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I costi regolatori per le imprese: P.A. e oneri amministrativi

I costi regolatori per le imprese: P.A. e oneri amministrativi
I costi regolatori per le imprese: P.A. e oneri amministrativi

Durante periodi di forte crisi economica e in presenza di vincoli che frenano fortemente il ricorso a mezzi diretti per sostenere i mercati, è essenziale soffermarsi su come l’eccessivo carico burocratico comporti, senza dubbio, uno svantaggio competitivo molto rilevante, soprattutto in relazione all’accesso ai servizi pubblici per i cittadini e per le imprese[1]. Indubbiamente una misurazione, in termini giuridici, della mole burocratica può rivelarsi utile non solo in termini di analisi delle politiche pubbliche in merito, ma anche per interventi di riduzione della medesima. Seguendo una programmazione che si basi su selettività delle norme, dialogo con gli stakeholders, trasparenza ed efficacia degli interventi legislativi, è possibile implementare il sistema dei costi regolatori a carico delle imprese e isolare quei nodi sui quali è necessario ricorrere a semplificazioni o ad eliminazioni, nel rispetto degli interessi pubblici e privati. Con la legge n. 35 del 2012 viene introdotta in Italia una misurazione degli oneri amministrativi ex ante, con la quale si è tentato di ridurre gli obblighi informativi per le imprese ma che non prendeva in considerazione tutti i costi che intervengono nella formazione e nella relativa crescita di una realtà imprenditoriale. Manca, dunque, un’attenzione globale alla somma tra costi amministrativi e agli oneri regolatori, e al loro inevitabile incrocio con la durata dei procedimenti, incognita legale spesso ignota, che produce incertezze e ritardi, affrontata in maniera efficiente solo in pochi casi o per lassi temporali molto brevi. Nel caso italiano, inoltre, non solo le misure da adottare devono necessariamente essere sistematiche (riassettare cioè ex novo le normative, a favore delle imprese, a livello macro), ma anche coordinate con i diversi livelli (micro) di governo (data l’attuale ripartizione di competenze legislative ed amministrative statali e regionali), onde scongiurare il rischio, ormai costante, di produrre interventi destinati ad avere effetti marginali, coinvolgendo, dunque, oltre agli attori istituzionali, anche quelli esterni alle P.A., aspetto, quest’ultimo, che può essere produttivo di effetti concreti per generare un vero e proprio cambiamento nella disciplina. L’individuazione di best practices e di principi validi a sostegno di una funzionale metodologia di misurazione degli oneri amministrativi e regolatori per le imprese devono partire, prima facie, dallo studio ex ante ed ex post dei possibili risparmi ricavabili da interventi di semplificazione normativa, percorso sicuramente più agevole ed agibile, in un paesaggio legislativo impervio e pieno di ostacoli sulla disciplina in merito. Ci aiuta, in questa direzione, la stessa definizione di costi regolatori per i quali “si intendono i costi sostenuti dai destinatari di una norma nell’intraprendere le azioni necessarie ad adeguare la propria attività o i propri prodotti agli adempimenti imposti […] anche misure che hanno la finalità di indurre cambiamenti nel comportamento dei soggetti destinatari, ad esempio attraverso la concessione di incentivi, aiuti, o trasferimenti statali, sono considerate obblighi regolatori nella misura in cui possono essere considerati imprescindibili per operare in determinati settori e comportano direttamente costi e spese per i destinatari della regolazione”[2]. A parere dello scrivente, è utile, in tema di semplificazione e di accesso ai pubblici servizi per le imprese, partire dall’analisi empirica delle varie voci di costo che contribuiscono alla formazione degli oneri burocratici/regolatori a carico dell’imprenditorialità italiana: i costi “fiscali” (ovvero i trasferimenti monetari alla P.A., principalmente per imposte, bolli, diritti ecc.), i costi “indiretti” (che incidono sui mercati e sui modelli di consumo) e i costi di “adeguamento” (che a loro volta possono essere suddivisi in 1. “costi di conformità sostanziale”, sostenuti dalle imprese per adeguare la propria attività ai precetti normativi; 2. “costi amministrativi”, che stabiliscono, imperativamente, tutti gli obblighi informativi e documentali a carico dell’attività imprenditoriale, come richieste di autorizzazioni, permessi e licenze, notifiche e relazioni sullo svolgimento dei lavori d’impresa; 3. “costi determinati dai ritardi delle pubbliche amministrazioni”, gravame che spesso incide fortemente sui piani finanziari imprenditoriali, minandone spesso la convenienza economica). Oltre a questi, per un completo quadro descrittivo, vanno citati i c.d. “costi opportunità” (ovvero l’investimento economico che l’impresa deve realizzare per rispettare gli adempimenti legislativi, piuttosto che dedicarlo in attività più redditizie) e gli “irritational costs”, legati alla negativa percezione, degli adempimenti suddetti, da