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Codice dei Contratti Pubblici 2016. Le novità sugli affidamenti diretti della Pubblica Amministrazione

I presupposti degli affidamenti “In House” nel Nuovo Codice dei Contratti Pubblici 2016
Codice dei Contratti Pubblici 2016. Le novità sugli affidamenti diretti della Pubblica Amministrazione
Codice dei Contratti Pubblici 2016. Le novità sugli affidamenti diretti della Pubblica Amministrazione

Abstract

Nella trattazione si è voluto delineare il percorso, partito dalla normativa comunitaria una decina di anni fa, che ha condotto il legislatore italiano a recepire e a disciplinare compiutamente la questione degli affidamenti diretti della Pubblica Amministrazione (Affidamenti In House).

Verranno analizzati i presupposti di questa delicata procedura che, giunta alla completa disciplina contenuta nel Nuovo Codice dei Contratti Pubblici del 2016, presenta ancora delle incertezze applicative per le quali è dovuto intervenire dapprima il Consiglio di Stato e successivamente il Presidente dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione.

 

Il sistema degli affidamenti in house, in quanto derogatorio rispetto al metodo di scelta del contraente mediante gara pubblica, si pone in apparente contrasto con i principi generali stabiliti dal Trattato Istitutivo delle Comunità Europee, a tutela della concorrenza e del mercato e a presidio della garanzia di massima trasparenza in materia di affidamento e stipulazione di contratti pubblici, nonché con i principi e le norme dell’ordinamento nazionale in tema di imparzialità, trasparenza, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, ai sensi del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).

Fin dall’inizio, la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea (sentenza Stadt Halle, 11 gennaio 2005, in causa C-26/03) ha riconosciuto che rientra nel potere organizzativo delle autorità pubbliche “auto-produrre” beni, servizi o lavori mediante il ricorso a soggetti che, ancorché giuridicamente distinti dall’ente conferente, siano legati a quest’ultimi da una “relazione organica”.

Nella prospettiva europea, infatti, la pubblica amministrazione può decidere di erogare direttamente prestazioni di servizi a favore degli utenti mediante proprie strutture organizzative, senza dover ricorrere ad operatori economici da reperire attraverso il ricorso al “mercato esterno”.

Il meccanismo dell’affidamento diretto a soggetti in house deve, però, essere strutturato in modo da evitare che esso possa risolversi in una ingiustificata compromissione dei principi che presiedono al corretto funzionamento del mercato e, dunque, in una violazione delle prescrizioni contenute nel Trattato, a tutela della concorrenza, secondo il principio del pari trattamento tra imprese pubbliche e private, sancito dall’articolo 295 del Trattato CE.

Per queste ragioni, dapprima la Corte di Giustizia e successivamente il legislatore nazionale, nella sentenza 15 dicembre 2008 n. 439 della Corte Costituzionale, hanno definito i confini all’interno dei quali l’affidamento può considerarsi ammissibile.

Al riguardo, seguendo dunque alla lettera gli indirizzi della Corte Costituzionale, a recepimento della normativa comunitaria, “i servizi pubblici di rilevanza economica possono essere affidati alle società in house qualora l’ente o gli enti: a) detengano per intero il capitale sociale; b) esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; c) la società realizzi la parte più rilevante della propria attività (80%) con uno o più degli enti che la controllano”.

Oggi, attraverso l’emanazione del Nuovo Codice dei Contratti Pubblici (Decreto Legislativo 50/2016), l’ordinamento italiano ha nuovamente recepito quanto disposto in ambito comunitario dalle Direttive UE n. 23, 24 e 25 del 2014, a completamento della normativa avviata dalla famosa “sentenza Teckal” (Corte di Giustizia Europea, 18 novembre 1999, causa C-107/98), e istituisce di fatto, al comma 1 dell’articolo 192, il quarto elemento fondamentale per la validità degli affidamenti diretti, stabilendo che: “è istituito presso l’ANAC… l’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house... L’iscrizione nell’elenco avviene a domanda, dopo che sia stata riscontrata l’esistenza dei requisiti, secondo le modalità e i criteri che l’Autorità definisce con proprio atto…”

Allo stato attuale, nelle  more dell’emanazione del predetto elenco, stante anche la mancata definizione dell’ANAC delle modalità e dei criteri per effettuare la verifica della sussistenza dei  requisiti necessari per l’iscrizione all’elenco, il Consiglio di Stato, nel parere del 1° aprile 2016 n. 855, ha rimarcato la funzione meramente dichiarativa e non costitutiva della stessa iscrizione, inducendo l’ANAC, attraverso il Comunicato  del Presidente Cantone del 3 agosto 2016, a chiarire alcuni elementi fondamentali.

Il Presidente Cantone, infatti, richiamando il sopracitato parere del Consiglio di Stato, puntualizza che “Nelle more…, l’affidamento  diretto alle società in house può essere effettuato, sotto la propria responsabilità, dalle amministrazioni  aggiudicatrici e dagli enti aggiudicatori in presenza dei presupposti  legittimanti definiti dall’articolo 12 della direttiva 24/2014/UE e recepiti nei  medesimi termini nell’articolo 5 del Decreto Legislativo n. 50 del 2016 e nel rispetto delle  prescrizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 192, a prescindere dall’inoltro  della domanda di iscrizione”. 

Alla luce di tutto ciò, concludendo, in attesa che l’ANAC stabilisca i criteri ed emani l’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori, la pubblica amministrazione può continuare regolarmente e sotto la propria responsabilità ad effettuare gli affidamenti in house (o in house providing), nel rispetto dei presupposti stabiliti dall’ordinamento comunitario e recepiti da quello italiano attraverso l’articolo 5 e i commi 2 e 3 dell’articolo 192 del Nuovo Codice dei Contratti Pubblici.

