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Risoluzione del rapporto per raggiunti limiti di età e preavviso

Risoluzione del rapporto per raggiunti limiti di età e preavviso
Risoluzione del rapporto per raggiunti limiti di età e preavviso

Abstract: viene evidenziato il sussistente contrasto in seno alla sezione lavoro della Cassazione, relativo alla spettanza (o meno) del preavviso (in forma di indennità sostitutiva) per la risoluzione del rapporto dei lavoratori che abbiano maturato, all’età di 65 anni, i requisiti contributivi per il pensionamento di vecchiaia e per i quali siano state pattuite nei contratti collettivi clausole di risoluzione automatica.

La lettura della recente sentenza di Cassazione (n. 1743 del 24 gennaio 2017) - afferente alla richiesta giudiziale di un dipendente da società di assicurazione di percepire l’indennità sostitutiva del preavviso all’atto della cessazione dal lavoro, comunicatagli dalla società per cd. raggiunti requisiti per il pensionamento di vecchiaia - costituisce per il giuslavorista occasione e stimolo per illustrare la problematica al riguardo, caratterizzata oramai da orientamenti controversi tali da rendere indilazionabile l’intervento compositivo delle Sezioni Unite.

1. L’orientamento più recente sul tema, peraltro ancora minoritario

La sentenza in questione - che fa parte di un orientamento ancora minoritario, ma di recente in fase crescente - riformando le sentenze di merito, ha negato al lavoratore la spettanza dell’indennità sostitutiva del preavviso, in considerazione sia del fatto che nel contratto collettivo del settore assicurativo (come in quello del settore del credito, e non solo di essi) sussiste una clausola di risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento dei requisiti per il pensionamento di vecchiaia, pattuita fra gli agenti contrattuali contrapposti, sia del fatto che la società aveva comunicato con largo anticipo al dipendente (che non aveva effettuato opzione per la prosecuzione, ex articolo 6, legge  n. 54/82) che il suo rapporto si sarebbe concluso con il pensionamento ai 65 anni.

La sentenza innanzi menzionata si è così espressa: « la risoluzione datoriale del rapporto di lavoro a causa del raggiungimento dei limiti massimi d’anzianità lavorativa effettuata prima del compimento dei sessantacinque anni del dipendente ma destinata ad operare al momento di tale evento e non seguita da allontanamento del lavoratore dal posto di lavoro non costituisce licenziamento, difettandone il presupposto della volontà di interrompere un rapporto in corso, bensì un semplice atto risolutivo, che, se conforme alla contrattazione collettiva e se non contestato dal destinatario con riguardo alla sua legittimità, non è sottoposto alla medesima normativa del licenziamento, sicché non si configura il diritto del lavoratore all’indennità di preavviso, tanto più che, in tale ipotesi, il preavviso è lavorato (Cassazione  29 novembre 2004, n. 22427; Cassazione  20 febbraio 2013, n. 4187); del resto, l’articolo 2118, secondo comma, cod. civ. prevede l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere al lavoratore l’indennità sostitutiva del preavviso in ogni caso di licenziamento individuale che non sia preceduto da periodo di preavviso lavorato (Cassazione  21 gennaio 2014, n.  1148); in altri termini, l’inizio del regime di recedibilità “ad nutum” del rapporto di lavoro, contemporaneo alla fine del regime di recedibilità causale, attribuisce al datore di lavoro il potere di far cessare immediatamente il rapporto, purché (e salva l’ipotesi di giusta causa ex articolo 2119 cod. civ.) il lavoratore abbia avuto la possibilità di giovarsi del periodo di preavviso grazie ad una tempestiva intimazione del licenziamento, valida anche se resa già in regime di recedibilità causale, sicché è legittimo un cd. licenziamento che, sebbene intimato in regime di recedibilità causale e privo di giustificazione, sia destinato a produrre effetto solo al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età del lavoratore e, quindi, in coincidenza del subentrare del regime di recedibilità “ad nutum” (Cassazione  16 maggio 1995, n. 5356; Cassazione  28 novembre 2007, n. 24722)».

In tal modo si è inserita (rafforzandolo) nel filone dell’orientamento minoritario che nega la spettanza del preavviso o dell’indennità sostitutiva alla risoluzione del rapporto per raggiungimento dei requisiti per il pensionamento ai 65 anni, argomentando sulla base della ricostruzione della ratio del preavviso che affianca il licenziamento di cui all’articolo 2118 codice civile. Ratio individuata, da un lato, nell’esigenza di impedire che il lavoratore si trovi all’improvviso e contro la sua volontà di fronte alla rottura del contratto e, in conseguenza di ciò, versi in una imprevista situazione di disagio economico, e, dall’altro, in quella di consentire che il lavoratore stesso possa usufruire di un tempo minimo per trovarsi una nuova occupazione o di organizzare la propria esistenza nell’imminenza della cessazione del rapporto di lavoro.

