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Circostanza attenuante e aggravante del reato tributario

Commento al nuovo articolo 13-bis decreto legislativo 74 del 2000
Circostanza attenuante e aggravante del reato tributario
Circostanza attenuante e aggravante del reato tributario

Indice

1. Premessa.

2. Articolo 13-bis: circostanze del reato.

3. Patteggiamento vincolato all’operatività della circostanza attenuante.

4. Articolo 13-bis comma 3: aggravante ed attività di consulenza.

5. Rapporto tra articolo 13 e 13-bis e doppio binario penale-tributario: cenni.

 

Abstract

Il decreto legislativo 158 del 2015, da un lato, modifica l’articolo 13 del decreto legislativo 74 del 2000 prevedendo una nuova causa di non punibilità per taluni reati ed in presenza di determinate condizioni, dall’altro, introduce il nuovo articolo 13 bis all’interno del quale fa confluire la circostanza attenuante ad effetto speciale, precedentemente disciplinata dall’articolo 13.

L’attuale articolo 13 bis del decreto legislativo 74 del 2000 si compone di 3 commi: il primo comma disciplina una circostanza attenuante ad effetto speciale, la quale troverà applicazione fuori dei casi di cui all’articolo 13 e in presenza del pagamento dell’intero debito tributario, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.

Il secondo comma contiene la previsione per cui il patteggiamento possa essere richiesto dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1.

Il comma 3, infine, tipizza una circostanza aggravante ad effetto speciale; se alla commissione del reato contribuisce il professionista nell’esercizio di attività di consulenza fiscale, attraverso l’elaborazione di modelli seriali di evasione, le pene dei reati di cui al decreto legislativo 74 del 2000 sono aumentate della metà. 

 

1. Premessa

L’articolo 12 decreto legislativo 158 del 2015 ha introdotto nel decreto legislativo 74 del 2000 l’articolo 13-bis, il quale, sostanzialmente, “recupera”, con qualche modifica, la circostanza attenuante ad effetto speciale che, prima della riforma, era contenuta nel vecchio articolo 13, all’interno del quale oggi è disciplinata la nuova causa di non punibilità.

L’articolo 13-bis si apre con una clausola di riserva, “fuori dai casi di non punibilità”; ciò sta a significare che la norma in questione potrà operare solamente nei casi in cui non trovi applicazione la causa di non punibilità di cui all’articolo 13; dunque, non esplicherà i suoi effetti con riferimento ai reati di cui agli articoli 10-bis (omesso versamento di ritenute certificate e dovute), 10-ter (omesso versamento di iva), 10-quater, comma 1 (indebita compensazione di crediti non spettanti), in relazione ai quali, ricorrendone i presupposti, si applicherà l’articolo 13 primo comma; altresì, non produrrà effetti con riferimento ai reati di cui agli articoli 4 e 5, ricompresi nell’alveo dell’articolo 13 comma 2.

Con una precisazione: nel caso dei reati di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione, se il pagamento interviene prima dell’apertura del dibattimento, ma dopo che l’autore del reato è venuto a conoscenza di accessi, verifiche, ispezioni e di pendenze amministrative o penali a suo carico, non potrà operare la causa di non punibilità di cui al secondo comma dell’articolo 13, però, potrà trovare applicazione l’attenuante di cui all’articolo 13-bis, che, a differenza del comma 2 dell’articolo 13, ha natura oggettiva e, quindi, non presuppone la spontaneità del pagamento.

Dunque, per sottrazione, la sfera di applicazione dell’articolo 13-bis è circoscritta ai reati caratterizzati da una dichiarazione fraudolenta, ovvero l’articolo 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), l’articolo 8 (emissione di fatture per operazioni inesistenti) e l’articolo 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) del decreto legislativo 74 del 2000.

2. Articolo 13-bis: circostanze del reato

Il comma 1 dell’articolo 13-bis prevede, come anticipato, una circostanza attenuante ad effetto speciale, la quale comporta la diminuzione fino alla metà delle sanzioni e l’esclusione delle pene accessorie se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il contribuente abbia estinto i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative ed interessi, mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.

Al comma 2 viene riproposta la previsione, già contenuta nel precedente articolo 13 comma 2-bis, secondo cui l’applicazione della pena ai sensi e per gli effetti degli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale possa essere richiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13 comma 2.