Abstract

Nella trattazione si è voluto delineare il percorso, partito dalla normativa comunitaria una decina di anni fa, che ha condotto il legislatore italiano a recepire e a disciplinare compiutamente la questione degli affidamenti diretti della Pubblica Amministrazione (Affidamenti In House).

Verranno analizzati i presupposti di questa delicata procedura che, giunta alla completa disciplina contenuta nel Nuovo Codice dei Contratti Pubblici del 2016, presenta ancora delle incertezze applicative per le quali è dovuto intervenire dapprima il Consiglio di Stato e successivamente il Presidente dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione.

 

Il sistema degli affidamenti in house, in quanto derogatorio rispetto al metodo di scelta del contraente mediante gara pubblica, si pone in apparente contrasto con i principi generali stabiliti dal Trattato Istitutivo delle Comunità Europee, a tutela della concorrenza e del mercato e a presidio della garanzia di massima trasparenza in materia di affidamento e stipulazione di contratti pubblici, nonché con i principi e le norme dell’ordinamento nazionale in tema di imparzialità, trasparenza, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, ai sensi del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).

Fin dall’inizio, la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea (sentenza Stadt Halle, 11 gennaio 2005, in causa C-26/03) ha riconosciuto che rientra nel potere organizzativo delle autorità pubbliche “auto-produrre” beni, servizi o lavori mediante il ricorso a soggetti che, ancorché giuridicamente distinti dall’ente conferente, siano legati a quest’ultimi da una “relazione organica”.

Nella prospettiva europea, infatti, la pubblica amministrazione può decidere di erogare direttamente prestazioni di servizi a favore degli utenti mediante proprie strutture organizzative, senza dover ricorrere ad operatori economici da reperire attraverso il ricorso al “mercato esterno”.

Il meccanismo dell’affidamento diretto a soggetti in house deve, però, essere strutturato in modo da evitare che esso possa risolversi in una ingiustificata compromissione dei principi che presiedono al corretto funzionamento del mercato e, dunque, in una violazione delle prescrizioni contenute nel Trattato, a tutela della concorrenza, secondo il principio del pari trattamento tra imprese pubbliche e private, sancito dall’articolo 295 del Trattato CE.

Per queste ragioni, dapprima la Corte di Giustizia e successivamente il legislatore nazionale, nella sentenza 15 dicembre 2008 n. 439 della Corte Costituzionale, hanno definito i confini all’interno dei quali l’affidamento può considerarsi ammissibile.

Al riguardo, seguendo dunque alla lettera gli indirizzi della Corte Costituzionale, a recepimento della normativa comunitaria, “i servizi pubblici di rilevanza economica possono essere affidati alle società in house qualora l’ente o gli enti: a) detengano per intero il capitale sociale; b) esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; c) la società realizzi la parte più rilevante della propria attività (80%) con uno o più degli enti che la controllano”.

Oggi, attraverso l’emanazione del Nuovo Codice dei Contratti Pubblici (Decreto Legislativo 50/2016), l’ordinamento italiano ha nuovamente recepito quanto disposto in ambito comunitario dalle Direttive UE n. 23, 24 e 25 del 2014, a completamento della normativa avviata dalla famosa “sentenza Teckal” (Corte di Giustizia Europea, 18 novembre 1999, causa C-107/98), e istituisce di fatto, al comma 1 dell’articolo 192, il quarto elemento fondamentale per la validità degli affidamenti diretti, stabilendo che: “è istituito presso l’ANAC… l’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house... L’iscrizione nell’elenco avviene a domanda, dopo che sia stata riscontrata l’esistenza dei requisiti, secondo le modalità e i criteri che l’Autorità definisce con proprio atto…”

Allo stato attuale, nelle  more dell’emanazione del predetto elenco, stante anche la mancata definizione dell’ANAC delle modalità e dei criteri per effettuare la verifica della sussistenza dei  requisiti necessari per l’iscrizione all’elenco, il Consiglio di Stato, nel parere del 1° aprile 2016 n. 855, ha rimarcato la funzione meramente dichiarativa e non costitutiva della stessa iscrizione, inducendo l’ANAC, attraverso il Comunicato  del Presidente Cantone del 3 agosto 2016, a chiarire alcuni elementi fondamentali.

Il Presidente Cantone, infatti, richiamando il sopracitato parere del Consiglio di Stato, puntualizza che “Nelle more…, l’affidamento  diretto alle società in house può essere effettuato, sotto la propria responsabilità, dalle amministrazioni  aggiudicatrici e dagli enti aggiudicatori in presenza dei presupposti  legittimanti definiti dall’articolo 12 della direttiva 24/2014/UE e recepiti nei  medesimi termini nell’articolo 5 del Decreto Legislativo n. 50 del 2016 e nel rispetto delle  prescrizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 192, a prescindere dall’inoltro  della domanda di iscrizione”. 

Alla luce di tutto ciò, concludendo, in attesa che l’ANAC stabilisca i criteri ed emani l’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori, la pubblica amministrazione può continuare regolarmente e sotto la propria responsabilità ad effettuare gli affidamenti in house (o in house providing), nel rispetto dei presupposti stabiliti dall’ordinamento comunitario e recepiti da quello italiano attraverso l’articolo 5 e i commi 2 e 3 dell’articolo 192 del Nuovo Codice dei Contratti Pubblici.