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Sull’illegittimità costituzionale del divieto di soppressione embrionaria, aspetti relativi al processo simulato

Sull’illegittimità costituzionale del divieto di soppressione embrionaria, aspetti relativi al processo simulato
Sull’illegittimità costituzionale del divieto di soppressione embrionaria, aspetti relativi al processo simulato

Procreazione Medicalmente Assistita: attenuazione del divieto assoluto di selezione embrionaria della Legge 40/2004, argomenti della simulazione processuale tenutasi per la cattedra di diritto costituzionale avanzato del Professor Andrea Morrone dell’Università degli Studi di Bologna con il supporto del BMT in data 2 dicembre 2015

1. Nell’ambito del corso di diritto costituzionale avanzato tenuto dal Prof. Andrea Morrone dell’Università degli Studi di Bologna con il supporto del Bologna Moot Team si è svolta una simulazione di processo costituzionale avente ad oggetto la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Napoli con Ordinanza n.149 del 03.04.2014. Le parti composte da studenti selezionati sono state:

- Giudice a quo, coordinata dal Dott. Gianluca Marolda

- Avvocatura Generale dello Stato, coordinata dalla Dott.ssa Maria Mocchegiani

- Corte Costituzionale, presieduta dal Prof. Morrone e coordinata dalla Dott.ssa Sara Fabianelli

Nel giudizio a quo gli imputati erano accusati degli illeciti penali di produzione di embrioni per fini diversi da quelli previsti dalla Legge sulla Procreazione Medicalmente Assistita (Legge 19 Febbraio 2004, n.40), di selezione eugenetica e soppressione degli embrioni. Il Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di Napoli ha sollevato dunque questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 3, lettera b) e comma 4, e dell’ articolo 14, commi 1 e 6 della Legge n.40/2004 per presunta violazione degli articoli 2, 3, 32 della Costituzione e 117 comma 1 Costituzione, in relazione all’articolo 8 CEDU, nella parte in cui vietavano la selezione eugenetica e la soppressione degli embrioni, «senza alcuna eccezione», non facendo salva l’ipotesi in cui una tale condotta «sia finalizzata all’impianto nell’utero della donna dei soli embrioni non affetti da malattie genetiche o portatori sani di malattie genetiche».

2. Nella prima fase della simulazione Giudice a quo e Avvocatura Generale dello Stato hanno redatto rispettivamente una Memoria Integrativa dell’ordinanza n.149/2014 e una Memoria di Costituzione nell’interesse del Presidente del Consiglio dei Ministri, inviate all’attenzione della controparte e della Corte in data 15 Novembre 2015. 

Nel sopracitato documento il ricorrente ha in primo luogo argomentato in riferimento ai requisiti processuali: sulla rilevanza è stato evidenziato come, avendo gli imputati posto in essere le condotte di selezione e soppressione degli embrioni affetti da malattie genetiche, la previa risoluzione della questione di legittimità costituzionale degli stessi fosse necessaria ai fini della decisione della controversia. Sulla non manifesta infondatezza e interpretazione conforme, l’ordinanza di rimessione ha argomentato per relationem con precedente giurisprudenza costituzionale sulla Legge n.40/2004, portando all’attenzione della Corte le Sentenze 162/2014 e 151/2009 – entrambe aventi ad oggetto questioni riguardanti la tutela dell’embrione – e la recente Sentenza 96/2015 sull’accesso alla Diagnosi Genetica Preimpianto. 

La resistente Avvocatura Generale dello Stato ha eccepito la manifesta inammissibilità della questione, evidenziando in primo luogo l’eccessiva sinteticità argomentativa sul punto della rilevanza, posto che, peraltro, non risultavano immediatamente identificabili le condotte poste in essere dagli imputati con quelle di cui veniva chiesta salvezza nell’ordinanza di rimessione, cioè quelle di selezione e soppressione di embrioni affetti da malattie genetiche. In secondo luogo l’Avvocatura ha sottoposto alla Corte precedenti giurisprudenziali del Tribunale di Cagliari (Ordinanza 16.07.2005, n.5026), Tribunale di Catania (Ordinanza 3.05.2004, n.3498) e del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (Ordinanza 5.05.2005, n.3452) che proponevano soluzioni ermeneutiche a conferma dell’assolutezza del divieto di selezione, crioconservazione e soppressione degli embrioni, e dunque dimostrative di una possibile interpretazione costituzionalmente conforme delle disposizioni in esame.

