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Le novità della riforma estiva in tema di contratti pendenti nel concordato preventivo, con particolare riferimento ai contratti bancari

Decreto Legge 83/2015, convertito nella Legge 132/2015
Le novità della riforma estiva in tema di contratti pendenti nel concordato preventivo, con particolare riferimento ai contratti bancari
Le novità della riforma estiva in tema di contratti pendenti nel concordato preventivo, con particolare riferimento ai contratti bancari

Parte III

Come si è avuto modo di anticipare (v. Le novità della riforma estiva (Decreto Legge 83/2015, convertito nella Legge 132/2015) in tema di contratti pendenti nel concordato preventivo, con particolare riferimento ai contratti bancari. Parte II), l’operatività del patto di compensazione si pone in stridente contrasto con il divieto di pagamento dei debiti anteriori in sede concordataria in quanto consente, in sostanza, la collocazione fuori concorso del credito della banca traente titolo dalle anticipazioni concesse al debitore concordatario in bonis: detto credito, difatti, può ridursi o estinguersi per effetto dell’incasso dei crediti del debitore che la banca è legittimata a riscuotere in virtù nel negozio di cessione o di mandato all’incasso. È stato correttamente rilevato che tale circostanza, pur lesiva della par condicio creditorum, potrebbe collimare con l’interesse dei creditori nelle ipotesi in cui il mantenimento del rapporto con l’istituto di credito sia funzionale alla realizzazione del piano concordatario e, quindi, al miglior soddisfacimento del loro interesse. Difatti, ove l’erogazione di liquidità da parte della banca abbia rilevanza strategica ai fini del buon esito della procedura concordataria in continuità aziendale -sia, cioè, essenziale alla prosecuzione dell’attività di impresa nonché funzionale alla realizzazione del piano concordatario e al miglior soddisfacimento degli altri creditori- si potrebbe scorgere la medesima ratio giustificativa della deroga al principio della cristallizzazione del patrimonio del debitore di cui all’articolo 182-quinquies comma 5, secondo cui “il debitore che presenta domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, anche ai sensi dell’articolo 161 sesto comma può chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a pagare crediti, anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali  ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”.

Tuttavia, i profili di analogia tra la previsione da ultimo citata e il modus operandi del patto di compensazione nell’ambito della procedura concordataria si risolvono in aspetti di natura esclusivamente fattuale atteso che la disciplina dettata dall’articolo 185-quinquies per il pagamento dei creditori cosiddetti “strategici” è estremamente rigorosa ed esige che l’atto dispositivo sia sottoposto al vaglio giudiziale e suffragato dall’attestazione del professionista. Tali requisiti, come si è avuto modo di notare, non sono richiesti ai fini della soddisfazione preferenziale del credito della banca, per la quale è sufficiente la sola anteriorità del patto di compensazione al deposito del riscorso. La diversità di trattamento si giustifica, verosimilmente, in virtù dell’esigenza di agevolare il mantenimento di rapporti che sono ritenuti, in via generale ed astratta -e, quindi, anche a prescindere dalle specificità del caso-, essenziali ai fini della realizzazione del piano concordatario e funzionali al miglior soddisfacimento dei debitori. Ciò nondimeno, è possibile -e di fatto frequente- che la banca che abbia percepito lo stato di difficoltà del proprio cliente sospenda l’erogazione e tenga in piedi il rapporto al fine esclusivo di rientrare dell’anticipazione tramite l’incasso dei crediti relativi ai titoli ancora a scadere, al di fuori del concorso con gli altri creditori. Proprio in tale ipotesi verrebbe in rilievo la necessità per il debitore di ricorrere all’applicazione dell’articolo 169-bis l.f. e, quindi, di domandare - al tribunale o, dopo il decreto di ammissione ex articolo 163 l.f., al giudice delegato - l’autorizzazione a sciogliersi dal contratto di anticipazione in corso alla data di presentazione della domanda quale possibile espediente al fine di paralizzare l’efficacia pregiudizievole del patto di compensazione sulla par condicio creditorum. In effetti, “la possibilità di evitare la prosecuzione a vantaggio della banca dell’operatività del patto di compensazione collegato ad un’operazione creditizia e di ripristinare il criterio della par condicio creditorum a tutela della consistenza della massa patrimoniale destinata dipende esclusivamente dalla scelta del debitore di porre termine al rapporto negoziale pendente, opzione che sarà frutto di ponderata comparazione tra vantaggi e svantaggi che ne conseguono” (v. Trib. Monza, 27 novembre 2013); ove il rapporto di anticipazione si sciolga, anche il patto di compensazione verrà meno e la banca sarà obbligata a riversare alla procedura le somme riscosse successivamente allo scioglimento del contratto.

