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La Pubblica Amministrazione è tenuta a risarcire i danni provocati dalla sospensione illegittima di attività

TAR Basilicata, Prima Sezione, 24 giugno 2015, n. 609
La Pubblica Amministrazione è tenuta a risarcire i danni provocati dalla sospensione illegittima di attività
La Pubblica Amministrazione è tenuta a risarcire i danni provocati dalla sospensione illegittima di attività

La sospensione illegittima delle attività di un impianto può comportare la responsabilità risarcitoria della pubblica amministrazione, ai sensi dell’articolo 2043, atteso che, il pregiudizio patrimoniale subito dalla società colpita dal provvedimento di sospensione è eziologicamente riconducibile al provvedimento stesso e che, in quanto illegittimo, comporta una lesione antigiuridica nella sfera patrimoniale della ricorrente stessa. Detta lesione, va ricondotta, sul versante soggettivo, alla colpa delle Amministrazioni emananti il provvedimento.

Nel novembre 2014 dal camino del forno rotante a tamburo di un impianto di termovalorizzazione  fuoriescono fumi caratterizzati da una colorazione rossastra. Il giorno stesso i funzionari ARPAB si recano presso l’impianto per effettuare un sopralluogo, cui ne seguono altri, accompagnati da diverse richieste di fornire documentazione. I fumi, secondo le rilevazioni, sono dovuti ad emissioni di iodio. Rispetto a queste emissioni né l’AIA prevede controlli né la normativa di riferimento impone limiti. Il 9 dicembre 2014 la regione Basilicata adotta una delibera (n. 1499/2014) di sospensione delle attività relative al forno a tamburo rotante. Il gestore dell’impianto impugna tale delibera deducendo la violazione e falsa applicazione di legge, nonché  l’eccesso di potere.

Il TAR Basilicata, con sentenza 609/2015 accoglie il ricorso ritenendo altresì fondata l’azione risarcitoria promossa con lo stesso.

In primo luogo, la delibera viola infatti l’articolo 29 decies 9 (b) Decreto Legislativo 52/2006, il quale stabilisce che la sospensione dell’attività può essere disposta solo al verificarsi di situazioni di pericolo o di danno per l’ambiente, oppure in caso di reiterazione delle violazioni. Nel caso di specie, né le emissioni di iodio sono idonee a procurare un pericolo o danno per l’ambiente, come si deduce dal fatto che non esistono vincoli o controlli che le riguardano, né è provato che l’irregolarità si sia verificata più volte. Ne risulta quindi che non sussistono i presupposti per l’emanazione di un provvedimento di sospensione.  

Inoltre, poiché il legislatore, nel solco del principio di proporzionalità, ha previsto un sistema di gradualità delle sanzioni, l’amministrazione al più avrebbe potuto adottare una diffida, con assegnazione di un termine entro il quale eliminare le pretese violazioni, come indicato alla lettera (a) del medesimo articolo 29 decies.

Ulteriore profilo di illegittimità del provvedimento è la mancata individuazione di un termine massimo di durata della sospensione delle attività. Non è da condividersi infatti l’opinione secondo cui l’atto avrebbe come termine implicito l’adempimento; è vero invece che una sospensione disposta sine die è da ritenersi illegittima.

Inoltre, sono violati gli articoli 29-sexies e 29-decies in quanto, contrariamente a quanto affermato da ARPAB e dalla Regione, il gestore ha dimostrato piena collaborazione nell’istruttoria fornendo la documentazione richiesta (report, parametri monitorati, certificati..) nei tempi concordati e ha fornito l’assistenza necessaria per lo svolgimento delle verifiche.

Il tribunale ritiene altresì fondata l’azione risarcitoria proposta dal gestore. Infatti, “il pregiudizio patrimoniale lamentato dalla ricorrente è eziologicamente riconducibile agli atti impugnati che, in quanto illegittimi, hanno causato una lesione antigiuridica nella sfera patrimoniale della ricorrente stessa. Detta lesione va ricondotta, sul versante soggettivo, alla colpa delle Amministrazioni”. Condanna quindi le amministrazioni al pagamento di una somma a titolo di ristoro per equivalente, da quantificarsi sulla base del mancato utile derivante alla società per il periodo di effettiva interruzione delle attività e dei danni derivanti dalla permanenza dei rifiuti nelle vasche di stoccaggio, compresivi di eventuali penali.

