x

x

Osservazioni sul concetto di “rischio” nelle sperimentazioni cliniche, alla luce della recente Regolamentazione dell’Unione Europea

Osservazioni sul concetto di “rischio” nelle sperimentazioni cliniche, alla luce della recente Regolamentazione dell’Unione Europea
Osservazioni sul concetto di “rischio” nelle sperimentazioni cliniche, alla luce della recente Regolamentazione dell’Unione Europea

L’articolo contiene una breve illustrazione dei fondamentali aspetti nella gestione del “rischio” nelle sperimentazioni cliniche di medicinali ad uso umano, sulla base delle prime osservazioni promosse dalla Commissione Europea, con particolare riferimento alla cosiddetta “sperimentazione clinica a basso livello di intervento”.

Premessa

È inutile ripeterlo ma è opportuno sottolinearlo: il farmaco è l’unico bene al mondo che, per complessità intriseca ed impatto sull’umanità intera, non smetterà di attirare a sè energia, etica e denaro. Forse è per l’interazione della chimica, della fisica e della biologia, che esso sembra rappresentare il maggior concentrato di scienza che l’uomo possa aver creato. Ne sono dimostrazione le più moderne applicazioni di calcolo e la tecnologia digitale che si associano allo sviluppo dei farmaci biologici e biotecnologici. Paraltro, le teorie che paventavano la crisi del settore farmaceutico come conseguenza delle scadenze brevettuali ed il dilagare dei farmaci generici, sembrano ormai smentite da notizie quali “l’arrivo di ben 45 super farmaci, dalla cura dei tumori alla ottimizzazione delle cure sull’epatite C”  (La Stampa 10 gennaio 2016, pag. 10).

Certamente vi è un fenomeno globale, multifattoriale, che conduce la scienza, i ricercatori e le imprese a focalizzarsi maggiormente sui farmaci per la cura di malattie oncologiche, rare, resistenti o per le quali non esiste una cura specifica. Questo fenomeno comporta, quasi necessriamente, una rivisitazione delle norme e dei processi regolatori, che nell’ultimo ventennio si sono susseguiti nel disciplinare le modalità di sviluppo e messa in commercio di un farmaco. Ciò nell’ottica di uniformare, quanto più possibile, i processi che regolano le fasi di ricerca e sviluppo considerato che, chi pensa il farmaco, lo pensa come prodotto globale. Ma ancor di più con l’obiettivo di consegnare alla medicina un prodotto che funzioni o che abbia forti probabilità di avere successo contro un bisogno inevaso di salute.

Insieme a questo fenomeno ve ne è un altro, altrettanto rilevante e per il quale non si è ancora maturata una attenzione univoca, cioè il fatto che aumentano gli sforzi della farmacologia per individuare modelli di ottimizzazione nell’uso di medicinali, per avere conferma sperimentale di dati sporadici e non ben organizzati derivanti dall’uso clinico di molecole, più o meno note, per patologie diverse da quelle per le quali sono state autorizzate. Si tratta di un fenomeno molto importante, anche dal punto di vista farmacoeconomico, che si accompagna alla forte attenzione verso i clinical & health data da parte di società come Google ed Apple.

Il Regolamento e la consultazione pubblica

In questo contesto molti hanno avuto modo di rilevare come il Regolamento Europeo n. 536/2014 sulla sperimentazione clinica dei medicinali ad uso umano, rappresenti un fortissimo passo avanti verso la semplificazione della sperimentazione a basso livello di intervento.

In questi giorni si è conclusa la Consultazione pubblica avviata dalla Commissione Europea sul documento dal titolo “Un approccio proporzionato al rischio negli studi clinici”, al fine di capire il punto di vista dei vari stakeholders e delle altre parti interessate su questo argomento. Il documento segnerà le linee guida e l’interpretazione delle norme europee sugli studi clinici del prossimo decennio. E’ un momento importante nel percorso della legislazione europea (ma ormai le leggi – in questo settore – sono di esclusiva derivazione europea) che vale la pena citare nei punti salienti.

