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Causa di non punibilità del reato tributario: pagamento del debito tributario

Commento al nuovo articolo 13 decreto legislativo 74 del 2000
Causa di non punibilità del reato tributario: pagamento del debito tributario
Causa di non punibilità del reato tributario: pagamento del debito tributario

Abstract

Il decreto legislativo 158 del 2015 ha “revisionato” il sistema sanzionatorio penale tributario, introducendo molteplici ed importanti innovazioni. Tra queste assume particolare rilevanza, per l’assoluta novità della disciplina nell’ambito del sistema penale-tributario e per l’attenzione che ha suscitato in dottrina e in giurisprudenza, la modifica dell’articolo 13 del decreto legislativo 74 del 2000, il quale non prevede più una circostanza attenuante ad effetto speciale (ora confluita nel nuovo articolo 13-bis), bensì una causa di esclusione della punibilità, la cui applicazione è subordinata al pagamento dell’intero debito tributario, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. 

 

1. Disciplina previgente

La disciplina degli effetti penali derivanti dall’estinzione del debito tributario è stata oggetto, nel corso del tempo, di varie e notevoli modifiche, a partire dalla sua introduzione ad opera del decreto legislativo 74 del 2000, e, da ultimo, «revisionata» dagli articoli 11 e 12 del decreto legislativo 158 del 2015.

Andiamo con ordine.

Nella sua versione originaria l’estinzione del debito tributario costituiva una circostanza attenuante per tutti i delitti previsti dal decreto legislativo 74 del 2000.

Infatti, l’articolo 13 decreto legislativo 74 del 2000 prevedeva una diminuzione di pena fino alla metà per i delitti di cui al suddetto decreto e l’esclusione delle pene accessorie indicate all’art.12, se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il contribuente avesse estinto i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie. Inoltre, al comma 3 si specificava che della diminuzione di cui al comma 1 non si dovesse tenere conto ai fini della sostituzione della pena detentiva inflitta con la pena pecuniaria a noma dell’articolo 53 della legge 24 novembre 1981 n. 689.

Il decreto legge 138 del 2011 ha apportato alcune modifiche alla disciplina di cui sopra.

Innanzitutto, è stata ridotta l’entità dell’attenuante da «fino alla metà» a «fino ad un terzo».

In secondo luogo, è stato introdotto nell’articolo13 il comma 2-bis, il quale subordinava l’applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale al ricorrere della circostanza attenuante.

Infine, il Titolo I del decreto legislativo 158 del 2015 ha apportato rilevanti modifiche al decreto legislativo 74 del 2000; l’ articolo 11 del decreto 158 del 2015 ha radicalmente modificato l’art. 13 del decreto 74 del 2000, mentre il successivo articolo 12 ha introdotto il nuovo articolo 13-bis.

Rispetto alla previgente disciplina risultano estesi i benefici premiali, il nuovo articolo 13, infatti, prevede una causa di esclusione della punibilità, anziché una circostanza attenuante, in presenza del pagamento del debito tributario, il nuovo articolo 13 bis, invece, reintroduce la circostanza ad effetto speciale, precedentemente prevista dal vecchio articolo 13.

Analizziamo singolarmente le due nuove disposizioni.

2. Articolo 13. Causa di non punibilità. Pagamento del debito tributario

Come anticipato, l’articolo 11 del decreto legislativo 158 del 2015 sostituisce il testo del vecchio articolo 13, inserendo ex novo una causa di non punibilità. Invece, il contenuto del testo originario dell’articolo 13 è confluito, ad opera dell’articolo 12 del decreto 158, nel nuovo art. 13-bis, il quale, attualmente, prevede una circostanza attenuante ad effetto speciale.

La causa di non punibilità di cui all’articolo 13 non si applica a tutti i reati di cui al decreto legislativo 74 del 2000, ma soltanto ad alcuni di essi.

In presenza di questi reati, che a breve vedremo, il contribuente ha la possibilità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta, previo pagamento del debito tributario, e, dunque, previa soddisfazione delle pretese dell’erario, prima dell’apertura del dibattimento penale. Come è evidente, le novità sono molteplice e tutte di favore per il contribuente.