3. La Corte, alla luce delle sopraesposte argomentazioni ha ritenuto la questione di legittimità degli articoli in oggetto rilevante, definendo la risoluzione del giudizio incidente “direttamente sull’esito del processo principale, determinando la condanna o l’assoluzione degli imputati”. Per quanto concerne invece il requisito dell’impossibilità di pervenire ad un’interpretazione conforme, se da un lato la Consulta ha riconosciuto le argomentazioni giuridiche proposte dal giudice a quo come non condivisibili – in quanto non pertinente il riferimento alla Legge n.194/1978, la quale, ad avviso del ricorrente, sarebbe stata preclusiva rispetto ad eventuali interpretazioni correttive dell’articolo 14 della Legge n.40/2004 – dall’altro ha comunque ritenuto, per quanto scarsamente motivata, “impossibile un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 13, comma 3, lett b) stante l’univoco tenore letterale della norma” e altresì “non praticabile [in ordine all’articolo 14, commi 1 e 6] un’interpretazione della norma conforme a Costituzione” stante l’assolutezza del divieto espresso dalla norma. 

4. Sul merito della questione, la parte ricorrente ha rilevato in primis la violazione dell’articolo 3 della Costituzione da parte dell’articolo 13, comma 3, lettera b) e comma 4, ritenendo manifestamente irragionevole la norma penale sanzionatoria del medico che procede alla selezione degli embrioni in seguito alla Diagnosi Genetica Preimpianto, essendo quest’ultima pratica autorizzata sul piano civile ed amministrativo nonché ritenuta accessibile anche alle coppie fertili portatrici di malattie geneticamente trasmissibili in seguito alla Sentenza n. 96/2015 della Corte Costituzionale.

Il giudice a quo ha rilevato anche l’articolo 14, commi 1 e 6, in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, ponendo a raffronto, da un lato la condotta del medico che opera la soppressione di embrioni in contrasto con le disposizioni oggetto di questo giudizio, dall’altro quella del medico che pratica l’aborto terapeutico autorizzato e disciplinato dalla Legge n.194/1978.  

Gli articoli in oggetto sono stati inoltre considerati non conformi con il combinato disposto degli articoli 3 e 32 della Costituzione, “in quanto il divieto penale assoluto non effettua un equo bilanciamento tra gli interessi in gioco (Sentenze n.96/2015, n.162/2014, n.151/2009)” ritenendo la soluzione degli articoli 13 e 14 eccessivamente afflittiva del diritto alla salute della donna.

Rispetto a tali argomentazioni l’Avvocatura Generale dello Stato ha opposto le seguenti eccezioni: è stato evidenziato come, nell’ottica della parte resistente, non fossero in alcun modo comparabili – sia per i beni giuridici tutelati che per le peculiarità tecniche – l’aborto terapeutico con la pratica di soppressione degli embrioni affetti da malattie genetiche. Nel primo caso infatti viene considerata di primaria importanza la salute della donna, a tutela della quale si autorizza la pratica dell’aborto terapeutico, invasiva dal punto di vista sia fisico che psicologico; mentre nel secondo caso – essendo la PMA una pratica volontaria e l’embrione fisicamente esterno al corpo della donna e dunque più facilmente oggetto di abusi – si ritiene necessaria una forte tutela della salute dello stesso, non ottenibile attraverso un bilanciamento diverso rispetto a quello già posto in essere dal legislatore, ragionevolmente sanzionatorio di ogni pratica di selezione, soppressione o crioconservazione degli embrioni.

5. Il Giudice ricorrente ha inoltre rilevato un presunto contrasto degli articoli in oggetto con gli articoli 2 e 117 comma 1 della Costituzione, quest’ultimo in riferimento all’articolo 8 CEDU ( rispetto della vita privata e famigliare). L’ordinanza argomenta dunque facendo ampio riferimento al caso Costa e Pavan contro Italia deciso dalla Corte EDU il 28.08.2012, nel quale si ritiene “che la richiesta dei ricorrenti di poter accedere alla PMA e alla diagnosi preimpianto per avere un figlio non affetto dalle malattie genetiche di cui i genitori sono portatori, costituisca una forma di espressione del loro diritto alla vita privata e famigliare”. Alla luce di questa sentenza la parte ricorrente ha ritenuto violato anche il diritto all’autodeterminazione della coppia ex articolo 2 della Costituzione.