Infine, al comma 3 dell’articolo 13-bis è stata aggiunta una circostanza aggravante ad effetto speciale, quindi, al contrario delle precedenti innovazioni, questa è una disposizione di sfavore per il contribuente. Se il reato è commesso dal correo nell’esercizio dell’attività di intermediazione fiscale, attraverso l’elaborazione di modelli seriali di evasione fiscale, le pene stabilite per il titolo II del decreto legislativo 74 del 2000 sono aumentate della metà. La norma, dunque, codifica la responsabilità del professionista (commercialista, avvocato ecc.) che con il suo contributo concorre alla commissione del reato fiscale: è necessaria, quindi, la volontà del professionista stesso di cooperare alla commissione del fatto.

3. Patteggiamento vincolato all’operatività della circostanza attenuante

Al comma 2 dell’articolo 13-bis, anche dopo la riforma, permane la previsione (precedentemente contenuta nell’articolo 13 comma 2-bis del decreto legislativo 74 del 2000) secondo cui, per tutti i reati tributari, l’applicazione della pena su richiesta delle parti ex articolo 444 e seguenti del codice di procedura penale può essere richiesta dall’indagato/imputato solamente a seguito dell’integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, quindi, il patteggiamento è subordinato all’operatività della circostanza attenuante di cui all’articolo 13-bis. In sostanza, in subiecta materia, il legislatore ha aggiunto un ulteriore limite, oltre quelli già previsti dall’articolo 444 del codice di rito, all’applicazione del suddetto rito premiale.

La previsione in commento è stato oggetto di forti critiche già in seguito alla sua introduzione con il decreto legge 13 agosto 2011 numero 138.

Infatti, è stata sollevata una questione di legittimità costituzionale in relazione alla norma de qua, poiché la stessa sarebbe in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, in quanto farebbe dipendere la possibilità di usufruire del patteggiamento dalle proprie condizioni economiche, generando, cosi, una irragionevole disparità di trattamento tra due imputati del medesimo reato, di cui soltanto uno sia economicamente in grado di pagare l’intero debito tributario e di godere, quindi, del rito premiale.

La norma in esame, inoltre, violerebbe anche l’articolo 24 della Costituzione, limitando il diritto di difesa dell’imputato non abbiente, il quale si vedrebbe preclusa la possibilità di accedere al rito speciale per ragioni legate esclusivamente alla sua condizione economica.

Sul punto si è pronunciata la Corte Costituzionale con sentenza numero 25 del 2015, la quale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’allora articolo 13 comma 2-bis decreto legislativo 74 del 2000 (ora articolo 13-bis comma 2).

In sostanza, la Corte dichiara infondata la questione per il fatto che, ragionando in questo modo, qualsiasi altro istituto che preveda oneri patrimoniali per il raggiungimento di determinate finalità si esporrebbe a siffatte censure e ciò non è sufficiente a giustificare sempre una questione di incostituzionalità (un esempio è dato dalla circostanza attenuante di cui all’articolo 62 numero 6 del codice penale). inoltre, la disparità di trattamento non può ravvisarsi nella scelta del legislatore di subordinare il patteggiamento per un’intera categoria di reati, tutti i reati di cui al decreto legislativo 74 del 2000, al pagamento del debito tributario.

Si tratta di una scelta discrezionale legittima e non discriminatoria. La norma in commento, infatti, sarebbe stata incostituzionale se avesse previsto ingiustificate sperequazioni tra figure criminose omogenee, invece, come già ribadito, per tutti i reati tributari, nessuno escluso, opera il disposto di cui al comma 2 dell’articolo 13-bis, e ciò lo si desume dall’inciso con cui si apre il comma 2: “per tutti i reati di cui al presente decreto..”.

All’indomani della riforma introdotta con decreto legislativo 158 del 2015, la Consulta è stata nuovamente chiamata in causa.

La questione di legittimità costituzionale sollevata dal GUP di Torino verteva sempre sull’allora articolo 13 comma 2 bis introdotto dal decreto legge 138 del 2011 (ora comma 2 dell’articolo 13-bis) che, in materia di reati tributari, precludeva l’accesso all’istituto del patteggiamento in mancanza di pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. La Corte Costituzionale si pronuncia con ordinanza numero 225 del 5 novembre 2015, ordinando la restituzione degli atti al GUP di Torino, affinché quest’ultimo possa rivalutare la questione alla luce dello ius superveniens, ovvero alla luce decreto legislativo 158 del 2015 che ha introdotto la nuova causa di non punibilità di cui all’articolo 13.

