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La donazione di cosa altrui: nulla o inefficace?

Commento a Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza 15 marzo 2016, n. 5068
La donazione di cosa altrui: nulla o inefficace?
La donazione di cosa altrui: nulla o inefficace?

1. Premessa - 2. Il caso, il contrasto giurisprudenziale e l’Ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite - 3. La Sentenza n. 5068 del 15/03/2016, Cassazione Civile, Sezioni Unite

 

1. Premessa

Nel presente lavoro si affronta la questione della sorte della donazione di cosa altrui. Di recente, in materia, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 5068 del 15 marzo 2016, a dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto in ordine alle possibili conseguenze della donazione di cosa altrui.

Sul tema infatti, un primo orientamento ha sempre sostenuto che la donazione di cosa altrui fosse nulla, mentre un altro orientamento è sempre stato a favore della tesi dell’inefficacia.

La vicenda sottesa all’autorevole pronuncia delle Sezioni Unite, ha preso le mosse dalla vicenda di una cessione di una quota di eredità da parte del coerede non ancora divisa tra tutti i coeredi e, nello specifico, la donazione di un bene ereditario indiviso non facente ancora parte del patrimonio del donante al momento dell’atto dispositivo.

Le Sezioni Unite dopo aver analizzato bene la questione si sono pronunciate con Sentenza n. 5068 del 15 marzo 2016.

Secondo gli Ermellini, la circostanza per cui nel Codice del 1942 manchi la disciplina della donazione di cosa altrui, non è sufficiente a ricondurre la fattispecie nella categoria del negozio inefficace.

Le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto secondo cui la donazione di cosa altrui è nulla per difetto di causa, in quanto ai sensi del combinato disposto degli articoli 1325 e 1418 II comma del Codice Civile, essendo la causa un requisito del contratto, quest’ultimo è affetto da nullità laddove essa manchi.

Infatti, ad avviso delle Sezioni Unite, l’altruità del bene non consente di ritenere integrata la causa del contratto di donazione poiché mancherebbe lo scopo del negozio.

2. Il caso, il contrasto giurisprudenziale in materia e l’Ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite

La vicenda sottesa all’autorevole pronuncia della Suprema Corte ha riguardato il caso della cessione di una quota di eredità da parte del coerede, non ancora divisa tra tutti i coeredi e più in particolare, la donazione della quota di un bene ereditario indiviso, non facente ancora parte del patrimonio del donante al momento dell’atto dispositivo.

Il tribunale e la Corte d’Appello hanno dichiarato la nullità della donazione ex artt. 769 e 771 del Codice Civile.

Il caso è giunto alle Sezioni Unite poiché, in giurisprudenza, si registrava un contrasto in ordine alla sorte della donazione di beni altrui e all’idoneità della stessa, a rappresentare titolo idoneo per il perfezionamento di un acquisto a non domino a norma dell’articolo 1159 del Codice Civile.

In particolare, secondo un primo orientamento, la donazione di un bene non esistente nel patrimonio del disponente sarebbe stata affetta da nullità, nonostante in materia, non vi fosse alcuna norma che prevedesse espressamente la nullità.

Questo indirizzo giurisprudenziale, è arrivato a tali conclusioni in base alla disciplina complessiva della donazione, giacché l’articolo 769 del Codice Civile prevede che una parte arricchisca l’altra per puro spirito di liberalità, disponendo a favore di questa “di un suo diritto”.

La ratio di questa disposizione, sarebbe stata quindi ravvisabile, a parere di questa corrente di pensiero, nell’esigenza di porre un freno agli atti di prodigalità e di limitare l’impoverimento ai beni esistenti nel patrimonio del donante.

Varie sono state le pronunce della Cassazione conformi a questo indirizzo, in cui la stessa si è reiteratamente espressa nel senso della nullità.

