MOG) di cui al Decreto Legislativo n. 231/2001 integrato con il Piano triennale di prevenzione della corruzione con la prescrizione che gli stessi siano adeguati alle specificità delle singole realtà organizzative. Con riferimento specifico all’ambito della trasparenza e quindi dell’applicazione del Decreto Legislativo n. 33/2013 la stessa deve essere garantita sia con riferimento all’organizzazione, sia alle attività di pubblico interesse effettivamente svolte.

Per le società a partecipazione non in controllo pubblico gli obblighi di trasparenza sono quelli di cui all’Articolo 1, comma 15-33 della Legge n. 190/2012 con riferimento <<all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione Europea>> effettivamente esercitata e quelli di cui all’Articolo 22, comma 3, per quanto riguarda l’organizzazione[4].

Qualora la società non svolga attività di pubblico interesse la stessa è comunque tenuta a pubblicare i dati relativi alla propria organizzazione e a rispettare gli obblighi di pubblicazione che possono eventualmente discendere dalla normativa di settore, come quella in materia di appalti o di  selezione del personale.

Infine le regole sulla trasparenza trovano parziale applicazione anche nei confronti di altri soggetti qualificabili come enti di diritto privato in controllo pubblico, quali ad esempio fondazioni o associazioni ai sensi del Libro I, Titolo II, capo II del Codice Civile, per cui si ritiene possa sussistere un rischio di corruzione che il legislatore ha inteso prevenire con la normativa anticorruzione in relazione alle pubbliche amministrazioni. La categoria dei suddetti enti risulta essere particolarmente eterogenea e non riconducibile ad un modello unitario i cui tratti essenziali, ai fini dell’applicazione delle norme in commento, attengono all’esistenza, a prescindere dal fatto che detti soggetti abbiano o meno personalità giuridica, di un potere di controllo esercitato dalle amministrazioni pubbliche, che complessivamente consente di esercitare poteri di ingerenza sull’attività con carattere di continuità ovvero un’influenza dominante sulle decisioni dell’ente.

A tal fine le Linee guida definiscono alcuni indici utili all’individuazione di questi soggetti, lasciando ovviamente impregiudicata un’analisi concreta del rapporto tra amministrazione ed ente, da effettuarsi ai sensi di quanto previsto dall’Articolo 22 del Decreto Legislativo n. 33/2013.

Con riferimento alla categoria degli altri enti di diritto privato partecipati, diversi dalle società, non in controllo pubblico che possono configurarsi quali strutture organizzative con una rilevanza pubblica in quanto deputate a svolgere attività amministrative ovvero di interesse generale, quali ad esempio le fondazioni bancarie, si rammenta che tali enti non sono tenuti ad adottare le misure previste dalla Legge n. 190/2012, ma è previsto che le amministrazioni partecipanti debbano promuovere l’adozione di protocolli di legalità che disciplinino specifici obblighi di prevenzione della corruzione e di trasparenza sulla base della tipologia di poteri attribuiti ed esercitati dalle amministrazioni, dando adeguata pubblicità all’uso delle risorse pubbliche da parte dei beneficiari. Per quanto riguarda le norme in materia di trasparenza si rinvia alle previsioni stabilite per le società a partecipazione pubblica non di controllo.

In ultimo, alla categoria degli enti pubblici economici, l’Autorità prevede che si applichino integralmente le norme in materia di anticorruzione e trasparenza in quanto enti che perseguono finalità pubbliche.

3. Conclusioni

Sebbene il Decreto Legislativo n. 33/2013 abbia dato forte impulso all’attuazione del principio di trasparenza, la complessità del quadro normativo non solo nazionale ma anche regionale e sovranazionale rende ad oggi ancora particolarmente complessa l’effettiva estrinsecazione del principio stesso, in considerazione anche della definizione da parte del Legislatore di un modello rigido ed uniforme del concetto di trasparenza, difficilmente adattabile alle diverse “amministrazioni” tenute al rispetto della normativa in commento.

