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La legittimità del ricorso collettivo/cumulativo nel processo tributario

di Giovambattista Palumbo

 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7941 del 20.04.2016 ha chiarito i termini di ammissibilità del ricorso collettivo/cumulativo nel processo tributario, effettuando anche un parziale revirement rispetto a pregresse posizioni giurisprudenziali.

Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale aveva confermato la decisione del giudice di primo grado, con cui era stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto da più contribuenti contro distinte cartelle di pagamento, con cui l'Agenzia delle entrate aveva chiesto il differenziale del canone televisivo non versato, oltre interessi, sanzioni e diritti di notifica.

I contribuenti, nel ricorso congiunto, avevano quindi esposto di aver aderito ad un'iniziativa di protesta promossa da un'associazione a difesa dei consumatori contro lo scadimento qualitativo della programmazione televisiva della Rai e di essersi autoridotti di parte del canone annuo dovuto, nella misura pari alla quota da loro identificata come sovraprezzo a loro avviso ingiustificato.

La Commissione Tributaria Regionale rilevava quindi che il ricorso introduttivo era stato proposto da contribuenti diversi, destinatari di atti distinti, accomunati solo dalla tipologia del tributo (canone Rai) e pertanto non sussistevano, a suo avviso, i presupposti del litisconsorzio processuale necessario ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo 546/1992, nè il presupposto del litisconsorzio facoltativo, che ricorre quando l'impugnazione proposta da uno dei obbligati è fondata su elementi positivi comuni a tutti i destinatari.

Inoltre, evidenziava ancora il giudice di merito, era da escludere la legittimazione a proporre ricorso degli enti esponenziali di una generica indefinita categoria di contribuenti.

I contribuenti proponevano quindi ricorso per cassazione, deducendo violazione di legge in relazione agli articoli 14, 26, 29 e 62 del decreto legislativo 546/92 e all'articolo 103 codice di procedura civile, dovendosi ritenere ammessa la proposizione di un ricorso collettivo nel caso di litisconsorzio facoltativo attivo, previsto appunto dall'articolo 103, primo comma, codice di procedura civile, ed applicabile anche nel processo tributario.

I ricorrenti formulavano pertanto il seguente quesito di diritto: "Voglia codesta eccellentissima Suprema Corte di Cassazione accertare e dichiarare la compatibilità del disposto di cui all'articolo 103, primo comma, del codice di procedura civile, in materia di litisconsorzio facoltativo originario, con la disciplina del processo tributario contenuta nel decreto legislativo 546/92, nonché, di conseguenza, accertare e dichiarare con specifico riferimento a detta giurisdizione tributaria, la legittimazione

di due o più parti-e quindi anche degli odierni ricorrenti -ad agire ed essere convenute nello stesso processo quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l'oggetto o per il titolo dal quale dipendono, oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente dalla risoluzione di identiche questioni".

I ricorrenti, infine, contestavano anche la contraddittoria motivazione laddove la CTR aveva ritenuto inammissibile il ricorso proposto da un ente esponenziale di una generica indefinita categoria di contribuenti.

I giudici di legittimità, ritenevano il primo motivo di ricorso fondato.

Richiamando il principio già espresso dalla Corte con le sentenze n. 3692 del 16/02/2009, n. 4490 del 22/02/2013 e n. 171 del 10/01/1991, secondo il quale nel processo tributario, non prevedendo il d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 alcuna specifica disposizione in ordine al cumulo dei ricorsi, e rinviando l’art. 1, secondo comma, alle norme del codice di procedura civile per quanto da esso non disposto e nei limiti della loro compatibilità con le sue norme, deve ritenersi applicabile l'art. 103 c.p.c., in terna di litisconsorzio facoltativo, conseguendone l'ammissibilità, come nella fattispecie, della proposizione di un ricorso congiunto da parte di più soggetti, anche se in relazione a distinte cartelle di pagamento, ove abbia ad oggetto identiche questioni dalla cui soluzione dipenda la decisione della causa.