In questo ambito, di particolare interesse è la Sentenza della Cassazione n. 10356 del 2009, in cui ha statuito che, la donazione dispositiva di un bene altrui debba ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva della donazione ed, in particolare, dell’articolo 771 del Codice Civile,  poiché il divieto di donazione di beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante.

In senso conforme si è pronunciata anche la Cassazione nella Sentenza n. 12782 del 2013 e n. 11311 del 1996.

Un altro orientamento giurisprudenziale invece, ha sempre ritenuto che, la donazione di beni che le parti considerano di proprietà del donante ma che in realtà appartengono a terzi, non sarebbe stata nulla ma  inefficace, visto il riferimento alla disciplina della vendita di cosa altrui.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con la Sentenza n. 1596 del 2001 disponendo che: “la donazione di beni altrui non può essere ricompresa nella donazione di beni futuri, nulla ex art. 771 cod. civ., ma è semplicemente inefficace e, tuttavia, idonea ai fini dell’usucapione abbreviata ex art. 1159 cod. civ., in quanto il requisito, richiesto dalla predetta disposizione codicistica, della esistenza di un titolo che sia idoneo a far acquistare la proprietà o altro diritto reale di godimento, che sia stato debitamente trascritto, va inteso nel senso che il titolo, tenuto conto della sostanza e della forma del negozio, deve essere idoneo in astratto, e non in concreto, a determinare il trasferimento del diritto reale”.

Alla luce di tale contrasto giurisprudenziale la Cassazione, con Ordinanza del 23 maggio 2014, n. 11545, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.

La seconda Sezione della Cassazione ha richiesto alle Sezioni Unite se, la donazione dispositiva di un bene altrui debba ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva della donazione ed in particolare dell’articolo 771 del Codice Civile, poiché il divieto di donazione di beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante e quindi anche quelli aventi ad oggetto i beni altrui, oppure sia valida ancorché inefficace e se tale disciplina trovi applicazione, o no, nel caso della donazione di una quota di proprietà pro indiviso.

Le Sezioni Unite hanno analizzato la questione, esaminando i vari orientamenti di legittimità che si erano registrati in materia.

3. La Sentenza n. 5068 del 15/03/2016, Cassazione Civile, Sezioni Unite

Come già illustrato, in materia si contrapponevano due orientamenti, l’uno dei quali era a favore per la tesi della nullità, l’altro per l’inefficacia.

I Giudici di Legittimità sono dunque partiti dall’esame della questione se la norma sul divieto di donazione di beni futuri, trovi applicazione anche nel caso di donazione di un bene indiviso compreso nella massa ereditaria prima che sia effettuata la divisione.

Gli Ermellini sono giunti alla conclusione che, per risolvere tale quesito, sia necessario partire dal presupposto che, solo quando il bene si trova nel patrimonio del donante al momento della stipula del contratto di donazione, quest’ultima sia valida ed efficace.

Viceversa, se ancora la cosa non è a sua disposizione, il donante deve farsi carico di procurare l’acquisto del bene dal terzo proprietario al donatario.

Rispetto al profilo da ultimo evocato, si ricava che il requisito dell’appartenenza del bene nella sfera di proprietà del donante, è un elemento essenziale del contratto di donazione.

Laddove invece tale requisito manchi, quella di cosa altrui non può rientrare nello schema contrattuale della donazione, poiché regalare un bene altrui sarebbe incompatibile con la funzione propria della donazione dal momento che ha ad oggetto un bene che non è ancora nel patrimonio del donante e che quindi non può essere ceduto con un atto spontaneo di liberalità.

Il Collegio ha ritenuto pertanto che, la donazione di cosa altrui o anche solo parzialmente altrui, è nulla, ma non per l’applicazione in via analogica della nullità prevista per la donazione di beni futuri, ma per mancanza della causa del negozio di donazione.

Secondo il ragionamento delle Sezioni Unite, l’appartenenza del bene oggetto di donazione al donante è infatti un elemento essenziale del contratto di donazione, in mancanza del quale viene meno la causa tipica del contratto stesso.