Questo, quindi, il quadro di sintesi: nell’ambito della procedura concordataria, la regola rimane quella della ordinaria prosecuzione dei contratti pendenti, anche al fine di favorire la prosecuzione dell’attività ove sia stata presentata istanza di accesso al concordato in continuità; la preservazione del valore aziendale è rimessa alla discrezionalità del debitore, cui spetta la determinazione in ordine alla conformazione degli effetti della procedura sui contratti in esecuzione in ragione della strumentalità alla prosecuzione dell’attività. Siffatta facoltà tecnicamente costituisce un diritto potestativo il cui esercizio è, però, sottoposto al vaglio giudiziale, sicché “la possibilità di beneficiare, in deroga alla regola della prosecuzione dei rapporti in essere, del peculiare vantaggio di liberarsi dai contratti reputati economicamente pregiudizievoli si riconnette, tuttavia, all’onere posto a carico dell’imprenditore di attivarsi al fine di provocarne lo svincolo attraverso il meccanismo dell’autorizzazione da parte del tribunale allo scioglimento od alla sospensione dello specifico rapporto pendente” (Trib. Monza, 27 novembre 2013).

Siffatta impostazione, pur condivisibile nella misura in cui consente al debitore di scongiurare manovre “egoistiche” da parte delle banche, presenta non pochi tratti di asperità per ciò che concerne il raccordo con quanto disposto dall’articolo 169-bis l.f. ed, in particolare, la configurabilità della pendenza del rapporto nei casi concreti. In proposito, si rimanda a quanto detto supra in relazione al dibattito che ha diviso dottrina e giurisprudenza in merito alla possibilità di sciogliere i contratti di anticipazione bancaria anche laddove la banca abbia già adempiuto alla sua prestazione - l’erogazione del credito - in un’unica soluzione e, pertanto, il contratto non possa più ritenersi pendente ai sensi dell’articolo 169-bis l.f. A ben vedere, l’eventuale scioglimento di simili rapporti a seguito dell’anticipo si risolverebbe in una operazione di finanziamento del piano concordatario di dubbia legittimità, realizzata tramite l’indebita duplicazione delle erogazioni finanziarie a favore del debitore (alla liquidità anticipata dalla banca si aggiungerebbe quella ricavata dall’incasso dei crediti ceduti a garanzia dell’operazione).

Quale la linea da seguire, allora, al fine di evitare condotte di dubbia correttezza e/o legittimità sia da parte del debitore che della banca? 

La risposta al quesito richiede una riflessione sulla ratio sottesa al meccanismo disegnato dall’articolo 169-bis l.f. La disposizione mira a contemperare le esigenze della procedura di interruzione dei rapporti ritenuti pregiudizievoli o, quantomeno, privi di funzionalità per il miglior soddisfacimento dei creditori, con la tutela dell’affidamento del contraente in bonis, cui è riconosciuto un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento. A suggello del rispetto del generale canone di buona fede che deve conformare l’operato delle parti contraenti e, quindi, del carattere “equo” della soluzione è prevista la necessità del provvedimento giudiziale di autorizzazione allo scioglimento - o alla sospensione - del rapporto, con conseguente caducazione dei patti principali ed accessori assunti in precedenza. Siffatto bilanciamento, però, può essere in concreto considerato equo solo se l’effetto caducatorio sia reciproco, cioè se vi sia il contestuale venir meno anche dei vantaggi che sarebbero derivati dalla vigenza degli accordi contrattuali. Nella pratica, ciò può accadere ove alla stipula del contratto di anticipazione non sia ancora seguita l’effettiva corresponsione delle somme, oppure quando l’erogazione non avvenga una tantum, ma consti di tranches dilazionate nel tempo, come nei casi in cui il credito oggetto di anticipazione sia quello che derivi dall’esecuzione di un contratto (per esempio, nel campo delle opere pubbliche) che preveda una pluralità di scadenze per l’erogazione del corrispettivo. In entrambe le descritte ipotesi, difatti, pur se l’autorità giudiziaria autorizzasse lo scioglimento del rapporto, l’inesecuzione ovvero la solo parziale esecuzione della prestazione bancaria scongiurerebbe il rischio di un utilizzo abusivo del meccanismo disegnato dall’articolo 169-bis l.f. che miri, sostanzialmente, a finanziare la procedura concordataria tramite le entrate derivanti e dall’anticipazione e dall’incasso dei crediti posti a garanzia della stessa.