Alla stessa decisione, secondo la Corte, si perverrebbe, peraltro, anche seguendo il diverso decisum alla pronuncia della Corte di legittimità n. 10578 del 30/04/2010, nella quale si evidenziava che nel giudizio tributario, a natura precipuamente impugnatoria, la necessità di uno specifico e concreto nesso tra l'atto impositivo che forma oggetto del ricorso e la contestazione del ricorrente, così come richiesto dall'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, impone, indefettibilmente, che tra le cause intercorrano questioni comuni non solo in diritto ma anche in fatto e che esse non siano soltanto uguali in astratto, ma attengano altresì ad un identico fatto storico da cui siano determinate le impugnazioni dei contribuenti, con la conseguente virtuale possibilità di un contrasto di giudicati in caso di decisione non unitaria.

Nel caso di specie infatti, evidenzia ancora la Corte, la questione comune involgeva comunque non solo il punto di diritto (carenza di motivazione ella cartella, illegittimità del sovraprezzo), ma anche il punto di fatto (sproporzione tra ammontare del canone e scadente qualità della programmazione).

La questione dell’ammissibilità del ricorso cumulativo (cioè il ricorso con il quale vengono contestualmente impugnati più atti di accertamento) nel processo tributario è stata, in effetti, sempre molto controversa, ammettendo la dottrina e la giurisprudenza prevalente la legittimità del ricorso cumulativo nella sola ipotesi in cui sussista (anche) evidente connessione oggettiva.

Del resto, quando si parla di dato letterale e formale della norma, che di per sé sembrerebbe non ammettere la possibilità di presentare un ricorso cumulativo, ci si riferisce al combinato degli artt. 18 e 29 del Dlgs 546/92, che, rispettivamente, prevedono, da una parte (art. 18) che il ricorso debba indicare “l’atto impugnato” e non “gli atti impugnati” e, dall’altra, che il potere (e la valutazione dei presupposti per l’ammissibilità) di riunione dei ricorsi sia attribuito al Presidente della Sezione della Commissione Tributaria, escludendo in tal modo, sembrerebbe, che tale riunione possa essere determinata dagli stessi contribuenti con la presentazione di un unico ricorso.

La valutazione in ordine all’ammissibilità o meno del ricorso collettivo/cumulativo nel processo tributario, come dimostra anche la sentenza in commento, non può essere comunque risolta affermando in termini assoluti la valenza dell’una o dell’altra soluzione.

Tale soluzione infatti deve essere comunque appurata caso per caso, entrando nello specifico della fattispecie in contestazione.

E’ necessario dunque, anche sulla base di quegli stessi articoli del codice di procedura civile richiamati a rafforzamento della tesi dell’ammissibilità del ricorso cumulativo, valutare quando sussistano i requisiti di connessione oggettiva tra gli atti impositivi oggetto di impugnazione.

Nel caso in cui, infatti, non vi sia connessione oggettiva tra i temi sottoposti all’attenzione dell’organo giudicante, come appunto, per esempio, nel caso di un unico ricorso contro atti impositivi aventi ad oggetto violazioni disomogenee, l’inammissibilità del ricorso sarà incontestabile.

Del resto, lo stesso art. 103 del c.p.c., richiamato appunto a giustificazione dell’ammissibilità del ricorso collettivo/cumulativo anche nel processo tributario, dispone che debba sussistere “connessione per l’oggetto o per il titolo”.

Se dunque è vero che il legislatore, sia per ragioni di economia processuale, sia per evitare un contrasto di giudicati, ha previsto la possibilità di far confluire in un unico giudizio la trattazione e la decisione di una pluralità di ricorsi, potendo dunque, in linea di principio, ammettersi anche l’impugnazione con un unico ricorso e da parte di più soggetti, di due o più atti impositivi, è però anche vero che l’ammissibilità di una tale impugnazione deve essere sottoposta alla condizione che sussista un collegamento, anche oggettivo (sotto forma di identità dell’oggetto, come per esempio nei rapporti plurisoggettivi, o comunque sotto forma di identità delle questioni di fatto e/o di diritto), tra i diversi rapporti sostanziali impugnati.