Il Regolamento, introduce, per la prima volta la definizione di sperimentazione clinica a basso livello di intervento come quella sperimentazione nella quale: a) i medicinali sperimentali sono già autorizzati, b) in base al protocollo della sperimentazione clinica: i) - medicinali sperimentali sono utilizzati in conformità alle condizioni dell’autorizzazione all’immissione in commercio o, ii) – l’impiego dei medicinali sperimentali è basato su elementi di evidenza scientifica e supportato da pubblicazioni scientifiche sulla sicurezza e l’efficacia di tali medicinali sperimentali in uno qualsiasi degli Stati membri interessari, c) le procedure diagnostiche o di monitoraggio aggiuntive pongono solo rischi o oneri aggiuntivi minimi per la sicurezza dei soggetti rispetto alla normale pratica clinica in qualsiasi Stato membro interessato.

Il rischio nelle sperimentazioni cliniche

La questione del rischio nelle sperimentazioni cliniche è sempre stata oggetto di doverose attenzioni, considerando che il rischio in se stesso non è possibile eliminarlo.

Molte sperimentazioni cliniche presentano minimi rischi addizionali per la sicurezza del soggetto, se tali rischi sono paragonati a quelli della normale pratica clinica, per questo il Regolamento appare fortemente orientato a supportare un approccio proporzionato al rischio, sia nella fase di definizione sia nella fase di conduzione della sperimentazione clinica.

Tuttavia, un approccio proporzionato non può prescindere dall’esistenza di un complesso di regole specifiche, anche di natura tecnica, per evitare che tale concetto si trasformi in una deroga strutturale alle rigorose norme in materia. Per tale motivo, una analisi che si ponga come “proporzionata al rischio” dovrà tenere in considerazione una serie molteplice di fattori, in primis lo status regolatorio ed autorizzativo del prodotto in sperimentazione, nonchè altri elementi quali le conoscenze scientifiche sulla molecola.

In questa direzione, considerata la vasta e complessa materia, la Commissione ha inteso sottoporre, in consultazione pubblica, un documento che ha il chiaro obiettivo di fornire informazioni su cosa si intenda per “approccio proporzionato al rischio”, e come possa implementarsi un comportamento correttamente improntato a tale approccio.

Il rischio, per il soggetto in sperimentazione clinica, origina da due ambiti: l’Investigational Medicinal Product (IMP), altrimenti definito anche come “medicinale in sperimentazione clinica” e le procedure della sperimentazione clinica. Per questo, un primissimo indizio se una sperimentazione clinica è, o meno,  a basso livello di intervento è, generalmente, basato sulla circostanza che il medicinale in sperimentazione abbia già ricevuto, o meno, una autorizzazione all’immissione in commercio nell’uso oggetto della sperimentazione clinica. Tuttavia l’analisi non può limitarsi a tale circostanza, in quanto dovranno essere esaminati e valutati anche altri rischi associati alla sperimentazione clinica.

Evidence based

Per questo, ad esempio, il Regolamento aggiunge – quale requisito affinchè possa correttamente svolgersi un approccio proporzionato al rischio – l’analisi e la valutazione sulla circostanza che l’uso del prodotto in sperimentazione sia “evidence-based”, ossia – ad esempio - supportato da pubblicazioni scientifiche sulla sicurezza e sull’efficacia in uno degli Stati membri.

Non sembrano esserci apparenti limitazioni sulla natura e sull’origine dei dati di “evidence-based”, purchè essi siano stati raccolti con criteri condivisi, per questo – ad esempio – sembrerebbero ammessi anche dati derivanti da valutazioni di Health Tecnology Assessment, o dati di pregresse sperimentazioni cliniche, pubblicati in riviste scientifiche.

Un approccio proporzionato al rischio comporta anche la valutazione di quegli elementi che possono costituire un livello di rischio addizionale per il soggetto, fermo restando che il farmaco venga utilizzato conformemente all’autorizzazione all’immissione in commercio; tutto ciò, coerentemente all’intento di garantire la sicurezza del soggetto sottoposto a sperimentazione clinica. In questo senso dovrebbero essere valutati adempimenti – previsti nella sperimentazione clinica - quali: alcune misurazioni o controlli, come ad esempio la misurazione del peso corporeo, l’analisi della saliva, delle urine, l’ECG ed altre. Alcuni, come quelli appena indicati, rappresentano un livello addizionale di rischio trascurabile, ma possono essere previsti degli interventi di natura maggiormante invasiva che comportano l’aumento della percentuale di rischio per il soggetto, a prescindere o meno dall’impiego del farmaco.