Naturalmente, potrà procedersi allo scioglimento del contratto anche nelle ipotesi in cui il finanziamento avvenga secondo modalità diverse dalla linea autoliquidante e ci si trovi, quindi, dinanzi ad operazioni a revoca o a scadenza. Ciò purché il rapporto conservi il sinallagma funzionale che, come si è avuto modo di vedere, costituisce il presupposto operativo del meccanismo previsto dall’articolo 169-bis l.f. Ciò significa che, ad esempio, un contratto di mutuo potrà effettivamente essere sciolto ove il mutuante non abbia provveduto ad erogare per intero la somma prima del deposito del ricorso di avvio della procedura, ma l’operazioni consti di rate dilazionate nel tempo. Solo in tale evenienza, difatti, quel contratto sarebbe ancora pendente, non così se il finanziamento fosse già stato ultimato.

Peraltro, nelle linee di credito che non siano autoliquidanti è tecnicamente impossibile contemplare meccanismi assimilabili al patto di compensazione che può accompagnare i contratti di anticipazione contro cessione di crediti o mandato all’incasso, giacché in tali ipotesi difetta la fonte di rimborso predeterminata che consente di elidere le partite di segno opposto all’erogazione. Ne consegue che nelle linee di credito a scadenza o a revoca, così come nelle linee autoliquidanti che non contemplino la clausola di annotazione ed elisione delle partite di segno opposto, qualsiasi corresponsione ad opera del debitore successiva all’avvio della procedura concordataria, pur relativa al pagamento di una rata scaduta anteriormente a tale momento, si infrangerebbe contro il divieto di pagamento dei debiti anteriori, obbligando la banca alla restituzione della somma alla procedura.

Al fine di meglio comprendere la questione, pare opportuno soffermarsi su quanto statuito dall’articolo 56 l.f., operante anche nella procedura di concordato preventivo in ragione del richiamo di cui all’articolo 169 l.f. La disposizione attribuisce ai creditori il diritto di compensare i loro crediti nei confronti del debitore proponente con eventuali posizioni debitorie verso il medesimo, pur se non sussistano tutti i requisiti che la disciplina ordinaria pone ai fini dell’operatività della compensazione ed, in particolare, pur se tali crediti non siano ancora esigibili al momento dell’avvio della procedura. Il carattere derogatorio dell’istituto in ambito concorsuale rileva anche secondo un ulteriore profilo: il meccanismo descritto dall’articolo 56 l.f., difatti, costituisce una visibile eccezione al principio della par condicio creditorum, in quanto consente la soddisfazione fuori concorso delle ragioni dei creditori che si trovino ad essere, contestualmente, debitori dell’istante. Secondo la giurisprudenza di legittimità la compensazione delle opposte ragioni di credito presuppone la preesistenza del momento genetico dei rispettivi crediti rispetto alla procedura concorsuale (cfr. Cass., n. 10548/2009). In tale prospettiva ermeneutica, l’istituto disegnato dall’articolo 56 l.f. rappresenta una deroga al concorso, a favore di soggetti che si trovino ad essere al contempo creditori e debitori del fallito, non rilevando il momento in cui l’effetto compensativo si produce e ferma restando l’esigenza dell’anteriorità del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte. Laddove l’erogazione finanziaria sia stata posta in essere tramite operazioni autoliquidanti di anticipazione contro cessione di crediti, per la verifica di legittimità della compensazione operata dalla banca rileva esclusivamente il dato temporale relativo al perfezionamento del negozio di cessione.

