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Volontà in contrasto: l’aborto non è solo un atto di salute

Volontà in contrasto: l’aborto non è solo un atto di salute
Volontà in contrasto: l’aborto non è solo un atto di salute

“il diritto alla vita e alla salute fisica e psichica della donna, la tutela dei diritti del concepito e il diritto all’obiezione di coscienza”.

Il Legislatore italiano da anni ormai cerca di bilanciare quelli che sono i diritti di tre soggetti diversi: la donna, il concepito ed il medico. Con la Legge sulla interruzione di gravidanza n. 194/78 si era raggiunto un buon compromesso per riuscire a garantire la volontà e la saluta della donna e la vita nascente. La Legge afferma la possibilità dell’aborto nei primi tre mesi di vita, mentre nei successivi sei mesi lo consente solo per ragioni che mettono in pericolo la vita della mamma.

Iniziano così i primi problemi di interpretazione e di valore da attribuire ad una vita nascente e ad una che si sta già vivendo, in quanto è difficile capire quale deve essere l’interesse per il feto fin quando non compie il suo primo respiro.

Il reale problema posto oggi all’attenzione riguarda il ruolo della terza figura: il medico. I medici sono costretti o possono scegliere se compiere o meno un aborto? In Italia è possibile scegliere; infatti sono numerosi i professionisti che si definiscono “obiettori di coscienza”.  Le ragioni di tale scelta possono essere svariate: spaziano da motivazioni etiche a questioni di appartenenza a fedi religiose, l’eccezione è posta solo nei casi in cui la donna è in grave pericolo di vita.

I medici sono chiamati, pertanto, a depositare una dichiarazione nell’ASL di appartenenza, nella quale devono affermare di non essere disposti a compiere l’aborto, poiché tale prassi è contraria alla “loro” morale. La possibilità di scelta sul praticare o meno l’aborto è stata riconosciuta dalla suddetta legge.

Ultimamente, però, si è rilevato che il numero degli obiettori è nettamente superiore rispetto a coloro i quali praticano l’aborto. L’incremento del numero ha causato e continua a causare disservizi in diversi ospedali italiani. La CGIL nel 2013 ha richiesto al Consiglio Europeo un parere sul tema denunciando la presenza di un atteggiamento discriminante nei confronti dei non obiettori. Costituendo questi ultimi delle eccezioni, spesso vengono ad essere trasferiti in altre sedi o vengono sottoposti a turni aggiuntivi. Si violerebbe pertanto, secondo la Cgil, la omogeneità di trattamento nei confronti dei professionisti. Il Consiglio si è espresso riconoscendo le accuse mosse, sostenendo che in Italia diviene sempre più difficile riuscire ad abortire e che, pertanto, la donna non si sente tutelata nel suo diritto alla salute.

Al Consiglio Europeo ha risposto il Ministro alla Salute, On. Beatrice Lorenzin, sostenendo che i dati ai quali si fa riferimento sono del 2013 e che la campagna di sensibilizzazione al tema che si sta attuando all’interno delle strutture sanitarie sta cambiando gli scenari all’interno del nostro Paese. Oggi, infatti, non si può parlare di un aborto difficile in Italia (basta riferirsi ai dati oggettivi costituiti dai numeri), in quanto risultano aumentati i casi di aborto volontario. Per quanto riguarda l’analisi numerica degli obiettori di coscienza si rileva la presenza di una discrepanza tra Nord e Sud: nel meridione d’Italia, infatti, il numero degli obiettori appare percentualmente superiore.

In un quadro così articolato bisogna interrogarsi e riflettere sugli interessi che vengono compromessi e sul profilo dei diritti coinvolti. Sulla bilancia si pongono due pesi diversi: la volontà di interruzione della gravidanza e la volontà del compimento o meno di tale attività. Si parla, in entrambi i casi, di motivi che generano l’atto, che esulano dalla sfera della necessità per la tutela della salute. Infatti in presenza di questa eventualità sarà doveroso per il medico, in conformità con il Codice Deontologico, porre in essere tutto quello che è nelle sue possibilità per salvare la vita della sua paziente che in tale situazione è la donna e non la “presunta” vita del nascituro.

Qualora, invece, il dibattito si incentrasse solo ed esclusivamente su decisioni volontaristiche, non si può negare che emergono diritti e posizioni paritarie. Per tale ragione il medico ed il paziente possono ed hanno diritto ad una scelta e ad assumere la posizione più conforme ai loro convincimenti.

Viene ritenuto da più parti che vi siano resistenze alla completa attuazione della Legge 194 a causa della presenza, sul territorio nazionale, del Papa, soggetto portatore di precisi riferimenti valoriali sulla difesa della vita; un’altra interpretazione scaturisce da valutazioni “culturali” che inquadrerebbero l’Italia come Paese conservatore e poco evoluto e perciò non capace di raccogliere la sfida della modernità che sarebbe costituita dalla sola autodeterminazione della donna. In realtà anche queste analisi potrebbero essere ricondotte alla necessità di poter garantire una autentica libertà di pensiero anche quando essa si ponesse in contrasto con le idee dominanti dell’Europa ormai secolarizzata.

La maggiore e la migliore forma di libertà, sicuramente, è quella di rendere tutti liberi di scegliere: i pazienti come i medici. Con l’aggiunta, in quanto dato di carattere professionale e non solo “umano”, che il vero e unico grande dovere del medico è fare il medico: salvare vite e dare speranze.  