Inoltre, non deve trascurarsi il fatto che - a prescindere dalla tipologia di interventi - andrebbe valutata anche la frequenza di tali analisi o interventi; vi sono infatti alcune procedure da mettere in atto nel contesto di una sperimentazione clinica che, sebbene poco invasive, devono essere adempiute con una alta frequenza ed in questo caso il livello di rischio per il soggetto aumenta.

Le raccomandazioni dell’Organisation for Economic Co-operation and Development

Per quanto concerne la metodologia, il documento messo a punta dalla Commissione richiama le considerazioni espresse dall’Organisation for Economic Co-operation and development (OECD) nel documento dal titolo “Recommendation on the Governance of Clinical Trials” del 2013, redatto da un gruppo multinazionale di esperti e ricercatori scientifici. L’OECD è una organizzazione internazionale son sede a Parigi, strutturata sotto forma di forum, con l’obiettivo di promuovere politiche che incentivino il benessere economico e sociale delle persone a livello mondiale.

L’OECD suddivide differenti categorie di rischio per le sperimentazioni cliniche, attraverso una scala primaria che va da A a C, seguendo una classificazione che vede raggruppate in categoria A (usual care) le sperimentazioni cliniche finalizzate ad effettuare studi su medicinali già autorizzati all’immissione in commericio, conformemente alle indicazioni terapeutiche autorizzate, in categoria B (modified use) le sperimentazioni cliniche finalizzate ad effettuare studi su medicinali seguendo un regime terapeutico al di fuori dell’autorizzazione all’immissione in commercio, supportato o non supportato da pubblicazioni scientifiche e/o linee guida elaborate nella pratica medica (l’essere supportato o meno da pregresse esperienze mediche, conduce ad una suddivisione, rispettivamente, in Ba e Bb), in categoria C (new product) le sperimentazioni cliniche finalizzate ad effettuare studi su medicinali che non hanno alcuna autorizzazione all’immissione in commercio (new compound).

A questo framework, basato su una gestione metodologica del rischio focalizzata sull’esistenza o meno dell’autorizzazione all’immissione in commercio, si aggiunge poi un approccio che analizza il tipo di popolazione coinvolta nella sperimentazione clinica e l’analisi del consenso informato al paziente.

Nel contesto della sperimentazione clinica, la valutazione del rischio non dovrebbe limitarsi al medicinale in studio, ma dovrebbe estendersi anche a livello sistemico, come ad esempio all’analisi dell’intero Protocolo di studio ed alle procedure messe in atto per la sperimentazione clinica. Un approcio basato sul rischio a livello sistemico, dovrebbe svilupparsi nelle seguenti fasi: a) identificazione del rischio, b) valutazione del rischio, c) controllo del rischio, d) revisione del rischio, e) comunicazione del rischio, f) reporting.

La valutazione, il controllo e la revisione del rischio

La valutazione del rischio comprende la probabilità che un determinato evento, a cui è associato un potenziale rischio, possa verificarsi in una sperimentazione clinica; conseguentemente la valutazione dell’impatto, se tale evento dovesse accadere, per la sua salute del soggetto e per l’integrità dei dati della sperimentazione stessa, nonchè le modalità con cui esso potrebbe verificarsi, dovranno essere indentificati prima, in modo da stabilire eventuali azioni di prevenzione o attenuazione del rischio.

Per tale motivo, a ciascun rischio identificato, dovrebbe essere associata una strategia di mitigazione che può essere descritta solo a partire dalla valutazione preliminare della probabilità di accadimento, dalle circostanze di fatto nelle quali potrebbe venire a trovarsi il soggetto in sperimentazione, nonchè al potenziale impatto ed il danno per la salutre.

La valutazione del rischio dovrebbe cominciare prima della finalizzazione del Protocollo di studio, sia perchè il Protocollo stesso rappresenta uno degli oggetti della valutazione del rischio, sia perchè la valutazione e gli strumenti di mitigazione del rischio individuati influenzano a) il disegno dello studio, b) le procedure di sperimentazione e le pratiche mediche previste, c) gli aspetti finanziari e le risorse economiche a disposizione per la conduzione della sperimentazione clinica.