È proprio in virtù di tale considerazione che si giustifica l’assunto per cui, nelle operazioni auitoliquidanti che non contemplino il patto di compensazione, così come nelle linee di credito a revoca o a scadenza, eventuali pagamenti posti in essere dal proponente devono essere restituiti dalla banca alla procedura, pur se il relativo titolo sia anteriore. In tali ipotesi, difatti, non sussistono i presupposti giustificativi dell’operatività del regime derogatorio dettato dall’articolo 56 l.f., atteso che la banca è titolare, nei confronti del proponente, solo ed esclusivamente di una posizione di credito avente ad oggetto, la restituzione della somma erogata ovvero dei crediti riscossi in virtù del mandato all’incasso cui non sia stato affiancato il patto di compensazione o di cessione con mera funzione di garanzia. Si rammenti, in proposito, che il patto di compensazione costituisce il titolo dell’obbligo restitutorio in capo alla banca avente ad oggetto la differenza tra l’ammontare dei crediti del debitore riscossi e l’erogazione effettuata in favore di quest’ultimo, comprensiva di spese ed interessi e, per tale ragione, essendo anteriore all’avvio della procedura concordataria, consentirebbe l’operatività del meccanismo di compensazione di cui all’articolo 56 l.f. Ciò anche in considerazione della circostanza per cui tale pattuizione assume un peso decisivo nel complesso della regolamentazione contrattuale, talché la perdurante vigenza del contratto implica l’operatività di tale clausola ad esso inscindibilmente connessa (v. Trib. di Monza, 27 novembre 2013; Cass. n. 17999/2011, Cass. n. 7194/1997 e Cass. n. 6870/1994).

Tuttavia, non mancano opinioni di segno contrario. Secondo alcune pronunce di merito (Trib. di Verona, 31 agosto 2015; Trib. di Prato, 23 settembre 2015), nell’ipotesi in cui la banca, anteriormente all’avvio della procedura concorsuale, anticipi all’imprenditore l’importo di un credito, dietro mandato al relativo incasso nell’ambito di un rapporto di conto corrente o di apertura di credito o di sconto bancario o di anticipazione salvo buon fine, non potrebbe ritenere quanto incassato invocando la compensazione tra il credito derivante dall’anticipazione e il debito restitutorio che trae titolo dall’incasso, giacché il primo verrebbe ad esistenza prima dell’apertura della procedura di concordato ed il secondo dopo, mentre la compensazione ex articolo 56 l.f., applicabile anche nel concordato preventivo, può operare solo quando entrambi i crediti siano venuti ad esistenza prima dell’apertura della procedura, pur se divengano esigibili successivamente a tale momento.

I Parte; II Parte

Parte III

Come si è avuto modo di anticipare (v. Le novità della riforma estiva (Decreto Legge 83/2015, convertito nella Legge 132/2015) in tema di contratti pendenti nel concordato preventivo, con particolare riferimento ai contratti bancari. Parte II), l’operatività del patto di compensazione si pone in stridente contrasto con il divieto di pagamento dei debiti anteriori in sede concordataria in quanto consente, in sostanza, la collocazione fuori concorso del credito della banca traente titolo dalle anticipazioni concesse al debitore concordatario in bonis: detto credito, difatti, può ridursi o estinguersi per effetto dell’incasso dei crediti del debitore che la banca è legittimata a riscuotere in virtù nel negozio di cessione o di mandato all’incasso. È stato correttamente rilevato che tale circostanza, pur lesiva della par condicio creditorum, potrebbe collimare con l’interesse dei creditori nelle ipotesi in cui il mantenimento del rapporto con l’istituto di credito sia funzionale alla realizzazione del piano concordatario e, quindi, al miglior soddisfacimento del loro interesse. Difatti, ove l’erogazione di liquidità da parte della banca abbia rilevanza strategica ai fini del buon esito della procedura concordataria in continuità aziendale -sia, cioè, essenziale alla prosecuzione dell’attività di impresa nonché funzionale alla realizzazione del piano concordatario e al miglior soddisfacimento degli altri creditori- si potrebbe scorgere la medesima ratio giustificativa della deroga al principio della cristallizzazione del patrimonio del debitore di cui all’articolo 182-quinquies comma 5, secondo cui “il debitore che presenta domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, anche ai sensi dell’articolo 161 sesto comma può chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a pagare crediti, anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali  ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”.