Esigenza che il legislatore codicistico avrebbe tutelato dotando il licenziamento ex articolo 2118 codice civile dell’obbligo del preavviso a carico del soggetto che lo dispone, e che risulterebbe - secondo questo orientamento - insussistente per  il lavoratore il cui rapporto cessa per raggiungimento dei requisiti pensionistici ai 65 anni e nei cui confronti il datore di lavoro abbia avuto «l’accortezza» di comunicargli  o ricordargli (in corso di rapporto assistito da stabilità reale ex articolo 18 Statuto dei lavoratori) la scadenza a breve del rapporto di lavoro. Peraltro, con un anticipo temporale almeno pari ai mesi di  preavviso che il contratto collettivo applicabile ha previsto per il licenziamento ex articolo 2118 codice civile , dovendosi comunque considerare - secondo questo orientamento - quale preavviso, il periodo (strutturato da vari mesi) compreso fra la data della comunicazione datoriale antecedente alla cessazione e la data della cessazione scadente con il compimento dei 65 anni. Periodo da rispettare dal datore di lavoro,  naturalmente a tacitazione di coloro che  eccepissero il mancato rispetto datoriale dell’obbligo legale di concessione del preavviso. 

Così argomentando, tale orientamento finisce per legittimare, nei confronti del lavoratore ultra sessantenne, una tipologia di preavviso “antecedente” (quindi lavorato) alla data di cessazione del rapporto, mentre - di regola e com’è noto -  in caso di intimazione di un licenziamento ad nutum ex articolo 2118 codice civile , il preavviso è contemporaneo  all’intimazione rescissoria  e, se lavorato, è disposto per il periodo successivo, futuro.

Nella specifica fattispecie decisa, l’orientamento di cui si tratta, ritiene che venga salvaguardata la regola del preavviso quando la volontà datoriale di risolvere il rapporto venga comunicata al lavoratore con un anticipo tale da consentire di riorganizzare la propria vita nell’imminenza della perdita del posto di lavoro; sostiene altresì, tale  orientamento, che mancando il legittimo affidamento sulla prosecuzione del rapporto di lavoro oltre il sessantacinquesimo anno di età, nulla vieta che il preavviso possa svolgersi mentre dura ancora il regime di recedibilità causale (così, Cassazione  16 maggio 1995, n. 5356).

Sostiene addizionalmente questo orientamento che la comunicazione anticipata del datore di lavoro al lavoratore (in numero di mesi almeno pari a quelli del preavviso contrattuale) della scadenza del rapporto ai 65 anni - prevista da clausola contrattuale di risoluzione automatica - sarebbe idonea ad assolvere, in forma di cd. preavviso lavorato, il presunto obbligo del preavviso, tacitando in tal modo i dissenzienti.

Adduce, inoltre, che tale modalità rescissoria sarebbe legittima a condizione che non venga contestata dal lavoratore,  naturalmente mediante impugnativa  della comunicazione anticipatrice della risoluzione al maturare dei requisiti pensionistici ai 65 anni (si ritiene, nel termine legale dei 60 giorni, di cui al licenziamento ingiustificato).

Impugnativa che si concreterà nell’adire il giudice ai soli fini dell’eventuale dichiarazione di invalidità della considerazione (o configurazione) - quale  preavviso cd. lavorato - della normale e ordinaria prestazione  resa in corso di rapporto assistito da recedibilità causale;  configurazione che, oggettivamente, si riverbera ad esclusivo beneficio datoriale, in quanto implicante la non corresponsione al lavoratore dell’indennità sostitutiva del preavviso.

2. L’orientamento sinora maggioritario

In maniera del tutto difforme  si presenta l’orientamento prevalente, sinora maggioritario, a nostro avviso più lineare e giuridicamente fondato, il quale asserisce da molto tempo che, nell’ordinamento lavoristico privato - a differenza di quello regolante il rapporto di impiego con la pubblica amministrazione  tramite il decreto legislativo  n. 165/2001 - le causali risolutive del rapporto sono caratterizzate da tipicità e tassatività (così, ex plurimis,  Cassazione  nn. 10527/2010, 28847/2008, 13871/2007, ecc.), e si risolvono in maniera esclusiva:

a) nel licenziamento in tronco, per giusta causa, ex articolo 2119 codice civile,

b) nel licenziamento (per giustificato motivo soggettivo e oggettivo) con preavviso, ex articolo 2118 codice civile ,

c) nelle dimissioni,

d) nella risoluzione per mutuo consenso, ex articolo 1372, comma 1, codice civile (cfr. Cassazione 24/6/2008 n. 17150),

e) nello spirare dei termini per la ripresa del servizio previsti dall’articolo 18, comma 5, legge 300/70,

f) nonché nella morte del prestatore.

Dalla tipicità e tassatività delle causali, discende la nullità ex articolo 1418 codice civile - per contrarietà a norme imperative - delle clausole di risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento di una certa età o anzianità contributiva, inidonee ad inserirsi legittimamente nel novero delle causali rescissorie del rapporto di lavoro privato, anche nel caso in cui siano state pattuite nei contratti collettivi di lavoro.

Pertanto il raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, senza alcuna manifestazione di recesso  ex articolo 2118 c. c., da parte del datore di lavoro, non vale ad interrompere il rapporto (Cassazione  5 febbraio 2007 n. 2380).

Nutrita risulta essere la giurisprudenza di merito e di Cassazione in tal senso; a tale orientamento prevalente appartiene Cassazione 14 ottobre 2005 n, 19903, la quale  ha statuito che: «al di fuori dell’ipotesi in cui la contrattazione collettiva contenga una clausola di stabilità relativa, prevedente la risoluzione automatica (senza preavviso) del rapporto lavorativo al raggiungimento di una certa età del lavoratore, il conseguimento da parte di quest’ultimo dell’età pensionabile accompagnata dal possesso dei requisiti contributivi, se abilita il datore di lavoro a procedere al licenziamento ad nutum ex articolo 2118 codice civile - in ragione dell’esaurimento del regime di stabilità reale - non esonera lo stesso dal concedere il preavviso di licenziamento e, in difetto della relativa intimazione, al pagamento della indennità sostitutiva».

