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L’occupazione di suolo per l’effettuazione di ricerche archeologiche e responsabilità dei lavori di recupero fabbricati

Suprema Corte di Cassazione, sezione I, sentenza numero 2962/2014 depositata il 10 febbraio
L’occupazione di suolo per l’effettuazione di ricerche archeologiche e responsabilità dei lavori di recupero fabbricati
L’occupazione di suolo per l’effettuazione di ricerche archeologiche e responsabilità dei lavori di recupero fabbricati

L’esigenza di effettuare ricerche archeologiche e il diritto a costruire si pongono su due parti distinte della bilancia, laddove occorre domandarsi quale interesse dovrebbe prevalere sull’altro. Da un lato vi è l’esigenza di sospendere i lavori di costruzione ed occupare il suolo al fine di svolgere attività culturale, dall’altra vi è l’interesse di una società nel concludere la realizzazione di un immobile allo scopo di procedere alla vendita delle singole unità immobiliari da costruire.

A ben guardare interessi pubblici e privati si contrappongono. All’uopo i giudici di legittimità[1] devono prendere una posizione giuridica chiara applicando ed interpretando le norme in vigore.

Nel merito le Corti territoriali riconoscono l’interesse meritevole di tutela in favore della società di costruzioni e per l’intero periodo di occupazione del suolo viene concesso un cospicuo indennizzo condannando, altresì, il Ministero per i beni culturali e ambientali al pagamento di quanto dovuto, in quanto il proprietario del fondo non ha potuto disporre dell’immobile e, quindi, la mancata utilizzazione del bene e la conseguente sospensione dei lavori vengono qualificati come lesione dell’interesse privato. La questione approda dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, dove viene evidenziata la circostanza che l’occupazione del suolo per ricerche archeologiche è vincolata all’interesse pubblico relativo alla conservazione del patrimonio culturale costituzionalmente tutelato.

In primis, il Ministero per i beni e le attività culturali ha evidenziato la violazione e falsa applicazione degli articoli 20 e 43 della Legge 1 giugno 1939 n. 1089, nota anche come Legge Bottai, da parte delle Corti territoriali che hanno ritenuto indennizzabile anche il periodo anteriore all’adozione del decreto di occupazione di urgenza nell’arco della durata della sospensione dei lavori. Tale misura, in verità, mira a preservare l’integrità fisica dei beni di interesse archeologico in attesa di attività dirette a consentire la ricerca e valorizzazione delle scoperte di studio e, pertanto, non risulterebbe assimilabile ad un provvedimento ablatorio.

In secondo luogo, l’amministrazione ricorrente lamenta la mancata pronuncia dei giudici di merito nell’ambito dell’eccezione di compensatio lucri cura damno, in quanto dalle risultanze istruttorie del consulente tecnico d’ufficio si evidenzia un vantaggio, fino a quota di progetto, dagli scavi eseguiti dalla Soprintendenza in favore dell’impresa proprietaria del suolo.

Ciò posto, la società costruttrice con ricorso incidentale denuncia, invece, la violazione e falsa applicazione degli articoli 20 e 43 sempre della Legge n. 1089/39, nonché degli articoli 61, 62, 112, 114, 115, 116 del codice di procedura civile e dell’articolo 2697 del codice civile, in virtù dell’omessa, ovvero, insufficiente motivazione sui punti indicati dall’amministrazione ricorrente, oltreché lamentandosi dell’indennizzo ricevuto, poiché ritenuto incongruo rispetto ai costi sostenuti relativamente a spese di vigilanza del cantiere, attrezzature ed interessi legali sul valore del lotto.

A conclusione delle suddette richieste formulate da ambo le parti i giudici di legittimità si pronunciano nel caso di specie interpretando le distanti posizioni giuridiche nel modo seguente.

La Suprema Corte di Cassazione ritiene che è fondato il conferimento del potere al Ministero per i beni e le attività culturali di ordinare la sospensione dei lavori iniziati su un bene d’interesse storico-artistico. A riguardo giova rilevare che l’articolo 28 del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 concerne l’autorizzazione per l’Amministrazione procedente di intervenire su immobili di proprietà privata, laddove si ravvisi un interesse pubblico di particolare importanza che mira a tutelare il patrimonio culturale, quale interesse costituzionalmente tutelato (ex articolo 9 Cost.). Tanto chiarito occorre evidenziare che il riscontrato interesse pubblico e l’occupazione di suolo per l’effettuazione di ricerche archeologiche hanno un carattere meramente cautelare, al solo fine di salvaguardare beni d’interesse storico-artistico.