Nella Sentenza si legge che, l’altruità del bene incide non tanto sulla riconducibilità del bene altrui nella categoria dei beni futuri di cui all’articolo 771 primo comma del Codice Civile, quanto, sulla possibilità stessa di ricondurre il trasferimento di un bene che non appartiene al donante, nello schema della donazione dispositiva e quindi sulla possibilità di realizzare la causa del contratto (incremento del patrimonio altrui con depauperamento del proprio).

La circostanza per cui, nel Codice del 1942, manchi una norma che preveda la nullità della donazione di cosa altrui, non può valere a parere degli Ermellini, a ricondurre la fattispecie nella categoria del negozio inefficace.

Le Sezioni Unite proseguono, spiegando che la causa del contratto è uno dei requisiti del contratto previsti dall’articolo 1325 del Codice Civile la cui mancanza è sanzionata ex articolo 1418 II comma del Codice con la nullità.

Da queste premesse, pertanto, ne consegue che l’altruità del bene non possa integrare la causa del contratto di donazione e che quindi la donazione di cosa altrui sia nulla.

Ad avviso delle Sezioni Unite, tale tipo di nullità sarebbe autonoma e indipendente rispetto a quella prevista dall’articolo 771 del Codice Civile e si determina ai sensi del combinato disposto dell’articolo 769 del Codice Civile (il donante deve disporre “di un suo diritto”) e degli articoli 1325 e 1418 secondo comma del Codice. 

Per concludere, appare corretto affermare che le Sezioni Unite abbiano affermato il principio di diritto secondo cui la donazione di un bene altrui, benché non espressamente vietata, debba ritenersi nulla per difetto di causa e cioè per il difetto dello scopo pratico del negozio.

Da ciò ne consegue che la donazione da parte del coerede della quota di un bene indiviso compreso nella massa ereditaria è nulla non potendosi ritenere che, prima della donazione, il singolo bene faccia parte del patrimonio del coerede donante.

1. Premessa - 2. Il caso, il contrasto giurisprudenziale e l’Ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite - 3. La Sentenza n. 5068 del 15/03/2016, Cassazione Civile, Sezioni Unite

 

1. Premessa

Nel presente lavoro si affronta la questione della sorte della donazione di cosa altrui. Di recente, in materia, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 5068 del 15 marzo 2016, a dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto in ordine alle possibili conseguenze della donazione di cosa altrui.

Sul tema infatti, un primo orientamento ha sempre sostenuto che la donazione di cosa altrui fosse nulla, mentre un altro orientamento è sempre stato a favore della tesi dell’inefficacia.

La vicenda sottesa all’autorevole pronuncia delle Sezioni Unite, ha preso le mosse dalla vicenda di una cessione di una quota di eredità da parte del coerede non ancora divisa tra tutti i coeredi e, nello specifico, la donazione di un bene ereditario indiviso non facente ancora parte del patrimonio del donante al momento dell’atto dispositivo.

Le Sezioni Unite dopo aver analizzato bene la questione si sono pronunciate con Sentenza n. 5068 del 15 marzo 2016.

Secondo gli Ermellini, la circostanza per cui nel Codice del 1942 manchi la disciplina della donazione di cosa altrui, non è sufficiente a ricondurre la fattispecie nella categoria del negozio inefficace.

Le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto secondo cui la donazione di cosa altrui è nulla per difetto di causa, in quanto ai sensi del combinato disposto degli articoli 1325 e 1418 II comma del Codice Civile, essendo la causa un requisito del contratto, quest’ultimo è affetto da nullità laddove essa manchi.

Infatti, ad avviso delle Sezioni Unite, l’altruità del bene non consente di ritenere integrata la causa del contratto di donazione poiché mancherebbe lo scopo del negozio.