Questo, almeno, in caso di ricorso cumulativo “proprio”, cioè in caso di impugnazione di più atti di accertamento da parte di uno stesso soggetto.

Ancora più complessa appare invece la fattispecie riconducibile al cosiddetto ricorso collettivo/cumulativo, o cumulativo “improprio”, quando cioè, come anche nel caso della sentenza in commento, più ricorrenti (collettivo) impugnano con un unico ricorso più atti (cumulativo).

Mentre infatti non c’è dubbio che nel processo tributario sono consentiti il ricorso collettivo, con cui più soggetti impugnano un unico atto, dando luogo ad una causa unica ed inscindibile (tale da determinare un litisconsorzio necessario) ed il ricorso cumulativo in senso proprio, con cui, come detto, un unico ricorrente impugna più atti nei confronti di un unico soggetto (ex art. 104 c.p.c., che ammette la pluralità di domande contro la stessa parte), è invece appunto più controverso il ricorso collettivo improprio, con cui più ricorrenti impugnano atti autonomi.

La normativa tributaria non prevede infatti, in via generale, che una pluralità di contribuenti possa impugnare con un unico ricorso l'atto impositivo notificato singolarmente a ciascuno di essi, sia pur proveniente dallo stesso ente impositore e riguardante lo stesso tributo.

Soltanto l'art. 14 del D.Lgs. 546/1992, riguardante il litisconsorzio (necessario 102 c.p.c.) e l’intervento (volontario 105 c.p.c.), prevede infatti, come visto, una pluralità di parti, ma, per far ricorso a tali istituti, è necessario, in teoria, che l'oggetto del ricorso riguardi inscindibilmente più soggetti, ipotesi che si realizza solo nel caso in cui la causa riguardante più soggetti sia unica ed inscindibile.

In tale contesto per inscindibilità tra più soggetti si intende del resto la necessità di una (com)presenza in giudizio di una pluralità di soggetti, i quali, comunque, costituiscono un'unica parte processuale, laddove neppure le controversie aventi per oggetto obbligazioni solidali di imposta danno vita, in realtà, ad un litisconsorzio necessario, in quanto le singole obbligazioni, pur avendo identità di causa e contenuto, restano comunque rapporti tra loro distinti, anche considerato che nel rapporto di solidarietà, in particolare, il creditore può rivolgersi indifferentemente ad alcuni o a tutti i condebitori solidali per ottenere l'intera prestazione e la sentenza emanata nei confronti di uno di essi non ha effetto a danno degli altri.

Le considerazioni svolte conducono dunque a ritenere che:

a) il ricorso collettivo è ammissibile, in ogni caso, se proposto contro il medesimo atto da soggetti che ne sono destinatari o dalle parti di un medesimo rapporto (connessione per identità dell'oggetto), visto anche che nel processo tributario trova senz'altro applicazione l'art. 103 c.p.c. in tema di litisconsorzio facoltativo (vedi Cass., n. 171 del 10 gennaio 1991);
b) il ricorso cumulativo (proprio) è ammissibile se proposto dallo stesso contribuente contro atti fra loro oggettivamente connessi, anche in base alla previsione di cui al primo comma dell'art. 104 c.p.c. (pluralità di domande contro la stessa parte), in virtù della quale "contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande anche non altrimenti connesse...” (cfr. Cass., n. 7312 del 7 aprile 2005 e n. 19666 dell’1 ottobre 2004);
c) il ricorso cumulativo (improprio), proposto cioè da diversi contribuenti contro più atti, è (rectius era) considerato ammissibile solo in caso di litisconsorzio necessario.

Come visto però ora, anche in merito a tale ultima fattispecie, la Corte sembra allargare ancora di più le maglie di ammissibilità.