A ben vedere le caratteristiche oggettive attinenti ai predetti beni appartenenti al patrimonio culturale sono rappresentate dalla valorizzazione degli stessi che si tramutano nell’azzeramento dello jus aedificandi. Tale vincolo comporta la limitazione dell’interesse privato, poiché la tutela dei beni culturali si colloca su un piano di interesse superiore che sottrae la facoltà di trasformazione dell’immobile da parte del proprietario. D’altronde vi sono circostanze in cui l’interesse culturale può essere salvaguardato solo mediante l’acquisizione del bene alla proprietà pubblica e, pertanto, l’ordine di sospensione dei lavori ed occupazione del suolo sono funzionali a preservare il bene di interesse storico-artistico.

Le superiori argomentazioni dimostrano che, nella fattispecie in esame, il principio costituzionale previsto all’articolo 9 trova il suo accoglimento in materia di interessi culturali e beni di natura storica-artistica. All’uopo si riporta la massima espressa dai giudici di legittimità: “La natura stessa del bene giustifica le limitazioni al diritto dominicale, a differenza dei vincoli, di natura discrezionale, apposti in virtù di provvedimenti dell’amministrazione, che per non intaccare il nucleo essenziale della proprietà, devono essere temporanei, o comunque indennizzati. Il vincolo di interesse storico ed artistico si collega alle caratteristiche intrinseche dei beni; pertanto, il decreto dichiarativo della particolare importanza ai fini pubblici non concreta l’imposizione di un vincolo espropriativo ai sensi dell’articolo 42, terzo comma, della Costituzione e non comporta la necessità di indennizzo (Cass. 19.7.2002, n. 10542). La limitazione alla proprietà per le superiori ragioni della cultura è stata ricondotta dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo alle ragioni d’interesse generale che ai sensi dell’articolo 1, prot. 1, seconda parte, giustificano l’apposizione del vincolo senza indennizzo”. Tale assunto conferma le ragioni e i motivi che giustificano l’occupazione di suolo limitatamente alla salvaguardia dell’integrità materiale dei beni di interesse culturale. Tuttavia, per quanto riguarda la pretesa di compensatio lucri cura damno, quest’ultima appare generica e, quindi, il motivo dedotto dall’Amministrazione ricorrente è inammissibile[2], poiché non si è ottemperato all’onere di rappresentare puntualmente i fatti riguardanti il presunto stato di vantaggio derivante dalle ricerche archeologiche in favore del proprietario del suolo.

Ciò posto, in merito ai motivi del ricorso incidentale presentato dalla società costruttrice, quest’ultime seppur apprezzabili e suggestive le ragioni addotte, non appaiono convincenti, in quanto l’occupazione di suolo ai fini di ricerca archeologica alla conservazione del patrimonio storico-artistico (ex articolo 9 Cost.) è giustificato da ragioni d’interesse culturale, determinando il necessario sacrificio della proprietà privata (ex articolo 56 L. n. 1089/39) e, di conseguenza, si realizza la limitazione all’uso e al godimento, oltreché disponibilità del fondo per la predominanza dell’interesse pubblico. Tale rassegna, tra l’altro a confermo delle suesposte argomentazioni, determina il contenimento dell’uso e la sospensione dei lavori per ragioni di tutela del patrimonio storico-artistico.

Ne consegue che, secondo tale prospettazione, i giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso incidentale, così come presentato dall’impresa costruttrice[3], mentre hanno accolto soltanto il primo motivo dedotto dal Ministero dei beni e attività culturali cassando la sentenza impugnata con riferimento alle circostanze giustificatrici dell’occupazione di suolo limitatamente alla salvaguardia dell’integrità materiale dei beni per studi archeologici.