4. Articolo 13 bis comma 3: Aggravante e attività di consulenza

La norma in esame, a differenza del comma 1, non prevede una disposizione di favore per il contribuente, ma statuisce che le pene stabilite per i delitti tributari sono aumentate della metà se il reato è commesso dal correo nell’esercizio di attività di intermediazione fiscale, attraverso l’elaborazione di modelli seriali di evasione fiscale.

Tale aggravante presuppone che il professionista non commetta il reato in proprio, ovvero in qualità di contribuente (presentando ad esempio una propria dichiarazione fiscale fraudolenta o infedele), bensì in qualità di concorrente nel reato con il proprio cliente. Dunque, troveranno applicazione le regole dettate dall’articolo 110 del codice penale in tema di concorso di persone nel reato; il professionista risponderà sia in caso di concorso materiale sia in caso di concorso morale. Tuttavia, essendo i reati tributari strutturati come reati propri, il professionista concorrerà nel reato in qualità di extraneus.

La nuova norma, tuttavia, lascia adito a qualche dubbio interpretativo: in primo luogo, stabilire l’esatta individuazione dei professionisti che svolgono attività di consulenza fiscale e che, dunque, possono concorrere nel reato proprio. In particolare, non è chiaro se la norma si riferisca solo a coloro che, ai sensi dell’articolo 7 comma 2 del decreto legislativo 9 luglio 1997, numero 24192, sono abilitati alla trasmissione delle dichiarazioni o ricomprenda la categoria dei professionisti in generale (avvocati, commercialisti ecc.) che svolgono in senso lato attività di consulenza fiscale.

In secondo luogo, dalla formulazione della norma “le pene.. sono aumentate.. se il reato è commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale..” non emerge chiaramente se la intentio legis sia quella di estendere l’aggravante su tutti i compartecipi, quindi anche sul contribuente, oppure limitare la sua operatività soltanto a danno del professionista/intermediario che abbia elaborato modelli seriali di evasione.

Una lettura della norma alla luce dei principi costituzionali in materia penale induce a ritenere che la nuova aggravante non sia suscettibile di un’estensione oggettiva in capo al contribuente, fruitore della consulenza fiscale, quando quest’ultimo non sia consapevole della serialità dello schema di evasione fiscale ideato dal professionista.

La ratio legis della norma, che deve essere individuata nella volontà del legislatore di colpire più severamente la condotta di alcuni studi professionali inclini ad elaborare sistemi strutturati di frode fiscali a vantaggio dei propri clienti, avalla l’interpretazione sopra fornita secondo cui la nuova aggravante è stata introdotta con esclusivo riferimento al professionista intermediario e non consente un’estensione oggettiva in capo al contribuente, a meno che quest’ultimo non sia a conoscenza dell’attività illecita svolta dal consulente fiscale.

A questo punto della trattazione è opportuno fornire qualche notazione (specificazione) di carattere conclusivo: innanzitutto, atteso che la norma richiede che il professionista si avvalga di modelli seriali di evasione fiscale, il contributo avviene nella fase di ideazione dei suddetti modelli, e non nella fase di esecuzione materiale della condotta evasiva, dunque, la tipologia di concorso che può venire in rilievo ai fini dell’applicazione dell’aggravante de qua è quella del concorso morale, che si estrinseca nelle due note forme dell’istigazione, quando il professionista si limita a rafforzare un proposito criminale già insito nelle intenzioni del cliente, e della determinazione, quando, invece, il professionista instilla nella mente del cliente un proposito criminoso prima inesistente.

In secondo luogo, affinché operi l’aggravante speciale di cui al nuovo articolo 13-bis non basta che il professionista concorra semplicemente nel reato, ma è necessario che egli offra un contributo qualificato alla realizzazione della fattispecie criminosa (ovvero, elabori un modello seriale di evasione fiscale), in tali casi si parlerà di “concorso aggravato”.