L’eterogeneità della disciplina della trasparenza, il carattere multifunzionale della stessa e gli evidenti limiti connessi tra l’altro alla necessità di tutelare altri interessi pari-ordinati nell’ordinamento, quali ad esempio la riservatezza dei dati personali [5], rende urgente l’esigenza di addivenire ad un complessivo riordino della materia - sul punto si attende anche l’adozione dei decreti attuativi della Legge n. 124/2015 cd. “Riforma Madia della PA” - con la definizione di una disciplina ad hoc per le società pubbliche, auspicando ulteriormente la contestuale riduzione degli adempimenti a carico dei diversi enti, obbligati ad esempio alla trasmissione di analoghe informazioni su sistemi informativi telematici diversi (solo per citarne alcuni Portale ANAC, Sistemi informativi telematici regionali dei Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture, Banca dati delle amministrazioni pubbliche del Ministero delle Economia e delle Finanze), che ostacolano fortemente la diffusione della cultura della trasparenza, spesso concepita quale aggravio del carico di lavoro, soprattutto da parte degli operatori addetti alla trasmissione e pubblicazione delle informazioni stesse.

 

[1] Numerose sono le affinità tra la disciplina comunitaria della trasparenza nella sua più recente evoluzione ed il FOIA “Freedom of Infomation Act” adottato nel 1966 negli Stati Uniti che si sostanzia in un sistema di regole rivolte  alle amministrazioni pubbliche, finalizzate a consentire a chiunque di accedere ai documenti e avere conoscenza dell’attività istituzionale. Nel FOIA è evidente il collegamento diretto tra trasparenza ed accontability dei poteri pubblici sulla base del presupposto per cui un aumento di conoscenza è funzionale non solo per la tutela dei propri interessi ma complessivamente è posta a garanzia del buon funzionamento della macchina pubblica e delle istituzioni democratiche.

[2]In tal senso Articolo 29 della Legge n. 241/1990 al comma 1 estende l’ambito di applicazione delle norme in materia di procedimento amministrativo anche <<(...) alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative (...)>>, legittimando pertanto il ricorso al diritto di accesso ai documenti amministrativi a prescindere dalla composizione pubblica o privata del capitale. Così come il Decreto Legislativo n. 163/2006 prevede una serie obblighi di trasparenza in materia di contratti pubblici per gli “organismi di diritto pubblico” di cui all’Articolo 3, comma 26. Ulteriori obblighi di controllo nei confronti di soggetti partecipati dalle pubbliche amministrazioni erano già previsti in diverse leggi finanziarie che imponevano tra l’altro da parte degli enti controllanti, l’obbligo di trasmettere alla Corte dei Conti delibere di ricognizione delle partecipazioni societarie di cui all’Articolo n. 3, comma 28 della Legge n. 244/2007. Più recentemente in materia di armonizzazione dei sistemi contabili anche Decreto Legislativo n. 91/2011 e n. 118/2001.

[3]Sui requisiti del modello societario in house providing si rinvia su tutte alla sentenza Teckal, Corte di Giustizia UE, 10 novembre 2005 (causa C -29/04).

[4]Sulla nozione di <<attività di pubblico interesse regolate dal diritto nazionale o dell’Unione europea>> si rinvia a quanto specificato nel documento elaborato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze “Indirizzi per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza nelle società controllate o partecipate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze” che prevede che <<sono da considerarsi attività di pubblico interesse quelle qualificate come tali da una norma di legge o dagli atti costitutivi e dagli statuti degli enti e delle società e quelle previste dall’art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013, ovvero le attività di esercizio di funzioni amministrative, di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche, di gestione di servizi pubblici. Restano dunque escluse dall’applicazione della normativa in argomento le attività che non siano riconducibili al perseguimento di interessi pubblici (...)>>, attribuendo l’onere ai singoli enti o società di indicare, all’interno del Piano della trasparenza, quali attività non sono di “pubblico interesse regolate dal diritto nazionale o dell’Unione europea”.