parte dell’imprenditore, fuori dalla logica del business as usual costs. Grazie all’analisi delle singole voci, alle loro connessioni e impatti sulle imprese, è possibile una prima scrematura normativa all’interno del mare magnum legislativo, individuando le variabili su cui è necessario soffermare l’attenzione giuridica, a seconda, dunque, delle criticità che possono riscontrarsi sui vari tipi di costi elencati. Strumenti come il confronto e la consultazione con gli stakeholders (destinatari della regolazione), le rilevazioni, a campioni, maggiormente rappresentative e surveys focalizzati, possono essere di aiuto alla compilazione, parallelamente o contestualmente ai processi decisionali delle P.A. e dell’azione politica, di documenti programmatici e di relativi indicatori, quantitativi e qualitativi, in grado di supportare l’amministrazione e di evidenziare le principali criticità dei procedimenti a carico dell’impresa, definendo, in parte, alcuni ambiti dove già sia possibile operare una semplificazione burocratica. Si tratta, rigorosamente, di approcci multi livello, giustificati dalle fortissime connessioni tra disposizioni contenute in diverse fonti normative, circa la spinosa disciplina che regola l’attività imprenditoriale italiana. D’altronde sarebbe inopportuno, data la complessità della materia, procedere alla valutazione di singoli atti o procedimenti (valutazione che può essere giustificata solo per l’ampiezza della norma per la relativa complessità giuridica, fattori che impedirebbero un’analisi congiunta con ulteriori disposizioni): bypassare, dunque, i corpus normativi attraverso una selezione delle norme, legate l’una all’altra, che comportano maggiori oneri per le imprese o che presentano un grado di “irritazione” particolarmente elevato. Uno studio, mirato, che riesca a leggere la normativa europea, statale e regionale in senso sia verticale che orizzontale, concentrando le risorse disponibili sulle leggi suscettibili di modificazioni, in particolar modo su quei precetti giuridici che attuano, a livello micro, quanto stabilito a livello macro (dallo Stato), e che comportano oneri aggiuntivi per l’attività imprenditoriale[3]. È necessario specificare che i costi regolatori, come previsto dalla legge, devono senz’altro adeguarsi al tipo di regolazione che si vuole disciplinare, la quale varia a seconda delle categorie di impresa: si pensi, ad esempio, alle regolazioni nell’uso di risorse ambientali o edilizie (nelle quali, oltre alla tutela dei beni ambientali, devono essere ben bilanciati gli oneri di conformità a carico delle imprese); le regolazioni in materia di lavoro, di salute, sicurezza e trasporto; le regolazioni sull’avvio e sul funzionamento dell’impresa (spesso invasive e restrittive, generando indirette barriere all’ingresso per i neo imprenditori); le regolazioni sociali. Sulla base di questi modelli regolatori, può essere stilata una scala di priorità per la selezione degli ambiti di intervento legislativo, volto a snellire e semplificare l’accesso al mondo dell’impresa e l’ulteriore sviluppo della medesima: l’eliminazione di quelle misure complesse, ripetitive e onerose può contribuire allo snellimento degli oneri burocratici, il quale, a sua volta, può produrre, in potenza, un elevato numero di vantaggi in termini di semplificazione amministrativa e benefici, soprattutto per quelle imprese che perseguono obiettivi sociali o di interesse pubblico. Ai fini dell’analisi, dunque, è certamente opportuno sottolineare l’importanza di una valutazione non solo ex ante (che segue l’iter normativo, stimando ma non riducendo gli oneri per le imprese imposti dalla regolazione) ma anche ex post, che si soffermi, invece, sullo stock di regolazioni vigenti, con lo scopo di smaltire il carico dei costi esistenti. La mappatura degli obblighi regolatori, sia di informazione che economici e di conformità, può costituire un valido strumento per la catalogazione, l’analisi e l’approfondimento degli adempimenti che l’impresa deve sostenere e rispettare, sia nell’espletamento dell’attività squisitamente imprenditoriale che nei rapporti con le pubbliche amministrazioni: un modello di mappatura standard, che indichi, principalmente, gli adempimenti richiesti con una frequenza maggiore, secondo la normativa in vigore. Questo per garantire un certo grado di omogeneità e di comparazione degli output relativi alla misurazione dei costi regolatori (secondo quanto previsto dal manuale internazionale, in materia, tandard ost Model)[4]. Dall’intersezione dei vari aspetti economici e non, elencati ed analizzati finora, è possibile elaborare una prima struttura contenente le principali tipologie di obblighi per le imprese (principalmente di conformità sostanziale alla normativa) che possono esplicarsi in tal senso: adeguamento del processo produttivo; di risorse interne; di procedure interne; misure di vigilanza[5]. Per ognuno di questi, può essere strutturata una rilevazione dei costi che scaturiscono dagli obblighi legislativi a carico dell’attività d’impresa. Ulteriori