La sospensione illegittima delle attività di un impianto può comportare la responsabilità risarcitoria della pubblica amministrazione, ai sensi dell’articolo 2043, atteso che, il pregiudizio patrimoniale subito dalla società colpita dal provvedimento di sospensione è eziologicamente riconducibile al provvedimento stesso e che, in quanto illegittimo, comporta una lesione antigiuridica nella sfera patrimoniale della ricorrente stessa. Detta lesione, va ricondotta, sul versante soggettivo, alla colpa delle Amministrazioni emananti il provvedimento.

Nel novembre 2014 dal camino del forno rotante a tamburo di un impianto di termovalorizzazione  fuoriescono fumi caratterizzati da una colorazione rossastra. Il giorno stesso i funzionari ARPAB si recano presso l’impianto per effettuare un sopralluogo, cui ne seguono altri, accompagnati da diverse richieste di fornire documentazione. I fumi, secondo le rilevazioni, sono dovuti ad emissioni di iodio. Rispetto a queste emissioni né l’AIA prevede controlli né la normativa di riferimento impone limiti. Il 9 dicembre 2014 la regione Basilicata adotta una delibera (n. 1499/2014) di sospensione delle attività relative al forno a tamburo rotante. Il gestore dell’impianto impugna tale delibera deducendo la violazione e falsa applicazione di legge, nonché  l’eccesso di potere.

Il TAR Basilicata, con sentenza 609/2015 accoglie il ricorso ritenendo altresì fondata l’azione risarcitoria promossa con lo stesso.

In primo luogo, la delibera viola infatti l’articolo 29 decies 9 (b) Decreto Legislativo 52/2006, il quale stabilisce che la sospensione dell’attività può essere disposta solo al verificarsi di situazioni di pericolo o di danno per l’ambiente, oppure in caso di reiterazione delle violazioni. Nel caso di specie, né le emissioni di iodio sono idonee a procurare un pericolo o danno per l’ambiente, come si deduce dal fatto che non esistono vincoli o controlli che le riguardano, né è provato che l’irregolarità si sia verificata più volte. Ne risulta quindi che non sussistono i presupposti per l’emanazione di un provvedimento di sospensione.  

Inoltre, poiché il legislatore, nel solco del principio di proporzionalità, ha previsto un sistema di gradualità delle sanzioni, l’amministrazione al più avrebbe potuto adottare una diffida, con assegnazione di un termine entro il quale eliminare le pretese violazioni, come indicato alla lettera (a) del medesimo articolo 29 decies.

Ulteriore profilo di illegittimità del provvedimento è la mancata individuazione di un termine massimo di durata della sospensione delle attività. Non è da condividersi infatti l’opinione secondo cui l’atto avrebbe come termine implicito l’adempimento; è vero invece che una sospensione disposta sine die è da ritenersi illegittima.

Inoltre, sono violati gli articoli 29-sexies e 29-decies in quanto, contrariamente a quanto affermato da ARPAB e dalla Regione, il gestore ha dimostrato piena collaborazione nell’istruttoria fornendo la documentazione richiesta (report, parametri monitorati, certificati..) nei tempi concordati e ha fornito l’assistenza necessaria per lo svolgimento delle verifiche.

Il tribunale ritiene altresì fondata l’azione risarcitoria proposta dal gestore. Infatti, “il pregiudizio patrimoniale lamentato dalla ricorrente è eziologicamente riconducibile agli atti impugnati che, in quanto illegittimi, hanno causato una lesione antigiuridica nella sfera patrimoniale della ricorrente stessa. Detta lesione va ricondotta, sul versante soggettivo, alla colpa delle Amministrazioni”. Condanna quindi le amministrazioni al pagamento di una somma a titolo di ristoro per equivalente, da quantificarsi sulla base del mancato utile derivante alla società per il periodo di effettiva interruzione delle attività e dei danni derivanti dalla permanenza dei rifiuti nelle vasche di stoccaggio, compresivi di eventuali penali.