[5]L’Articolo 4 del Decreto Legislativo n.33/2013 fissa una serie di limiti alla trasparenza relativamente alla tutela dei dati personali. Sul punto è intervenuto anche il Garante della Privacy che in data 14/05/2014 ha adottato le Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati. Tuttavia il problema della tutela dei dati personali è stato affrontato solo in parte dal legislatore.  ln particolare sono ancora in corso di definizione le problematiche relative al riutilizzo dei dati e alla perdita di controllo degli stessi. Sul tema si evidenzia l’approvazione del nuovo testo della “Dichiarazione dei diritti di internet” elaborato dalla Commissione per i diritti e i doveri relativi ad Internet a seguito della consultazione pubblica, delle audizioni svolte e della riunione della stessa Commissione del 14 luglio 2015.

Abstract

Il presente lavoro, dopo un primo breve inquadramento del principio di trasparenza a livello comunitario e nazionale, analizza le modifiche dell’ambito soggettivo di applicazione del d.lgs.n. 33/2013 anche sulla base di quanto definito dalle recenti “Linee guide per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici” approvate con determinazione n. 8/2015 dall’Autorità Nazionale Anticorruzione.

 

SOMMARIO

1. Breve inquadramento del principio di trasparenza nell’ordinamento europeo e nazionale

2. Linee guida ANAC per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici e profili applicativi
3. Conclusioni

1. Breve inquadramento del principio di trasparenza nell’ordinamento europeo e nazionale

Il principio di trasparenza è un principio presente da tempo nell’ordinamento europeo che tuttavia solo con l’adozione del Trattato di Amsterdam, che modifica il trattato sull'Unione europea e i trattati istitutivi delle Comunità europee, entrato in vigore il 1° maggio 1999, ha trovato una precisa collocazione tra i principi fondamentali del diritto europeo.

Tale principio si sostanzia nel diritto dei cittadini europei di essere informati e di conoscere tutte le attività delle istituzioni europee, anche al fine anche di esprimere un parere sulle decisioni adottate - o in taluni casi in corso di adozione mediante consultazioni, dibattiti e European Citizens’ Iniziative - funzionale all’esercizio del potere partecipativo e condizione indispensabile per accrescere l’accountability dei pubblici poteri decisionali.

L’Articolo 1 del Trattato sull’Unione Europea (TUE) impone infatti alle istituzioni europee di assumere le decisioni nel <<modo più trasparente possibile>>, così come l’Articolo 15 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) precisa che <<le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione operano nel modo più trasparente possibile>.

Anche l’Articolo 10 della Carta europea dei diritti dell’uomo riconosce quale corollario del diritto alla libertà d’espressione <<la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera>>.

Perno del principio di trasparenza è il diritto di accesso, la cui qualificazione ha subito nel corso degli anni un progressivo mutamento fino alla più recente attribuzione di un valore politico della trasparenza, con l’adozione del “Libro bianco sulla Governance” (COM 20001) che ha riconosciuto alla stessa natura di requisito fondante della legittimità delle istituzioni europee [1].

A livello nazionale il tema trasparenza ha assunto una nuova rilevanza con l’entrata in vigore della Legge n. 190/2012 e del successivo Decreto attuativo n. 33/2013 denominato “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni” entrato in vigore il 20 Aprile 2013 e del Decreto attuativo n. 39/2013 denominato “Disposizioni in materia di inconferibilita' e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'Articolo 1, commi 49 e 50, della Legge 6 novembre 2012, n. 190” entrato in vigore il 4 Maggio 2013.

Con l’adozione del Decreto Legislativo n. 33/2013 cd. “Codice della trasparenza”, il legislatore nazionale ha inteso attribuire un autonomo riconoscimento nell’ordinamento al principio di trasparenza, quale principio implicito fondato sulla Costituzione, volto ad attuare una pluralità di principi, quali in particolare il principio democratico di cui all’Articolo 1 della Costituzione e i principi generali dell’azione amministrativa codificati all’Articolo 97 quali il principio di legalità, imparzialità e buon andamento.

