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Breve nota sulla regolamentazione delle unioni civili

Breve nota sulla regolamentazione delle unioni civili
Breve nota sulla regolamentazione delle unioni civili

La legge 20 maggio 2016, n. 76, ha istituito l’unione civile tra persone dello stesso sesso ed introdotto una regolamentazione per le convivenze di fatto.

Con riguardo alla prima, si segnala che la sua validità è subordinata alla dichiarazione dinanzi all’ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni, ed alla registrazione nel relativo archivio con l’indicazione del regime patrimoniale e dell’eventuale scelta del cognome comune. Essa è impedita (a pena di nullità) in presenza di un precedente vincolo matrimoniale o unione civile di uno dei due contraenti, un rapporto di parentela, affinità o adozione tra le parti secondo le definizioni del c.c. (con l’aggiunta della parentela zio-a/nipote) oppure di una condanna di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia stato coniuge o unito civilmente con l’altra parte.

L’unione civile può essere impugnata da ciascuna delle parti, dagli ascendenti, dal pubblico ministero e da chiunque abbia un interesse legittimo e attuale ed annullata in presenza di condotte violente di un partner, salva la possibilità della vittima di chiedere al giudice civile l’allontanamento del violento dalla casa comune (c.d.ordine di protezione ex art. 342-ter c.c.). Come per il matrimonio, anche all’unione è riservata una speciale procedura per il suo scioglimento, che può essere disposto per volontà, anche disgiunta, delle parti, decorsi tre mesi dalla manifestazione di tale volere all’ufficiale di stato civile.

Il provvedimento contiene una delega al Governo, da esercitare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, per adeguare l’ordinamento giuridico (leggi, regolamenti e decreti), ed in particolare l’ordinamento dello stato civile, alle disposizioni della legge. Per gli stranieri che desiderino contrarre un’unione civile è richiesto l’ulteriore requisito del documento attestante la regolarità del soggiorno sul territorio nazionale (come per il matrimonio, exart. 116 c.c.).

Come accennato in premessa il provvedimento regolamenta anche la convivenza di fatto, definendola un rapporto tra maggiorenni uniti stabilmente da legame di coppia (desumibile dalla dichiarazione anagrafica) e di reciproca assistenza, senza vincoli di parentela, affinità o adozione. Ai conviventi sono concessi gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dal diritto penitenziario[1], ed è previsto in caso di ricovero o malattia il diritto reciproco di visita e accesso alle informazioni personali riservate.

La legge prevede, ai commi 50 e seguenti dell’articolo unico che la compone, che i conviventi possano disciplinare i rapporti patrimoniali mediante “contratto di convivenza” sul quale è opportuno brevemente soffermarsi. Tale contratto dev’essere obbligatoriamente redatto in forma scritta e con sottoscrizione autenticata, e dev’essere trasmesso al comune di residenza della coppia a cura del professionista che ha autenticato le firme, ai fini dell’iscrizione anagrafica. Il contratto può contenere:

  • l’indicazione della residenza;
  • le modalità di contribuzione della coppia alle necessità della vita in comune;
  • il regime patrimoniale scelto.

Esso è affetto da nullità insanabile se concluso:

  • in presenza di rapporti di parentela, affinità o adozione;
  • da persona di minore età o interdetta;
  • da condannato per omicidio consumato o tentato nei confronti del coniuge dell’altra parte.

Il contratto di convivenza si risolve per (comma 59):

  • accordo tra le parti;
  • recesso unilaterale;
  • matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona;
  • morte di un contraente.

In caso di cessazione della convivenza di fatto il giudice stabilisce il diritto del convivente a ricevere dall’altro “gli alimenti”, qualora non possa provvedere al proprio mantenimento; questi ultimi sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza (desunta dalla data di iscrizione anagrafica della coppia).

Si ritiene utile concludere questo breve lavoro soffermandoci sulla “clausola di salvaguardia” contenuta nel comma 20 dell’articolo unico, che estende alle parti dell’unione civile, “al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi”, leggi, regolamenti, atti amministrativi e contratti collettivi che si riferiscono ai coniugi, ad eccezione delle disposizioni in materia di adozioni (previste dalla legge 4 maggio 1983, n. 184). A tale riguardo si segnala che, sebbene prevista nel testo originario del disegno di legge, nel corso dei lavori parlamentari è stata soppressa la previsione che consentiva la stepchild adoption da parte dei contraenti l’unione civile, vale a dire la possibilità di adozione da parte di uno di essi del figlio biologico dell’altro. Precisa il comma 20 che “[…] resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”, lasciando quindi aperta la possibilità per i giudici di effettuare, in tema di adozioni, valutazioni caso per caso nel supremo interesse del minore.