strumenti, a supporto delle misurazioni degli oneri amministrativi, sono i c.d. “focus PMI”, indagini trasversali dei costi regolatori che non si focalizzano sulle aree di regolazione, bensì sulle congiunzioni tra gli adempimenti dell’impresa, dalle quali è possibile ricavare i costi cumulativi a carico dell’attività imprenditoriale: l’obiettivo è quello, attraverso osservazioni in loco, di provvedere ad una strutturata raccolta di informazioni “dal punto di vista dell’impresa” (non “verticalmente”, come nei casi precedenti), e che produca, dunque, un grandangolo sugli obblighi imprenditoriali che generano eccessivo gravame[6]. È importante sottolineare, prima di procedere alla descrizione normativa e giuridica della disciplina vigente per le imprese, come la durata complessiva dei processi burocratici risulti, nella maggior parte dei casi, un aspetto decisamente “irritante” per molti imprenditori o per chi, soprattutto i giovani, voglia avviare un esercizio imprenditoriale. Spesso gli stessi costi dei procedimenti amministrativi sono legati alla loro durata: e la durata complessiva di tali iter della P.A. è diversa, inoltre, dal termine eventualmente previsto per la loro conclusione (quest’ultimo può essere sia stabilito da una previsione legislativa sia essere figlio di uno standard che, volontariamente, la P.A. decide di darsi, a prescindere dall’esistenza di un vincolo giuridico). Entrambe (durata complessiva e termine di conclusione) possono essere disattese dalle pubbliche amministrazioni, fatta eccezione per i c.d. “tempi insopprimibili”, dipendenti dagli input di attivazione di una determinata procedura amministrativa oppure dagli output finali, disciplinati da una determinata norma. Il problema può essere affrontato scomponendo le varie fasi dei procedimenti e testando le tempistiche relative ad ognuno, valutando i tempi intermedi risultanti e procedendo ad una semplificazione o agevolazione di quelli suscettibili di modifica. Tema di grande attualità, che si riscontra ormai in tutte le politiche pubbliche di lungo periodo, è quello dell’informatizzazione delle procedure amministrative, metodologia che consente l’abbattimento delle tempistiche burocratiche, consentendo un accesso alla P.A. molto più agile e snello, anche per i neofiti, scongiurando il ricorso a figure esterne (le quali prevedono un discreto incremento dei costi necessari all’attività imprenditoriale). Nonostante le notevoli potenzialità della digitalizzazione online dei procedimenti, la suddetta metodologia, come si analizzerà in seguito, non trova ancora piena affermazione all’interno del panorama giuridico e amministrativo italiano, mancando, spesso, o il protocollo informatico della pubblica amministrazione oppure la “fiducia”, nel servizio, dei possibili utenti interessati all’apertura di un’attività imprenditoriale o per comunicazioni documentali. Indubbiamente la via della semplificazione amministrativa resta la più percorribile, evidenziando, comunque, che l’entità dei costi regolatori, dove particolarmente elevati, può essere giustificata solo dai fini che il legislatore intende perseguire: laddove prescrizioni molto severe sono previste per la tutela di un determinato interesse pubblico, gli oneri che ne scaturiscono sono necessari, e i destinatari della regolazione normativa devono rispettarne la difesa legislativa (si pensi, ad esempio, a tematiche molto delicate come la tutela dell’ambiente, del territorio o del mare, dove l’imposizione di standard produttivi costosi non può essere giudicata “eccessiva”, perché funzionale alla preservazione di un superiore bene pubblico). La sfida, dunque, non consiste nel quantificare l’adeguatezza dei costi a carico delle imprese, bensì nella corretta e certosina verifica di soluzioni, ove possibile, meno onerose per i destinatari, misurando con attenzione la proporzionalità normativa rispetto a costi ed utenti finali, escludendo possibili, a volte inevitabili, giudizi di valore. Se le variabili di costo e durata procedimentale possono essere misurate, al fine di un bilanciamento più equo, il discorso cambia per fattori come la coerenza delle leggi, la loro chiarezza e il loro grado di attuazione: un ulteriore ostacolo che si pone dinanzi all’imprenditore è, infatti, l’esistenza di un insieme regolatorio particolarmente disomogeneo, all’interno del quale le norme non comunicano, producendo concatenazioni giuridiche contraddittorie, su tutti i livelli di governo, che rendono difficoltoso l’accesso e il corretto svolgimento all’attività di impresa. L’inefficacia generata dalle sovrapposizioni normative agisce anche sul grado di conoscenza degli adempimenti medesimi, sia da parte dei destinatari che delle P.A. coinvolte. Manca, in merito al quadro giuridico italiano, un valido ed efficiente sistema di controllo e monitoraggio delle disposizioni di legge, che fornisca una mappatura completa sulla materia e ne abbatta le inutili duplicazioni. È auspicabile, in futuro, un intervento più efficace, penetrante e coerente del legislatore.