In opposizione alle sopraesposte argomentazioni L’Avvocatura Generale dello Stato si è soffermata sull’evoluzione contenutistica del diritto all’autodeterminazione, specialmente con riferimento ai recenti sviluppi in ambito scientifico-medico e ai rischi conseguenti una lettura dello stesso – come proposta dal giudice a quo – per la quale si tende a configurare un diritto soggettivo ogni qual volta vi sia l’accessibilità dello stesso attraverso sviluppi scientifici.

Successivamente, con riferimento alla presunta violazione dell’articolo 8 CEDU, la parte resistente ha portato all’attenzione della Corte il caso SH contro Austria, deciso dalla Grand Chambre il 03.11.2011. La questione, avente ad oggetto l’Austrian Artificial Procreation Act, è stata ricondotta  nell’alveo del “margine di libero apprezzamento statale” dimostrandosi un precedente rilevante al fine di considerare la Legge n. 40/2004 rientrante nel perimetro di discrezionalità decisoria del legislatore italiano e dunque non in contrasto con l’articolo 8 CEDU.

6. La simulazione processuale ha dunque visto una seconda fase di udienza pubblica nella quale, dopo l’esposizione delle contrapposte argomentazioni da parte di Giudice a quo ed Avvocatura Generale dello Stato, la Corte Costituzionale ha esposto la propria sentenza accompagnata da due opinioni dissenzienti.

La questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 3, lett b) e comma 4 è stata dichiarata fondata in relazione agli articoli 3 e 32 della Costituzione,  accogliendo il riferimento del giudice a quo alla Sentenza n.96/2015, con cui la Corte ha dato accesso alla Diagnosi Genetica Preimpianto e Procreazione Medicalmente Assistita alle coppie fertili portatrici di malattie geneticamente trasmissibili, “estendendo la ratio della Legge n. 40/2004, facendovi rientrare anche la tutela della possibilità concreta di tali coppie di concepire un figlio sano”. La Corte ha dunque ritenuto il divieto assoluto di selezioneprivo di ragionevolezza, nella misura in cui vanifica il diritto all’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, rendendo tale diritto ineffettivo” e ravvisando una “violazione del principio di non contraddizione intra legem”.

La Corte ha invece dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14, commi 1 e 6, sposando nella motivazione parte delle argomentazioni proposte dall’Avvocatura Generale dello Stato. In relazione alla presunta violazione dell’articolo 3 della Costituzione la condotta dell’operatore sanitario che pratica l’aborto terapeutico ai sensi della legge n.194/1978 è stata ritenuta “non assimilabile alla condotta del medico che procede alla soppressione degli embrioni, in considerazione della diversità di beni giuridici che vengono in rilievo” e con riferimento al contrasto con l’articolo 32 della Costituzione, la Corte ha considerato “manifesta l’assenza di un danno alla salute della donna [..] qualora la legge vieti la soppressione degli embrioni che risultino malati”, operando tale divietoin un momento successivo al soddisfacimento della volontà della coppia di concepire un figlio sano – ora possibile con la caducazione del divieto di selezione eugenetica pronunciata da questa Corte”.

La questione proposta con riferimento all’articolo 2 (diritto all’autodeterminazione)  e 117 comma 1 comma (rispetto della vita privata e familiare in rinvio all’ articolo 8 CEDU) della Costituzione, è stata ritenuta assorbita dalle motivazioni precedenti.

La Corte ha infine previsto, attraverso un monito, la destinazione degli embrioni scartati e non soppressi alla ricerca clinica e sperimentale con finalità terapeutiche e diagnostiche.

7. La simulazione di processo costituzionale sull’ordinanza n.149/2014 ha dunque visto un esito sovrapponibile con quanto deciso sulla questione dalla Consulta nella Sentenza n.229 del 21 Ottobre 2015: nell’ambito della Procreazione Medicalmente Assistita è ora lecito selezionare gli embrioni al fine di evitare l’impianto dei soli affetti da malattie genetiche rispondenti ai criteri di gravità di cui all’articolo 6, comma 1, lettera b), della Legge 22 Maggio 1978, n.194; resta invece assoluto il divieto di soppressione degli embrioni, dovendo dunque destinare alla crioconservazione quelli non idonei all’impianto.

