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I popoli indigeni: riconoscimento dei diritti e principio di autodeterminazione

I popoli indigeni: riconoscimento dei diritti e principio di autodeterminazione
I popoli indigeni: riconoscimento dei diritti e principio di autodeterminazione

Abstract

Nello scritto si analizzano le problematiche del riconoscimento dei diritti e del principio di autodeterminazione dei popoli indigeni. In particolare, si vede come i diritti individuali siano da ricondurre all’appartenenza alle comunità indigene, cioè al concetto di identità collettive indigene. Si osserverà come il principio di autodeterminazione sia divenuto oggetto di un diritto e ne verrà esaminata sia la dimensione esterna, sia la dimensione interna al fine di comprenderne il contenuto non sempre precisamente delineato.

Introduzione

Nel presente lavoro verranno analizzate le problematiche del riconoscimento dei diritti e del principio di autodeterminazione dei popoli indigeni.

Non vi sono norme generali che identifichino questi popoli quali soggetti collettivi e che ne riconoscano i diritti in quanto tali, come rileva Roberto Cammarata [2004: 13], ma la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale e la Convenzione sui diritti dell’infanzia, “sono strumenti di applicazione “universale”, atti quindi a fornire protezione anche ai diritti degli indigeni in quanto individui” [Cammarata 2004: 13].

Questo non è abbastanza, perché vi è un chiaro riferimento da parte dei popoli indigeni al concetto di collettività.

1. Diritti individuali e diritti collettivi

Ted Moses [movimento indigeno canadese, leader dei Cree] afferma: “per le nostre culture il concetto di diritto individuale esiste solo all'interno della collettività. È dagli obiettivi comuni, dalle relazioni interpersonali e da quelle con la Madre Terra che derivano i diritti e le responsabilità dei singoli. Negarci il riconoscimento dei nostri diritti collettivi significa negare al singolo i vantaggi della nostra identità collettiva e quindi separare due cose che per noi sono tutt’uno. Tutti i popoli hanno diritto all'autodeterminazione. Gli stati che si oppongono all'esercizio di questo diritto cercano di evitare l'applicazione del diritto internazionale ai popoli indigeni per evitare le evidenti implicazioni che derivano dai criteri internazionalmente accettati. Per non cadere nell'ambito di applicazione del diritto internazionale, hanno escogitato un sistema molto semplice: hanno deciso che i nostri diritti di popoli non esistono se solo evitano di considerarci tali. Ci hanno chiamato popolazioni, comunità, gruppi, società, persone, minoranze etniche; ora hanno deciso di chiamarci people (gente), al singolare. In pratica, qualunque termine andrà bene per definirci, purché non sia peoples (popoli). Vogliono ridurre un concetto plurale ad un anonimo termine singolare per evitare di dover riconoscere il nostro diritto all'autodeterminazione. Ci daranno tutti i nomi possibili ma mai l'unico vero peoples (popoli)”.

Una definizione di identità collettive indigene interessante [Cammarata 2004: 11-12] è quella di Josè R. Martínez Cobo [Relatore Speciale per uno studio, generale e completo, del problema della discriminazione contro le popolazioni indigene, nominato nel 1971 dalla Sottocommissione ONU per la prevenzione delle discriminazioni e la protezione delle minoranze]: “sono indigene quelle comunità, popoli e nazioni che, avendo una continuità storica con le società sviluppatesi nei loro territori nel periodo precedente all’invasione e alla colonia, considerano loro stesse distinte dagli altri settori delle società che oggi prevalgono in quei territori e delle quali sono parte. Esse formano oggi settori non dominanti di società e sono determinate a preservare, sviluppare e trasmettere alle future generazioni i loro territori ancestrali e la loro identità etnica, come basi della continuazione della loro esistenza come popoli, in accordo coi loro percorsi culturali, con le loro istituzioni sociali e i loro sistemi legali. […] Su base individuale, una persona indigena è un individuo che appartiene a queste popolazioni indigene attraverso l’autoidentificazione come indigeno (coscienza di gruppo) ed è riconosciuto e accettato dalle stesse popolazioni come uno dei propri membri (accettazione da parte del gruppo)” [Cobo 1983].