[1] Per approfondimenti circa i limiti alla competitività del carico burocratico, relativamente al caso italiano, si veda Doing Business Report 2014, The World Bank Institute.

[2] Formez, Progetto “Semplifica Italia”. Cantieri reginali per la semplificazione: linee guida per la misurazione di oneri regolatori e tempi, p. 5, 2014.

[3] In merito, si rimanda al c.d. gold plating.

[4] Una prima classificazione degli adempimenti a carico delle imprese è stata stilata dalle “Linee guida per l’individuazione degli oneri informativi introdotti o eliminati e per la stima dei relativi costi amministrativi”, allegato A al d.p.c.m. 25 gennaio 2013, recante “Criteri per l’effettuazione della stima dei costi amministrativi di cui al comma 5 -bis dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, ai sensi del comma 3, dell’art. 6 della legge 11 novembre 2011, n. 180”. Si tratta di un’elencazione delle comunicazioni/dichiarazioni delle imprese alla P.A. (dichiarazione o segnalazione certificata di inizio o modifica dell’attività; rapporto periodico), delle domande alla pubblica amministrazione (domande di autorizzazione, concessione, permesso o nulla osta; domande di parere, di sussidio, sovvenzione, esenzione e accesso ai servizi), della documentazione da conservare (certificazioni o attestazioni), delle informazioni da fornire agli eventuali consumatori.

[5] Oneri che possono essere ricorrenti oppure una tantum, e che, in merito, possono essere così riportati: costi di adeguamento di impianti e macchinari al fine di rispettare gli standard di legge previsti; adeguamento delle scorte; utilizzo di figure professionali interne/esterne per ottemperare agli obblighi imposti; formazione del personale;
previsione di misure organizzative o di monitoraggio; obblighi relativi ai pagamenti di tasse, diritti ecc. (Formez, Progetto “Semplifica Italia”. Cantieri reginali per la semplificazione: linee guida per la misurazione di oneri regolatori e tempi, p. 21, 2014).

[6] Attraverso l’utilizzo dei focus PMI è, teoricamente, possibile ricavare una serie di elementi molto utili ai fini della misurazioni degli oneri a carico dell’impresa, ad esempio la realizzazione di una “graduatoria di regolazione” che aiuti ad individuare quelle aree con più ostacoli al corretto svolgimento delle attività; oppure l’individuazione dei procedimenti amministrativi più impervi e critici per le aziende o ancora la verifica di sovrapposizioni o duplicazioni normative sulla medesima area di attività.