Tale impostazione è stata di recente ribadita  da Cassazione  17 aprile 2015 n. 7899, la quale ha respinto il ricorso di un’azienda che sosteneva la non spettanza dell’indennità sostitutiva del preavviso in ragione dell’asserita validità del licenziamento per raggiungimento dell’età pensionabile intimato in un periodo in cui il lavoratore godeva del regime cd. di stabilità reale (ossia di non Iicenziabilità se non per giusta causa o per giustificato motivo), ma destinato a produrre effetti nel periodo, successivo al raggiungimento dei limiti d’età, caratterizzato quest’ultimo dalla libera recedibilità,  ad nutum,  del datore di lavoro.

La decisione in questione ha affermato che: «sul punto, pur non senza contrasti, si registra una giurisprudenza assolutamente prevalente, secondo cui il presupposto del raggiungimento dell’età massima prevista dall’articolo 11 della legge n. 604 del 1966 (poi riprodotto nell’articolo 4 legge n. 108/1990) - il verificarsi del quale determina la cessazione del regime di stabilità del rapporto di lavoro e quindi la libertà di recesso del datore di lavoro - deve sussistere al momento in cui questo manifesta la relativa volontà, non essendo sufficiente che detto presupposto sussista alla data fissata per l’estinzione del rapporto, con la conseguenza che il licenziamento intimato prima del venir meno della garanzia della stabilità deve considerarsi illegittimo in mancanza di giusta causa o giustificato motivo di recesso e non può assumere efficacia per un tempo successivo (Cassazione , 27 maggio 1995, n. 5977; Cassazione , 29 marzo 1995, n. 3754; Cassazione  8 febbraio 1994, n. 6179; Cassazione  20 febbraio 1990, n. 1238; Cassazione , 18 dicembre 1993, n. 12558; Cassazione , 30 maggio 1989, n. 2613; Cassazione , 16 gennaio 1987, n. 351; contra, Cassazione  16 maggio 1995, n. 5356)».

Pertanto, come è stato detto anche in dottrina, «poiché  la facoltà di recedere ad nutum accordata al datore di lavoro nei confronti del lavoratore che abbia raggiunto l’età per il pensionamento di vecchiaia può essere esercitata solo alla data del compimento di detta età - giacché se esercitata in precedenza nel corso del rapporto dotato di stabilità reale sarebbe invalidata dietro impugnazione del lavoratore - il recesso del dipendente per raggiungimento dei limiti di età non può essere “comunicato” in via anticipata in modo da far coincidere la scadenza  del cd. preavviso lavorato con il compimento dell’età pensionabile; infatti  poiché fino al raggiungimento di tale limite di età non è consentito il recesso ad nutum ed il raggiungimento del limite di età in sé non costituisce giusta causa (ovverosia causale idonea, ndr) di licenziamento, prima del raggiungimento del limite di età sarebbe precluso il licenziamento e, di conseguenza, il decorso del preavviso». (G. Mimmo, Il preavviso, in I licenziamenti individuali e collettivi, a cura di G. Pellacani, Giappichelli 2013).

3. Nostre conclusioni

Così delineati i due orientamenti contrastanti, esprimiamo l’avviso che l’orientamento minoritario più recente raggiunge conclusioni forzate e giuridicamente insoddisfacenti:

a) perché si risolve nel tentativo di introdurre, nel novero delle causali tipiche ed esclusive di risoluzione del rapporto di lavoro privato, le clausole collettive di risoluzione automatica; clausole pattuite fra i contrapposti agenti contrattuali dei lavoratori e degli imprenditori, ove i primi hanno acceduto alle richieste insistenti - o ceduto alle pressioni - dei secondi, volte a conseguire un risparmio di costi per le aziende rappresentate, a detrimento di lavoratori prossimamente non più attivi. Tentativo, invero, che si scontra irrimediabilmente con la tipicità e la tassatività delle causali legali (innanzi delineate);

b) perché non risulta sufficientemente appagante la ricostruzione - invero limitativa - della ratio del preavviso (che affianca il licenziamento ex articolo 2118 codice civile) elaborata da tale orientamento, individuata nel fornire al lavoratore uno spazio temporale utile alla riorganizzazione della propria esistenza futura, successiva all’estinzione del rapporto (anche, ma non necessariamente, in vista di una nuova occupazione). Ratio restrittivamente connotata, in quanto fotografa pressoché esclusivamente la situazione dei lavoratori attivi colpiti da rescissioni inopinate e inaspettate del rapporto.

Invero, maggiormente per i lavoratori attivi e molto meno per i pensionandi, la cessazione dal lavoro costituisce per tutti un evento traumatico nei cui confronti il cd. preavviso lavorato dispiega - secondo la previsione legislativa o ratio - la sua funzione ammortizzatrice e di accompagnamento retribuito verso la definitiva cessazione del trattamento corrispettivo della prestazione lavorativa, colorandosi quasi di una funzione assistenziale.

Vero è che, nel confronto con i licenziati attivi, il pensionando versa in condizioni più favorevoli per la presenza di un trattamento pensionistico, peraltro non particolarmente brillante in quanto determina, per tutti, una contrazione non indifferente  del tenore di vita posteriore al pensionamento, contrazione già sensibilissima per gli attuali e ancor più lo sarà per i futuri pensionandi, stante la sostanziosa riduzione del futuro trattamento pensionistico.