Redatto 20 settembre 2016

di Giovambattista Palumbo

 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7941 del 20.04.2016 ha chiarito i termini di ammissibilità del ricorso collettivo/cumulativo nel processo tributario, effettuando anche un parziale revirement rispetto a pregresse posizioni giurisprudenziali.

Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale aveva confermato la decisione del giudice di primo grado, con cui era stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto da più contribuenti contro distinte cartelle di pagamento, con cui l'Agenzia delle entrate aveva chiesto il differenziale del canone televisivo non versato, oltre interessi, sanzioni e diritti di notifica.

I contribuenti, nel ricorso congiunto, avevano quindi esposto di aver aderito ad un'iniziativa di protesta promossa da un'associazione a difesa dei consumatori contro lo scadimento qualitativo della programmazione televisiva della Rai e di essersi autoridotti di parte del canone annuo dovuto, nella misura pari alla quota da loro identificata come sovraprezzo a loro avviso ingiustificato.

La Commissione Tributaria Regionale rilevava quindi che il ricorso introduttivo era stato proposto da contribuenti diversi, destinatari di atti distinti, accomunati solo dalla tipologia del tributo (canone Rai) e pertanto non sussistevano, a suo avviso, i presupposti del litisconsorzio processuale necessario ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo 546/1992, nè il presupposto del litisconsorzio facoltativo, che ricorre quando l'impugnazione proposta da uno dei obbligati è fondata su elementi positivi comuni a tutti i destinatari.

Inoltre, evidenziava ancora il giudice di merito, era da escludere la legittimazione a proporre ricorso degli enti esponenziali di una generica indefinita categoria di contribuenti.

I contribuenti proponevano quindi ricorso per cassazione, deducendo violazione di legge in relazione agli articoli 14, 26, 29 e 62 del decreto legislativo 546/92 e all'articolo 103 codice di procedura civile, dovendosi ritenere ammessa la proposizione di un ricorso collettivo nel caso di litisconsorzio facoltativo attivo, previsto appunto dall'articolo 103, primo comma, codice di procedura civile, ed applicabile anche nel processo tributario.

I ricorrenti formulavano pertanto il seguente quesito di diritto: "Voglia codesta eccellentissima Suprema Corte di Cassazione accertare e dichiarare la compatibilità del disposto di cui all'articolo 103, primo comma, del codice di procedura civile, in materia di litisconsorzio facoltativo originario, con la disciplina del processo tributario contenuta nel decreto legislativo 546/92, nonché, di conseguenza, accertare e dichiarare con specifico riferimento a detta giurisdizione tributaria, la legittimazione

di due o più parti-e quindi anche degli odierni ricorrenti -ad agire ed essere convenute nello stesso processo quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l'oggetto o per il titolo dal quale dipendono, oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente dalla risoluzione di identiche questioni".

I ricorrenti, infine, contestavano anche la contraddittoria motivazione laddove la CTR aveva ritenuto inammissibile il ricorso proposto da un ente esponenziale di una generica indefinita categoria di contribuenti.

I giudici di legittimità, ritenevano il primo motivo di ricorso fondato.

Richiamando il principio già espresso dalla Corte con le sentenze n. 3692 del 16/02/2009, n. 4490 del 22/02/2013 e n. 171 del 10/01/1991, secondo il quale nel processo tributario, non prevedendo il d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 alcuna specifica disposizione in ordine al cumulo dei ricorsi, e rinviando l’art. 1, secondo comma, alle norme del codice di procedura civile per quanto da esso non disposto e nei limiti della loro compatibilità con le sue norme, deve ritenersi applicabile l'art. 103 c.p.c., in terna di litisconsorzio facoltativo, conseguendone l'ammissibilità, come nella fattispecie, della proposizione di un ricorso congiunto da parte di più soggetti, anche se in relazione a distinte cartelle di pagamento, ove abbia ad oggetto identiche questioni dalla cui soluzione dipenda la decisione della causa.