Durante periodi di forte crisi economica e in presenza di vincoli che frenano fortemente il ricorso a mezzi diretti per sostenere i mercati, è essenziale soffermarsi su come l’eccessivo carico burocratico comporti, senza dubbio, uno svantaggio competitivo molto rilevante, soprattutto in relazione all’accesso ai servizi pubblici per i cittadini e per le imprese[1]. Indubbiamente una misurazione, in termini giuridici, della mole burocratica può rivelarsi utile non solo in termini di analisi delle politiche pubbliche in merito, ma anche per interventi di riduzione della medesima. Seguendo una programmazione che si basi su selettività delle norme, dialogo con gli stakeholders, trasparenza ed efficacia degli interventi legislativi, è possibile implementare il sistema dei costi regolatori a carico delle imprese e isolare quei nodi sui quali è necessario ricorrere a semplificazioni o ad eliminazioni, nel rispetto degli interessi pubblici e privati. Con la legge n. 35 del 2012 viene introdotta in Italia una misurazione degli oneri amministrativi ex ante, con la quale si è tentato di ridurre gli obblighi informativi per le imprese ma che non prendeva in considerazione tutti i costi che intervengono nella formazione e nella relativa crescita di una realtà imprenditoriale. Manca, dunque, un’attenzione globale alla somma tra costi amministrativi e agli oneri regolatori, e al loro inevitabile incrocio con la durata dei procedimenti, incognita legale spesso ignota, che produce incertezze e ritardi, affrontata in maniera efficiente solo in pochi casi o per lassi temporali molto brevi. Nel caso italiano, inoltre, non solo le misure da adottare devono necessariamente essere sistematiche (riassettare cioè ex novo le normative, a favore delle imprese, a livello macro), ma anche coordinate con i diversi livelli (micro) di governo (data l’attuale ripartizione di competenze legislative ed amministrative statali e regionali), onde scongiurare il rischio, ormai costante, di produrre interventi destinati ad avere effetti marginali, coinvolgendo, dunque, oltre agli attori istituzionali, anche quelli esterni alle P.A., aspetto, quest’ultimo, che può essere produttivo di effetti concreti per generare un vero e proprio cambiamento nella disciplina. L’individuazione di best practices e di principi validi a sostegno di una funzionale metodologia di misurazione degli oneri amministrativi e regolatori per le imprese devono partire, prima facie, dallo studio ex ante ed ex post dei possibili risparmi ricavabili da interventi di semplificazione normativa, percorso sicuramente più agevole ed agibile, in un paesaggio legislativo impervio e pieno di ostacoli sulla disciplina in merito. Ci aiuta, in questa direzione, la stessa definizione di costi regolatori per i quali “si intendono i costi sostenuti dai destinatari di una norma nell’intraprendere le azioni necessarie ad adeguare la propria attività o i propri prodotti agli adempimenti imposti […] anche misure che hanno la finalità di indurre cambiamenti nel comportamento dei soggetti destinatari, ad esempio attraverso la concessione di incentivi, aiuti, o trasferimenti statali, sono considerate obblighi regolatori nella misura in cui possono essere considerati imprescindibili per operare in determinati settori e comportano direttamente costi e spese per i destinatari della regolazione”[2]. A parere dello scrivente, è utile, in tema di semplificazione e di accesso ai pubblici servizi per le imprese, partire dall’analisi empirica delle varie voci di costo che contribuiscono alla formazione degli oneri burocratici/regolatori a carico dell’imprenditorialità italiana: i costi “fiscali” (ovvero i trasferimenti monetari alla P.A., principalmente per imposte, bolli, diritti ecc.), i costi “indiretti” (che incidono sui mercati e sui modelli di consumo) e i costi di “adeguamento” (che a loro volta possono essere suddivisi in 1. “costi di conformità sostanziale”, sostenuti dalle imprese per adeguare la propria attività ai precetti normativi; 2. “costi amministrativi”, che stabiliscono, imperativamente, tutti gli obblighi informativi e documentali a carico dell’attività imprenditoriale, come richieste di autorizzazioni, permessi e licenze, notifiche e relazioni sullo svolgimento dei lavori d’impresa; 3. “costi determinati dai ritardi delle pubbliche amministrazioni”, gravame che spesso incide fortemente sui piani finanziari imprenditoriali, minandone spesso la convenienza economica). Oltre a questi, per un completo quadro descrittivo, vanno citati i c.d. “costi opportunità” (ovvero l’investimento economico che l’impresa deve realizzare per rispettare gli adempimenti legislativi, piuttosto che dedicarlo in attività più redditizie) e gli “irritational costs”, legati alla negativa percezione, degli adempimenti suddetti, da parte dell’imprenditore, fuori dalla logica del business as usual costs. Grazie all’analisi delle singole voci, alle loro connessioni e impatti sulle imprese, è