La realistica notazione, tuttavia, non giustifica l’opinione, seguita dalla soluzione applicativa, della non necessità o dell’irrilevanza del preavviso per i pensionandi, tanto più se la soluzione viene adottata in via interpretativa e senza alcun supporto testuale di legge, dotando la “comunicazione” datoriale - di asserita segnalazione al lavoratore del prossimo pensionamento ai 65 anni -  dell’idoneità a fungere da intimazione di licenziamento ex articolo 2118 codice civile .

Perché una volta che non si possa mettere in dubbio - come non si può -  l’inidoneità delle clausole contrattuali a fungere da risoluzione automatica del rapporto, per contrasto - e con effetti di nullità ex articolo 1418 codice civile - con la tassatività di quelle in esclusiva previste dal nostro ordinamento generale e lavoristico, va detto delle due l’una:

- che se la comunicazione/segnalazione/memorandum al lavoratore del prossimo pensionamento ai 65 anni costituisce intimazione di licenziamento  e, pertanto  sarebbe idonea a far decorrere il preavviso lavorato che esonera l’azienda dal pagamento dell’indennità sostitutiva esso, essa è invalidabile dietro impugnazione del lavoratore in quanto assunta nel corso del rapporto  caratterizzato da recedibilità causale;

- che se, invece, detta comunicazione viene “spacciata” come memorandum, addirittura rivolto per mera correttezza al lavoratore - come sostiene l’orientamento minoritario in esame, per sottrarla all’impugnazione del lavoratore - il decorso del cd. preavviso lavorato (che si attualizza tramite una protrazione del rapporto che si svolge dopo l’intimazione risolutoria) non può operare, e la considerazione  che i mesi antecedenti all’estinzione del rapporto ai 65 anni siano “preavviso lavorato” è pacificamente errata, poiché in realtà detti mesi costituiscono normale svolgimento di esso, e non protrazione del medesimo dopo la data d’intimazione del provvedimento estintivo.

Peraltro va evidenziato come questa elaborazione concettuale da noi sottoposta a critica, consegua gli stessi effetti preclusivi della spettanza dell’indennità sostitutiva del preavviso, disposti dal legislatore tramite l’articolo 6, legge  n. 54/1982 (quindi per via legislativa e non già interpretativa) per la cessazione del rapporto di quei lavoratori che, ai sensi della legge precitata, abbiano effettuato, in prossimità dell’età pensionabile, opzione per la sua prosecuzione al fine di raggiungere la massima anzianità contributiva o di incrementarne la propria.

Elaborazione concettuale che l’orientamento minoritario di cui si tratta sembra voler accreditare attraverso la trascrizione - a supporto - della seguente affermazione della Corte costituzionale (investita della valutazione di costituzionalità della minor tutela dei pensionati, a causa della loro sottrazione al regime di stabilità, rispetto ai lavoratori attivi), secondo cui: «In una società come quella attuale, in cui si hanno disoccupazione e sottoccupazione, l’assenza di una piena tutela del diritto al lavoro (per difetto di garanzie di stabilità del posto) per i lavoratori che abbiano già conseguito la pensione di vecchiaia trova ragionevole giustificazione nel godimento, da parte loro, di tale trattamento previdenziale ed una ratio siffatta non solo opera anche rispetto ai lavoratori pensionati per vecchiaia già al momento della costituzione del rapporto, ma legittima altresì la possibilità che di questi, come degli altri che conseguano il pensionamento nel corso del rapporto, sia possibile il licenziamento senza l’osservanza della forma scritta, prevista soltanto in funzione del diritto alla stabilità, non garantita alle testé menzionate categorie di lavoratori»(Corte costituzionale n. 15/1983 ed altre).

Ad evidenziare la scarsa pertinenza della surriferita opinione della Consulta - qualora utilizzata a sostegno dell’asserita  legittimità della risoluzione automatica ai 65 anni dietro semplice comunicazione non costituente intimazione rescissoria nonché dell’anomalo pseudo preavviso lavorato decorrente in corso di rapporto ancora assistito da stabilità reale -  vale la considerazione che  “l’assenza di una piena tutela del diritto al lavoro” per pensionati e pensionandi discende comunque - in circoscritte ipotesi -  da valutazione e previsione legislativa e non da procedimento interpretativo.

Esprimiamo infine l’avviso che non appare condivisibile - dal lato giuridico, e non solo - legittimare (più o meno artificiosamente, come è stato fatto dall’orientamento minoritario in esame,  tramite trasformazione ad hoc degli ultimi mesi del rapporto di lavoro in cd. preavviso lavorato), il venir meno per i pensionandi dell’importo di talune mensilità dell’indennità sostitutiva del preavviso, altrimenti spettante all’atto della cessazione del rapporto (indennità che di regola si sostituisce al cd. preavviso lavorato). Anche in ragione della considerazione metagiuridica  e fattuale  per cui finora l’indennità sostitutiva del preavviso, congiuntamente al Trattamento di fine rapporto (T.f.r.), concorreva  a strutturare un modesto “castelletto”, idoneo a rendere meno problematica l’esistenza futura, individuale e familiare, del pensionato.

Preso atto, pertanto, del contrasto interpretativo in atto nella sezione lavoro della Suprema corte, si ritiene auspicabile l’intervento delle Sezioni unite, finalizzato a fornire la soluzione più giuridicamente corretta, al fine di prevenire l’intensificarsi di un contenzioso tra lavoratori in uscita e aziende.