5. Rapporto tra articolo 13 e 13 bis e doppio binario penale-tributario: cenni

La causa di non punibilità di cui all’articolo 13 e la circostanza attenuante di cui all’articolo 13-bis si inseriscono nel più ampio dibattito relativo al problema del c.d. doppio binario penale-tributario, ovvero quei casi in cui l’ordinamento prevede, per uno stesso fatto, una sanzione penale ed una sanzione amministrativa che, alla luce dei criteri enucleati dalla Corte Edu nel noto e risalente caso Engel, possa qualificarsi sostanzialmente come penale, con la conseguente violazione del principio del ne bis in idem, tutelato, a livello nazionale, dall’ articolo 649 del codice di procedura penale e, a livello internazionale, dall’articolo 4 protocollo 7 della CEDU.

Il dibattito è molto ampio, costellato da varie pronunce della Corte Edu alle quali si contrappongono sentenze della nostra Suprema Corte di Cassazione e molteplici questioni di legittimità costituzionali, dunque, non è possibile occuparsene in questa sede.

Tuttavia, è opportuno mettere in evidenza se e in che modo i due nuovi articoli in commento abbiano inciso sul c.d. doppio binario.

La questione è la seguente: la possibilità di andare esente da sanzione penale, estinguendo il debito tributario (comprensivo di sanzioni e interessi) prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, ha definitivamente eliminato il doppio binario e scongiurato, dunque, la ormai persistente violazione del principio del ne bis in idem?

A mio parere, la nuova causa di non punibilità ha semplicemente attenuato il problema del doppio binario, ma non lo ha eliminato.

È vero che in presenza del pagamento de debito tributario non si addiverrà mai ad una sanzione penale e il relativo processo penale si estinguerà, tuttavia, il principio del ne bis in idem processuale impone che in presenza di una sanzione amministrativa (sostanzialmente penale) definitiva non si possa nemmeno iniziare un nuovo processo penale a carico dello stesso soggetto per il medesimo fatto per il quale sia stata già irrogata in via definitiva una sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale.

Inoltre, il pagamento del debito tributario, comprensivo di sanzioni ed interessi, è meramente eventuale e subordinato alle condizioni economiche dell’agente.

Se il contribuente ha la possibilità economica di estinguere il debito con l’erario va esente da responsabilità penale e il principio del ne bis in idem (sostanziale) è salvo.

Viceversa tamquam non esset.

Indice

1. Premessa.

2. Articolo 13-bis: circostanze del reato.

3. Patteggiamento vincolato all’operatività della circostanza attenuante.

4. Articolo 13-bis comma 3: aggravante ed attività di consulenza.

5. Rapporto tra articolo 13 e 13-bis e doppio binario penale-tributario: cenni.

 

Abstract

Il decreto legislativo 158 del 2015, da un lato, modifica l’articolo 13 del decreto legislativo 74 del 2000 prevedendo una nuova causa di non punibilità per taluni reati ed in presenza di determinate condizioni, dall’altro, introduce il nuovo articolo 13 bis all’interno del quale fa confluire la circostanza attenuante ad effetto speciale, precedentemente disciplinata dall’articolo 13.

L’attuale articolo 13 bis del decreto legislativo 74 del 2000 si compone di 3 commi: il primo comma disciplina una circostanza attenuante ad effetto speciale, la quale troverà applicazione fuori dei casi di cui all’articolo 13 e in presenza del pagamento dell’intero debito tributario, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.

Il secondo comma contiene la previsione per cui il patteggiamento possa essere richiesto dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1.

Il comma 3, infine, tipizza una circostanza aggravante ad effetto speciale; se alla commissione del reato contribuisce il professionista nell’esercizio di attività di consulenza fiscale, attraverso l’elaborazione di modelli seriali di evasione, le pene dei reati di cui al decreto legislativo 74 del 2000 sono aumentate della metà. 

 

1. Premessa

L’articolo 12 decreto legislativo 158 del 2015 ha introdotto nel decreto legislativo 74 del 2000 l’articolo 13-bis, il quale, sostanzialmente, “recupera”, con qualche modifica, la circostanza attenuante ad effetto speciale che, prima della riforma, era contenuta nel vecchio articolo 13, all’interno del quale oggi è disciplinata la nuova causa di non punibilità.