possibile una prima scrematura normativa all’interno del mare magnum legislativo, individuando le variabili su cui è necessario soffermare l’attenzione giuridica, a seconda, dunque, delle criticità che possono riscontrarsi sui vari tipi di costi elencati. Strumenti come il confronto e la consultazione con gli stakeholders (destinatari della regolazione), le rilevazioni, a campioni, maggiormente rappresentative e surveys focalizzati, possono essere di aiuto alla compilazione, parallelamente o contestualmente ai processi decisionali delle P.A. e dell’azione politica, di documenti programmatici e di relativi indicatori, quantitativi e qualitativi, in grado di supportare l’amministrazione e di evidenziare le principali criticità dei procedimenti a carico dell’impresa, definendo, in parte, alcuni ambiti dove già sia possibile operare una semplificazione burocratica. Si tratta, rigorosamente, di approcci multi livello, giustificati dalle fortissime connessioni tra disposizioni contenute in diverse fonti normative, circa la spinosa disciplina che regola l’attività imprenditoriale italiana. D’altronde sarebbe inopportuno, data la complessità della materia, procedere alla valutazione di singoli atti o procedimenti (valutazione che può essere giustificata solo per l’ampiezza della norma per la relativa complessità giuridica, fattori che impedirebbero un’analisi congiunta con ulteriori disposizioni): bypassare, dunque, i corpus normativi attraverso una selezione delle norme, legate l’una all’altra, che comportano maggiori oneri per le imprese o che presentano un grado di “irritazione” particolarmente elevato. Uno studio, mirato, che riesca a leggere la normativa europea, statale e regionale in senso sia verticale che orizzontale, concentrando le risorse disponibili sulle leggi suscettibili di modificazioni, in particolar modo su quei precetti giuridici che attuano, a livello micro, quanto stabilito a livello macro (dallo Stato), e che comportano oneri aggiuntivi per l’attività imprenditoriale[3]. È necessario specificare che i costi regolatori, come previsto dalla legge, devono senz’altro adeguarsi al tipo di regolazione che si vuole disciplinare, la quale varia a seconda delle categorie di impresa: si pensi, ad esempio, alle regolazioni nell’uso di risorse ambientali o edilizie (nelle quali, oltre alla tutela dei beni ambientali, devono essere ben bilanciati gli oneri di conformità a carico delle imprese); le regolazioni in materia di lavoro, di salute, sicurezza e trasporto; le regolazioni sull’avvio e sul funzionamento dell’impresa (spesso invasive e restrittive, generando indirette barriere all’ingresso per i neo imprenditori); le regolazioni sociali. Sulla base di questi modelli regolatori, può essere stilata una scala di priorità per la selezione degli ambiti di intervento legislativo, volto a snellire e semplificare l’accesso al mondo dell’impresa e l’ulteriore sviluppo della medesima: l’eliminazione di quelle misure complesse, ripetitive e onerose può contribuire allo snellimento degli oneri burocratici, il quale, a sua volta, può produrre, in potenza, un elevato numero di vantaggi in termini di semplificazione amministrativa e benefici, soprattutto per quelle imprese che perseguono obiettivi sociali o di interesse pubblico. Ai fini dell’analisi, dunque, è certamente opportuno sottolineare l’importanza di una valutazione non solo ex ante (che segue l’iter normativo, stimando ma non riducendo gli oneri per le imprese imposti dalla regolazione) ma anche ex post, che si soffermi, invece, sullo stock di regolazioni vigenti, con lo scopo di smaltire il carico dei costi esistenti. La mappatura degli obblighi regolatori, sia di informazione che economici e di conformità, può costituire un valido strumento per la catalogazione, l’analisi e l’approfondimento degli adempimenti che l’impresa deve sostenere e rispettare, sia nell’espletamento dell’attività squisitamente imprenditoriale che nei rapporti con le pubbliche amministrazioni: un modello di mappatura standard, che indichi, principalmente, gli adempimenti richiesti con una frequenza maggiore, secondo la normativa in vigore. Questo per garantire un certo grado di omogeneità e di comparazione degli output relativi alla misurazione dei costi regolatori (secondo quanto previsto dal manuale internazionale, in materia, tandard ost Model)[4]. Dall’intersezione dei vari aspetti economici e non, elencati ed analizzati finora, è possibile elaborare una prima struttura contenente le principali tipologie di obblighi per le imprese (principalmente di conformità sostanziale alla normativa) che possono esplicarsi in tal senso: adeguamento del processo produttivo; di risorse interne; di procedure interne; misure di vigilanza[5]. Per ognuno di questi, può essere strutturata una rilevazione dei costi che scaturiscono dagli obblighi legislativi a carico dell’attività d’impresa. Ulteriori strumenti, a supporto delle misurazioni degli oneri amministrativi, sono