2. Il caso, il contrasto giurisprudenziale in materia e l’Ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite

La vicenda sottesa all’autorevole pronuncia della Suprema Corte ha riguardato il caso della cessione di una quota di eredità da parte del coerede, non ancora divisa tra tutti i coeredi e più in particolare, la donazione della quota di un bene ereditario indiviso, non facente ancora parte del patrimonio del donante al momento dell’atto dispositivo.

Il tribunale e la Corte d’Appello hanno dichiarato la nullità della donazione ex artt. 769 e 771 del Codice Civile.

Il caso è giunto alle Sezioni Unite poiché, in giurisprudenza, si registrava un contrasto in ordine alla sorte della donazione di beni altrui e all’idoneità della stessa, a rappresentare titolo idoneo per il perfezionamento di un acquisto a non domino a norma dell’articolo 1159 del Codice Civile.

In particolare, secondo un primo orientamento, la donazione di un bene non esistente nel patrimonio del disponente sarebbe stata affetta da nullità, nonostante in materia, non vi fosse alcuna norma che prevedesse espressamente la nullità.

Questo indirizzo giurisprudenziale, è arrivato a tali conclusioni in base alla disciplina complessiva della donazione, giacché l’articolo 769 del Codice Civile prevede che una parte arricchisca l’altra per puro spirito di liberalità, disponendo a favore di questa “di un suo diritto”.

La ratio di questa disposizione, sarebbe stata quindi ravvisabile, a parere di questa corrente di pensiero, nell’esigenza di porre un freno agli atti di prodigalità e di limitare l’impoverimento ai beni esistenti nel patrimonio del donante.

Varie sono state le pronunce della Cassazione conformi a questo indirizzo, in cui la stessa si è reiteratamente espressa nel senso della nullità.

In questo ambito, di particolare interesse è la Sentenza della Cassazione n. 10356 del 2009, in cui ha statuito che, la donazione dispositiva di un bene altrui debba ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva della donazione ed, in particolare, dell’articolo 771 del Codice Civile,  poiché il divieto di donazione di beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante.

In senso conforme si è pronunciata anche la Cassazione nella Sentenza n. 12782 del 2013 e n. 11311 del 1996.

Un altro orientamento giurisprudenziale invece, ha sempre ritenuto che, la donazione di beni che le parti considerano di proprietà del donante ma che in realtà appartengono a terzi, non sarebbe stata nulla ma  inefficace, visto il riferimento alla disciplina della vendita di cosa altrui.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con la Sentenza n. 1596 del 2001 disponendo che: “la donazione di beni altrui non può essere ricompresa nella donazione di beni futuri, nulla ex art. 771 cod. civ., ma è semplicemente inefficace e, tuttavia, idonea ai fini dell’usucapione abbreviata ex art. 1159 cod. civ., in quanto il requisito, richiesto dalla predetta disposizione codicistica, della esistenza di un titolo che sia idoneo a far acquistare la proprietà o altro diritto reale di godimento, che sia stato debitamente trascritto, va inteso nel senso che il titolo, tenuto conto della sostanza e della forma del negozio, deve essere idoneo in astratto, e non in concreto, a determinare il trasferimento del diritto reale”.

Alla luce di tale contrasto giurisprudenziale la Cassazione, con Ordinanza del 23 maggio 2014, n. 11545, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.

La seconda Sezione della Cassazione ha richiesto alle Sezioni Unite se, la donazione dispositiva di un bene altrui debba ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva della donazione ed in particolare dell’articolo 771 del Codice Civile, poiché il divieto di donazione di beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante e quindi anche quelli aventi ad oggetto i beni altrui, oppure sia valida ancorché inefficace e se tale disciplina trovi applicazione, o no, nel caso della donazione di una quota di proprietà pro indiviso.

Le Sezioni Unite hanno analizzato la questione, esaminando i vari orientamenti di legittimità che si erano registrati in materia.