Alla stessa decisione, secondo la Corte, si perverrebbe, peraltro, anche seguendo il diverso decisum alla pronuncia della Corte di legittimità n. 10578 del 30/04/2010, nella quale si evidenziava che nel giudizio tributario, a natura precipuamente impugnatoria, la necessità di uno specifico e concreto nesso tra l'atto impositivo che forma oggetto del ricorso e la contestazione del ricorrente, così come richiesto dall'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, impone, indefettibilmente, che tra le cause intercorrano questioni comuni non solo in diritto ma anche in fatto e che esse non siano soltanto uguali in astratto, ma attengano altresì ad un identico fatto storico da cui siano determinate le impugnazioni dei contribuenti, con la conseguente virtuale possibilità di un contrasto di giudicati in caso di decisione non unitaria.

Nel caso di specie infatti, evidenzia ancora la Corte, la questione comune involgeva comunque non solo il punto di diritto (carenza di motivazione ella cartella, illegittimità del sovraprezzo), ma anche il punto di fatto (sproporzione tra ammontare del canone e scadente qualità della programmazione).

La questione dell’ammissibilità del ricorso cumulativo (cioè il ricorso con il quale vengono contestualmente impugnati più atti di accertamento) nel processo tributario è stata, in effetti, sempre molto controversa, ammettendo la dottrina e la giurisprudenza prevalente la legittimità del ricorso cumulativo nella sola ipotesi in cui sussista (anche) evidente connessione oggettiva.

Del resto, quando si parla di dato letterale e formale della norma, che di per sé sembrerebbe non ammettere la possibilità di presentare un ricorso cumulativo, ci si riferisce al combinato degli artt. 18 e 29 del Dlgs 546/92, che, rispettivamente, prevedono, da una parte (art. 18) che il ricorso debba indicare “l’atto impugnato” e non “gli atti impugnati” e, dall’altra, che il potere (e la valutazione dei presupposti per l’ammissibilità) di riunione dei ricorsi sia attribuito al Presidente della Sezione della Commissione Tributaria, escludendo in tal modo, sembrerebbe, che tale riunione possa essere determinata dagli stessi contribuenti con la presentazione di un unico ricorso.

La valutazione in ordine all’ammissibilità o meno del ricorso collettivo/cumulativo nel processo tributario, come dimostra anche la sentenza in commento, non può essere comunque risolta affermando in termini assoluti la valenza dell’una o dell’altra soluzione.

Tale soluzione infatti deve essere comunque appurata caso per caso, entrando nello specifico della fattispecie in contestazione.

E’ necessario dunque, anche sulla base di quegli stessi articoli del codice di procedura civile richiamati a rafforzamento della tesi dell’ammissibilità del ricorso cumulativo, valutare quando sussistano i requisiti di connessione oggettiva tra gli atti impositivi oggetto di impugnazione.

Nel caso in cui, infatti, non vi sia connessione oggettiva tra i temi sottoposti all’attenzione dell’organo giudicante, come appunto, per esempio, nel caso di un unico ricorso contro atti impositivi aventi ad oggetto violazioni disomogenee, l’inammissibilità del ricorso sarà incontestabile.

Del resto, lo stesso art. 103 del c.p.c., richiamato appunto a giustificazione dell’ammissibilità del ricorso collettivo/cumulativo anche nel processo tributario, dispone che debba sussistere “connessione per l’oggetto o per il titolo”.

Se dunque è vero che il legislatore, sia per ragioni di economia processuale, sia per evitare un contrasto di giudicati, ha previsto la possibilità di far confluire in un unico giudizio la trattazione e la decisione di una pluralità di ricorsi, potendo dunque, in linea di principio, ammettersi anche l’impugnazione con un unico ricorso e da parte di più soggetti, di due o più atti impositivi, è però anche vero che l’ammissibilità di una tale impugnazione deve essere sottoposta alla condizione che sussista un collegamento, anche oggettivo (sotto forma di identità dell’oggetto, come per esempio nei rapporti plurisoggettivi, o comunque sotto forma di identità delle questioni di fatto e/o di diritto), tra i diversi rapporti sostanziali impugnati.