È del 26 maggio scorso la prima decisione nel senso da parte di un tribunale di merito dopo l’entrata in vigore della c.d. legge Cirinnà: la Corte d’Appello di Torino ha concesso l’adozione incrociata delle rispettive figlie per una coppia di donne sposate in Danimarca nel 2014. Nella decisione i giudici hanno tenuto conto del livello di accudimento dei minori e del clima “sereno e positivo” dell’unione civile ed hanno applicato la legge n. 184/1983, laddove prevede, al Titolo IV, le “adozioni in casi particolari”.

A conclusione di questa analisi si vuole soffermarci sulla portata giuridica del già citato comma 20, laddove l’equiparazione dell’unione civile al coniugio nelle leggi, regolamenti, atti amministrativi e contratti collettivi è effettuata “al solo fine d assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi”.

Come rilevato dal Comitato parlamentare per la legislazione[2], sarà opportuno precisare, con intervento normativo successivo, se la citata estensione all’unione civile delle disposizioni di legge che si riferiscono al matrimonio valga anche per le norme penali in malam partem derivanti dalla qualità di coniuge. Così congegnata, infatti, la disposizione è in grado di ripercuotere i propri effetti sulle leggi penali, sostanziali e processuali, nella sola misura in cui si possa dire che l'estensione della relativa disciplina vada nella direzione della tutela dei diritti o dell'adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile[3].

Si dovrà attendere l’esercizio della delega legislativa da parte del Governo (prevista dall’art. 28 del disegno di legge[4]) per verificare se in quella sede vi sarà la puntuale indicazione delle disposizioni penalistiche che si intende estendere alle unioni civili.

 

[1] Quali, ad esempio, i diritti di visita e colloquio ai detenuti e di legittimazione alla richiesta di misure alternative alla detenzione ex artt. 18 e 57 dell’Ordinamento penitenziario.

[2] “Al comma 20 […] parrebbe opportuno precisare se con il suddetto rinvio si intendano richiamare anche le norme in malam partem derivanti dalla qualità di coniuge (a mero titolo esemplificativo, si consideri l’articolo 577 del codice penale, che, nel caso di omicidio, prevede un aumento di pena se il reato è stato commesso contro il coniuge […]) e, in caso affermativo, individuare le suddette norme in maniera puntuale […]”. Così il Comitato per la legislazione della Camera dei Deputati nella seduta del 12 aprile 2016.

[3] Così Gian Luigi Gatta, in “Unioni civili tra persone dello stesso sesso e convivenze di fatto: i profili penalistici della Legge Cirinnà” (articolo tratto da www.penalecontemporaneo.it).

[4] “Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di unione civile tra persone dello stesso sesso nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: […] c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la presente legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti”.

La legge 20 maggio 2016, n. 76, ha istituito l’unione civile tra persone dello stesso sesso ed introdotto una regolamentazione per le convivenze di fatto.

Con riguardo alla prima, si segnala che la sua validità è subordinata alla dichiarazione dinanzi all’ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni, ed alla registrazione nel relativo archivio con l’indicazione del regime patrimoniale e dell’eventuale scelta del cognome comune. Essa è impedita (a pena di nullità) in presenza di un precedente vincolo matrimoniale o unione civile di uno dei due contraenti, un rapporto di parentela, affinità o adozione tra le parti secondo le definizioni del c.c. (con l’aggiunta della parentela zio-a/nipote) oppure di una condanna di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia stato coniuge o unito civilmente con l’altra parte.

L’unione civile può essere impugnata da ciascuna delle parti, dagli ascendenti, dal pubblico ministero e da chiunque abbia un interesse legittimo e attuale ed annullata in presenza di condotte violente di un partner, salva la possibilità della vittima di chiedere al giudice civile l’allontanamento del violento dalla casa comune (c.d.ordine di protezione ex art. 342-ter c.c.). Come per il matrimonio, anche all’unione è riservata una speciale procedura per il suo scioglimento, che può essere disposto per volontà, anche disgiunta, delle parti, decorsi tre mesi dalla manifestazione di tale volere all’ufficiale di stato civile.

Il provvedimento contiene una delega al Governo, da esercitare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, per adeguare l’ordinamento giuridico (leggi, regolamenti e decreti), ed in particolare l’ordinamento dello stato civile, alle disposizioni della legge. Per gli stranieri che desiderino contrarre un’unione civile è richiesto l’ulteriore requisito del documento attestante la regolarità del soggiorno sul territorio nazionale (come per il matrimonio, exart. 116 c.c.).

Come accennato in premessa il provvedimento regolamenta anche la convivenza di fatto, definendola un rapporto tra maggiorenni uniti stabilmente da legame di coppia (desumibile dalla dichiarazione anagrafica) e di reciproca assistenza, senza vincoli di parentela, affinità o adozione. Ai conviventi sono concessi gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dal diritto penitenziario[1], ed è previsto in caso di ricovero o malattia il diritto reciproco di visita e accesso alle informazioni personali riservate.