La trasparenza pertanto, definita dall’Articolo 1, comma 15 della Legge n. 190/2012, come <<accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni>> è volta a favorire forme diffuse di controllo sociale sull’operato delle pubbliche amministrazioni e sul perseguimento delle relative funzioni istituzionali e rappresenta lo strumento essenziale per garantire il diritto ad una “buona amministrazione”, al fine di promuovere la cultura dell’integrità e la prevenzione di fenomeni corruttivi.

Rispetto alle previsioni di cui alla Legge n. 241 del 7 Agosto 1990 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, che già prevedeva tra i principi generali dell'attività amministrativa quelli di pubblicità, di trasparenza ed un rinvio espresso ai principi dell’ordimento comunitario, con il Decreto Legislativo n. 33/2013 l’approccio del legislatore è profondamente mutato e la prevalenza del principio di segretezza è stato superata dal principio di informazione. Infatti, mentre il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi della Legge n. 241/1990 è esercitabile mediante presentazione di istanza motivata da parte di soggetti titolari di posizioni giuridiche soggettive coinvolte nell’azione amministrativa e nel rispetto dei limiti di cui all’Articolo 24 della stessa Legge, tra cui il divieto di utilizzare l’accesso ai fini di un controllo generalizzato sull’operato della Pubblica Amministrazione, l’accesso alle informazioni di cui al Decreto n. 33/2013 è garantito a qualunque cittadino senza necessità di alcuna autenticazione né identificazione e motivazione, al fine di favorire, da parte dei soggetti destinatari del provvedimento, il controllo diffuso sul perseguimento dei fini istituzionali e di rendicontazione dell’utilizzo delle risorse pubbliche.

Al fine di garantire l’applicazione più generale ed estensiva del principio di trasparenza, l’ambito soggettivo del Decreto Legislativo n. 33/2013 è stato ridefinito con il Decreto Legge n. 90/2014 (convertito con Legge n. 114/2014) che ha modificato l’Articolo 11 del citato Decreto, prevedendo espressamente che la disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni, si applichi anche: a) agli enti di diritto pubblico non territoriali nazionali, regionali o locali, comunque denominati, istituiti, vigilati, finanziati dalla pubblica amministrazione che conferisce l’incarico, ovvero i cui amministratori siano da questa nominati; b) limitatamente all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea, agli enti di diritto privato in controllo pubblico, ossia alle società e agli altri enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, sottoposti a controllo ai sensi dell’Articolo 2359 del Codice Civile da parte di pubbliche amministrazioni, oppure agli enti nei quali siano riconosciuti alle stesse amministrazioni poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi, anche in assenza di una partecipazione azionaria.

Sempre limitatamente all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea, è previsto che alle società con partecipazione non maggioritaria da parte delle pubbliche amministrazioni si applichino esclusivamente le disposizioni dell’Articolo 1, commi da 15 a 33, della Legge n. 190/2012.

L’ampliamento dell’ambito soggettivo di applicazione delle norme citate ha determinato impatti significativi in merito all’attuazione delle previsioni in esse contenute, trattandosi di disposizioni elaborate che considerano come modello di riferimento quello delle pubbliche amministrazioni - così come individuate dall’Articolo 1, comma 2 del Decreto Legislativo n. 165/2001 -  con caratteristiche proprie, con riferimento sia all’assetto organizzativo sia ai diversi adempimenti a cui le stesse sono tenute, previsti in specifiche disposizioni di legge (tra le quali solo a titolo esemplificativo l’adozione del Piano e la Relazione sulle performance di cui  all'Articolo 10 del  Decreto Legislativo n. 150/2009 avente ad oggetto, come disposto all’Articolo 1 del citato Decreto, <<(...) una riforma organica della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, di cui all'Articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (...)>>).

Questo approccio, se da un lato è teso a garantire maggiori livelli di trasparenza anche nei confronti di soggetti che solo formalmente possono essere definiti “privati”, dall’altro lato genera numerose difficoltà applicative, rimettendo ai soggetti responsabili della trasmissione dei dati oggetto di pubblicazione, le decisioni in merito a quale tipologia di informazioni pubblicare vista la necessità di procedere ad adattamenti sulla base della struttura organizzativa di riferimento.