Tuttavia, i profili di analogia tra la previsione da ultimo citata e il modus operandi del patto di compensazione nell’ambito della procedura concordataria si risolvono in aspetti di natura esclusivamente fattuale atteso che la disciplina dettata dall’articolo 185-quinquies per il pagamento dei creditori cosiddetti “strategici” è estremamente rigorosa ed esige che l’atto dispositivo sia sottoposto al vaglio giudiziale e suffragato dall’attestazione del professionista. Tali requisiti, come si è avuto modo di notare, non sono richiesti ai fini della soddisfazione preferenziale del credito della banca, per la quale è sufficiente la sola anteriorità del patto di compensazione al deposito del riscorso. La diversità di trattamento si giustifica, verosimilmente, in virtù dell’esigenza di agevolare il mantenimento di rapporti che sono ritenuti, in via generale ed astratta -e, quindi, anche a prescindere dalle specificità del caso-, essenziali ai fini della realizzazione del piano concordatario e funzionali al miglior soddisfacimento dei debitori. Ciò nondimeno, è possibile -e di fatto frequente- che la banca che abbia percepito lo stato di difficoltà del proprio cliente sospenda l’erogazione e tenga in piedi il rapporto al fine esclusivo di rientrare dell’anticipazione tramite l’incasso dei crediti relativi ai titoli ancora a scadere, al di fuori del concorso con gli altri creditori. Proprio in tale ipotesi verrebbe in rilievo la necessità per il debitore di ricorrere all’applicazione dell’articolo 169-bis l.f. e, quindi, di domandare - al tribunale o, dopo il decreto di ammissione ex articolo 163 l.f., al giudice delegato - l’autorizzazione a sciogliersi dal contratto di anticipazione in corso alla data di presentazione della domanda quale possibile espediente al fine di paralizzare l’efficacia pregiudizievole del patto di compensazione sulla par condicio creditorum. In effetti, “la possibilità di evitare la prosecuzione a vantaggio della banca dell’operatività del patto di compensazione collegato ad un’operazione creditizia e di ripristinare il criterio della par condicio creditorum a tutela della consistenza della massa patrimoniale destinata dipende esclusivamente dalla scelta del debitore di porre termine al rapporto negoziale pendente, opzione che sarà frutto di ponderata comparazione tra vantaggi e svantaggi che ne conseguono” (v. Trib. Monza, 27 novembre 2013); ove il rapporto di anticipazione si sciolga, anche il patto di compensazione verrà meno e la banca sarà obbligata a riversare alla procedura le somme riscosse successivamente allo scioglimento del contratto.

Questo, quindi, il quadro di sintesi: nell’ambito della procedura concordataria, la regola rimane quella della ordinaria prosecuzione dei contratti pendenti, anche al fine di favorire la prosecuzione dell’attività ove sia stata presentata istanza di accesso al concordato in continuità; la preservazione del valore aziendale è rimessa alla discrezionalità del debitore, cui spetta la determinazione in ordine alla conformazione degli effetti della procedura sui contratti in esecuzione in ragione della strumentalità alla prosecuzione dell’attività. Siffatta facoltà tecnicamente costituisce un diritto potestativo il cui esercizio è, però, sottoposto al vaglio giudiziale, sicché “la possibilità di beneficiare, in deroga alla regola della prosecuzione dei rapporti in essere, del peculiare vantaggio di liberarsi dai contratti reputati economicamente pregiudizievoli si riconnette, tuttavia, all’onere posto a carico dell’imprenditore di attivarsi al fine di provocarne lo svincolo attraverso il meccanismo dell’autorizzazione da parte del tribunale allo scioglimento od alla sospensione dello specifico rapporto pendente” (Trib. Monza, 27 novembre 2013).

Siffatta impostazione, pur condivisibile nella misura in cui consente al debitore di scongiurare manovre “egoistiche” da parte delle banche, presenta non pochi tratti di asperità per ciò che concerne il raccordo con quanto disposto dall’articolo 169-bis l.f. ed, in particolare, la configurabilità della pendenza del rapporto nei casi concreti. In proposito, si rimanda a quanto detto supra in relazione al dibattito che ha diviso dottrina e giurisprudenza in merito alla possibilità di sciogliere i contratti di anticipazione bancaria anche laddove la banca abbia già adempiuto alla sua prestazione - l’erogazione del credito - in un’unica soluzione e, pertanto, il contratto non possa più ritenersi pendente ai sensi dell’articolo 169-bis l.f. A ben vedere, l’eventuale scioglimento di simili rapporti a seguito dell’anticipo si risolverebbe in una operazione di finanziamento del piano concordatario di dubbia legittimità, realizzata tramite l’indebita duplicazione delle erogazioni finanziarie a favore del debitore (alla liquidità anticipata dalla banca si aggiungerebbe quella ricavata dall’incasso dei crediti ceduti a garanzia dell’operazione).