Procreazione Medicalmente Assistita: attenuazione del divieto assoluto di selezione embrionaria della Legge 40/2004, argomenti della simulazione processuale tenutasi per la cattedra di diritto costituzionale avanzato del Professor Andrea Morrone dell’Università degli Studi di Bologna con il supporto del BMT in data 2 dicembre 2015

1. Nell’ambito del corso di diritto costituzionale avanzato tenuto dal Prof. Andrea Morrone dell’Università degli Studi di Bologna con il supporto del Bologna Moot Team si è svolta una simulazione di processo costituzionale avente ad oggetto la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Napoli con Ordinanza n.149 del 03.04.2014. Le parti composte da studenti selezionati sono state:

- Giudice a quo, coordinata dal Dott. Gianluca Marolda

- Avvocatura Generale dello Stato, coordinata dalla Dott.ssa Maria Mocchegiani

- Corte Costituzionale, presieduta dal Prof. Morrone e coordinata dalla Dott.ssa Sara Fabianelli

Nel giudizio a quo gli imputati erano accusati degli illeciti penali di produzione di embrioni per fini diversi da quelli previsti dalla Legge sulla Procreazione Medicalmente Assistita (Legge 19 Febbraio 2004, n.40), di selezione eugenetica e soppressione degli embrioni. Il Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di Napoli ha sollevato dunque questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 3, lettera b) e comma 4, e dell’ articolo 14, commi 1 e 6 della Legge n.40/2004 per presunta violazione degli articoli 2, 3, 32 della Costituzione e 117 comma 1 Costituzione, in relazione all’articolo 8 CEDU, nella parte in cui vietavano la selezione eugenetica e la soppressione degli embrioni, «senza alcuna eccezione», non facendo salva l’ipotesi in cui una tale condotta «sia finalizzata all’impianto nell’utero della donna dei soli embrioni non affetti da malattie genetiche o portatori sani di malattie genetiche».

2. Nella prima fase della simulazione Giudice a quo e Avvocatura Generale dello Stato hanno redatto rispettivamente una Memoria Integrativa dell’ordinanza n.149/2014 e una Memoria di Costituzione nell’interesse del Presidente del Consiglio dei Ministri, inviate all’attenzione della controparte e della Corte in data 15 Novembre 2015. 

Nel sopracitato documento il ricorrente ha in primo luogo argomentato in riferimento ai requisiti processuali: sulla rilevanza è stato evidenziato come, avendo gli imputati posto in essere le condotte di selezione e soppressione degli embrioni affetti da malattie genetiche, la previa risoluzione della questione di legittimità costituzionale degli stessi fosse necessaria ai fini della decisione della controversia. Sulla non manifesta infondatezza e interpretazione conforme, l’ordinanza di rimessione ha argomentato per relationem con precedente giurisprudenza costituzionale sulla Legge n.40/2004, portando all’attenzione della Corte le Sentenze 162/2014 e 151/2009 – entrambe aventi ad oggetto questioni riguardanti la tutela dell’embrione – e la recente Sentenza 96/2015 sull’accesso alla Diagnosi Genetica Preimpianto. 

La resistente Avvocatura Generale dello Stato ha eccepito la manifesta inammissibilità della questione, evidenziando in primo luogo l’eccessiva sinteticità argomentativa sul punto della rilevanza, posto che, peraltro, non risultavano immediatamente identificabili le condotte poste in essere dagli imputati con quelle di cui veniva chiesta salvezza nell’ordinanza di rimessione, cioè quelle di selezione e soppressione di embrioni affetti da malattie genetiche. In secondo luogo l’Avvocatura ha sottoposto alla Corte precedenti giurisprudenziali del Tribunale di Cagliari (Ordinanza 16.07.2005, n.5026), Tribunale di Catania (Ordinanza 3.05.2004, n.3498) e del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (Ordinanza 5.05.2005, n.3452) che proponevano soluzioni ermeneutiche a conferma dell’assolutezza del divieto di selezione, crioconservazione e soppressione degli embrioni, e dunque dimostrative di una possibile interpretazione costituzionalmente conforme delle disposizioni in esame.