Vero è che gli enti possono pubblicare ulteriori contenuti rispetto a quanto previsto dal Decreto Legislativo n. 33/2013, tuttavia tale approccio rischia di vanificare parzialmente gli obiettivi che il legislatore si è posto.

2. Linee guida ANAC per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici e profili applicativi

Con l’intento di fornire utili indicazioni operative ai diversi soggetti destinatari del Decreto Legislativo n. 33/2013, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), a cui il Legislatore ha attribuito specifiche competenze in materia trasparenza e di prevenzione della corruzione nell’ambito delle amministrazioni pubbliche, delle società partecipate e controllate, dopo un consultazione pubblica avviata nel mese di aprile 2015, con Determinazione n. 8 del 17 giugno 2015, ha adottato le “Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e della trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici ”http://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/Comunicazione/News/_news?id=2acd14470a7780423e8e14ad73ade311, rivolte agli enti di diritto privati controllati e partecipati direttamente ed indirettamente da pubbliche amministrazioni e agli enti pubblici economici.

Ancor prima dell’adozione del Decreto Legislativo n. 33/2013, il Legislatore aveva adottato numerose disposizioni in materia di trasparenza nei confronti delle società partecipate sulla base dei diversi modelli societari e delle funzioni attribuite alle stesse società e alle diverse attività svolte, con una progressiva estensione degli obblighi propri dell’attività amministrativa, sulla base del presupposto che la partecipazione di capitale pubblico rafforza la necessità di trasparenza per garantire l’efficenza dell’attività della società ed il contenimento dei costi [2].

Come sopra riferito, la necessità di un intervento dell’ANAC a seguito della modifica dell’Articolo 11 del Decreto Legislativo n. 33/2013 è dovuto all’estensione dell’obbligo applicativo della norma ad una platea di soggetti particolarmente eterogenea, che presenta caratteristiche diverse anche con riferimento al contesto territoriale, e rivolta a quei soggetti che si avvalgono di risorse pubbliche, indipendentemente dalla loro natura giuridica,  prevedendo un differente livello di trasparenza per gli enti pubblici economici, gli enti di diritto privato in controllo pubblico e per le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni in via non maggioritaria.

Per quanto riguarda le società in controllo pubblico, per la cui definizione il Legislatore rinvia alla nozione di controllo di cui all’Articolo 2359 Codice Civile,  visto l’elevato livello di coinvolgimento delle amministrazioni controllanti nella gestione della società, che attiene all’esercizio dei poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi, come indicato nelle citate Linee guida ANAC, ad esse si estende l’applicazione integrale delle norme della Legge n. 190/2012, del Decreto Legislativo n. 33/2013 e del Decreto Legislativo n. 39/2013. Questo vale in modo particolare per le società in house providing  - ovvero le società a capitale interamente pubblico nelle quali l’ente o gli enti soci esercitano un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che svolgono la prevalente attività nei confronti degli enti soci - anche qualora il controllo sia esercitato da una pluralità di amministrazioni congiuntamente[3]. Proprio in quanto esposte agli stessi rischi in materia di prevenzione della corruzione individuati dal legislatore per l’amministrazione controllante, gli stessi enti nei confronti delle predette società sono tenuti ad effettuare stringenti controlli anche in merito all’adozione del modello di organizzazione e di gestione (MOG) di cui al Decreto Legislativo n. 231/2001 integrato con il Piano triennale di prevenzione della corruzione con la prescrizione che gli stessi siano adeguati alle specificità delle singole realtà organizzative. Con riferimento specifico all’ambito della trasparenza e quindi dell’applicazione del Decreto Legislativo n. 33/2013 la stessa deve essere garantita sia con riferimento all’organizzazione, sia alle attività di pubblico interesse effettivamente svolte.

Per le società a partecipazione non in controllo pubblico gli obblighi di trasparenza sono quelli di cui all’Articolo 1, comma 15-33 della Legge n. 190/2012 con riferimento <<all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione Europea>> effettivamente esercitata e quelli di cui all’Articolo 22, comma 3, per quanto riguarda l’organizzazione[4].

