x

x

Articolo 30 Decreto Legislativo 276/2003 e distacco conservativo

Articolo 30 Decreto Legislativo 276/2003 e distacco conservativo
Articolo 30 Decreto Legislativo 276/2003 e distacco conservativo

Il presente elaborato trae spunto da una recente sentenza della Cassazione Penale n. 10484/2016, che ci consente di approfondire i profili di legittimità di una innovativa tipologia di distacco ex articolo 30, Decreto Legislativo 276/2003, definita nella prassi delle relazioni industriali “distacco conservativo”.

In via preliminare, giova ricapitolare in sintesi le caratteristiche generali dell’istituto giuridico in oggetto.

Il distacco, come noto, è disciplinato dal Decreto Legislativo 276/2003 c.d. “Legge Biagi”.

L’articolo 30 dispone che la fattispecie in esame si configura quando un datore di lavoro (c.d. distaccante), per soddisfare un proprio interesse, pone un dipendente (c.d. distaccato) a disposizione di un soggetto terzo (c.d. distaccatario). Quest’ultimo è il soggetto che organizza, dirige e fruisce della prestazione lavorativa svolta dal lavoratore.

Trattasi di uno dei casi in cui il titolare formale del rapporto di lavoro è differente rispetto al soggetto che fruisce della prestazione, come avviene per i contratti di appalto e somministrazione.

La disposizione statuisce altresì che un distacco c.d. “genuino” deve essere contraddistinto da tre requisiti imprescindibili: temporaneità; responsabilità retributiva, contributiva e disciplinare del distaccante; interesse specifico, rilevante e concreto in capo al distaccante.

La giurisprudenza e la dottrina negli anni hanno tentato di meglio definire i contorni e i contenuti dei suddetti elementi, sfruttando le opportunità scaturenti da una numerosa e svariata casistica.

In breve, secondo la teoria maggioritaria, la durata del distacco deve essere determinata o determinabile a priori. Non è ammesso un distacco a tempo indeterminato, o per un lasso di tempo non definibile.

Il distaccante, titolare del rapporto di lavoro, deve conservare la piena responsabilità retributiva e contributiva, nonché l’esercizio del potere disciplinare. Al distaccatario, invece, viene riservato il c.d. potere direttivo in relazione alle attività svolte quotidianamente dal lavoratore.

Per quanto concerne il terzo dei su riportati requisiti, si ritiene che l’interesse del distaccante debba essere connesso a specifiche ragioni tecniche, produttive o organizzative, concrete ed economicamente rilevanti.

Recentemente, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (MdLedPS), in risposta a un interpello di Confindustria, oltre ad affermare in modo innovativo che nei gruppi di imprese, come nei contratti di rete, l’interesse del distaccante è presunto in virtù di organizzazione e obiettivo comuni, ha ribadito che lo stesso deve essere “specifico, rilevante, concreto e persistente, accertato caso per caso, in base alla natura dell’attività espletata, potendo ad ogni modo coincidere con qualsiasi tipo di interesse produttivo dell’impresa distaccante, anche di carattere non economico.

Quanto sostenuto dal MdLedPS è in linea con gran parte della giurisprudenza sul punto. 

Ai fini della presente disamina, l’aspetto più interessante contenuto nel provvedimento del MdLedPS è rappresentato dalla locuzione “interesse produttivo (…) anche di carattere non economico”.

In ipotesi di distacco, plurimo o individuale, c.d. “conservativo”, invero, il distaccante pone temporaneamente uno o più dipendenti a disposizione del distaccatario, al fine di gestire fruttuosamente una crisi o un calo produttivo, salvaguardando al contempo le conoscenze e la professionalità dei lavoratori, senza attingere agli ammortizzatori sociali o procedere a licenziamenti per giustificativo motivo oggettivo o collettivi.

È lapalissiano come in questo caso non sia rilevabile un classico interesse economico connesso alle attività produttive dell’azienda distaccante, bensì un interesse organizzativo non economico ma di rilevante importanza, in quanto consente al distaccante di preservare il bagaglio di conoscenze dei propri lavoratori ponendoli temporaneamente in distacco presso un’altra azienda, di norma appartenente allo stesso comparto industriale. In tal modo, al termine del distacco i lavoratori torneranno in organico presso l’azienda distaccante, avendo conservato e aggiornato professionalità e metodi di lavoro. 

A questo punto, presupponendo la definizione di interesse ex articolo 30, Decreto Legislativo 276/2003 fornita dal MdLedPS e dalla migliore giurisprudenza e considerato quanto sopra, il c.d. distacco “conservativo” potrebbe esser ritenuto legittimo, ove sussistano anche gli ulteriori requisiti richiesti dalla disposizione della c.d. “Legge Biagi”.