Il testo internazionale che parla di diritti collettivi specifici dei popoli indigeni è la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni del 2007. La Convenzione n. 169 del 1989 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (O.I.L.), [articolo 1] già parlava di criterio della continuità storica e self-identification.

La Convenzione n. 169 si riferisce ai popoli tribali e indigeni [articolo 1], ma nel terzo comma, precisa: “l’uso nella presente Convenzione del termine ‘popoli’ non può essere in alcun modo interpretato come avente implicazioni di qualsiasi natura per ciò che riguarda i diritti connessi a detto termine in base al diritto internazionale”. Quest’ultima affermazione [Cammarata 2004: 15-16], letta alla luce dei Patti internazionali sui diritti dell’uomo delle Nazioni Unite ed alle istanze dei popoli autoctoni per il riconoscimento del diritto di autodeterminazione, presenta alcune ambiguità. Per tentare di risolvere le problematiche aperte dalla Convenzione n. 169, un progetto di dichiarazione universale sui diritti dei popoli indigeni è approvato nel luglio del 1993 dal Gruppo di lavoro sui popoli indigeni delle Nazioni Unite. Il 26 agosto 1994, la Sottocommissione per la prevenzione delle discriminazioni e la protezione delle minoranze approva il progetto (con risoluzione 1994/45). Il 13 settembre 2007 [prendendo nota della raccomandazione di cui alla risoluzione 1/2 del Consiglio sui Diritti Umani del 29 giugno 2006] è approvata dall'ONU la Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni.

La Dichiarazione accorda ai popoli indigeni il diritto all’autodeterminazione [articoli 3-5], afferma l’illiceità di ogni sorta di assimilazione forzata e obbliga gli Stati a garantire meccanismi atti a evitare azioni che abbiano l’effetto di privare i popoli indigeni della loro identità o delle loro terre e risorse [articolo 8], tema importante per gli indigeni già emerso nella Dichiarazione di Seattle dei popoli indigeni [1999], assieme al tema della terra [articoli 25-30] (diritto di mantenere un rapporto spirituale e materiale con il territorio, utilizzando le risorse conformemente alle proprie credenze e tradizioni). È prevista la restituzione delle terre confiscate, occupate o danneggiate ai popoli indigeni, se non possibile si provvederà a una compensazione. Tale dichiarazione prevede, inoltre, la facoltà di creare istituzioni scolastiche nella propria lingua indigena e un diritto partecipativo ai processi decisionali dello Stato che riguardano direttamente i popoli indigeni con i propri rappresentati [si veda: Maya Santamaria 2013].

2. Il diritto all’autodeterminazione

Riguardo al principio di autodeterminazione, bisogna osservare quanto le fonti internazionali affermano per comprenderne il contenuto.

Tra i fini della Carta delle Nazioni Unite vi è quello di “sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto del principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli” [articolo 1]. Inoltre, “è opinione pressoché unanime che l’autodeterminazione formi oggetto di una norma non solo di diritto internazionale convenzionale (vincolante per gli Stati appartenenti all’O.N.U), ma di diritto consuetudinario internazionale, per di più rientrante nel ristretto novero delle norme di jus cogens, quindi con valore erga omnes” [Cammarata 2004: 19].

Tale principio si applica:

  • ai popoli soggetti a dominazione coloniale;
  • alle popolazioni di territori conquistati ed occupati con la forza;
  • ai popoli sottoposti ad un sistema di governo fondato sulla discriminazione razziale.

Il caso dei popoli indigeni è particolare: “essi hanno subito nel corso della storia tutte e tre le situazioni sopra descritte, ma il fatto che il divenire storico abbia comportato la trasformazione delle colonie in Stati indipendenti e che gli stessi siano poi stati protagonisti in un passato recente di diverse “ondate di democratizzazione” ha come risultato una sostanziale sanatoria delle violazioni pregresse e una imperdonabile amnesia nei confronti dei soggetti che hanno ereditato quel passato e che si ritrovano tuttora ad esserne vittime, senza mai un contestuale riconoscimento dello stato di dominazione”, cioè “quando la situazione di dominazione era palese non era riconosciuto alcun diritto di autodeterminazione” [Cammarata 2004: 19].