Qualora la società non svolga attività di pubblico interesse la stessa è comunque tenuta a pubblicare i dati relativi alla propria organizzazione e a rispettare gli obblighi di pubblicazione che possono eventualmente discendere dalla normativa di settore, come quella in materia di appalti o di  selezione del personale.

Infine le regole sulla trasparenza trovano parziale applicazione anche nei confronti di altri soggetti qualificabili come enti di diritto privato in controllo pubblico, quali ad esempio fondazioni o associazioni ai sensi del Libro I, Titolo II, capo II del Codice Civile, per cui si ritiene possa sussistere un rischio di corruzione che il legislatore ha inteso prevenire con la normativa anticorruzione in relazione alle pubbliche amministrazioni. La categoria dei suddetti enti risulta essere particolarmente eterogenea e non riconducibile ad un modello unitario i cui tratti essenziali, ai fini dell’applicazione delle norme in commento, attengono all’esistenza, a prescindere dal fatto che detti soggetti abbiano o meno personalità giuridica, di un potere di controllo esercitato dalle amministrazioni pubbliche, che complessivamente consente di esercitare poteri di ingerenza sull’attività con carattere di continuità ovvero un’influenza dominante sulle decisioni dell’ente.

A tal fine le Linee guida definiscono alcuni indici utili all’individuazione di questi soggetti, lasciando ovviamente impregiudicata un’analisi concreta del rapporto tra amministrazione ed ente, da effettuarsi ai sensi di quanto previsto dall’Articolo 22 del Decreto Legislativo n. 33/2013.

Con riferimento alla categoria degli altri enti di diritto privato partecipati, diversi dalle società, non in controllo pubblico che possono configurarsi quali strutture organizzative con una rilevanza pubblica in quanto deputate a svolgere attività amministrative ovvero di interesse generale, quali ad esempio le fondazioni bancarie, si rammenta che tali enti non sono tenuti ad adottare le misure previste dalla Legge n. 190/2012, ma è previsto che le amministrazioni partecipanti debbano promuovere l’adozione di protocolli di legalità che disciplinino specifici obblighi di prevenzione della corruzione e di trasparenza sulla base della tipologia di poteri attribuiti ed esercitati dalle amministrazioni, dando adeguata pubblicità all’uso delle risorse pubbliche da parte dei beneficiari. Per quanto riguarda le norme in materia di trasparenza si rinvia alle previsioni stabilite per le società a partecipazione pubblica non di controllo.

In ultimo, alla categoria degli enti pubblici economici, l’Autorità prevede che si applichino integralmente le norme in materia di anticorruzione e trasparenza in quanto enti che perseguono finalità pubbliche.

3. Conclusioni

Sebbene il Decreto Legislativo n. 33/2013 abbia dato forte impulso all’attuazione del principio di trasparenza, la complessità del quadro normativo non solo nazionale ma anche regionale e sovranazionale rende ad oggi ancora particolarmente complessa l’effettiva estrinsecazione del principio stesso, in considerazione anche della definizione da parte del Legislatore di un modello rigido ed uniforme del concetto di trasparenza, difficilmente adattabile alle diverse “amministrazioni” tenute al rispetto della normativa in commento.

L’eterogeneità della disciplina della trasparenza, il carattere multifunzionale della stessa e gli evidenti limiti connessi tra l’altro alla necessità di tutelare altri interessi pari-ordinati nell’ordinamento, quali ad esempio la riservatezza dei dati personali [5], rende urgente l’esigenza di addivenire ad un complessivo riordino della materia - sul punto si attende anche l’adozione dei decreti attuativi della Legge n. 124/2015 cd. “Riforma Madia della PA” - con la definizione di una disciplina ad hoc per le società pubbliche, auspicando ulteriormente la contestuale riduzione degli adempimenti a carico dei diversi enti, obbligati ad esempio alla trasmissione di analoghe informazioni su sistemi informativi telematici diversi (solo per citarne alcuni Portale ANAC, Sistemi informativi telematici regionali dei Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture, Banca dati delle amministrazioni pubbliche del Ministero delle Economia e delle Finanze), che ostacolano fortemente la diffusione della cultura della trasparenza, spesso concepita quale aggravio del carico di lavoro, soprattutto da parte degli operatori addetti alla trasmissione e pubblicazione delle informazioni stesse.