Se cosi fosse, l’istituto in esame meriterebbe, però, ulteriori approfondimenti, in quanto a seguito della recente riforma del complessivo sistema degli ammortizzatori sociali, potrebbe rappresentare una valida opzione per gli addetti ai lavori del sistema delle relazioni industriali nella gestione delle crisi aziendali, o configurare una modalità applicativa dell’istituto del distacco finalizzata alla mera elusione del riformato reticolato normativo.

A tal fine, in primo luogo, sarebbe necessario definire rapporto e limiti reciproci tra distacco c.d. “conservativo” ex articolo 30, Decreto Legislativo 276/2003, e distacco c.d. “collettivo” ex articolo 8, c. 3, LEGGE 236/1993 e LEGGE 223/1991.

La c.d. “Legge Biagi”, invero, fa salva l’ipotesi di distacco in sede di licenziamenti collettivi, il quale è finalizzato al mantenimento dell’occupazione dei lavoratori interessati dalla c.d. procedura di mobilità.

Gli obiettivi dei due istituti sono molto simili.

Il distacco ex. Legge 236/1993 presuppone, però, l’accordo sindacale di cui alla Legge 223/1991. Di conseguenza, ove si ritenesse legittimo il distacco “conservativo”, si aprirebbe la strada a una procedura che potrebbe prestarsi facilmente ad abusi e distorsioni elusive, nel tentativo di non soggiacere alle forche caudine della negoziazione sindacale.

Sarebbe necessario, inoltre, giustificare per quale motivo nel primo caso è necessario l’intervento delle OO. SS. a tutela dei lavoratori, e nel secondo caso, invece, è sufficiente l’accordo individuale.

In secondo luogo, la legittimità della tipologia di distacco oggetto di esame determinerebbe un necessario approfondimento delle interferenze che si verrebbero a creare con il novellato sistema degli ammortizzatori sociali, in quanto, anche in questo caso l’innovativo istituto potrebbe essere utilizzato in maniera impropria, al fine di evitare i costi, in molti casi incrementati, delle nuove procedure.

La sentenza della Corte di Cassazione citata nell’incipit del presente elaborato, purtroppo, non ci fornisce ulteriori elementi utili all’esame della fattispecie.

Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, l’azienda Alfa (distaccante) stipulava un contratto di distacco plurimo con l’azienda Beta (distaccataria), al fine di far fronte a un calo della produzione senza procedere a licenziamenti.

Dalla sentenza si evince che la Direzione Territoriale del Lavoro (DTL), in sede di verifica ispettiva, raccolte le informazioni afferenti il caso in oggetto, riteneva il suddetto distacco illecito.

Il Tribunale di primo grado, successivamente, accoglieva le motivazioni espresse dalla DTL con il verbale di accertamento, e conseguentemente condannava i legali rappresentanti delle due aziende alla sanzione di cui all’articolo 18, c. 5 bis, Decreto Legislativo 276/2003.

Nello specifico, il Giudicante riteneva il distacco c.d. “conservativo” estraneo alla casistica disciplinata dall’articolo 30, Decreto Legislativo 276/2003, in quanto non vi rilevava un valido interesse del distaccante, tale da configurare uno dei requisiti richiesti dalla norma ai fini di legittimità.

La Suprema Corte, infine, adita dai difensori dei legali rappresentanti delle due aziende, si limitava ad annullare la sentenza del Tribunale, sostenendo che il fatto non è più previsto dalla Legge come reato, in virtù di quanto disposto dal Decreto Legislativo 8/2016, astenendosi dall’esaminare nel merito la fattispecie oggetto di ricorso.

I Giudici della Cassazione trasmettevano, di conseguenza, gli atti alla DTL, come previsto dal decreto legislativo sulla depenalizzazione.

Come anticipato, il provvedimento della Cassazione non contiene una determinazione specifica in merito all’oggetto del contendere, prestandosi, pertanto, a plurime interpretazioni.

I Giudici, per esempio, potrebbero aver trasmesso gli atti alla DTL quale conseguenza di una indiretta valutazione di illegittimità del distacco plurimo conservativo, ovvero, potrebbero essersi limitati a prender atto della novella introdotta dal Decreto Legislativo 8/2016, adempiendo a quanto ivi disposto e rimettendo alla DTL qualsivoglia decisione sul merito.