Quale la linea da seguire, allora, al fine di evitare condotte di dubbia correttezza e/o legittimità sia da parte del debitore che della banca? 

La risposta al quesito richiede una riflessione sulla ratio sottesa al meccanismo disegnato dall’articolo 169-bis l.f. La disposizione mira a contemperare le esigenze della procedura di interruzione dei rapporti ritenuti pregiudizievoli o, quantomeno, privi di funzionalità per il miglior soddisfacimento dei creditori, con la tutela dell’affidamento del contraente in bonis, cui è riconosciuto un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento. A suggello del rispetto del generale canone di buona fede che deve conformare l’operato delle parti contraenti e, quindi, del carattere “equo” della soluzione è prevista la necessità del provvedimento giudiziale di autorizzazione allo scioglimento - o alla sospensione - del rapporto, con conseguente caducazione dei patti principali ed accessori assunti in precedenza. Siffatto bilanciamento, però, può essere in concreto considerato equo solo se l’effetto caducatorio sia reciproco, cioè se vi sia il contestuale venir meno anche dei vantaggi che sarebbero derivati dalla vigenza degli accordi contrattuali. Nella pratica, ciò può accadere ove alla stipula del contratto di anticipazione non sia ancora seguita l’effettiva corresponsione delle somme, oppure quando l’erogazione non avvenga una tantum, ma consti di tranches dilazionate nel tempo, come nei casi in cui il credito oggetto di anticipazione sia quello che derivi dall’esecuzione di un contratto (per esempio, nel campo delle opere pubbliche) che preveda una pluralità di scadenze per l’erogazione del corrispettivo. In entrambe le descritte ipotesi, difatti, pur se l’autorità giudiziaria autorizzasse lo scioglimento del rapporto, l’inesecuzione ovvero la solo parziale esecuzione della prestazione bancaria scongiurerebbe il rischio di un utilizzo abusivo del meccanismo disegnato dall’articolo 169-bis l.f. che miri, sostanzialmente, a finanziare la procedura concordataria tramite le entrate derivanti e dall’anticipazione e dall’incasso dei crediti posti a garanzia della stessa.

Naturalmente, potrà procedersi allo scioglimento del contratto anche nelle ipotesi in cui il finanziamento avvenga secondo modalità diverse dalla linea autoliquidante e ci si trovi, quindi, dinanzi ad operazioni a revoca o a scadenza. Ciò purché il rapporto conservi il sinallagma funzionale che, come si è avuto modo di vedere, costituisce il presupposto operativo del meccanismo previsto dall’articolo 169-bis l.f. Ciò significa che, ad esempio, un contratto di mutuo potrà effettivamente essere sciolto ove il mutuante non abbia provveduto ad erogare per intero la somma prima del deposito del ricorso di avvio della procedura, ma l’operazioni consti di rate dilazionate nel tempo. Solo in tale evenienza, difatti, quel contratto sarebbe ancora pendente, non così se il finanziamento fosse già stato ultimato.

Peraltro, nelle linee di credito che non siano autoliquidanti è tecnicamente impossibile contemplare meccanismi assimilabili al patto di compensazione che può accompagnare i contratti di anticipazione contro cessione di crediti o mandato all’incasso, giacché in tali ipotesi difetta la fonte di rimborso predeterminata che consente di elidere le partite di segno opposto all’erogazione. Ne consegue che nelle linee di credito a scadenza o a revoca, così come nelle linee autoliquidanti che non contemplino la clausola di annotazione ed elisione delle partite di segno opposto, qualsiasi corresponsione ad opera del debitore successiva all’avvio della procedura concordataria, pur relativa al pagamento di una rata scaduta anteriormente a tale momento, si infrangerebbe contro il divieto di pagamento dei debiti anteriori, obbligando la banca alla restituzione della somma alla procedura.