Abstract: viene evidenziato il sussistente contrasto in seno alla sezione lavoro della Cassazione, relativo alla spettanza (o meno) del preavviso (in forma di indennità sostitutiva) per la risoluzione del rapporto dei lavoratori che abbiano maturato, all’età di 65 anni, i requisiti contributivi per il pensionamento di vecchiaia e per i quali siano state pattuite nei contratti collettivi clausole di risoluzione automatica.

La lettura della recente sentenza di Cassazione (n. 1743 del 24 gennaio 2017) - afferente alla richiesta giudiziale di un dipendente da società di assicurazione di percepire l’indennità sostitutiva del preavviso all’atto della cessazione dal lavoro, comunicatagli dalla società per cd. raggiunti requisiti per il pensionamento di vecchiaia - costituisce per il giuslavorista occasione e stimolo per illustrare la problematica al riguardo, caratterizzata oramai da orientamenti controversi tali da rendere indilazionabile l’intervento compositivo delle Sezioni Unite.

1. L’orientamento più recente sul tema, peraltro ancora minoritario

La sentenza in questione - che fa parte di un orientamento ancora minoritario, ma di recente in fase crescente - riformando le sentenze di merito, ha negato al lavoratore la spettanza dell’indennità sostitutiva del preavviso, in considerazione sia del fatto che nel contratto collettivo del settore assicurativo (come in quello del settore del credito, e non solo di essi) sussiste una clausola di risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento dei requisiti per il pensionamento di vecchiaia, pattuita fra gli agenti contrattuali contrapposti, sia del fatto che la società aveva comunicato con largo anticipo al dipendente (che non aveva effettuato opzione per la prosecuzione, ex articolo 6, legge  n. 54/82) che il suo rapporto si sarebbe concluso con il pensionamento ai 65 anni.

La sentenza innanzi menzionata si è così espressa: « la risoluzione datoriale del rapporto di lavoro a causa del raggiungimento dei limiti massimi d’anzianità lavorativa effettuata prima del compimento dei sessantacinque anni del dipendente ma destinata ad operare al momento di tale evento e non seguita da allontanamento del lavoratore dal posto di lavoro non costituisce licenziamento, difettandone il presupposto della volontà di interrompere un rapporto in corso, bensì un semplice atto risolutivo, che, se conforme alla contrattazione collettiva e se non contestato dal destinatario con riguardo alla sua legittimità, non è sottoposto alla medesima normativa del licenziamento, sicché non si configura il diritto del lavoratore all’indennità di preavviso, tanto più che, in tale ipotesi, il preavviso è lavorato (Cassazione  29 novembre 2004, n. 22427; Cassazione  20 febbraio 2013, n. 4187); del resto, l’articolo 2118, secondo comma, cod. civ. prevede l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere al lavoratore l’indennità sostitutiva del preavviso in ogni caso di licenziamento individuale che non sia preceduto da periodo di preavviso lavorato (Cassazione  21 gennaio 2014, n.  1148); in altri termini, l’inizio del regime di recedibilità “ad nutum” del rapporto di lavoro, contemporaneo alla fine del regime di recedibilità causale, attribuisce al datore di lavoro il potere di far cessare immediatamente il rapporto, purché (e salva l’ipotesi di giusta causa ex articolo 2119 cod. civ.) il lavoratore abbia avuto la possibilità di giovarsi del periodo di preavviso grazie ad una tempestiva intimazione del licenziamento, valida anche se resa già in regime di recedibilità causale, sicché è legittimo un cd. licenziamento che, sebbene intimato in regime di recedibilità causale e privo di giustificazione, sia destinato a produrre effetto solo al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età del lavoratore e, quindi, in coincidenza del subentrare del regime di recedibilità “ad nutum” (Cassazione  16 maggio 1995, n. 5356; Cassazione  28 novembre 2007, n. 24722)».

In tal modo si è inserita (rafforzandolo) nel filone dell’orientamento minoritario che nega la spettanza del preavviso o dell’indennità sostitutiva alla risoluzione del rapporto per raggiungimento dei requisiti per il pensionamento ai 65 anni, argomentando sulla base della ricostruzione della ratio del preavviso che affianca il licenziamento di cui all’articolo 2118 codice civile. Ratio individuata, da un lato, nell’esigenza di impedire che il lavoratore si trovi all’improvviso e contro la sua volontà di fronte alla rottura del contratto e, in conseguenza di ciò, versi in una imprevista situazione di disagio economico, e, dall’altro, in quella di consentire che il lavoratore stesso possa usufruire di un tempo minimo per trovarsi una nuova occupazione o di organizzare la propria esistenza nell’imminenza della cessazione del rapporto di lavoro.

Esigenza che il legislatore codicistico avrebbe tutelato dotando il licenziamento ex articolo 2118 codice civile dell’obbligo del preavviso a carico del soggetto che lo dispone, e che risulterebbe - secondo questo orientamento - insussistente per  il lavoratore il cui rapporto cessa per raggiungimento dei requisiti pensionistici ai 65 anni e nei cui confronti il datore di lavoro abbia avuto «l’accortezza» di comunicargli  o ricordargli (in corso di rapporto assistito da stabilità reale ex articolo 18 Statuto dei lavoratori) la scadenza a breve del rapporto di lavoro. Peraltro, con un anticipo temporale almeno pari ai mesi di  preavviso che il contratto collettivo applicabile ha previsto per il licenziamento ex articolo 2118 codice civile , dovendosi comunque considerare - secondo questo orientamento - quale preavviso, il periodo (strutturato da vari mesi) compreso fra la data della comunicazione datoriale antecedente alla cessazione e la data della cessazione scadente con il compimento dei 65 anni. Periodo da rispettare dal datore di lavoro,  naturalmente a tacitazione di coloro che  eccepissero il mancato rispetto datoriale dell’obbligo legale di concessione del preavviso. 