L’articolo 13 limita l’ambito di operatività della causa di non punibilità ai reati di cui agli articoli 10 bis, 10 ter, 10 quater comma 1 (articolo 13 comma 1) e agli articoli 4 e 5 (articolo 13 comma 2). Dunque, rimangono fuori i reati connotati da una maggiore condotta decettiva, caratterizzati dall’utilizzo di mezzi fraudolenti, quali l’articolo 2 ( dichiarazione fraudolente mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) e l’articolo 3 (dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di altri artifici), per i quali, tuttavia, è applicabile la circostanza attenuante di cui all’articolo 13 bis.

Rimane altresì fuori dall’ambito di applicazione della norma in commento l’articolo 10 (occultamento o distruzione di documenti contabili), rispetto al quale la causa di non punibilità non può configurarsi da un punto di vista strutturale, poiché l’articolo 10 non presuppone una sottrazione di materia imponibile, dunque, un debito nei confronti dell’erario;  la condotta tipica del suddetto articolo consiste, infatti, nell’occultare o nel distruggere i documenti contabili in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. Dunque, stante il tenore letterale dell’articolo 13 che fa riferimento al concetto di debito tributario, devono escludersi dall’ambito applicativo i delitti dai quali non derivi l’insorgenza di un debito di imposta.

Ancora una nozione di carattere generale prima di passare ad analizzare nello specifico la presente disciplina:

Gli articoli 13 e 13-bis sono norme di natura processuale e, in quanto tali, si applicano in via retroattiva con riferimento anche ai procedimenti in corso. Pertanto, la nuova causa di non punibilità , se non è ancora aperto il dibattimento di primo grado, produrrà i suoi effetti estintivi anche relativamente ad un reato che sia stato commesso prima del 22 ottobre 2015.

L’articolo 13 comma 1 prevede che i reati di cui agli articoli 10 bis, 10 ter, 10 quater, comma 1(indebita compensazione di crediti non spettanti), non sono punibili in presenza di due condizioni, che devono sussistere congiuntamente:

1. I debiti tributari, comprese sanzioni amministrative ed interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.

2. L’estinzione del debito tributario deve avvenire prima della dichiarazione di apertura del dibattimento d primo grado.

L’articolo 13 comma 2, invece, stabilisce le condizioni in presenza delle quali i reati di cui agli articoli 4 (dichiarazione infedele) e 5 (omessa dichiarazione) non sono punibili.

1. I debiti tributari, comprese sanzioni amministrative ed interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo.

2. Il ravvedimento e la presentazione devono essere intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Il legislatore, in questo secondo caso, ha optato per la spontaneità della resipiscenza da parte del contribuente, infatti, egli deve agire anticipatamente rispetto alla formale conoscenza di un accertamento fiscale o di un procedimento penale. Ciò, però, sul piano pratico, rende quasi inapplicabile l’istituto. Infatti, è poco probabile che un contribuente ponga in essere comportamenti di ravvedimento senza essere “sollecitato” dalla conoscenza di accertamenti fiscali dell’amministrazione finanziaria.

Sono evidenti le differenze tra il primo e il secondo comma dell’articolo 13.

In relazione ai reati di omesso versamento di ritenute certificate (articolo 10 bis), omesso versamento di iva (articolo 10 ter), indebita compensazione di crediti non spettanti (articolo 10 quater, comma 1), il comma 1 dell’articolo 13 specifica che si possa giungere all’ esclusione della punibilità mediante pagamento del debito tributario, anche a seguito di procedure conciliative e di adesione all’accertamento, nonché mediante il ricorso al ravvedimento operoso. Mentre, in relazione ai reati di dichiarazione infedele (articolo 4) e omessa dichiarazione (articolo 5), il comma 2 dell’articolo 13 prevede che l’unica modalità di estinzione del debito tributario sia il ravvedimento operoso, o, per quanto riguarda l’omessa dichiarazione, entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo.