La sperimentazione clinica è un processo in continua evoluzione che, sebbene programmato e pianificato, in quanto attività sperimentale, è soggetta al divenire degli eventi, ed è per questo che la valutazione del rischio deve prevedere anche un ri-assessment. In tal senso deve prevedersi un processo continuo, al fine di verificare che i cambiamenti e le modifiche vengano condivise col personale e le funzioni adeguate e competenti.

Safety reporting

Un aspetto molto importante del profilo di valutazione del rischio è rappresentato dal Safety Reporting, ossia il processo mediante il quale vengono individuate, analizzate e riportati tutti gli eventi accaduti al soggetto in concomitanza con il trattamento farmacologico sperimentale, in alcuni casi anche successivamente per un determinato periodo.

Su questo aspetto, occorre premettere, che il Protocollo di studio è il documento di riferimento che contiene le informazioni sul rischio e la sua valutazione; in tale documento devono essere chiaramente illustrate le valutazioni effettuate, corredate dalle motivazioni che hanno portato a determinate scelte o azioni.

Come regola generale ogni evento sulla salute del paziente, nel quale si dovesse imbattere lo sperimentatore e potenzialmente correlato con il prodotto in sperimentazione, può essere rappresentativo di una reazione avversa al trattamento farmacologico, per cui deve essere riportato dallo sponsor, a meno di diverse valutazioni (che tuttavia devono essere preventivamente esplicitate nel Protocollo).

Tuttavia, occorre anche evitare che una eccessiva raccolta di informazioni contribuisca a dare un out-put difficile da interpretare o, addirittura, fuorviante dal punto di vista della significatività clinica. Nello stesso tempo è necessario non perdere, anche dal punto di vista della tempestività della lettura-rilevazione, qualsiasi evento che possa avere una correlazione con il trattamento farmacologico sperimentale. Su questo aspetto l’articolo 41 del Regolamento prevede un reporting selettivo degli eventi avversi, o avversi gravi, da parte dello sperimentatore. Lo sperimentatore, a meno di diversa previsione nel Protocollo (n.d.r.: per questo il Protocollo è un documento di riferimento essenziale!), qualora sospetti che possa esserci un rapporto causale tra l’evento avverso ed il trattemento farmacologico sperimentale, deve segnalarlo entro un termine massimo di 24 ore (ma è auspicabile un termine immediato nei casi di eventi avversi gravi). L’obbligo, secondo quanto dispone il comma 4 del citato articolo del Regolamento, si estende anche ai casi di eventi che si possono verificare dopo la fine della sperimentazione clinica sul soggetto.

Il patrimonio di conoscenza su un medicinale non è un insieme definito, ma evolve con l’aumentare dei dati che divengono man mano disponibili e che contribuiscono a determinare il profilo di rischio e beneficio del medicinale stesso. Questo significa che il Protocollo di studio, documento anch’esso non dotato di una fissità intrinseca, deve essere concepito come modificabile ed aggiornabile, anche sotto il profilo della valutazione del rischio, in modo da adattarsi o modularsi in funzione del reporting che man mano si verrà delineando durante una sperimentazione clinica. Non dovrebbe escludersi, ad esempio, che in determinate situazioni di elevata conoscenza, non sia necessario prevedere nel Protocollo l’obbligo per lo sperimetatore di riportare un determinato evento avverso; questa circostanza potrebbe verificarsi – verosimilmente – in una sperimentazione clinica di un farmaco già noto, ove il profilo di sicurezza è abbastanza maturo.

Conclusioni

La materia è senz’altro vasta e piena di considerazioni che un articolo non può avere la pretesa di trattare compiutamente, ma vale la pena ricordare che le sperimentazioni cliniche su medicinali già noti (ossia già autorizzati all’immissione in commercio) sono una importante opportunità, per l’intera comunità scientifica e per le autorità regolatorie, impegnate a trovare percorsi terapeutici che ottimizzino le cure senza creare pregiudizio ai pazienti. Come non tenere conto poi che per i medicinali di recente autorizzazione, ove i dati di real life (n.d.r. i dati derivanti dalla pratica clinica) sono spesso esigui, il continuo e successivo sviluppo clinico può essere solo fonte di arricchimento per l’intera comunità scientifica. Certamente, c’è da chiedersi chi può permettersi di sostenere costi ancora così elevati, ma – forse – le reti aperte ed informali di ricercatori, cui accenna il Considerando (59) del Regolamento, potrebbero essere una forte opportunità di partnership tra l’impresa e la ricerca indipendente.