i c.d. “focus PMI”, indagini trasversali dei costi regolatori che non si focalizzano sulle aree di regolazione, bensì sulle congiunzioni tra gli adempimenti dell’impresa, dalle quali è possibile ricavare i costi cumulativi a carico dell’attività imprenditoriale: l’obiettivo è quello, attraverso osservazioni in loco, di provvedere ad una strutturata raccolta di informazioni “dal punto di vista dell’impresa” (non “verticalmente”, come nei casi precedenti), e che produca, dunque, un grandangolo sugli obblighi imprenditoriali che generano eccessivo gravame[6]. È importante sottolineare, prima di procedere alla descrizione normativa e giuridica della disciplina vigente per le imprese, come la durata complessiva dei processi burocratici risulti, nella maggior parte dei casi, un aspetto decisamente “irritante” per molti imprenditori o per chi, soprattutto i giovani, voglia avviare un esercizio imprenditoriale. Spesso gli stessi costi dei procedimenti amministrativi sono legati alla loro durata: e la durata complessiva di tali iter della P.A. è diversa, inoltre, dal termine eventualmente previsto per la loro conclusione (quest’ultimo può essere sia stabilito da una previsione legislativa sia essere figlio di uno standard che, volontariamente, la P.A. decide di darsi, a prescindere dall’esistenza di un vincolo giuridico). Entrambe (durata complessiva e termine di conclusione) possono essere disattese dalle pubbliche amministrazioni, fatta eccezione per i c.d. “tempi insopprimibili”, dipendenti dagli input di attivazione di una determinata procedura amministrativa oppure dagli output finali, disciplinati da una determinata norma. Il problema può essere affrontato scomponendo le varie fasi dei procedimenti e testando le tempistiche relative ad ognuno, valutando i tempi intermedi risultanti e procedendo ad una semplificazione o agevolazione di quelli suscettibili di modifica. Tema di grande attualità, che si riscontra ormai in tutte le politiche pubbliche di lungo periodo, è quello dell’informatizzazione delle procedure amministrative, metodologia che consente l’abbattimento delle tempistiche burocratiche, consentendo un accesso alla P.A. molto più agile e snello, anche per i neofiti, scongiurando il ricorso a figure esterne (le quali prevedono un discreto incremento dei costi necessari all’attività imprenditoriale). Nonostante le notevoli potenzialità della digitalizzazione online dei procedimenti, la suddetta metodologia, come si analizzerà in seguito, non trova ancora piena affermazione all’interno del panorama giuridico e amministrativo italiano, mancando, spesso, o il protocollo informatico della pubblica amministrazione oppure la “fiducia”, nel servizio, dei possibili utenti interessati all’apertura di un’attività imprenditoriale o per comunicazioni documentali. Indubbiamente la via della semplificazione amministrativa resta la più percorribile, evidenziando, comunque, che l’entità dei costi regolatori, dove particolarmente elevati, può essere giustificata solo dai fini che il legislatore intende perseguire: laddove prescrizioni molto severe sono previste per la tutela di un determinato interesse pubblico, gli oneri che ne scaturiscono sono necessari, e i destinatari della regolazione normativa devono rispettarne la difesa legislativa (si pensi, ad esempio, a tematiche molto delicate come la tutela dell’ambiente, del territorio o del mare, dove l’imposizione di standard produttivi costosi non può essere giudicata “eccessiva”, perché funzionale alla preservazione di un superiore bene pubblico). La sfida, dunque, non consiste nel quantificare l’adeguatezza dei costi a carico delle imprese, bensì nella corretta e certosina verifica di soluzioni, ove possibile, meno onerose per i destinatari, misurando con attenzione la proporzionalità normativa rispetto a costi ed utenti finali, escludendo possibili, a volte inevitabili, giudizi di valore. Se le variabili di costo e durata procedimentale possono essere misurate, al fine di un bilanciamento più equo, il discorso cambia per fattori come la coerenza delle leggi, la loro chiarezza e il loro grado di attuazione: un ulteriore ostacolo che si pone dinanzi all’imprenditore è, infatti, l’esistenza di un insieme regolatorio particolarmente disomogeneo, all’interno del quale le norme non comunicano, producendo concatenazioni giuridiche contraddittorie, su tutti i livelli di governo, che rendono difficoltoso l’accesso e il corretto svolgimento all’attività di impresa. L’inefficacia generata dalle sovrapposizioni normative agisce anche sul grado di conoscenza degli adempimenti medesimi, sia da parte dei destinatari che delle P.A. coinvolte. Manca, in merito al quadro giuridico italiano, un valido ed efficiente sistema di controllo e monitoraggio delle disposizioni di legge, che fornisca una mappatura completa sulla materia e ne abbatta le inutili duplicazioni. È auspicabile, in futuro, un intervento più efficace, penetrante e coerente del legislatore.