Ancora, i reati di cui agli articoli 10 bis, 10 ter, 10 quater, comma 1, non sono punibili se i debiti tributari sono stati estinti mediante pagamento degli importi dovuti, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, invece, i reati di cui agli articoli 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

L’ultimo comma, di nuovo conio, introdotto nell’ottica di agevolare il contribuente, trova applicazione sia con riferimento all’articolo 13, che all’articolo 13-bis. In merito al comma 3 dell’articolo 13, come vedremo, il tribunale di Treviso, il 23 febbraio 2016, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale, al fine di porre al vaglio della Consulta il possibile contrasto della norma in commento con le disposizioni costituzionali di cui agli articoli 3 e 24 della Costituzione.

Il comma 3 del nuovo articolo 13 concede al contribuente, che prima dell’apertura del dibattimento abbia già provveduto ad estinguere il debito tributario mediante rateizzazione, la possibilità di usufruire di un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, tale termine può essere prorogato dal giudice per una sola volta e per non oltre tre mesi. Ferma restando, in entrambi i casi, la sospensione della prescrizione.

Mentre la concessione del primo termine è obbligatoria, la proroga costituisce una mera facoltà attribuita alla valutazione discrezionale del giudice; e ciò lo si desume dal testo della norma, nella parte in cui compaiono le seguenti parole : “il giudice ha la facoltà...”

3. Questione di legittimità costituzionale del comma 3 dell’articolo 13

Il nuovo comma 3 dell’articolo 13 è stato al centro di un’ordinanza con cui il tribunale di Treviso ha sollevato una questione di legittimità costituzionale per un presunto contrasto con le norme di cui agli articoli 3 e 24 della costituzione.

Prima di analizzare i motivi del suddetto contrasto, diamo conto, brevemente, della vicenda da cui trae origine il provvedimento.

Dinnanzi al tribunale di Treviso, in data 23 febbraio 2016, la difesa di un soggetto imputato per omesso versamento di ritenute certificate (articolo 10-bis decreto legislativo 74 del 2000) aveva chiesto il differimento dell’udienza ad una data successiva al 31 dicembre 2017, al fine di permettere all’imputato di completare il pagamento rateale, preventivamente stabilito sulla base di un concordato preventivo secondo una scansione in 12 rate trimestrali, la cui ultima era fissata, appunto, il 31 dicembre 2017, e, cosi, di avvalersi della causa di non punibilità di cui all’articolo 13.

In sostanza, prima dell’apertura del dibattimento, il debito tributario era in fase di estinzione mediante rateizzazione, ma la concessione del termine di tre mesi (prorogabile una volta sola di tre mesi) non avrebbe consentito all’imputato di estinguere tutte le rate preventivamente concordate, e, di conseguenza, non avrebbe potuto godere della causa di non punibilità, in quanto l’intero debito tributario alla scadenza dei tre mesi (eventualmente prorogati di altri 3 mesi) non sarebbe stato integralmente estinto; condizione che si sarebbe realizzata solamente il 31 dicembre 2017, data di pagamento dell’ultima rata.

Condividendo le ragioni prospettate dalla difesa dell’imputato, il tribunale di Treviso ha ritenuto di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13 comma 3 decreto legislativo 74 del 2000, cosi come modificato dal decreto legislativo 158 del 2015, perché tale norma viola gli articoli 3 e 24 della costituzione nella parte in cui prevede che, qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo con facoltà per il giudice di prorogare questo termine una sola volta per non oltre 3 mesi, e non consente, invece, di concedere un termine più lungo coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione, perlomeno in determinate circostanze.

La neonata disciplina appare logicamente irragionevole, se si tiene conto del fatto che le procedure di adesione prevedano, spesso e volentieri, un termine di rateizzazione quadriennale e, in taluni casi, addirittura decennale. Alla luce di ciò, è palese che il termine semestrale concesso al contribuente dal comma 3 dell’articolo 13 risulta essere assolutamente inadeguato, e non costituisce di certo un’agevolazione per il contribuente, il quale, se vuole beneficiare della nuova causa di non punibilità, è costretto a rinunciare ai più lunghi termini di pagamento previsti dalla normativa tributaria ed ad adeguarsi al suddetto, ristretto ed inadeguato termine semestrale.