Ma questo, si sà, è un altro discorso.

L’articolo contiene una breve illustrazione dei fondamentali aspetti nella gestione del “rischio” nelle sperimentazioni cliniche di medicinali ad uso umano, sulla base delle prime osservazioni promosse dalla Commissione Europea, con particolare riferimento alla cosiddetta “sperimentazione clinica a basso livello di intervento”.

Premessa

È inutile ripeterlo ma è opportuno sottolinearlo: il farmaco è l’unico bene al mondo che, per complessità intriseca ed impatto sull’umanità intera, non smetterà di attirare a sè energia, etica e denaro. Forse è per l’interazione della chimica, della fisica e della biologia, che esso sembra rappresentare il maggior concentrato di scienza che l’uomo possa aver creato. Ne sono dimostrazione le più moderne applicazioni di calcolo e la tecnologia digitale che si associano allo sviluppo dei farmaci biologici e biotecnologici. Paraltro, le teorie che paventavano la crisi del settore farmaceutico come conseguenza delle scadenze brevettuali ed il dilagare dei farmaci generici, sembrano ormai smentite da notizie quali “l’arrivo di ben 45 super farmaci, dalla cura dei tumori alla ottimizzazione delle cure sull’epatite C”  (La Stampa 10 gennaio 2016, pag. 10).

Certamente vi è un fenomeno globale, multifattoriale, che conduce la scienza, i ricercatori e le imprese a focalizzarsi maggiormente sui farmaci per la cura di malattie oncologiche, rare, resistenti o per le quali non esiste una cura specifica. Questo fenomeno comporta, quasi necessriamente, una rivisitazione delle norme e dei processi regolatori, che nell’ultimo ventennio si sono susseguiti nel disciplinare le modalità di sviluppo e messa in commercio di un farmaco. Ciò nell’ottica di uniformare, quanto più possibile, i processi che regolano le fasi di ricerca e sviluppo considerato che, chi pensa il farmaco, lo pensa come prodotto globale. Ma ancor di più con l’obiettivo di consegnare alla medicina un prodotto che funzioni o che abbia forti probabilità di avere successo contro un bisogno inevaso di salute.

Insieme a questo fenomeno ve ne è un altro, altrettanto rilevante e per il quale non si è ancora maturata una attenzione univoca, cioè il fatto che aumentano gli sforzi della farmacologia per individuare modelli di ottimizzazione nell’uso di medicinali, per avere conferma sperimentale di dati sporadici e non ben organizzati derivanti dall’uso clinico di molecole, più o meno note, per patologie diverse da quelle per le quali sono state autorizzate. Si tratta di un fenomeno molto importante, anche dal punto di vista farmacoeconomico, che si accompagna alla forte attenzione verso i clinical & health data da parte di società come Google ed Apple.

Il Regolamento e la consultazione pubblica

In questo contesto molti hanno avuto modo di rilevare come il Regolamento Europeo n. 536/2014 sulla sperimentazione clinica dei medicinali ad uso umano, rappresenti un fortissimo passo avanti verso la semplificazione della sperimentazione a basso livello di intervento.

In questi giorni si è conclusa la Consultazione pubblica avviata dalla Commissione Europea sul documento dal titolo “Un approccio proporzionato al rischio negli studi clinici”, al fine di capire il punto di vista dei vari stakeholders e delle altre parti interessate su questo argomento. Il documento segnerà le linee guida e l’interpretazione delle norme europee sugli studi clinici del prossimo decennio. E’ un momento importante nel percorso della legislazione europea (ma ormai le leggi – in questo settore – sono di esclusiva derivazione europea) che vale la pena citare nei punti salienti.

Il Regolamento, introduce, per la prima volta la definizione di sperimentazione clinica a basso livello di intervento come quella sperimentazione nella quale: a) i medicinali sperimentali sono già autorizzati, b) in base al protocollo della sperimentazione clinica: i) - medicinali sperimentali sono utilizzati in conformità alle condizioni dell’autorizzazione all’immissione in commercio o, ii) – l’impiego dei medicinali sperimentali è basato su elementi di evidenza scientifica e supportato da pubblicazioni scientifiche sulla sicurezza e l’efficacia di tali medicinali sperimentali in uno qualsiasi degli Stati membri interessari, c) le procedure diagnostiche o di monitoraggio aggiuntive pongono solo rischi o oneri aggiuntivi minimi per la sicurezza dei soggetti rispetto alla normale pratica clinica in qualsiasi Stato membro interessato.