Così argomentando, tale orientamento finisce per legittimare, nei confronti del lavoratore ultra sessantenne, una tipologia di preavviso “antecedente” (quindi lavorato) alla data di cessazione del rapporto, mentre - di regola e com’è noto -  in caso di intimazione di un licenziamento ad nutum ex articolo 2118 codice civile , il preavviso è contemporaneo  all’intimazione rescissoria  e, se lavorato, è disposto per il periodo successivo, futuro.

Nella specifica fattispecie decisa, l’orientamento di cui si tratta, ritiene che venga salvaguardata la regola del preavviso quando la volontà datoriale di risolvere il rapporto venga comunicata al lavoratore con un anticipo tale da consentire di riorganizzare la propria vita nell’imminenza della perdita del posto di lavoro; sostiene altresì, tale  orientamento, che mancando il legittimo affidamento sulla prosecuzione del rapporto di lavoro oltre il sessantacinquesimo anno di età, nulla vieta che il preavviso possa svolgersi mentre dura ancora il regime di recedibilità causale (così, Cassazione  16 maggio 1995, n. 5356).

Sostiene addizionalmente questo orientamento che la comunicazione anticipata del datore di lavoro al lavoratore (in numero di mesi almeno pari a quelli del preavviso contrattuale) della scadenza del rapporto ai 65 anni - prevista da clausola contrattuale di risoluzione automatica - sarebbe idonea ad assolvere, in forma di cd. preavviso lavorato, il presunto obbligo del preavviso, tacitando in tal modo i dissenzienti.

Adduce, inoltre, che tale modalità rescissoria sarebbe legittima a condizione che non venga contestata dal lavoratore,  naturalmente mediante impugnativa  della comunicazione anticipatrice della risoluzione al maturare dei requisiti pensionistici ai 65 anni (si ritiene, nel termine legale dei 60 giorni, di cui al licenziamento ingiustificato).

Impugnativa che si concreterà nell’adire il giudice ai soli fini dell’eventuale dichiarazione di invalidità della considerazione (o configurazione) - quale  preavviso cd. lavorato - della normale e ordinaria prestazione  resa in corso di rapporto assistito da recedibilità causale;  configurazione che, oggettivamente, si riverbera ad esclusivo beneficio datoriale, in quanto implicante la non corresponsione al lavoratore dell’indennità sostitutiva del preavviso.

2. L’orientamento sinora maggioritario

In maniera del tutto difforme  si presenta l’orientamento prevalente, sinora maggioritario, a nostro avviso più lineare e giuridicamente fondato, il quale asserisce da molto tempo che, nell’ordinamento lavoristico privato - a differenza di quello regolante il rapporto di impiego con la pubblica amministrazione  tramite il decreto legislativo  n. 165/2001 - le causali risolutive del rapporto sono caratterizzate da tipicità e tassatività (così, ex plurimis,  Cassazione  nn. 10527/2010, 28847/2008, 13871/2007, ecc.), e si risolvono in maniera esclusiva:

a) nel licenziamento in tronco, per giusta causa, ex articolo 2119 codice civile,

b) nel licenziamento (per giustificato motivo soggettivo e oggettivo) con preavviso, ex articolo 2118 codice civile ,

c) nelle dimissioni,

d) nella risoluzione per mutuo consenso, ex articolo 1372, comma 1, codice civile (cfr. Cassazione 24/6/2008 n. 17150),

e) nello spirare dei termini per la ripresa del servizio previsti dall’articolo 18, comma 5, legge 300/70,

f) nonché nella morte del prestatore.

Dalla tipicità e tassatività delle causali, discende la nullità ex articolo 1418 codice civile - per contrarietà a norme imperative - delle clausole di risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento di una certa età o anzianità contributiva, inidonee ad inserirsi legittimamente nel novero delle causali rescissorie del rapporto di lavoro privato, anche nel caso in cui siano state pattuite nei contratti collettivi di lavoro.

Pertanto il raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, senza alcuna manifestazione di recesso  ex articolo 2118 c. c., da parte del datore di lavoro, non vale ad interrompere il rapporto (Cassazione  5 febbraio 2007 n. 2380).

Nutrita risulta essere la giurisprudenza di merito e di Cassazione in tal senso; a tale orientamento prevalente appartiene Cassazione 14 ottobre 2005 n, 19903, la quale  ha statuito che: «al di fuori dell’ipotesi in cui la contrattazione collettiva contenga una clausola di stabilità relativa, prevedente la risoluzione automatica (senza preavviso) del rapporto lavorativo al raggiungimento di una certa età del lavoratore, il conseguimento da parte di quest’ultimo dell’età pensionabile accompagnata dal possesso dei requisiti contributivi, se abilita il datore di lavoro a procedere al licenziamento ad nutum ex articolo 2118 codice civile - in ragione dell’esaurimento del regime di stabilità reale - non esonera lo stesso dal concedere il preavviso di licenziamento e, in difetto della relativa intimazione, al pagamento della indennità sostitutiva».