“il diritto alla vita e alla salute fisica e psichica della donna, la tutela dei diritti del concepito e il diritto all’obiezione di coscienza”.

Il Legislatore italiano da anni ormai cerca di bilanciare quelli che sono i diritti di tre soggetti diversi: la donna, il concepito ed il medico. Con la Legge sulla interruzione di gravidanza n. 194/78 si era raggiunto un buon compromesso per riuscire a garantire la volontà e la saluta della donna e la vita nascente. La Legge afferma la possibilità dell’aborto nei primi tre mesi di vita, mentre nei successivi sei mesi lo consente solo per ragioni che mettono in pericolo la vita della mamma.

Iniziano così i primi problemi di interpretazione e di valore da attribuire ad una vita nascente e ad una che si sta già vivendo, in quanto è difficile capire quale deve essere l’interesse per il feto fin quando non compie il suo primo respiro.

Il reale problema posto oggi all’attenzione riguarda il ruolo della terza figura: il medico. I medici sono costretti o possono scegliere se compiere o meno un aborto? In Italia è possibile scegliere; infatti sono numerosi i professionisti che si definiscono “obiettori di coscienza”.  Le ragioni di tale scelta possono essere svariate: spaziano da motivazioni etiche a questioni di appartenenza a fedi religiose, l’eccezione è posta solo nei casi in cui la donna è in grave pericolo di vita.

I medici sono chiamati, pertanto, a depositare una dichiarazione nell’ASL di appartenenza, nella quale devono affermare di non essere disposti a compiere l’aborto, poiché tale prassi è contraria alla “loro” morale. La possibilità di scelta sul praticare o meno l’aborto è stata riconosciuta dalla suddetta legge.

Ultimamente, però, si è rilevato che il numero degli obiettori è nettamente superiore rispetto a coloro i quali praticano l’aborto. L’incremento del numero ha causato e continua a causare disservizi in diversi ospedali italiani. La CGIL nel 2013 ha richiesto al Consiglio Europeo un parere sul tema denunciando la presenza di un atteggiamento discriminante nei confronti dei non obiettori. Costituendo questi ultimi delle eccezioni, spesso vengono ad essere trasferiti in altre sedi o vengono sottoposti a turni aggiuntivi. Si violerebbe pertanto, secondo la Cgil, la omogeneità di trattamento nei confronti dei professionisti. Il Consiglio si è espresso riconoscendo le accuse mosse, sostenendo che in Italia diviene sempre più difficile riuscire ad abortire e che, pertanto, la donna non si sente tutelata nel suo diritto alla salute.

Al Consiglio Europeo ha risposto il Ministro alla Salute, On. Beatrice Lorenzin, sostenendo che i dati ai quali si fa riferimento sono del 2013 e che la campagna di sensibilizzazione al tema che si sta attuando all’interno delle strutture sanitarie sta cambiando gli scenari all’interno del nostro Paese. Oggi, infatti, non si può parlare di un aborto difficile in Italia (basta riferirsi ai dati oggettivi costituiti dai numeri), in quanto risultano aumentati i casi di aborto volontario. Per quanto riguarda l’analisi numerica degli obiettori di coscienza si rileva la presenza di una discrepanza tra Nord e Sud: nel meridione d’Italia, infatti, il numero degli obiettori appare percentualmente superiore.

In un quadro così articolato bisogna interrogarsi e riflettere sugli interessi che vengono compromessi e sul profilo dei diritti coinvolti. Sulla bilancia si pongono due pesi diversi: la volontà di interruzione della gravidanza e la volontà del compimento o meno di tale attività. Si parla, in entrambi i casi, di motivi che generano l’atto, che esulano dalla sfera della necessità per la tutela della salute. Infatti in presenza di questa eventualità sarà doveroso per il medico, in conformità con il Codice Deontologico, porre in essere tutto quello che è nelle sue possibilità per salvare la vita della sua paziente che in tale situazione è la donna e non la “presunta” vita del nascituro.

Qualora, invece, il dibattito si incentrasse solo ed esclusivamente su decisioni volontaristiche, non si può negare che emergono diritti e posizioni paritarie. Per tale ragione il medico ed il paziente possono ed hanno diritto ad una scelta e ad assumere la posizione più conforme ai loro convincimenti.

Viene ritenuto da più parti che vi siano resistenze alla completa attuazione della Legge 194 a causa della presenza, sul territorio nazionale, del Papa, soggetto portatore di precisi riferimenti valoriali sulla difesa della vita; un’altra interpretazione scaturisce da valutazioni “culturali” che inquadrerebbero l’Italia come Paese conservatore e poco evoluto e perciò non capace di raccogliere la sfida della modernità che sarebbe costituita dalla sola autodeterminazione della donna. In realtà anche queste analisi potrebbero essere ricondotte alla necessità di poter garantire una autentica libertà di pensiero anche quando essa si ponesse in contrasto con le idee dominanti dell’Europa ormai secolarizzata.

La maggiore e la migliore forma di libertà, sicuramente, è quella di rendere tutti liberi di scegliere: i pazienti come i medici. Con l’aggiunta, in quanto dato di carattere professionale e non solo “umano”, che il vero e unico grande dovere del medico è fare il medico: salvare vite e dare speranze.