L’articolo 13-bis si apre con una clausola di riserva, “fuori dai casi di non punibilità”; ciò sta a significare che la norma in questione potrà operare solamente nei casi in cui non trovi applicazione la causa di non punibilità di cui all’articolo 13; dunque, non esplicherà i suoi effetti con riferimento ai reati di cui agli articoli 10-bis (omesso versamento di ritenute certificate e dovute), 10-ter (omesso versamento di iva), 10-quater, comma 1 (indebita compensazione di crediti non spettanti), in relazione ai quali, ricorrendone i presupposti, si applicherà l’articolo 13 primo comma; altresì, non produrrà effetti con riferimento ai reati di cui agli articoli 4 e 5, ricompresi nell’alveo dell’articolo 13 comma 2.

Con una precisazione: nel caso dei reati di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione, se il pagamento interviene prima dell’apertura del dibattimento, ma dopo che l’autore del reato è venuto a conoscenza di accessi, verifiche, ispezioni e di pendenze amministrative o penali a suo carico, non potrà operare la causa di non punibilità di cui al secondo comma dell’articolo 13, però, potrà trovare applicazione l’attenuante di cui all’articolo 13-bis, che, a differenza del comma 2 dell’articolo 13, ha natura oggettiva e, quindi, non presuppone la spontaneità del pagamento.

Dunque, per sottrazione, la sfera di applicazione dell’articolo 13-bis è circoscritta ai reati caratterizzati da una dichiarazione fraudolenta, ovvero l’articolo 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), l’articolo 8 (emissione di fatture per operazioni inesistenti) e l’articolo 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) del decreto legislativo 74 del 2000.

2. Articolo 13-bis: circostanze del reato

Il comma 1 dell’articolo 13-bis prevede, come anticipato, una circostanza attenuante ad effetto speciale, la quale comporta la diminuzione fino alla metà delle sanzioni e l’esclusione delle pene accessorie se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il contribuente abbia estinto i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative ed interessi, mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.

Al comma 2 viene riproposta la previsione, già contenuta nel precedente articolo 13 comma 2-bis, secondo cui l’applicazione della pena ai sensi e per gli effetti degli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale possa essere richiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13 comma 2.

Infine, al comma 3 dell’articolo 13-bis è stata aggiunta una circostanza aggravante ad effetto speciale, quindi, al contrario delle precedenti innovazioni, questa è una disposizione di sfavore per il contribuente. Se il reato è commesso dal correo nell’esercizio dell’attività di intermediazione fiscale, attraverso l’elaborazione di modelli seriali di evasione fiscale, le pene stabilite per il titolo II del decreto legislativo 74 del 2000 sono aumentate della metà. La norma, dunque, codifica la responsabilità del professionista (commercialista, avvocato ecc.) che con il suo contributo concorre alla commissione del reato fiscale: è necessaria, quindi, la volontà del professionista stesso di cooperare alla commissione del fatto.

3. Patteggiamento vincolato all’operatività della circostanza attenuante

Al comma 2 dell’articolo 13-bis, anche dopo la riforma, permane la previsione (precedentemente contenuta nell’articolo 13 comma 2-bis del decreto legislativo 74 del 2000) secondo cui, per tutti i reati tributari, l’applicazione della pena su richiesta delle parti ex articolo 444 e seguenti del codice di procedura penale può essere richiesta dall’indagato/imputato solamente a seguito dell’integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, quindi, il patteggiamento è subordinato all’operatività della circostanza attenuante di cui all’articolo 13-bis. In sostanza, in subiecta materia, il legislatore ha aggiunto un ulteriore limite, oltre quelli già previsti dall’articolo 444 del codice di rito, all’applicazione del suddetto rito premiale.

La previsione in commento è stato oggetto di forti critiche già in seguito alla sua introduzione con il decreto legge 13 agosto 2011 numero 138.

Infatti, è stata sollevata una questione di legittimità costituzionale in relazione alla norma de qua, poiché la stessa sarebbe in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, in quanto farebbe dipendere la possibilità di usufruire del patteggiamento dalle proprie condizioni economiche, generando, cosi, una irragionevole disparità di trattamento tra due imputati del medesimo reato, di cui soltanto uno sia economicamente in grado di pagare l’intero debito tributario e di godere, quindi, del rito premiale.