Tale impostazione è stata di recente ribadita  da Cassazione  17 aprile 2015 n. 7899, la quale ha respinto il ricorso di un’azienda che sosteneva la non spettanza dell’indennità sostitutiva del preavviso in ragione dell’asserita validità del licenziamento per raggiungimento dell’età pensionabile intimato in un periodo in cui il lavoratore godeva del regime cd. di stabilità reale (ossia di non Iicenziabilità se non per giusta causa o per giustificato motivo), ma destinato a produrre effetti nel periodo, successivo al raggiungimento dei limiti d’età, caratterizzato quest’ultimo dalla libera recedibilità,  ad nutum,  del datore di lavoro.

La decisione in questione ha affermato che: «sul punto, pur non senza contrasti, si registra una giurisprudenza assolutamente prevalente, secondo cui il presupposto del raggiungimento dell’età massima prevista dall’articolo 11 della legge n. 604 del 1966 (poi riprodotto nell’articolo 4 legge n. 108/1990) - il verificarsi del quale determina la cessazione del regime di stabilità del rapporto di lavoro e quindi la libertà di recesso del datore di lavoro - deve sussistere al momento in cui questo manifesta la relativa volontà, non essendo sufficiente che detto presupposto sussista alla data fissata per l’estinzione del rapporto, con la conseguenza che il licenziamento intimato prima del venir meno della garanzia della stabilità deve considerarsi illegittimo in mancanza di giusta causa o giustificato motivo di recesso e non può assumere efficacia per un tempo successivo (Cassazione , 27 maggio 1995, n. 5977; Cassazione , 29 marzo 1995, n. 3754; Cassazione  8 febbraio 1994, n. 6179; Cassazione  20 febbraio 1990, n. 1238; Cassazione , 18 dicembre 1993, n. 12558; Cassazione , 30 maggio 1989, n. 2613; Cassazione , 16 gennaio 1987, n. 351; contra, Cassazione  16 maggio 1995, n. 5356)».

Pertanto, come è stato detto anche in dottrina, «poiché  la facoltà di recedere ad nutum accordata al datore di lavoro nei confronti del lavoratore che abbia raggiunto l’età per il pensionamento di vecchiaia può essere esercitata solo alla data del compimento di detta età - giacché se esercitata in precedenza nel corso del rapporto dotato di stabilità reale sarebbe invalidata dietro impugnazione del lavoratore - il recesso del dipendente per raggiungimento dei limiti di età non può essere “comunicato” in via anticipata in modo da far coincidere la scadenza  del cd. preavviso lavorato con il compimento dell’età pensionabile; infatti  poiché fino al raggiungimento di tale limite di età non è consentito il recesso ad nutum ed il raggiungimento del limite di età in sé non costituisce giusta causa (ovverosia causale idonea, ndr) di licenziamento, prima del raggiungimento del limite di età sarebbe precluso il licenziamento e, di conseguenza, il decorso del preavviso». (G. Mimmo, Il preavviso, in I licenziamenti individuali e collettivi, a cura di G. Pellacani, Giappichelli 2013).

3. Nostre conclusioni

Così delineati i due orientamenti contrastanti, esprimiamo l’avviso che l’orientamento minoritario più recente raggiunge conclusioni forzate e giuridicamente insoddisfacenti:

a) perché si risolve nel tentativo di introdurre, nel novero delle causali tipiche ed esclusive di risoluzione del rapporto di lavoro privato, le clausole collettive di risoluzione automatica; clausole pattuite fra i contrapposti agenti contrattuali dei lavoratori e degli imprenditori, ove i primi hanno acceduto alle richieste insistenti - o ceduto alle pressioni - dei secondi, volte a conseguire un risparmio di costi per le aziende rappresentate, a detrimento di lavoratori prossimamente non più attivi. Tentativo, invero, che si scontra irrimediabilmente con la tipicità e la tassatività delle causali legali (innanzi delineate);

b) perché non risulta sufficientemente appagante la ricostruzione - invero limitativa - della ratio del preavviso (che affianca il licenziamento ex articolo 2118 codice civile) elaborata da tale orientamento, individuata nel fornire al lavoratore uno spazio temporale utile alla riorganizzazione della propria esistenza futura, successiva all’estinzione del rapporto (anche, ma non necessariamente, in vista di una nuova occupazione). Ratio restrittivamente connotata, in quanto fotografa pressoché esclusivamente la situazione dei lavoratori attivi colpiti da rescissioni inopinate e inaspettate del rapporto.

Invero, maggiormente per i lavoratori attivi e molto meno per i pensionandi, la cessazione dal lavoro costituisce per tutti un evento traumatico nei cui confronti il cd. preavviso lavorato dispiega - secondo la previsione legislativa o ratio - la sua funzione ammortizzatrice e di accompagnamento retribuito verso la definitiva cessazione del trattamento corrispettivo della prestazione lavorativa, colorandosi quasi di una funzione assistenziale.

Vero è che, nel confronto con i licenziati attivi, il pensionando versa in condizioni più favorevoli per la presenza di un trattamento pensionistico, peraltro non particolarmente brillante in quanto determina, per tutti, una contrazione non indifferente  del tenore di vita posteriore al pensionamento, contrazione già sensibilissima per gli attuali e ancor più lo sarà per i futuri pensionandi, stante la sostanziosa riduzione del futuro trattamento pensionistico.