Il rischio nelle sperimentazioni cliniche

La questione del rischio nelle sperimentazioni cliniche è sempre stata oggetto di doverose attenzioni, considerando che il rischio in se stesso non è possibile eliminarlo.

Molte sperimentazioni cliniche presentano minimi rischi addizionali per la sicurezza del soggetto, se tali rischi sono paragonati a quelli della normale pratica clinica, per questo il Regolamento appare fortemente orientato a supportare un approccio proporzionato al rischio, sia nella fase di definizione sia nella fase di conduzione della sperimentazione clinica.

Tuttavia, un approccio proporzionato non può prescindere dall’esistenza di un complesso di regole specifiche, anche di natura tecnica, per evitare che tale concetto si trasformi in una deroga strutturale alle rigorose norme in materia. Per tale motivo, una analisi che si ponga come “proporzionata al rischio” dovrà tenere in considerazione una serie molteplice di fattori, in primis lo status regolatorio ed autorizzativo del prodotto in sperimentazione, nonchè altri elementi quali le conoscenze scientifiche sulla molecola.

In questa direzione, considerata la vasta e complessa materia, la Commissione ha inteso sottoporre, in consultazione pubblica, un documento che ha il chiaro obiettivo di fornire informazioni su cosa si intenda per “approccio proporzionato al rischio”, e come possa implementarsi un comportamento correttamente improntato a tale approccio.

Il rischio, per il soggetto in sperimentazione clinica, origina da due ambiti: l’Investigational Medicinal Product (IMP), altrimenti definito anche come “medicinale in sperimentazione clinica” e le procedure della sperimentazione clinica. Per questo, un primissimo indizio se una sperimentazione clinica è, o meno,  a basso livello di intervento è, generalmente, basato sulla circostanza che il medicinale in sperimentazione abbia già ricevuto, o meno, una autorizzazione all’immissione in commercio nell’uso oggetto della sperimentazione clinica. Tuttavia l’analisi non può limitarsi a tale circostanza, in quanto dovranno essere esaminati e valutati anche altri rischi associati alla sperimentazione clinica.

Evidence based

Per questo, ad esempio, il Regolamento aggiunge – quale requisito affinchè possa correttamente svolgersi un approccio proporzionato al rischio – l’analisi e la valutazione sulla circostanza che l’uso del prodotto in sperimentazione sia “evidence-based”, ossia – ad esempio - supportato da pubblicazioni scientifiche sulla sicurezza e sull’efficacia in uno degli Stati membri.

Non sembrano esserci apparenti limitazioni sulla natura e sull’origine dei dati di “evidence-based”, purchè essi siano stati raccolti con criteri condivisi, per questo – ad esempio – sembrerebbero ammessi anche dati derivanti da valutazioni di Health Tecnology Assessment, o dati di pregresse sperimentazioni cliniche, pubblicati in riviste scientifiche.

Un approccio proporzionato al rischio comporta anche la valutazione di quegli elementi che possono costituire un livello di rischio addizionale per il soggetto, fermo restando che il farmaco venga utilizzato conformemente all’autorizzazione all’immissione in commercio; tutto ciò, coerentemente all’intento di garantire la sicurezza del soggetto sottoposto a sperimentazione clinica. In questo senso dovrebbero essere valutati adempimenti – previsti nella sperimentazione clinica - quali: alcune misurazioni o controlli, come ad esempio la misurazione del peso corporeo, l’analisi della saliva, delle urine, l’ECG ed altre. Alcuni, come quelli appena indicati, rappresentano un livello addizionale di rischio trascurabile, ma possono essere previsti degli interventi di natura maggiormante invasiva che comportano l’aumento della percentuale di rischio per il soggetto, a prescindere o meno dall’impiego del farmaco.