3. La Sentenza n. 5068 del 15/03/2016, Cassazione Civile, Sezioni Unite

Come già illustrato, in materia si contrapponevano due orientamenti, l’uno dei quali era a favore per la tesi della nullità, l’altro per l’inefficacia.

I Giudici di Legittimità sono dunque partiti dall’esame della questione se la norma sul divieto di donazione di beni futuri, trovi applicazione anche nel caso di donazione di un bene indiviso compreso nella massa ereditaria prima che sia effettuata la divisione.

Gli Ermellini sono giunti alla conclusione che, per risolvere tale quesito, sia necessario partire dal presupposto che, solo quando il bene si trova nel patrimonio del donante al momento della stipula del contratto di donazione, quest’ultima sia valida ed efficace.

Viceversa, se ancora la cosa non è a sua disposizione, il donante deve farsi carico di procurare l’acquisto del bene dal terzo proprietario al donatario.

Rispetto al profilo da ultimo evocato, si ricava che il requisito dell’appartenenza del bene nella sfera di proprietà del donante, è un elemento essenziale del contratto di donazione.

Laddove invece tale requisito manchi, quella di cosa altrui non può rientrare nello schema contrattuale della donazione, poiché regalare un bene altrui sarebbe incompatibile con la funzione propria della donazione dal momento che ha ad oggetto un bene che non è ancora nel patrimonio del donante e che quindi non può essere ceduto con un atto spontaneo di liberalità.

Il Collegio ha ritenuto pertanto che, la donazione di cosa altrui o anche solo parzialmente altrui, è nulla, ma non per l’applicazione in via analogica della nullità prevista per la donazione di beni futuri, ma per mancanza della causa del negozio di donazione.

Secondo il ragionamento delle Sezioni Unite, l’appartenenza del bene oggetto di donazione al donante è infatti un elemento essenziale del contratto di donazione, in mancanza del quale viene meno la causa tipica del contratto stesso.

Nella Sentenza si legge che, l’altruità del bene incide non tanto sulla riconducibilità del bene altrui nella categoria dei beni futuri di cui all’articolo 771 primo comma del Codice Civile, quanto, sulla possibilità stessa di ricondurre il trasferimento di un bene che non appartiene al donante, nello schema della donazione dispositiva e quindi sulla possibilità di realizzare la causa del contratto (incremento del patrimonio altrui con depauperamento del proprio).

La circostanza per cui, nel Codice del 1942, manchi una norma che preveda la nullità della donazione di cosa altrui, non può valere a parere degli Ermellini, a ricondurre la fattispecie nella categoria del negozio inefficace.

Le Sezioni Unite proseguono, spiegando che la causa del contratto è uno dei requisiti del contratto previsti dall’articolo 1325 del Codice Civile la cui mancanza è sanzionata ex articolo 1418 II comma del Codice con la nullità.

Da queste premesse, pertanto, ne consegue che l’altruità del bene non possa integrare la causa del contratto di donazione e che quindi la donazione di cosa altrui sia nulla.

Ad avviso delle Sezioni Unite, tale tipo di nullità sarebbe autonoma e indipendente rispetto a quella prevista dall’articolo 771 del Codice Civile e si determina ai sensi del combinato disposto dell’articolo 769 del Codice Civile (il donante deve disporre “di un suo diritto”) e degli articoli 1325 e 1418 secondo comma del Codice. 

Per concludere, appare corretto affermare che le Sezioni Unite abbiano affermato il principio di diritto secondo cui la donazione di un bene altrui, benché non espressamente vietata, debba ritenersi nulla per difetto di causa e cioè per il difetto dello scopo pratico del negozio.

Da ciò ne consegue che la donazione da parte del coerede della quota di un bene indiviso compreso nella massa ereditaria è nulla non potendosi ritenere che, prima della donazione, il singolo bene faccia parte del patrimonio del coerede donante.