 

[1]Cass. Civ., Sez. I, Sent. 10 febbraio 2014 n. 2962

[2]Cass. Civ. Sent. 11 novembre 2007, n. 324

[3]Cass. Civ. 29 agosto 2002, n. 12642; Cass. Civ. 17 aprile 2008, n. 10102; Cass. Civ. Sent. 22 novembre 2012, n. 20679.

L’esigenza di effettuare ricerche archeologiche e il diritto a costruire si pongono su due parti distinte della bilancia, laddove occorre domandarsi quale interesse dovrebbe prevalere sull’altro. Da un lato vi è l’esigenza di sospendere i lavori di costruzione ed occupare il suolo al fine di svolgere attività culturale, dall’altra vi è l’interesse di una società nel concludere la realizzazione di un immobile allo scopo di procedere alla vendita delle singole unità immobiliari da costruire.

A ben guardare interessi pubblici e privati si contrappongono. All’uopo i giudici di legittimità[1] devono prendere una posizione giuridica chiara applicando ed interpretando le norme in vigore.

Nel merito le Corti territoriali riconoscono l’interesse meritevole di tutela in favore della società di costruzioni e per l’intero periodo di occupazione del suolo viene concesso un cospicuo indennizzo condannando, altresì, il Ministero per i beni culturali e ambientali al pagamento di quanto dovuto, in quanto il proprietario del fondo non ha potuto disporre dell’immobile e, quindi, la mancata utilizzazione del bene e la conseguente sospensione dei lavori vengono qualificati come lesione dell’interesse privato. La questione approda dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, dove viene evidenziata la circostanza che l’occupazione del suolo per ricerche archeologiche è vincolata all’interesse pubblico relativo alla conservazione del patrimonio culturale costituzionalmente tutelato.

In primis, il Ministero per i beni e le attività culturali ha evidenziato la violazione e falsa applicazione degli articoli 20 e 43 della Legge 1 giugno 1939 n. 1089, nota anche come Legge Bottai, da parte delle Corti territoriali che hanno ritenuto indennizzabile anche il periodo anteriore all’adozione del decreto di occupazione di urgenza nell’arco della durata della sospensione dei lavori. Tale misura, in verità, mira a preservare l’integrità fisica dei beni di interesse archeologico in attesa di attività dirette a consentire la ricerca e valorizzazione delle scoperte di studio e, pertanto, non risulterebbe assimilabile ad un provvedimento ablatorio.

In secondo luogo, l’amministrazione ricorrente lamenta la mancata pronuncia dei giudici di merito nell’ambito dell’eccezione di compensatio lucri cura damno, in quanto dalle risultanze istruttorie del consulente tecnico d’ufficio si evidenzia un vantaggio, fino a quota di progetto, dagli scavi eseguiti dalla Soprintendenza in favore dell’impresa proprietaria del suolo.

Ciò posto, la società costruttrice con ricorso incidentale denuncia, invece, la violazione e falsa applicazione degli articoli 20 e 43 sempre della Legge n. 1089/39, nonché degli articoli 61, 62, 112, 114, 115, 116 del codice di procedura civile e dell’articolo 2697 del codice civile, in virtù dell’omessa, ovvero, insufficiente motivazione sui punti indicati dall’amministrazione ricorrente, oltreché lamentandosi dell’indennizzo ricevuto, poiché ritenuto incongruo rispetto ai costi sostenuti relativamente a spese di vigilanza del cantiere, attrezzature ed interessi legali sul valore del lotto.

A conclusione delle suddette richieste formulate da ambo le parti i giudici di legittimità si pronunciano nel caso di specie interpretando le distanti posizioni giuridiche nel modo seguente.

La Suprema Corte di Cassazione ritiene che è fondato il conferimento del potere al Ministero per i beni e le attività culturali di ordinare la sospensione dei lavori iniziati su un bene d’interesse storico-artistico. A riguardo giova rilevare che l’articolo 28 del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 concerne l’autorizzazione per l’Amministrazione procedente di intervenire su immobili di proprietà privata, laddove si ravvisi un interesse pubblico di particolare importanza che mira a tutelare il patrimonio culturale, quale interesse costituzionalmente tutelato (ex articolo 9 Cost.). Tanto chiarito occorre evidenziare che il riscontrato interesse pubblico e l’occupazione di suolo per l’effettuazione di ricerche archeologiche hanno un carattere meramente cautelare, al solo fine di salvaguardare beni d’interesse storico-artistico.