La norma in esame, inoltre, violerebbe anche l’articolo 24 della Costituzione, limitando il diritto di difesa dell’imputato non abbiente, il quale si vedrebbe preclusa la possibilità di accedere al rito speciale per ragioni legate esclusivamente alla sua condizione economica.

Sul punto si è pronunciata la Corte Costituzionale con sentenza numero 25 del 2015, la quale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’allora articolo 13 comma 2-bis decreto legislativo 74 del 2000 (ora articolo 13-bis comma 2).

In sostanza, la Corte dichiara infondata la questione per il fatto che, ragionando in questo modo, qualsiasi altro istituto che preveda oneri patrimoniali per il raggiungimento di determinate finalità si esporrebbe a siffatte censure e ciò non è sufficiente a giustificare sempre una questione di incostituzionalità (un esempio è dato dalla circostanza attenuante di cui all’articolo 62 numero 6 del codice penale). inoltre, la disparità di trattamento non può ravvisarsi nella scelta del legislatore di subordinare il patteggiamento per un’intera categoria di reati, tutti i reati di cui al decreto legislativo 74 del 2000, al pagamento del debito tributario.

Si tratta di una scelta discrezionale legittima e non discriminatoria. La norma in commento, infatti, sarebbe stata incostituzionale se avesse previsto ingiustificate sperequazioni tra figure criminose omogenee, invece, come già ribadito, per tutti i reati tributari, nessuno escluso, opera il disposto di cui al comma 2 dell’articolo 13-bis, e ciò lo si desume dall’inciso con cui si apre il comma 2: “per tutti i reati di cui al presente decreto..”.

All’indomani della riforma introdotta con decreto legislativo 158 del 2015, la Consulta è stata nuovamente chiamata in causa.

La questione di legittimità costituzionale sollevata dal GUP di Torino verteva sempre sull’allora articolo 13 comma 2 bis introdotto dal decreto legge 138 del 2011 (ora comma 2 dell’articolo 13-bis) che, in materia di reati tributari, precludeva l’accesso all’istituto del patteggiamento in mancanza di pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. La Corte Costituzionale si pronuncia con ordinanza numero 225 del 5 novembre 2015, ordinando la restituzione degli atti al GUP di Torino, affinché quest’ultimo possa rivalutare la questione alla luce dello ius superveniens, ovvero alla luce decreto legislativo 158 del 2015 che ha introdotto la nuova causa di non punibilità di cui all’articolo 13.

4. Articolo 13 bis comma 3: Aggravante e attività di consulenza

La norma in esame, a differenza del comma 1, non prevede una disposizione di favore per il contribuente, ma statuisce che le pene stabilite per i delitti tributari sono aumentate della metà se il reato è commesso dal correo nell’esercizio di attività di intermediazione fiscale, attraverso l’elaborazione di modelli seriali di evasione fiscale.

Tale aggravante presuppone che il professionista non commetta il reato in proprio, ovvero in qualità di contribuente (presentando ad esempio una propria dichiarazione fiscale fraudolenta o infedele), bensì in qualità di concorrente nel reato con il proprio cliente. Dunque, troveranno applicazione le regole dettate dall’articolo 110 del codice penale in tema di concorso di persone nel reato; il professionista risponderà sia in caso di concorso materiale sia in caso di concorso morale. Tuttavia, essendo i reati tributari strutturati come reati propri, il professionista concorrerà nel reato in qualità di extraneus.

La nuova norma, tuttavia, lascia adito a qualche dubbio interpretativo: in primo luogo, stabilire l’esatta individuazione dei professionisti che svolgono attività di consulenza fiscale e che, dunque, possono concorrere nel reato proprio. In particolare, non è chiaro se la norma si riferisca solo a coloro che, ai sensi dell’articolo 7 comma 2 del decreto legislativo 9 luglio 1997, numero 24192, sono abilitati alla trasmissione delle dichiarazioni o ricomprenda la categoria dei professionisti in generale (avvocati, commercialisti ecc.) che svolgono in senso lato attività di consulenza fiscale.

In secondo luogo, dalla formulazione della norma “le pene.. sono aumentate.. se il reato è commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale..” non emerge chiaramente se la intentio legis sia quella di estendere l’aggravante su tutti i compartecipi, quindi anche sul contribuente, oppure limitare la sua operatività soltanto a danno del professionista/intermediario che abbia elaborato modelli seriali di evasione.