Il tribunale di Treviso, si legge nell’ordinanza, ritiene che la suddetta disciplina non sia solo logicamente irragionevole ma anche giuridicamente irragionevole, con conseguente violazione dell’articolo 3 della Costituzione, poiché fa dipendere la concreta possibilità di accedere alla causa di non punibilità da variabili che non dipendono dalla volontà dell’imputato.

Ad esempio, una di queste variabili potrebbe essere data dalla velocità con cui è esercitata l’azione penale: se il pubblico ministero esercita con ritardo l’azione penale, il reo avrà il tempo e il modo di pagare le rate del piano di rateizzazione e, dunque, è ben probabile che all’apertura del dibattimento, i sei mesi previsti dalla norma siano sufficienti per ultimare il pagamento rateale e usufruire della causa di non punibilità.

Tuttavia, è ben possibile il contrario.

Se l’azione penale è esercitata celermente il reo avrebbe un significativo trattamento deteriore: il termine semestrale potrebbe non bastare per completare il pagamento di tutte le rate previste dal piano di rateizzazione.

Ciò comporta l’inaccettabile conseguenza secondo cui  la possibilità di aderire o meno ad un istituto di favore per il contribuente/imputato non dipende dalla sua volontà o strategia processuale, bensì da eventi puramente casuali, indipendenti dalla volontà dell’agente.

Inoltre, verrebbero trattate, senza giustificazione, in modo uguale situazioni differenti; da un lato, coloro i quali potrebbero rinunciare alla rateizzazione precedentemente concordata e versare il rimanente debito tributario nell’arco di tempo imposto dall’articolo 13 comma 3, dall’altro, invece, coloro i quali siano costretti a rispettare il piano di rateizzazione, come avviene in sede di concordato preventivo, ove incombe in capo al debitore l’obbligo di rispettare l’ordine, le misure e i tempi di pagamento ivi stabiliti, secondo quanto si desume dalla lettura degli articoli 167, 168 e 184 della legge fallimentare. In forza di ciò è evidente il contrasto della novellata disciplina con il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, trattando, senza plausibili ragioni, situazioni differenti in modo uguale.

Non solo.

Viola anche l’articolo 24 della Costituzione perché impedisce, senza valide ragioni, all’imputato di avvalersi di un’opzione difensiva che gli consentirebbe di andare esente da responsabilità penale

Abstract

Il decreto legislativo 158 del 2015 ha “revisionato” il sistema sanzionatorio penale tributario, introducendo molteplici ed importanti innovazioni. Tra queste assume particolare rilevanza, per l’assoluta novità della disciplina nell’ambito del sistema penale-tributario e per l’attenzione che ha suscitato in dottrina e in giurisprudenza, la modifica dell’articolo 13 del decreto legislativo 74 del 2000, il quale non prevede più una circostanza attenuante ad effetto speciale (ora confluita nel nuovo articolo 13-bis), bensì una causa di esclusione della punibilità, la cui applicazione è subordinata al pagamento dell’intero debito tributario, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. 

 

1. Disciplina previgente

La disciplina degli effetti penali derivanti dall’estinzione del debito tributario è stata oggetto, nel corso del tempo, di varie e notevoli modifiche, a partire dalla sua introduzione ad opera del decreto legislativo 74 del 2000, e, da ultimo, «revisionata» dagli articoli 11 e 12 del decreto legislativo 158 del 2015.

Andiamo con ordine.

Nella sua versione originaria l’estinzione del debito tributario costituiva una circostanza attenuante per tutti i delitti previsti dal decreto legislativo 74 del 2000.

Infatti, l’articolo 13 decreto legislativo 74 del 2000 prevedeva una diminuzione di pena fino alla metà per i delitti di cui al suddetto decreto e l’esclusione delle pene accessorie indicate all’art.12, se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il contribuente avesse estinto i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie. Inoltre, al comma 3 si specificava che della diminuzione di cui al comma 1 non si dovesse tenere conto ai fini della sostituzione della pena detentiva inflitta con la pena pecuniaria a noma dell’articolo 53 della legge 24 novembre 1981 n. 689.

Il decreto legge 138 del 2011 ha apportato alcune modifiche alla disciplina di cui sopra.

Innanzitutto, è stata ridotta l’entità dell’attenuante da «fino alla metà» a «fino ad un terzo».