[1] Per approfondimenti circa i limiti alla competitività del carico burocratico, relativamente al caso italiano, si veda Doing Business Report 2014, The World Bank Institute.

[2] Formez, Progetto “Semplifica Italia”. Cantieri reginali per la semplificazione: linee guida per la misurazione di oneri regolatori e tempi, p. 5, 2014.

[3] In merito, si rimanda al c.d. gold plating.

[4] Una prima classificazione degli adempimenti a carico delle imprese è stata stilata dalle “Linee guida per l’individuazione degli oneri informativi introdotti o eliminati e per la stima dei relativi costi amministrativi”, allegato A al d.p.c.m. 25 gennaio 2013, recante “Criteri per l’effettuazione della stima dei costi amministrativi di cui al comma 5 -bis dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, ai sensi del comma 3, dell’art. 6 della legge 11 novembre 2011, n. 180”. Si tratta di un’elencazione delle comunicazioni/dichiarazioni delle imprese alla P.A. (dichiarazione o segnalazione certificata di inizio o modifica dell’attività; rapporto periodico), delle domande alla pubblica amministrazione (domande di autorizzazione, concessione, permesso o nulla osta; domande di parere, di sussidio, sovvenzione, esenzione e accesso ai servizi), della documentazione da conservare (certificazioni o attestazioni), delle informazioni da fornire agli eventuali consumatori.

[5] Oneri che possono essere ricorrenti oppure una tantum, e che, in merito, possono essere così riportati: costi di adeguamento di impianti e macchinari al fine di rispettare gli standard di legge previsti; adeguamento delle scorte; utilizzo di figure professionali interne/esterne per ottemperare agli obblighi imposti; formazione del personale;
previsione di misure organizzative o di monitoraggio; obblighi relativi ai pagamenti di tasse, diritti ecc. (Formez, Progetto “Semplifica Italia”. Cantieri reginali per la semplificazione: linee guida per la misurazione di oneri regolatori e tempi, p. 21, 2014).

[6] Attraverso l’utilizzo dei focus PMI è, teoricamente, possibile ricavare una serie di elementi molto utili ai fini della misurazioni degli oneri a carico dell’impresa, ad esempio la realizzazione di una “graduatoria di regolazione” che aiuti ad individuare quelle aree con più ostacoli al corretto svolgimento delle attività; oppure l’individuazione dei procedimenti amministrativi più impervi e critici per le aziende o ancora la verifica di sovrapposizioni o duplicazioni normative sulla medesima area di attività.