Questo, almeno, in caso di ricorso cumulativo “proprio”, cioè in caso di impugnazione di più atti di accertamento da parte di uno stesso soggetto.

Ancora più complessa appare invece la fattispecie riconducibile al cosiddetto ricorso collettivo/cumulativo, o cumulativo “improprio”, quando cioè, come anche nel caso della sentenza in commento, più ricorrenti (collettivo) impugnano con un unico ricorso più atti (cumulativo).

Mentre infatti non c’è dubbio che nel processo tributario sono consentiti il ricorso collettivo, con cui più soggetti impugnano un unico atto, dando luogo ad una causa unica ed inscindibile (tale da determinare un litisconsorzio necessario) ed il ricorso cumulativo in senso proprio, con cui, come detto, un unico ricorrente impugna più atti nei confronti di un unico soggetto (ex art. 104 c.p.c., che ammette la pluralità di domande contro la stessa parte), è invece appunto più controverso il ricorso collettivo improprio, con cui più ricorrenti impugnano atti autonomi.

La normativa tributaria non prevede infatti, in via generale, che una pluralità di contribuenti possa impugnare con un unico ricorso l'atto impositivo notificato singolarmente a ciascuno di essi, sia pur proveniente dallo stesso ente impositore e riguardante lo stesso tributo.

Soltanto l'art. 14 del D.Lgs. 546/1992, riguardante il litisconsorzio (necessario 102 c.p.c.) e l’intervento (volontario 105 c.p.c.), prevede infatti, come visto, una pluralità di parti, ma, per far ricorso a tali istituti, è necessario, in teoria, che l'oggetto del ricorso riguardi inscindibilmente più soggetti, ipotesi che si realizza solo nel caso in cui la causa riguardante più soggetti sia unica ed inscindibile.

In tale contesto per inscindibilità tra più soggetti si intende del resto la necessità di una (com)presenza in giudizio di una pluralità di soggetti, i quali, comunque, costituiscono un'unica parte processuale, laddove neppure le controversie aventi per oggetto obbligazioni solidali di imposta danno vita, in realtà, ad un litisconsorzio necessario, in quanto le singole obbligazioni, pur avendo identità di causa e contenuto, restano comunque rapporti tra loro distinti, anche considerato che nel rapporto di solidarietà, in particolare, il creditore può rivolgersi indifferentemente ad alcuni o a tutti i condebitori solidali per ottenere l'intera prestazione e la sentenza emanata nei confronti di uno di essi non ha effetto a danno degli altri.

Le considerazioni svolte conducono dunque a ritenere che:

a) il ricorso collettivo è ammissibile, in ogni caso, se proposto contro il medesimo atto da soggetti che ne sono destinatari o dalle parti di un medesimo rapporto (connessione per identità dell'oggetto), visto anche che nel processo tributario trova senz'altro applicazione l'art. 103 c.p.c. in tema di litisconsorzio facoltativo (vedi Cass., n. 171 del 10 gennaio 1991);
b) il ricorso cumulativo (proprio) è ammissibile se proposto dallo stesso contribuente contro atti fra loro oggettivamente connessi, anche in base alla previsione di cui al primo comma dell'art. 104 c.p.c. (pluralità di domande contro la stessa parte), in virtù della quale "contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande anche non altrimenti connesse...” (cfr. Cass., n. 7312 del 7 aprile 2005 e n. 19666 dell’1 ottobre 2004);
c) il ricorso cumulativo (improprio), proposto cioè da diversi contribuenti contro più atti, è (rectius era) considerato ammissibile solo in caso di litisconsorzio necessario.

Come visto però ora, anche in merito a tale ultima fattispecie, la Corte sembra allargare ancora di più le maglie di ammissibilità.

Redatto 20 settembre 2016