In secondo luogo, è stato introdotto nell’articolo13 il comma 2-bis, il quale subordinava l’applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale al ricorrere della circostanza attenuante.

Infine, il Titolo I del decreto legislativo 158 del 2015 ha apportato rilevanti modifiche al decreto legislativo 74 del 2000; l’ articolo 11 del decreto 158 del 2015 ha radicalmente modificato l’art. 13 del decreto 74 del 2000, mentre il successivo articolo 12 ha introdotto il nuovo articolo 13-bis.

Rispetto alla previgente disciplina risultano estesi i benefici premiali, il nuovo articolo 13, infatti, prevede una causa di esclusione della punibilità, anziché una circostanza attenuante, in presenza del pagamento del debito tributario, il nuovo articolo 13 bis, invece, reintroduce la circostanza ad effetto speciale, precedentemente prevista dal vecchio articolo 13.

Analizziamo singolarmente le due nuove disposizioni.

2. Articolo 13. Causa di non punibilità. Pagamento del debito tributario

Come anticipato, l’articolo 11 del decreto legislativo 158 del 2015 sostituisce il testo del vecchio articolo 13, inserendo ex novo una causa di non punibilità. Invece, il contenuto del testo originario dell’articolo 13 è confluito, ad opera dell’articolo 12 del decreto 158, nel nuovo art. 13-bis, il quale, attualmente, prevede una circostanza attenuante ad effetto speciale.

La causa di non punibilità di cui all’articolo 13 non si applica a tutti i reati di cui al decreto legislativo 74 del 2000, ma soltanto ad alcuni di essi.

In presenza di questi reati, che a breve vedremo, il contribuente ha la possibilità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta, previo pagamento del debito tributario, e, dunque, previa soddisfazione delle pretese dell’erario, prima dell’apertura del dibattimento penale. Come è evidente, le novità sono molteplice e tutte di favore per il contribuente.

L’articolo 13 limita l’ambito di operatività della causa di non punibilità ai reati di cui agli articoli 10 bis, 10 ter, 10 quater comma 1 (articolo 13 comma 1) e agli articoli 4 e 5 (articolo 13 comma 2). Dunque, rimangono fuori i reati connotati da una maggiore condotta decettiva, caratterizzati dall’utilizzo di mezzi fraudolenti, quali l’articolo 2 ( dichiarazione fraudolente mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) e l’articolo 3 (dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di altri artifici), per i quali, tuttavia, è applicabile la circostanza attenuante di cui all’articolo 13 bis.

Rimane altresì fuori dall’ambito di applicazione della norma in commento l’articolo 10 (occultamento o distruzione di documenti contabili), rispetto al quale la causa di non punibilità non può configurarsi da un punto di vista strutturale, poiché l’articolo 10 non presuppone una sottrazione di materia imponibile, dunque, un debito nei confronti dell’erario;  la condotta tipica del suddetto articolo consiste, infatti, nell’occultare o nel distruggere i documenti contabili in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. Dunque, stante il tenore letterale dell’articolo 13 che fa riferimento al concetto di debito tributario, devono escludersi dall’ambito applicativo i delitti dai quali non derivi l’insorgenza di un debito di imposta.

Ancora una nozione di carattere generale prima di passare ad analizzare nello specifico la presente disciplina:

Gli articoli 13 e 13-bis sono norme di natura processuale e, in quanto tali, si applicano in via retroattiva con riferimento anche ai procedimenti in corso. Pertanto, la nuova causa di non punibilità , se non è ancora aperto il dibattimento di primo grado, produrrà i suoi effetti estintivi anche relativamente ad un reato che sia stato commesso prima del 22 ottobre 2015.

L’articolo 13 comma 1 prevede che i reati di cui agli articoli 10 bis, 10 ter, 10 quater, comma 1(indebita compensazione di crediti non spettanti), non sono punibili in presenza di due condizioni, che devono sussistere congiuntamente:

1. I debiti tributari, comprese sanzioni amministrative ed interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.

2. L’estinzione del debito tributario deve avvenire prima della dichiarazione di apertura del dibattimento d primo grado.