3. La Corte, alla luce delle sopraesposte argomentazioni ha ritenuto la questione di legittimità degli articoli in oggetto rilevante, definendo la risoluzione del giudizio incidente “direttamente sull’esito del processo principale, determinando la condanna o l’assoluzione degli imputati”. Per quanto concerne invece il requisito dell’impossibilità di pervenire ad un’interpretazione conforme, se da un lato la Consulta ha riconosciuto le argomentazioni giuridiche proposte dal giudice a quo come non condivisibili – in quanto non pertinente il riferimento alla Legge n.194/1978, la quale, ad avviso del ricorrente, sarebbe stata preclusiva rispetto ad eventuali interpretazioni correttive dell’articolo 14 della Legge n.40/2004 – dall’altro ha comunque ritenuto, per quanto scarsamente motivata, “impossibile un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 13, comma 3, lett b) stante l’univoco tenore letterale della norma” e altresì “non praticabile [in ordine all’articolo 14, commi 1 e 6] un’interpretazione della norma conforme a Costituzione” stante l’assolutezza del divieto espresso dalla norma. 

4. Sul merito della questione, la parte ricorrente ha rilevato in primis la violazione dell’articolo 3 della Costituzione da parte dell’articolo 13, comma 3, lettera b) e comma 4, ritenendo manifestamente irragionevole la norma penale sanzionatoria del medico che procede alla selezione degli embrioni in seguito alla Diagnosi Genetica Preimpianto, essendo quest’ultima pratica autorizzata sul piano civile ed amministrativo nonché ritenuta accessibile anche alle coppie fertili portatrici di malattie geneticamente trasmissibili in seguito alla Sentenza n. 96/2015 della Corte Costituzionale.

Il giudice a quo ha rilevato anche l’articolo 14, commi 1 e 6, in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, ponendo a raffronto, da un lato la condotta del medico che opera la soppressione di embrioni in contrasto con le disposizioni oggetto di questo giudizio, dall’altro quella del medico che pratica l’aborto terapeutico autorizzato e disciplinato dalla Legge n.194/1978.  

Gli articoli in oggetto sono stati inoltre considerati non conformi con il combinato disposto degli articoli 3 e 32 della Costituzione, “in quanto il divieto penale assoluto non effettua un equo bilanciamento tra gli interessi in gioco (Sentenze n.96/2015, n.162/2014, n.151/2009)” ritenendo la soluzione degli articoli 13 e 14 eccessivamente afflittiva del diritto alla salute della donna.

Rispetto a tali argomentazioni l’Avvocatura Generale dello Stato ha opposto le seguenti eccezioni: è stato evidenziato come, nell’ottica della parte resistente, non fossero in alcun modo comparabili – sia per i beni giuridici tutelati che per le peculiarità tecniche – l’aborto terapeutico con la pratica di soppressione degli embrioni affetti da malattie genetiche. Nel primo caso infatti viene considerata di primaria importanza la salute della donna, a tutela della quale si autorizza la pratica dell’aborto terapeutico, invasiva dal punto di vista sia fisico che psicologico; mentre nel secondo caso – essendo la PMA una pratica volontaria e l’embrione fisicamente esterno al corpo della donna e dunque più facilmente oggetto di abusi – si ritiene necessaria una forte tutela della salute dello stesso, non ottenibile attraverso un bilanciamento diverso rispetto a quello già posto in essere dal legislatore, ragionevolmente sanzionatorio di ogni pratica di selezione, soppressione o crioconservazione degli embrioni.

5. Il Giudice ricorrente ha inoltre rilevato un presunto contrasto degli articoli in oggetto con gli articoli 2 e 117 comma 1 della Costituzione, quest’ultimo in riferimento all’articolo 8 CEDU ( rispetto della vita privata e famigliare). L’ordinanza argomenta dunque facendo ampio riferimento al caso Costa e Pavan contro Italia deciso dalla Corte EDU il 28.08.2012, nel quale si ritiene “che la richiesta dei ricorrenti di poter accedere alla PMA e alla diagnosi preimpianto per avere un figlio non affetto dalle malattie genetiche di cui i genitori sono portatori, costituisca una forma di espressione del loro diritto alla vita privata e famigliare”. Alla luce di questa sentenza la parte ricorrente ha ritenuto violato anche il diritto all’autodeterminazione della coppia ex articolo 2 della Costituzione.

