x

x

I dubbi di legittimità costituzionale dell’articolo 3, I comma, della Legge n. 189 del 2012

I dubbi di legittimità costituzionale dell’articolo 3, I comma, della Legge n. 189 del 2012
I dubbi di legittimità costituzionale dell’articolo 3, I comma, della Legge n. 189 del 2012

1. La questione di legittimità costituzionale della nuova norma

In data 21.03.2013, il Tribunale di Milano, con un’ordinanza che ha avuto immediata risonanza mediatica ha sollevato una questione di legittimità costituzionale in relazione all’articolo 3 della legge c.d. “Balduzzi”.

In buona sostanza, secondo il Giudice milanese la disposizione censurata, escludendo la responsabilità per colpa lieve del sanitario che si attenga a linee guida e a buone pratiche accreditate introdurrebbe “una norma ad professionem delineando un’area di non punibilità riservata esclusivamente a tutti gli operatori sanitari che commettono qualsiasi reato lievemente colposo nel rispetto delle linee guida e delle buone prassi”.

In particolare l’ordinanza eccepisce come “la formulazione, la delimitazione, la ratio essendi, le conseguenze sostanziali e processuali di tale area di non punibilità appaiono stridere con i principi costituzionali di cui agli articoli 3, 24, 25, 27, 28, 32, 33 e 111 Cost.

 

2. Le censure mosse dal Tribunale di Milano

In primo luogo, viene eccepita la violazione del principio di tassatività della norma penale ex articolo 25, II comma, Cost. in relazione ai seguenti profili:

  • la locuzione “non risponde penalmente per colpa lieve” si presta ad interpretazioni alternative e sensibilmente divergenti che “portano a diverse e antinomiche collocazioni dogmatiche; si tratta quindi di una formula criticamente equivoca, non superabile con una mera attività ermeneutica, che evidenzia un dato normativo impreciso, indeterminato e quindi in attrito con il principio di ragionevolezza e di tassatività, sub specie del principio di legalità ex articolo 25, II comma, Cost.”;
  • lo stesso riferimento al concetto di colpa lieve, secondo il remittente, “è il punto debole della normativa in parola: sconosciuta al nostro diritto penale la definizione di colpa lieve ex articolo 133 del codice penale è un grado della colpa da valutare obbligatoriamente per la quantificazione della pena. La novella in parola considera la colpa lieve il limite massimo dell’esimente. Pertanto al cittadino, all’operatore sanitario prima ancora che al giudice, il legislatore ha il dovere di dettare una definizione che non sia consegnata all’arbitrio ermeneutico, pena la violazione del principio di tassatività [...] la considerazione che tale limite riguarda tutti i reati colposi commessi da una categoria ampia di soggetti nell’esercizio della loro attività professionale, comporta ancora più la necessità di tassativi, determinati, precisi parametri normativi, primari o sub primari, idonei a delimitare il discrimine della punibilità. È ancor più insidioso rimettere alla discrezionalità del giudice l’interpretazione e l’applicazione di tale formula in un contesto normativo in cui gli altri elementi della fattispecie presentano ampie falle sul piano della precisione, determinatezza e tassatività della fattispecie”;
  • anche il riferimento alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica costituisce una “formulazione normativa tanto elastica da non consentire al giudice e prima ancora agli operatori sanitari di determinare esattamente i confini dell’esimente [...] non vengono specificate le fonti delle linee guida, quali siano le autorità titolate a produrle, quali siano le procedure di raccolta dei dati statistici e scientifici, di valutazione delle esperienze professionali, quali siano i metodi di verifica scientifica, e infine quale sia la pubblicità delle stesse per diffonderle e per renderle conoscibili agli stessi sanitari [...]. Se soltanto si considera che per talune specializzazioni mediche vi sono nel nostro paese tre linee guida regionali, tredici linee guida nazionali, alcune decine di linee guida europee (a differenza degli USA dove sono disponibili oltre duemila linee), bisogna necessariamente dedurne l’assoluta imprecisione e non determinabilità dei confini dell’area di non punibilità”.

In secondo luogo, viene eccepita la violazione degli articoli 3 e 33 Cost., in qualità di norme poste a tutela dell’eguaglianza in termini di libertà dell’arte, della scienza e del relativo insegnamento: secondo il Tribunale di Milano, il legislatore avrebbe tradito la stessa ratio legis consistente nel superamento della cosiddetta medicina difensiva; in buona sostanza “l’area di non punibilità è ingiustificatamente premiale per coloro che manifestano acritica e rassicurante adesione alle linee guida o alle buone prassi ed è altrettanto ingiustificatamente avvilente e penalizzante per chi se ne discosta con una pari dignità scientifica. Si consideri inoltre che il sistema delineato dalla norma in parola sostanzialmente promuove la produzione di linee guida perché costituiscono il perimetro della non punibilità entro il quale l’operatore sanitario trova riparo venendo graziato dalla colpa lieve. Quindi induce alla costituzione e alla redazione di linee guida o comunque all’individuazione di buone pratiche da codificare, automaticamente bloccando l’evoluzione del pensiero scientifico e la sperimentazione clinica. La conseguenza di tale irragionevole e quindi iniquo trattamento è il risultato deprimente per la libertà del sapere e dello sviluppo scientifico”.