L’articolo 13 comma 2, invece, stabilisce le condizioni in presenza delle quali i reati di cui agli articoli 4 (dichiarazione infedele) e 5 (omessa dichiarazione) non sono punibili.

1. I debiti tributari, comprese sanzioni amministrative ed interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo.

2. Il ravvedimento e la presentazione devono essere intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Il legislatore, in questo secondo caso, ha optato per la spontaneità della resipiscenza da parte del contribuente, infatti, egli deve agire anticipatamente rispetto alla formale conoscenza di un accertamento fiscale o di un procedimento penale. Ciò, però, sul piano pratico, rende quasi inapplicabile l’istituto. Infatti, è poco probabile che un contribuente ponga in essere comportamenti di ravvedimento senza essere “sollecitato” dalla conoscenza di accertamenti fiscali dell’amministrazione finanziaria.

Sono evidenti le differenze tra il primo e il secondo comma dell’articolo 13.

In relazione ai reati di omesso versamento di ritenute certificate (articolo 10 bis), omesso versamento di iva (articolo 10 ter), indebita compensazione di crediti non spettanti (articolo 10 quater, comma 1), il comma 1 dell’articolo 13 specifica che si possa giungere all’ esclusione della punibilità mediante pagamento del debito tributario, anche a seguito di procedure conciliative e di adesione all’accertamento, nonché mediante il ricorso al ravvedimento operoso. Mentre, in relazione ai reati di dichiarazione infedele (articolo 4) e omessa dichiarazione (articolo 5), il comma 2 dell’articolo 13 prevede che l’unica modalità di estinzione del debito tributario sia il ravvedimento operoso, o, per quanto riguarda l’omessa dichiarazione, entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo.

Ancora, i reati di cui agli articoli 10 bis, 10 ter, 10 quater, comma 1, non sono punibili se i debiti tributari sono stati estinti mediante pagamento degli importi dovuti, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, invece, i reati di cui agli articoli 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

L’ultimo comma, di nuovo conio, introdotto nell’ottica di agevolare il contribuente, trova applicazione sia con riferimento all’articolo 13, che all’articolo 13-bis. In merito al comma 3 dell’articolo 13, come vedremo, il tribunale di Treviso, il 23 febbraio 2016, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale, al fine di porre al vaglio della Consulta il possibile contrasto della norma in commento con le disposizioni costituzionali di cui agli articoli 3 e 24 della Costituzione.

Il comma 3 del nuovo articolo 13 concede al contribuente, che prima dell’apertura del dibattimento abbia già provveduto ad estinguere il debito tributario mediante rateizzazione, la possibilità di usufruire di un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, tale termine può essere prorogato dal giudice per una sola volta e per non oltre tre mesi. Ferma restando, in entrambi i casi, la sospensione della prescrizione.

Mentre la concessione del primo termine è obbligatoria, la proroga costituisce una mera facoltà attribuita alla valutazione discrezionale del giudice; e ciò lo si desume dal testo della norma, nella parte in cui compaiono le seguenti parole : “il giudice ha la facoltà...”

3. Questione di legittimità costituzionale del comma 3 dell’articolo 13

Il nuovo comma 3 dell’articolo 13 è stato al centro di un’ordinanza con cui il tribunale di Treviso ha sollevato una questione di legittimità costituzionale per un presunto contrasto con le norme di cui agli articoli 3 e 24 della costituzione.

Prima di analizzare i motivi del suddetto contrasto, diamo conto, brevemente, della vicenda da cui trae origine il provvedimento.

Dinnanzi al tribunale di Treviso, in data 23 febbraio 2016, la difesa di un soggetto imputato per omesso versamento di ritenute certificate (articolo 10-bis decreto legislativo 74 del 2000) aveva chiesto il differimento dell’udienza ad una data successiva al 31 dicembre 2017, al fine di permettere all’imputato di completare il pagamento rateale, preventivamente stabilito sulla base di un concordato preventivo secondo una scansione in 12 rate trimestrali, la cui ultima era fissata, appunto, il 31 dicembre 2017, e, cosi, di avvalersi della causa di non punibilità di cui all’articolo 13.