In opposizione alle sopraesposte argomentazioni L’Avvocatura Generale dello Stato si è soffermata sull’evoluzione contenutistica del diritto all’autodeterminazione, specialmente con riferimento ai recenti sviluppi in ambito scientifico-medico e ai rischi conseguenti una lettura dello stesso – come proposta dal giudice a quo – per la quale si tende a configurare un diritto soggettivo ogni qual volta vi sia l’accessibilità dello stesso attraverso sviluppi scientifici.

Successivamente, con riferimento alla presunta violazione dell’articolo 8 CEDU, la parte resistente ha portato all’attenzione della Corte il caso SH contro Austria, deciso dalla Grand Chambre il 03.11.2011. La questione, avente ad oggetto l’Austrian Artificial Procreation Act, è stata ricondotta  nell’alveo del “margine di libero apprezzamento statale” dimostrandosi un precedente rilevante al fine di considerare la Legge n. 40/2004 rientrante nel perimetro di discrezionalità decisoria del legislatore italiano e dunque non in contrasto con l’articolo 8 CEDU.

6. La simulazione processuale ha dunque visto una seconda fase di udienza pubblica nella quale, dopo l’esposizione delle contrapposte argomentazioni da parte di Giudice a quo ed Avvocatura Generale dello Stato, la Corte Costituzionale ha esposto la propria sentenza accompagnata da due opinioni dissenzienti.

La questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 3, lett b) e comma 4 è stata dichiarata fondata in relazione agli articoli 3 e 32 della Costituzione,  accogliendo il riferimento del giudice a quo alla Sentenza n.96/2015, con cui la Corte ha dato accesso alla Diagnosi Genetica Preimpianto e Procreazione Medicalmente Assistita alle coppie fertili portatrici di malattie geneticamente trasmissibili, “estendendo la ratio della Legge n. 40/2004, facendovi rientrare anche la tutela della possibilità concreta di tali coppie di concepire un figlio sano”. La Corte ha dunque ritenuto il divieto assoluto di selezioneprivo di ragionevolezza, nella misura in cui vanifica il diritto all’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, rendendo tale diritto ineffettivo” e ravvisando una “violazione del principio di non contraddizione intra legem”.

La Corte ha invece dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14, commi 1 e 6, sposando nella motivazione parte delle argomentazioni proposte dall’Avvocatura Generale dello Stato. In relazione alla presunta violazione dell’articolo 3 della Costituzione la condotta dell’operatore sanitario che pratica l’aborto terapeutico ai sensi della legge n.194/1978 è stata ritenuta “non assimilabile alla condotta del medico che procede alla soppressione degli embrioni, in considerazione della diversità di beni giuridici che vengono in rilievo” e con riferimento al contrasto con l’articolo 32 della Costituzione, la Corte ha considerato “manifesta l’assenza di un danno alla salute della donna [..] qualora la legge vieti la soppressione degli embrioni che risultino malati”, operando tale divietoin un momento successivo al soddisfacimento della volontà della coppia di concepire un figlio sano – ora possibile con la caducazione del divieto di selezione eugenetica pronunciata da questa Corte”.

La questione proposta con riferimento all’articolo 2 (diritto all’autodeterminazione)  e 117 comma 1 comma (rispetto della vita privata e familiare in rinvio all’ articolo 8 CEDU) della Costituzione, è stata ritenuta assorbita dalle motivazioni precedenti.

La Corte ha infine previsto, attraverso un monito, la destinazione degli embrioni scartati e non soppressi alla ricerca clinica e sperimentale con finalità terapeutiche e diagnostiche.

7. La simulazione di processo costituzionale sull’ordinanza n.149/2014 ha dunque visto un esito sovrapponibile con quanto deciso sulla questione dalla Consulta nella Sentenza n.229 del 21 Ottobre 2015: nell’ambito della Procreazione Medicalmente Assistita è ora lecito selezionare gli embrioni al fine di evitare l’impianto dei soli affetti da malattie genetiche rispondenti ai criteri di gravità di cui all’articolo 6, comma 1, lettera b), della Legge 22 Maggio 1978, n.194; resta invece assoluto il divieto di soppressione degli embrioni, dovendo dunque destinare alla crioconservazione quelli non idonei all’impianto.