Al fine di meglio comprendere la questione, pare opportuno soffermarsi su quanto statuito dall’articolo 56 l.f., operante anche nella procedura di concordato preventivo in ragione del richiamo di cui all’articolo 169 l.f. La disposizione attribuisce ai creditori il diritto di compensare i loro crediti nei confronti del debitore proponente con eventuali posizioni debitorie verso il medesimo, pur se non sussistano tutti i requisiti che la disciplina ordinaria pone ai fini dell’operatività della compensazione ed, in particolare, pur se tali crediti non siano ancora esigibili al momento dell’avvio della procedura. Il carattere derogatorio dell’istituto in ambito concorsuale rileva anche secondo un ulteriore profilo: il meccanismo descritto dall’articolo 56 l.f., difatti, costituisce una visibile eccezione al principio della par condicio creditorum, in quanto consente la soddisfazione fuori concorso delle ragioni dei creditori che si trovino ad essere, contestualmente, debitori dell’istante. Secondo la giurisprudenza di legittimità la compensazione delle opposte ragioni di credito presuppone la preesistenza del momento genetico dei rispettivi crediti rispetto alla procedura concorsuale (cfr. Cass., n. 10548/2009). In tale prospettiva ermeneutica, l’istituto disegnato dall’articolo 56 l.f. rappresenta una deroga al concorso, a favore di soggetti che si trovino ad essere al contempo creditori e debitori del fallito, non rilevando il momento in cui l’effetto compensativo si produce e ferma restando l’esigenza dell’anteriorità del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte. Laddove l’erogazione finanziaria sia stata posta in essere tramite operazioni autoliquidanti di anticipazione contro cessione di crediti, per la verifica di legittimità della compensazione operata dalla banca rileva esclusivamente il dato temporale relativo al perfezionamento del negozio di cessione.

È proprio in virtù di tale considerazione che si giustifica l’assunto per cui, nelle operazioni auitoliquidanti che non contemplino il patto di compensazione, così come nelle linee di credito a revoca o a scadenza, eventuali pagamenti posti in essere dal proponente devono essere restituiti dalla banca alla procedura, pur se il relativo titolo sia anteriore. In tali ipotesi, difatti, non sussistono i presupposti giustificativi dell’operatività del regime derogatorio dettato dall’articolo 56 l.f., atteso che la banca è titolare, nei confronti del proponente, solo ed esclusivamente di una posizione di credito avente ad oggetto, la restituzione della somma erogata ovvero dei crediti riscossi in virtù del mandato all’incasso cui non sia stato affiancato il patto di compensazione o di cessione con mera funzione di garanzia. Si rammenti, in proposito, che il patto di compensazione costituisce il titolo dell’obbligo restitutorio in capo alla banca avente ad oggetto la differenza tra l’ammontare dei crediti del debitore riscossi e l’erogazione effettuata in favore di quest’ultimo, comprensiva di spese ed interessi e, per tale ragione, essendo anteriore all’avvio della procedura concordataria, consentirebbe l’operatività del meccanismo di compensazione di cui all’articolo 56 l.f. Ciò anche in considerazione della circostanza per cui tale pattuizione assume un peso decisivo nel complesso della regolamentazione contrattuale, talché la perdurante vigenza del contratto implica l’operatività di tale clausola ad esso inscindibilmente connessa (v. Trib. di Monza, 27 novembre 2013; Cass. n. 17999/2011, Cass. n. 7194/1997 e Cass. n. 6870/1994).

Tuttavia, non mancano opinioni di segno contrario. Secondo alcune pronunce di merito (Trib. di Verona, 31 agosto 2015; Trib. di Prato, 23 settembre 2015), nell’ipotesi in cui la banca, anteriormente all’avvio della procedura concorsuale, anticipi all’imprenditore l’importo di un credito, dietro mandato al relativo incasso nell’ambito di un rapporto di conto corrente o di apertura di credito o di sconto bancario o di anticipazione salvo buon fine, non potrebbe ritenere quanto incassato invocando la compensazione tra il credito derivante dall’anticipazione e il debito restitutorio che trae titolo dall’incasso, giacché il primo verrebbe ad esistenza prima dell’apertura della procedura di concordato ed il secondo dopo, mentre la compensazione ex articolo 56 l.f., applicabile anche nel concordato preventivo, può operare solo quando entrambi i crediti siano venuti ad esistenza prima dell’apertura della procedura, pur se divengano esigibili successivamente a tale momento.

I Parte; II Parte