In virtù di quanto sin qui esposto ed esaminato, risulta auspicabile in futuro un intervento chiarificatore della Suprema Corte sulla problematica espressa, anche in previsione di un potenziale incremento dell’applicazione del distacco c.d. conservativo.

Il presente elaborato trae spunto da una recente sentenza della Cassazione Penale n. 10484/2016, che ci consente di approfondire i profili di legittimità di una innovativa tipologia di distacco ex articolo 30, Decreto Legislativo 276/2003, definita nella prassi delle relazioni industriali “distacco conservativo”.

In via preliminare, giova ricapitolare in sintesi le caratteristiche generali dell’istituto giuridico in oggetto.

Il distacco, come noto, è disciplinato dal Decreto Legislativo 276/2003 c.d. “Legge Biagi”.

L’articolo 30 dispone che la fattispecie in esame si configura quando un datore di lavoro (c.d. distaccante), per soddisfare un proprio interesse, pone un dipendente (c.d. distaccato) a disposizione di un soggetto terzo (c.d. distaccatario). Quest’ultimo è il soggetto che organizza, dirige e fruisce della prestazione lavorativa svolta dal lavoratore.

Trattasi di uno dei casi in cui il titolare formale del rapporto di lavoro è differente rispetto al soggetto che fruisce della prestazione, come avviene per i contratti di appalto e somministrazione.

La disposizione statuisce altresì che un distacco c.d. “genuino” deve essere contraddistinto da tre requisiti imprescindibili: temporaneità; responsabilità retributiva, contributiva e disciplinare del distaccante; interesse specifico, rilevante e concreto in capo al distaccante.

La giurisprudenza e la dottrina negli anni hanno tentato di meglio definire i contorni e i contenuti dei suddetti elementi, sfruttando le opportunità scaturenti da una numerosa e svariata casistica.

In breve, secondo la teoria maggioritaria, la durata del distacco deve essere determinata o determinabile a priori. Non è ammesso un distacco a tempo indeterminato, o per un lasso di tempo non definibile.

Il distaccante, titolare del rapporto di lavoro, deve conservare la piena responsabilità retributiva e contributiva, nonché l’esercizio del potere disciplinare. Al distaccatario, invece, viene riservato il c.d. potere direttivo in relazione alle attività svolte quotidianamente dal lavoratore.

Per quanto concerne il terzo dei su riportati requisiti, si ritiene che l’interesse del distaccante debba essere connesso a specifiche ragioni tecniche, produttive o organizzative, concrete ed economicamente rilevanti.

Recentemente, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (MdLedPS), in risposta a un interpello di Confindustria, oltre ad affermare in modo innovativo che nei gruppi di imprese, come nei contratti di rete, l’interesse del distaccante è presunto in virtù di organizzazione e obiettivo comuni, ha ribadito che lo stesso deve essere “specifico, rilevante, concreto e persistente, accertato caso per caso, in base alla natura dell’attività espletata, potendo ad ogni modo coincidere con qualsiasi tipo di interesse produttivo dell’impresa distaccante, anche di carattere non economico.

Quanto sostenuto dal MdLedPS è in linea con gran parte della giurisprudenza sul punto. 

Ai fini della presente disamina, l’aspetto più interessante contenuto nel provvedimento del MdLedPS è rappresentato dalla locuzione “interesse produttivo (…) anche di carattere non economico”.

In ipotesi di distacco, plurimo o individuale, c.d. “conservativo”, invero, il distaccante pone temporaneamente uno o più dipendenti a disposizione del distaccatario, al fine di gestire fruttuosamente una crisi o un calo produttivo, salvaguardando al contempo le conoscenze e la professionalità dei lavoratori, senza attingere agli ammortizzatori sociali o procedere a licenziamenti per giustificativo motivo oggettivo o collettivi.

È lapalissiano come in questo caso non sia rilevabile un classico interesse economico connesso alle attività produttive dell’azienda distaccante, bensì un interesse organizzativo non economico ma di rilevante importanza, in quanto consente al distaccante di preservare il bagaglio di conoscenze dei propri lavoratori ponendoli temporaneamente in distacco presso un’altra azienda, di norma appartenente allo stesso comparto industriale. In tal modo, al termine del distacco i lavoratori torneranno in organico presso l’azienda distaccante, avendo conservato e aggiornato professionalità e metodi di lavoro. 

A questo punto, presupponendo la definizione di interesse ex articolo 30, Decreto Legislativo 276/2003 fornita dal MdLedPS e dalla migliore giurisprudenza e considerato quanto sopra, il c.d. distacco “conservativo” potrebbe esser ritenuto legittimo, ove sussistano anche gli ulteriori requisiti richiesti dalla disposizione della c.d. “Legge Biagi”.