La legge prevede, ai commi 50 e seguenti dell’articolo unico che la compone, che i conviventi possano disciplinare i rapporti patrimoniali mediante “contratto di convivenza” sul quale è opportuno brevemente soffermarsi. Tale contratto dev’essere obbligatoriamente redatto in forma scritta e con sottoscrizione autenticata, e dev’essere trasmesso al comune di residenza della coppia a cura del professionista che ha autenticato le firme, ai fini dell’iscrizione anagrafica. Il contratto può contenere:

  • l’indicazione della residenza;
  • le modalità di contribuzione della coppia alle necessità della vita in comune;
  • il regime patrimoniale scelto.

Esso è affetto da nullità insanabile se concluso:

  • in presenza di rapporti di parentela, affinità o adozione;
  • da persona di minore età o interdetta;
  • da condannato per omicidio consumato o tentato nei confronti del coniuge dell’altra parte.

Il contratto di convivenza si risolve per (comma 59):

  • accordo tra le parti;
  • recesso unilaterale;
  • matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona;
  • morte di un contraente.

In caso di cessazione della convivenza di fatto il giudice stabilisce il diritto del convivente a ricevere dall’altro “gli alimenti”, qualora non possa provvedere al proprio mantenimento; questi ultimi sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza (desunta dalla data di iscrizione anagrafica della coppia).

Si ritiene utile concludere questo breve lavoro soffermandoci sulla “clausola di salvaguardia” contenuta nel comma 20 dell’articolo unico, che estende alle parti dell’unione civile, “al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi”, leggi, regolamenti, atti amministrativi e contratti collettivi che si riferiscono ai coniugi, ad eccezione delle disposizioni in materia di adozioni (previste dalla legge 4 maggio 1983, n. 184). A tale riguardo si segnala che, sebbene prevista nel testo originario del disegno di legge, nel corso dei lavori parlamentari è stata soppressa la previsione che consentiva la stepchild adoption da parte dei contraenti l’unione civile, vale a dire la possibilità di adozione da parte di uno di essi del figlio biologico dell’altro. Precisa il comma 20 che “[…] resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”, lasciando quindi aperta la possibilità per i giudici di effettuare, in tema di adozioni, valutazioni caso per caso nel supremo interesse del minore.

È del 26 maggio scorso la prima decisione nel senso da parte di un tribunale di merito dopo l’entrata in vigore della c.d. legge Cirinnà: la Corte d’Appello di Torino ha concesso l’adozione incrociata delle rispettive figlie per una coppia di donne sposate in Danimarca nel 2014. Nella decisione i giudici hanno tenuto conto del livello di accudimento dei minori e del clima “sereno e positivo” dell’unione civile ed hanno applicato la legge n. 184/1983, laddove prevede, al Titolo IV, le “adozioni in casi particolari”.

A conclusione di questa analisi si vuole soffermarci sulla portata giuridica del già citato comma 20, laddove l’equiparazione dell’unione civile al coniugio nelle leggi, regolamenti, atti amministrativi e contratti collettivi è effettuata “al solo fine d assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi”.

Come rilevato dal Comitato parlamentare per la legislazione[2], sarà opportuno precisare, con intervento normativo successivo, se la citata estensione all’unione civile delle disposizioni di legge che si riferiscono al matrimonio valga anche per le norme penali in malam partem derivanti dalla qualità di coniuge. Così congegnata, infatti, la disposizione è in grado di ripercuotere i propri effetti sulle leggi penali, sostanziali e processuali, nella sola misura in cui si possa dire che l'estensione della relativa disciplina vada nella direzione della tutela dei diritti o dell'adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile[3].

Si dovrà attendere l’esercizio della delega legislativa da parte del Governo (prevista dall’art. 28 del disegno di legge[4]) per verificare se in quella sede vi sarà la puntuale indicazione delle disposizioni penalistiche che si intende estendere alle unioni civili.

 

[1] Quali, ad esempio, i diritti di visita e colloquio ai detenuti e di legittimazione alla richiesta di misure alternative alla detenzione ex artt. 18 e 57 dell’Ordinamento penitenziario.

[2] “Al comma 20 […] parrebbe opportuno precisare se con il suddetto rinvio si intendano richiamare anche le norme in malam partem derivanti dalla qualità di coniuge (a mero titolo esemplificativo, si consideri l’articolo 577 del codice penale, che, nel caso di omicidio, prevede un aumento di pena se il reato è stato commesso contro il coniuge […]) e, in caso affermativo, individuare le suddette norme in maniera puntuale […]”. Così il Comitato per la legislazione della Camera dei Deputati nella seduta del 12 aprile 2016.

[3] Così Gian Luigi Gatta, in “Unioni civili tra persone dello stesso sesso e convivenze di fatto: i profili penalistici della Legge Cirinnà” (articolo tratto da www.penalecontemporaneo.it).

[4] “Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di unione civile tra persone dello stesso sesso nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: […] c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la presente legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti”.