Inoltre, non deve trascurarsi il fatto che - a prescindere dalla tipologia di interventi - andrebbe valutata anche la frequenza di tali analisi o interventi; vi sono infatti alcune procedure da mettere in atto nel contesto di una sperimentazione clinica che, sebbene poco invasive, devono essere adempiute con una alta frequenza ed in questo caso il livello di rischio per il soggetto aumenta.

Le raccomandazioni dell’Organisation for Economic Co-operation and Development

Per quanto concerne la metodologia, il documento messo a punta dalla Commissione richiama le considerazioni espresse dall’Organisation for Economic Co-operation and development (OECD) nel documento dal titolo “Recommendation on the Governance of Clinical Trials” del 2013, redatto da un gruppo multinazionale di esperti e ricercatori scientifici. L’OECD è una organizzazione internazionale son sede a Parigi, strutturata sotto forma di forum, con l’obiettivo di promuovere politiche che incentivino il benessere economico e sociale delle persone a livello mondiale.

L’OECD suddivide differenti categorie di rischio per le sperimentazioni cliniche, attraverso una scala primaria che va da A a C, seguendo una classificazione che vede raggruppate in categoria A (usual care) le sperimentazioni cliniche finalizzate ad effettuare studi su medicinali già autorizzati all’immissione in commericio, conformemente alle indicazioni terapeutiche autorizzate, in categoria B (modified use) le sperimentazioni cliniche finalizzate ad effettuare studi su medicinali seguendo un regime terapeutico al di fuori dell’autorizzazione all’immissione in commercio, supportato o non supportato da pubblicazioni scientifiche e/o linee guida elaborate nella pratica medica (l’essere supportato o meno da pregresse esperienze mediche, conduce ad una suddivisione, rispettivamente, in Ba e Bb), in categoria C (new product) le sperimentazioni cliniche finalizzate ad effettuare studi su medicinali che non hanno alcuna autorizzazione all’immissione in commercio (new compound).

A questo framework, basato su una gestione metodologica del rischio focalizzata sull’esistenza o meno dell’autorizzazione all’immissione in commercio, si aggiunge poi un approccio che analizza il tipo di popolazione coinvolta nella sperimentazione clinica e l’analisi del consenso informato al paziente.

Nel contesto della sperimentazione clinica, la valutazione del rischio non dovrebbe limitarsi al medicinale in studio, ma dovrebbe estendersi anche a livello sistemico, come ad esempio all’analisi dell’intero Protocolo di studio ed alle procedure messe in atto per la sperimentazione clinica. Un approcio basato sul rischio a livello sistemico, dovrebbe svilupparsi nelle seguenti fasi: a) identificazione del rischio, b) valutazione del rischio, c) controllo del rischio, d) revisione del rischio, e) comunicazione del rischio, f) reporting.

La valutazione, il controllo e la revisione del rischio

La valutazione del rischio comprende la probabilità che un determinato evento, a cui è associato un potenziale rischio, possa verificarsi in una sperimentazione clinica; conseguentemente la valutazione dell’impatto, se tale evento dovesse accadere, per la sua salute del soggetto e per l’integrità dei dati della sperimentazione stessa, nonchè le modalità con cui esso potrebbe verificarsi, dovranno essere indentificati prima, in modo da stabilire eventuali azioni di prevenzione o attenuazione del rischio.

Per tale motivo, a ciascun rischio identificato, dovrebbe essere associata una strategia di mitigazione che può essere descritta solo a partire dalla valutazione preliminare della probabilità di accadimento, dalle circostanze di fatto nelle quali potrebbe venire a trovarsi il soggetto in sperimentazione, nonchè al potenziale impatto ed il danno per la salutre.

La valutazione del rischio dovrebbe cominciare prima della finalizzazione del Protocollo di studio, sia perchè il Protocollo stesso rappresenta uno degli oggetti della valutazione del rischio, sia perchè la valutazione e gli strumenti di mitigazione del rischio individuati influenzano a) il disegno dello studio, b) le procedure di sperimentazione e le pratiche mediche previste, c) gli aspetti finanziari e le risorse economiche a disposizione per la conduzione della sperimentazione clinica.

La sperimentazione clinica è un processo in continua evoluzione che, sebbene programmato e pianificato, in quanto attività sperimentale, è soggetta al divenire degli eventi, ed è per questo che la valutazione del rischio deve prevedere anche un ri-assessment. In tal senso deve prevedersi un processo continuo, al fine di verificare che i cambiamenti e le modifiche vengano condivise col personale e le funzioni adeguate e competenti.