In sostanza, prima dell’apertura del dibattimento, il debito tributario era in fase di estinzione mediante rateizzazione, ma la concessione del termine di tre mesi (prorogabile una volta sola di tre mesi) non avrebbe consentito all’imputato di estinguere tutte le rate preventivamente concordate, e, di conseguenza, non avrebbe potuto godere della causa di non punibilità, in quanto l’intero debito tributario alla scadenza dei tre mesi (eventualmente prorogati di altri 3 mesi) non sarebbe stato integralmente estinto; condizione che si sarebbe realizzata solamente il 31 dicembre 2017, data di pagamento dell’ultima rata.

Condividendo le ragioni prospettate dalla difesa dell’imputato, il tribunale di Treviso ha ritenuto di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13 comma 3 decreto legislativo 74 del 2000, cosi come modificato dal decreto legislativo 158 del 2015, perché tale norma viola gli articoli 3 e 24 della costituzione nella parte in cui prevede che, qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo con facoltà per il giudice di prorogare questo termine una sola volta per non oltre 3 mesi, e non consente, invece, di concedere un termine più lungo coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione, perlomeno in determinate circostanze.

La neonata disciplina appare logicamente irragionevole, se si tiene conto del fatto che le procedure di adesione prevedano, spesso e volentieri, un termine di rateizzazione quadriennale e, in taluni casi, addirittura decennale. Alla luce di ciò, è palese che il termine semestrale concesso al contribuente dal comma 3 dell’articolo 13 risulta essere assolutamente inadeguato, e non costituisce di certo un’agevolazione per il contribuente, il quale, se vuole beneficiare della nuova causa di non punibilità, è costretto a rinunciare ai più lunghi termini di pagamento previsti dalla normativa tributaria ed ad adeguarsi al suddetto, ristretto ed inadeguato termine semestrale.

Il tribunale di Treviso, si legge nell’ordinanza, ritiene che la suddetta disciplina non sia solo logicamente irragionevole ma anche giuridicamente irragionevole, con conseguente violazione dell’articolo 3 della Costituzione, poiché fa dipendere la concreta possibilità di accedere alla causa di non punibilità da variabili che non dipendono dalla volontà dell’imputato.

Ad esempio, una di queste variabili potrebbe essere data dalla velocità con cui è esercitata l’azione penale: se il pubblico ministero esercita con ritardo l’azione penale, il reo avrà il tempo e il modo di pagare le rate del piano di rateizzazione e, dunque, è ben probabile che all’apertura del dibattimento, i sei mesi previsti dalla norma siano sufficienti per ultimare il pagamento rateale e usufruire della causa di non punibilità.

Tuttavia, è ben possibile il contrario.

Se l’azione penale è esercitata celermente il reo avrebbe un significativo trattamento deteriore: il termine semestrale potrebbe non bastare per completare il pagamento di tutte le rate previste dal piano di rateizzazione.

Ciò comporta l’inaccettabile conseguenza secondo cui  la possibilità di aderire o meno ad un istituto di favore per il contribuente/imputato non dipende dalla sua volontà o strategia processuale, bensì da eventi puramente casuali, indipendenti dalla volontà dell’agente.

Inoltre, verrebbero trattate, senza giustificazione, in modo uguale situazioni differenti; da un lato, coloro i quali potrebbero rinunciare alla rateizzazione precedentemente concordata e versare il rimanente debito tributario nell’arco di tempo imposto dall’articolo 13 comma 3, dall’altro, invece, coloro i quali siano costretti a rispettare il piano di rateizzazione, come avviene in sede di concordato preventivo, ove incombe in capo al debitore l’obbligo di rispettare l’ordine, le misure e i tempi di pagamento ivi stabiliti, secondo quanto si desume dalla lettura degli articoli 167, 168 e 184 della legge fallimentare. In forza di ciò è evidente il contrasto della novellata disciplina con il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, trattando, senza plausibili ragioni, situazioni differenti in modo uguale.

Non solo.

Viola anche l’articolo 24 della Costituzione perché impedisce, senza valide ragioni, all’imputato di avvalersi di un’opzione difensiva che gli consentirebbe di andare esente da responsabilità penale