Una lettura della norma alla luce dei principi costituzionali in materia penale induce a ritenere che la nuova aggravante non sia suscettibile di un’estensione oggettiva in capo al contribuente, fruitore della consulenza fiscale, quando quest’ultimo non sia consapevole della serialità dello schema di evasione fiscale ideato dal professionista.

La ratio legis della norma, che deve essere individuata nella volontà del legislatore di colpire più severamente la condotta di alcuni studi professionali inclini ad elaborare sistemi strutturati di frode fiscali a vantaggio dei propri clienti, avalla l’interpretazione sopra fornita secondo cui la nuova aggravante è stata introdotta con esclusivo riferimento al professionista intermediario e non consente un’estensione oggettiva in capo al contribuente, a meno che quest’ultimo non sia a conoscenza dell’attività illecita svolta dal consulente fiscale.

A questo punto della trattazione è opportuno fornire qualche notazione (specificazione) di carattere conclusivo: innanzitutto, atteso che la norma richiede che il professionista si avvalga di modelli seriali di evasione fiscale, il contributo avviene nella fase di ideazione dei suddetti modelli, e non nella fase di esecuzione materiale della condotta evasiva, dunque, la tipologia di concorso che può venire in rilievo ai fini dell’applicazione dell’aggravante de qua è quella del concorso morale, che si estrinseca nelle due note forme dell’istigazione, quando il professionista si limita a rafforzare un proposito criminale già insito nelle intenzioni del cliente, e della determinazione, quando, invece, il professionista instilla nella mente del cliente un proposito criminoso prima inesistente.

In secondo luogo, affinché operi l’aggravante speciale di cui al nuovo articolo 13-bis non basta che il professionista concorra semplicemente nel reato, ma è necessario che egli offra un contributo qualificato alla realizzazione della fattispecie criminosa (ovvero, elabori un modello seriale di evasione fiscale), in tali casi si parlerà di “concorso aggravato”.

5. Rapporto tra articolo 13 e 13 bis e doppio binario penale-tributario: cenni

La causa di non punibilità di cui all’articolo 13 e la circostanza attenuante di cui all’articolo 13-bis si inseriscono nel più ampio dibattito relativo al problema del c.d. doppio binario penale-tributario, ovvero quei casi in cui l’ordinamento prevede, per uno stesso fatto, una sanzione penale ed una sanzione amministrativa che, alla luce dei criteri enucleati dalla Corte Edu nel noto e risalente caso Engel, possa qualificarsi sostanzialmente come penale, con la conseguente violazione del principio del ne bis in idem, tutelato, a livello nazionale, dall’ articolo 649 del codice di procedura penale e, a livello internazionale, dall’articolo 4 protocollo 7 della CEDU.

Il dibattito è molto ampio, costellato da varie pronunce della Corte Edu alle quali si contrappongono sentenze della nostra Suprema Corte di Cassazione e molteplici questioni di legittimità costituzionali, dunque, non è possibile occuparsene in questa sede.

Tuttavia, è opportuno mettere in evidenza se e in che modo i due nuovi articoli in commento abbiano inciso sul c.d. doppio binario.

La questione è la seguente: la possibilità di andare esente da sanzione penale, estinguendo il debito tributario (comprensivo di sanzioni e interessi) prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, ha definitivamente eliminato il doppio binario e scongiurato, dunque, la ormai persistente violazione del principio del ne bis in idem?

A mio parere, la nuova causa di non punibilità ha semplicemente attenuato il problema del doppio binario, ma non lo ha eliminato.

È vero che in presenza del pagamento de debito tributario non si addiverrà mai ad una sanzione penale e il relativo processo penale si estinguerà, tuttavia, il principio del ne bis in idem processuale impone che in presenza di una sanzione amministrativa (sostanzialmente penale) definitiva non si possa nemmeno iniziare un nuovo processo penale a carico dello stesso soggetto per il medesimo fatto per il quale sia stata già irrogata in via definitiva una sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale.

Inoltre, il pagamento del debito tributario, comprensivo di sanzioni ed interessi, è meramente eventuale e subordinato alle condizioni economiche dell’agente.

Se il contribuente ha la possibilità economica di estinguere il debito con l’erario va esente da responsabilità penale e il principio del ne bis in idem (sostanziale) è salvo.

Viceversa tamquam non esset.