Se cosi fosse, l’istituto in esame meriterebbe, però, ulteriori approfondimenti, in quanto a seguito della recente riforma del complessivo sistema degli ammortizzatori sociali, potrebbe rappresentare una valida opzione per gli addetti ai lavori del sistema delle relazioni industriali nella gestione delle crisi aziendali, o configurare una modalità applicativa dell’istituto del distacco finalizzata alla mera elusione del riformato reticolato normativo.

A tal fine, in primo luogo, sarebbe necessario definire rapporto e limiti reciproci tra distacco c.d. “conservativo” ex articolo 30, Decreto Legislativo 276/2003, e distacco c.d. “collettivo” ex articolo 8, c. 3, LEGGE 236/1993 e LEGGE 223/1991.

La c.d. “Legge Biagi”, invero, fa salva l’ipotesi di distacco in sede di licenziamenti collettivi, il quale è finalizzato al mantenimento dell’occupazione dei lavoratori interessati dalla c.d. procedura di mobilità.

Gli obiettivi dei due istituti sono molto simili.

Il distacco ex. Legge 236/1993 presuppone, però, l’accordo sindacale di cui alla Legge 223/1991. Di conseguenza, ove si ritenesse legittimo il distacco “conservativo”, si aprirebbe la strada a una procedura che potrebbe prestarsi facilmente ad abusi e distorsioni elusive, nel tentativo di non soggiacere alle forche caudine della negoziazione sindacale.

Sarebbe necessario, inoltre, giustificare per quale motivo nel primo caso è necessario l’intervento delle OO. SS. a tutela dei lavoratori, e nel secondo caso, invece, è sufficiente l’accordo individuale.

In secondo luogo, la legittimità della tipologia di distacco oggetto di esame determinerebbe un necessario approfondimento delle interferenze che si verrebbero a creare con il novellato sistema degli ammortizzatori sociali, in quanto, anche in questo caso l’innovativo istituto potrebbe essere utilizzato in maniera impropria, al fine di evitare i costi, in molti casi incrementati, delle nuove procedure.

La sentenza della Corte di Cassazione citata nell’incipit del presente elaborato, purtroppo, non ci fornisce ulteriori elementi utili all’esame della fattispecie.

Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, l’azienda Alfa (distaccante) stipulava un contratto di distacco plurimo con l’azienda Beta (distaccataria), al fine di far fronte a un calo della produzione senza procedere a licenziamenti.

Dalla sentenza si evince che la Direzione Territoriale del Lavoro (DTL), in sede di verifica ispettiva, raccolte le informazioni afferenti il caso in oggetto, riteneva il suddetto distacco illecito.

Il Tribunale di primo grado, successivamente, accoglieva le motivazioni espresse dalla DTL con il verbale di accertamento, e conseguentemente condannava i legali rappresentanti delle due aziende alla sanzione di cui all’articolo 18, c. 5 bis, Decreto Legislativo 276/2003.

Nello specifico, il Giudicante riteneva il distacco c.d. “conservativo” estraneo alla casistica disciplinata dall’articolo 30, Decreto Legislativo 276/2003, in quanto non vi rilevava un valido interesse del distaccante, tale da configurare uno dei requisiti richiesti dalla norma ai fini di legittimità.

La Suprema Corte, infine, adita dai difensori dei legali rappresentanti delle due aziende, si limitava ad annullare la sentenza del Tribunale, sostenendo che il fatto non è più previsto dalla Legge come reato, in virtù di quanto disposto dal Decreto Legislativo 8/2016, astenendosi dall’esaminare nel merito la fattispecie oggetto di ricorso.

I Giudici della Cassazione trasmettevano, di conseguenza, gli atti alla DTL, come previsto dal decreto legislativo sulla depenalizzazione.

Come anticipato, il provvedimento della Cassazione non contiene una determinazione specifica in merito all’oggetto del contendere, prestandosi, pertanto, a plurime interpretazioni.

I Giudici, per esempio, potrebbero aver trasmesso gli atti alla DTL quale conseguenza di una indiretta valutazione di illegittimità del distacco plurimo conservativo, ovvero, potrebbero essersi limitati a prender atto della novella introdotta dal Decreto Legislativo 8/2016, adempiendo a quanto ivi disposto e rimettendo alla DTL qualsivoglia decisione sul merito.

In virtù di quanto sin qui esposto ed esaminato, risulta auspicabile in futuro un intervento chiarificatore della Suprema Corte sulla problematica espressa, anche in previsione di un potenziale incremento dell’applicazione del distacco c.d. conservativo.