La Dichiarazione sulle relazioni amichevoli tra gli Stati del 1970 considera che l’autodeterminazione da principio è divenuto oggetto di un diritto, e distingue tra la dimensione:

  • esterna;
  • interna.

 La dimensione esterna è la liberazione dei popoli dal dominio coloniale, dall’assoggettamento, dal dominio e dallo sfruttamento straniero. La dimensione interna si raggiunge quando in uno Stato un governo rappresenta l’intero popolo senza distinzione di razza, di credo religioso o colore.

L’atto della Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa [Helsinki 1975] pone tra i principi l’autodeterminazione sia esterna, sia interna. È “dato eguale peso ai due aspetti, esterno ed interno, del principio di autodeterminazione, conferendogli valore anche in termini dinamici [l’Atto di Helsinki si riferisce a stati europei, indipendenti e sviluppati, in cui si potrebbero escludere dominazione coloniale o straniera e perciò suggerirebbe un riferimento all’autodeterminazione interna]. Il passo fondamentale è infatti quello in cui si afferma che tutti i popoli hanno il diritto in ogni momento di determinare in piena libertà non solo la loro collocazione nell’ambito della comunità internazionale, ma anche il loro regime politico e di perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale. Una fondamentale precisazione riguarda il fatto che questo diritto di autodeterminazione “interna” non sarebbe azionabile dalle minoranze nazionali bensì esclusivamente da quei soggetti collettivi identificati come popoli” [Cammarata 2004: 23].

La Carta Africana sui diritti degli uomini e dei popoli [articolo 20] afferma: “ogni popolo ha diritto all’esistenza. Ogni popolo ha un diritto imprescrittibile e inalienabile all’autodeterminazione. Esso determina liberamente il proprio statuto politico e assicura il proprio sviluppo economico e sociale secondo la via che esso ha liberamente scelto”. In questo caso “si tratta di un’interpretazione che intende l’autodeterminazione non più come un processo di tipo escludente, ma come un processo altamente includente, come un percorso di autonomia in un contesto di interdipendenza, basato sul reciproco riconoscimento, in perfetta sintonia con quello che è uno dei cardini della cosmovisione indigena, il principio di “unità nella diversità”” [Cammarata 2004: 24].

Per i popoli indigeni il principio di autodeterminazione interna è atipico “sia per il fatto che si è attribuito un diritto di autodeterminazione a popoli che non rientrano nelle fattispecie generalmente individuate come destinatarie di tale diritto (popoli di territori coloniali, popoli sottoposti a dominazione straniera o a regimi basati sul razzismo e la discriminazione), sia per la forma in cui si è concretizzata l’autodeterminazione interna, non principio che assicuri la rappresentatività e democraticità degli Stati, ma piuttosto concessione di una forma di autonomia in campi fondamentali per assicurare la conservazione dell’identità del gruppo”, cioè “si configurerebbe, infatti, come unico modo per assicurare un’efficace tutela dei diritti umani dei popoli indigeni all’interno degli Stati in cui risiedono” [Cammarata 2004: 26].

 

Bibliografia

Cammarata, Roberto, 2004. I diritti dei popoli indigeni. Lotte per il riconoscimento e principio di autodeterminazione. In “Working Papers” 6/2004.

Cobo Martínez, Josè R., 1983. Study of the problem of discrimination against indigenous populations.

Ted, Moses. Non chiamateci “Popolazioni”. http://www.gfbv.it/3dossier/popoli/pop3.html#top [19 maggio 2016].

Santamaria, Maya, 2013. I popoli originari dell'America Latina: diritti e rivendicazioni. In “I Report dell’IsAG” 20/December 2013.