Safety reporting

Un aspetto molto importante del profilo di valutazione del rischio è rappresentato dal Safety Reporting, ossia il processo mediante il quale vengono individuate, analizzate e riportati tutti gli eventi accaduti al soggetto in concomitanza con il trattamento farmacologico sperimentale, in alcuni casi anche successivamente per un determinato periodo.

Su questo aspetto, occorre premettere, che il Protocollo di studio è il documento di riferimento che contiene le informazioni sul rischio e la sua valutazione; in tale documento devono essere chiaramente illustrate le valutazioni effettuate, corredate dalle motivazioni che hanno portato a determinate scelte o azioni.

Come regola generale ogni evento sulla salute del paziente, nel quale si dovesse imbattere lo sperimentatore e potenzialmente correlato con il prodotto in sperimentazione, può essere rappresentativo di una reazione avversa al trattamento farmacologico, per cui deve essere riportato dallo sponsor, a meno di diverse valutazioni (che tuttavia devono essere preventivamente esplicitate nel Protocollo).

Tuttavia, occorre anche evitare che una eccessiva raccolta di informazioni contribuisca a dare un out-put difficile da interpretare o, addirittura, fuorviante dal punto di vista della significatività clinica. Nello stesso tempo è necessario non perdere, anche dal punto di vista della tempestività della lettura-rilevazione, qualsiasi evento che possa avere una correlazione con il trattamento farmacologico sperimentale. Su questo aspetto l’articolo 41 del Regolamento prevede un reporting selettivo degli eventi avversi, o avversi gravi, da parte dello sperimentatore. Lo sperimentatore, a meno di diversa previsione nel Protocollo (n.d.r.: per questo il Protocollo è un documento di riferimento essenziale!), qualora sospetti che possa esserci un rapporto causale tra l’evento avverso ed il trattemento farmacologico sperimentale, deve segnalarlo entro un termine massimo di 24 ore (ma è auspicabile un termine immediato nei casi di eventi avversi gravi). L’obbligo, secondo quanto dispone il comma 4 del citato articolo del Regolamento, si estende anche ai casi di eventi che si possono verificare dopo la fine della sperimentazione clinica sul soggetto.

Il patrimonio di conoscenza su un medicinale non è un insieme definito, ma evolve con l’aumentare dei dati che divengono man mano disponibili e che contribuiscono a determinare il profilo di rischio e beneficio del medicinale stesso. Questo significa che il Protocollo di studio, documento anch’esso non dotato di una fissità intrinseca, deve essere concepito come modificabile ed aggiornabile, anche sotto il profilo della valutazione del rischio, in modo da adattarsi o modularsi in funzione del reporting che man mano si verrà delineando durante una sperimentazione clinica. Non dovrebbe escludersi, ad esempio, che in determinate situazioni di elevata conoscenza, non sia necessario prevedere nel Protocollo l’obbligo per lo sperimetatore di riportare un determinato evento avverso; questa circostanza potrebbe verificarsi – verosimilmente – in una sperimentazione clinica di un farmaco già noto, ove il profilo di sicurezza è abbastanza maturo.

Conclusioni

La materia è senz’altro vasta e piena di considerazioni che un articolo non può avere la pretesa di trattare compiutamente, ma vale la pena ricordare che le sperimentazioni cliniche su medicinali già noti (ossia già autorizzati all’immissione in commercio) sono una importante opportunità, per l’intera comunità scientifica e per le autorità regolatorie, impegnate a trovare percorsi terapeutici che ottimizzino le cure senza creare pregiudizio ai pazienti. Come non tenere conto poi che per i medicinali di recente autorizzazione, ove i dati di real life (n.d.r. i dati derivanti dalla pratica clinica) sono spesso esigui, il continuo e successivo sviluppo clinico può essere solo fonte di arricchimento per l’intera comunità scientifica. Certamente, c’è da chiedersi chi può permettersi di sostenere costi ancora così elevati, ma – forse – le reti aperte ed informali di ricercatori, cui accenna il Considerando (59) del Regolamento, potrebbero essere una forte opportunità di partnership tra l’impresa e la ricerca indipendente.

Ma questo, si sà, è un altro discorso.