La realistica notazione, tuttavia, non giustifica l’opinione, seguita dalla soluzione applicativa, della non necessità o dell’irrilevanza del preavviso per i pensionandi, tanto più se la soluzione viene adottata in via interpretativa e senza alcun supporto testuale di legge, dotando la “comunicazione” datoriale - di asserita segnalazione al lavoratore del prossimo pensionamento ai 65 anni -  dell’idoneità a fungere da intimazione di licenziamento ex articolo 2118 codice civile .

Perché una volta che non si possa mettere in dubbio - come non si può -  l’inidoneità delle clausole contrattuali a fungere da risoluzione automatica del rapporto, per contrasto - e con effetti di nullità ex articolo 1418 codice civile - con la tassatività di quelle in esclusiva previste dal nostro ordinamento generale e lavoristico, va detto delle due l’una:

- che se la comunicazione/segnalazione/memorandum al lavoratore del prossimo pensionamento ai 65 anni costituisce intimazione di licenziamento  e, pertanto  sarebbe idonea a far decorrere il preavviso lavorato che esonera l’azienda dal pagamento dell’indennità sostitutiva esso, essa è invalidabile dietro impugnazione del lavoratore in quanto assunta nel corso del rapporto  caratterizzato da recedibilità causale;

- che se, invece, detta comunicazione viene “spacciata” come memorandum, addirittura rivolto per mera correttezza al lavoratore - come sostiene l’orientamento minoritario in esame, per sottrarla all’impugnazione del lavoratore - il decorso del cd. preavviso lavorato (che si attualizza tramite una protrazione del rapporto che si svolge dopo l’intimazione risolutoria) non può operare, e la considerazione  che i mesi antecedenti all’estinzione del rapporto ai 65 anni siano “preavviso lavorato” è pacificamente errata, poiché in realtà detti mesi costituiscono normale svolgimento di esso, e non protrazione del medesimo dopo la data d’intimazione del provvedimento estintivo.

Peraltro va evidenziato come questa elaborazione concettuale da noi sottoposta a critica, consegua gli stessi effetti preclusivi della spettanza dell’indennità sostitutiva del preavviso, disposti dal legislatore tramite l’articolo 6, legge  n. 54/1982 (quindi per via legislativa e non già interpretativa) per la cessazione del rapporto di quei lavoratori che, ai sensi della legge precitata, abbiano effettuato, in prossimità dell’età pensionabile, opzione per la sua prosecuzione al fine di raggiungere la massima anzianità contributiva o di incrementarne la propria.

Elaborazione concettuale che l’orientamento minoritario di cui si tratta sembra voler accreditare attraverso la trascrizione - a supporto - della seguente affermazione della Corte costituzionale (investita della valutazione di costituzionalità della minor tutela dei pensionati, a causa della loro sottrazione al regime di stabilità, rispetto ai lavoratori attivi), secondo cui: «In una società come quella attuale, in cui si hanno disoccupazione e sottoccupazione, l’assenza di una piena tutela del diritto al lavoro (per difetto di garanzie di stabilità del posto) per i lavoratori che abbiano già conseguito la pensione di vecchiaia trova ragionevole giustificazione nel godimento, da parte loro, di tale trattamento previdenziale ed una ratio siffatta non solo opera anche rispetto ai lavoratori pensionati per vecchiaia già al momento della costituzione del rapporto, ma legittima altresì la possibilità che di questi, come degli altri che conseguano il pensionamento nel corso del rapporto, sia possibile il licenziamento senza l’osservanza della forma scritta, prevista soltanto in funzione del diritto alla stabilità, non garantita alle testé menzionate categorie di lavoratori»(Corte costituzionale n. 15/1983 ed altre).

Ad evidenziare la scarsa pertinenza della surriferita opinione della Consulta - qualora utilizzata a sostegno dell’asserita  legittimità della risoluzione automatica ai 65 anni dietro semplice comunicazione non costituente intimazione rescissoria nonché dell’anomalo pseudo preavviso lavorato decorrente in corso di rapporto ancora assistito da stabilità reale -  vale la considerazione che  “l’assenza di una piena tutela del diritto al lavoro” per pensionati e pensionandi discende comunque - in circoscritte ipotesi -  da valutazione e previsione legislativa e non da procedimento interpretativo.

Esprimiamo infine l’avviso che non appare condivisibile - dal lato giuridico, e non solo - legittimare (più o meno artificiosamente, come è stato fatto dall’orientamento minoritario in esame,  tramite trasformazione ad hoc degli ultimi mesi del rapporto di lavoro in cd. preavviso lavorato), il venir meno per i pensionandi dell’importo di talune mensilità dell’indennità sostitutiva del preavviso, altrimenti spettante all’atto della cessazione del rapporto (indennità che di regola si sostituisce al cd. preavviso lavorato). Anche in ragione della considerazione metagiuridica  e fattuale  per cui finora l’indennità sostitutiva del preavviso, congiuntamente al Trattamento di fine rapporto (T.f.r.), concorreva  a strutturare un modesto “castelletto”, idoneo a rendere meno problematica l’esistenza futura, individuale e familiare, del pensionato.

Preso atto, pertanto, del contrasto interpretativo in atto nella sezione lavoro della Suprema corte, si ritiene auspicabile l’intervento delle Sezioni unite, finalizzato a fornire la soluzione più giuridicamente corretta, al fine di prevenire l’intensificarsi di un contenzioso tra lavoratori in uscita e aziende.