A ben vedere le caratteristiche oggettive attinenti ai predetti beni appartenenti al patrimonio culturale sono rappresentate dalla valorizzazione degli stessi che si tramutano nell’azzeramento dello jus aedificandi. Tale vincolo comporta la limitazione dell’interesse privato, poiché la tutela dei beni culturali si colloca su un piano di interesse superiore che sottrae la facoltà di trasformazione dell’immobile da parte del proprietario. D’altronde vi sono circostanze in cui l’interesse culturale può essere salvaguardato solo mediante l’acquisizione del bene alla proprietà pubblica e, pertanto, l’ordine di sospensione dei lavori ed occupazione del suolo sono funzionali a preservare il bene di interesse storico-artistico.

Le superiori argomentazioni dimostrano che, nella fattispecie in esame, il principio costituzionale previsto all’articolo 9 trova il suo accoglimento in materia di interessi culturali e beni di natura storica-artistica. All’uopo si riporta la massima espressa dai giudici di legittimità: “La natura stessa del bene giustifica le limitazioni al diritto dominicale, a differenza dei vincoli, di natura discrezionale, apposti in virtù di provvedimenti dell’amministrazione, che per non intaccare il nucleo essenziale della proprietà, devono essere temporanei, o comunque indennizzati. Il vincolo di interesse storico ed artistico si collega alle caratteristiche intrinseche dei beni; pertanto, il decreto dichiarativo della particolare importanza ai fini pubblici non concreta l’imposizione di un vincolo espropriativo ai sensi dell’articolo 42, terzo comma, della Costituzione e non comporta la necessità di indennizzo (Cass. 19.7.2002, n. 10542). La limitazione alla proprietà per le superiori ragioni della cultura è stata ricondotta dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo alle ragioni d’interesse generale che ai sensi dell’articolo 1, prot. 1, seconda parte, giustificano l’apposizione del vincolo senza indennizzo”. Tale assunto conferma le ragioni e i motivi che giustificano l’occupazione di suolo limitatamente alla salvaguardia dell’integrità materiale dei beni di interesse culturale. Tuttavia, per quanto riguarda la pretesa di compensatio lucri cura damno, quest’ultima appare generica e, quindi, il motivo dedotto dall’Amministrazione ricorrente è inammissibile[2], poiché non si è ottemperato all’onere di rappresentare puntualmente i fatti riguardanti il presunto stato di vantaggio derivante dalle ricerche archeologiche in favore del proprietario del suolo.

Ciò posto, in merito ai motivi del ricorso incidentale presentato dalla società costruttrice, quest’ultime seppur apprezzabili e suggestive le ragioni addotte, non appaiono convincenti, in quanto l’occupazione di suolo ai fini di ricerca archeologica alla conservazione del patrimonio storico-artistico (ex articolo 9 Cost.) è giustificato da ragioni d’interesse culturale, determinando il necessario sacrificio della proprietà privata (ex articolo 56 L. n. 1089/39) e, di conseguenza, si realizza la limitazione all’uso e al godimento, oltreché disponibilità del fondo per la predominanza dell’interesse pubblico. Tale rassegna, tra l’altro a confermo delle suesposte argomentazioni, determina il contenimento dell’uso e la sospensione dei lavori per ragioni di tutela del patrimonio storico-artistico.

Ne consegue che, secondo tale prospettazione, i giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso incidentale, così come presentato dall’impresa costruttrice[3], mentre hanno accolto soltanto il primo motivo dedotto dal Ministero dei beni e attività culturali cassando la sentenza impugnata con riferimento alle circostanze giustificatrici dell’occupazione di suolo limitatamente alla salvaguardia dell’integrità materiale dei beni per studi archeologici.

 

[1]Cass. Civ., Sez. I, Sent. 10 febbraio 2014 n. 2962

[2]Cass. Civ. Sent. 11 novembre 2007, n. 324

[3]Cass. Civ. 29 agosto 2002, n. 12642; Cass. Civ. 17 aprile 2008, n. 10102; Cass. Civ. Sent. 22 novembre 2012, n. 20679.