 

[1] Numerose sono le affinità tra la disciplina comunitaria della trasparenza nella sua più recente evoluzione ed il FOIA “Freedom of Infomation Act” adottato nel 1966 negli Stati Uniti che si sostanzia in un sistema di regole rivolte  alle amministrazioni pubbliche, finalizzate a consentire a chiunque di accedere ai documenti e avere conoscenza dell’attività istituzionale. Nel FOIA è evidente il collegamento diretto tra trasparenza ed accontability dei poteri pubblici sulla base del presupposto per cui un aumento di conoscenza è funzionale non solo per la tutela dei propri interessi ma complessivamente è posta a garanzia del buon funzionamento della macchina pubblica e delle istituzioni democratiche.

[2]In tal senso Articolo 29 della Legge n. 241/1990 al comma 1 estende l’ambito di applicazione delle norme in materia di procedimento amministrativo anche <<(...) alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative (...)>>, legittimando pertanto il ricorso al diritto di accesso ai documenti amministrativi a prescindere dalla composizione pubblica o privata del capitale. Così come il Decreto Legislativo n. 163/2006 prevede una serie obblighi di trasparenza in materia di contratti pubblici per gli “organismi di diritto pubblico” di cui all’Articolo 3, comma 26. Ulteriori obblighi di controllo nei confronti di soggetti partecipati dalle pubbliche amministrazioni erano già previsti in diverse leggi finanziarie che imponevano tra l’altro da parte degli enti controllanti, l’obbligo di trasmettere alla Corte dei Conti delibere di ricognizione delle partecipazioni societarie di cui all’Articolo n. 3, comma 28 della Legge n. 244/2007. Più recentemente in materia di armonizzazione dei sistemi contabili anche Decreto Legislativo n. 91/2011 e n. 118/2001.

[3]Sui requisiti del modello societario in house providing si rinvia su tutte alla sentenza Teckal, Corte di Giustizia UE, 10 novembre 2005 (causa C -29/04).

[4]Sulla nozione di <<attività di pubblico interesse regolate dal diritto nazionale o dell’Unione europea>> si rinvia a quanto specificato nel documento elaborato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze “Indirizzi per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza nelle società controllate o partecipate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze” che prevede che <<sono da considerarsi attività di pubblico interesse quelle qualificate come tali da una norma di legge o dagli atti costitutivi e dagli statuti degli enti e delle società e quelle previste dall’art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013, ovvero le attività di esercizio di funzioni amministrative, di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche, di gestione di servizi pubblici. Restano dunque escluse dall’applicazione della normativa in argomento le attività che non siano riconducibili al perseguimento di interessi pubblici (...)>>, attribuendo l’onere ai singoli enti o società di indicare, all’interno del Piano della trasparenza, quali attività non sono di “pubblico interesse regolate dal diritto nazionale o dell’Unione europea”.

[5]L’Articolo 4 del Decreto Legislativo n.33/2013 fissa una serie di limiti alla trasparenza relativamente alla tutela dei dati personali. Sul punto è intervenuto anche il Garante della Privacy che in data 14/05/2014 ha adottato le Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati. Tuttavia il problema della tutela dei dati personali è stato affrontato solo in parte dal legislatore.  ln particolare sono ancora in corso di definizione le problematiche relative al riutilizzo dei dati e alla perdita di controllo degli stessi. Sul tema si evidenzia l’approvazione del nuovo testo della “Dichiarazione dei diritti di internet” elaborato dalla Commissione per i diritti e i doveri relativi ad Internet a seguito della consultazione pubblica, delle audizioni svolte e della riunione della stessa Commissione del 14 luglio 2015.