In terzo luogo, viene eccepita la violazione del principio di uguaglianza ex articolo 3 Cost., dal momento che:

  • la nuova disposizione ha un ambito applicativo indiscriminatamente e irragionevolmente esteso, rivolgendosi, nella prospettiva soggettiva anche a soggetti privi del compito di adottare scelte terapeutiche e/o diagnostiche (quindi estranei al tema della medicina difensiva) che pur fanno parte della categoria degli operatori sanitari”; nella sfera di non punibilità, infatti, “non rientrano soltanto i medici ma tutti gli operatori sanitari: veterinari, farmacisti, biologi, psicologi, operatori socio sanitari, operatori di assistenza sanitaria etc...”. Anche dal punto di vista dell’estensione oggettiva, “l’esonero dalla responsabilità penale, comunque qualificato, non riguarda soltanto i reati contro la persona ma qualsiasi reato colposo allargando il raggio di non punibilità fino a comprendere qualsiasi fatto commesso con colpa lieve di qualsiasi operatore sanitario” (ad esempio, la norma oggetto della censura troverebbe irragionevole applicazione anche in merito alla responsabilità penale per violazione di norme in materia di sicurezza sul lavoro in ambito sanitario). Secondo il remittente “siffatta dilatazione è aberrante, incongrua e ingiustificata rispetto alla ratio, delineando in modo quasi illimitato la non punibilità di una serie tanto vasta di ipotesi da non trovare una ragionevole spiegazione dell’esenzione di pena (comunque qualificata) nell’osservanza delle linee guida o delle buone prassi”;
  • la norma censurata determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra i fatti (conformi a linee guida e buone pratiche accreditate) commessi con la cooperazione colposa di un operatore sanitario, il quale potrebbe godere della non punibilità in caso di colpa lieve, e quelli in cui la cooperazione colposa alla realizzazione dell’evento lesivo sia posta in essere da un soggetto non provvisto di tale qualifica, che invece sarebbe chiamato a rispondere penalmente anche in caso di colpa lieve;
  • l’applicazione della norma ai sanitari dipendenti pubblici determinerebbe una disparità di trattamento rispetto a tutti gli altri funzionari pubblici, che pure esercitano “una attività che ha una relazione quotidiana con i medesimi beni giuridici (salute, integrità psicofisica della persona, vita, incolumità pubblica, incolumità individuale, incolumità di beni, erogazione di un servizio pubblico)”, ma non potrebbero comunque godere della non punibilità per i fatti commessi con colpa lieve; secondo il giudice remittente, conseguentemente, “il differente trattamento appare sostanzialmente un privilegio, irragionevole e ingiustificato, riservato ai soli dipendenti pubblici esercenti una professione sanitaria, in contrasto con l’articolo 28 Cost. in forza del quale tutti i funzionari dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali degli atti compiuti in violazione dei diritti”.

Infine, un’autonoma censura è quella relativa alla violazione del principio della funzione rieducativa della pena sancito dall’articolo 27, III comma, Cost., poiché “avere sostanzialmente depenalizzato la colpa lieve per gli operatori sanitari comporta l’impossibilità di punire chi ha cagionato un reato con colpa, rendendo concreto il rischio che la norma cautelare voleva evitare; e di conseguenza non si consente la rieducazione dell’autore dello stesso”.

3. La pronuncia della Corte Costituzionale

Ebbene, la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la predetta questione di legittimità costituzionale.

La pronuncia in questione è stata particolarmente attesa, non solo per il rilievo mediatico avuto dall’ordinanza di rimessione del Giudice milanese, ma anche e soprattutto in ragione dei diversi problemi, interpretativi e prima ancora di legittimazione all’interno del sistema, posti dalla suddetta norma, la quale sostanzialmente limita alla colpa grave la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria che si sia attenuto a linee guida e buone pratiche, quando le circostanze del caso concreto richiedevano di discostarvisi in modo macroscopico.

Tuttavia, le attese sono rimaste frustrate in ragione di un vizio dell’ordinanza di rimessione che la Corte Costituzionale ha sanzionato con la manifesta inammissibilità della questione proposta, senza pertanto entrare nel merito della stessa, per valutarne la fondatezza o meno.

Si legge “il giudice a quo ha omesso di descrivere compiutamente la fattispecie concreta sottoposta al suo giudizio e, conseguentemente, di fornire una adeguata motivazione alla rilevanza della questione”. In particolare il Giudice rimettente si è limitato a premettere di essere investito di un processo per lesioni personali gravi contestate ad alcuni operatori sanitari per colpa generica e per violazione dell’arte medica, ma non ha specificato “la natura dell’evento lesivo, le modalità con le quali esso sarebbe stato accusato e il grado della colpa ascrivibile agli imputati”.

Ma “soprattutto non ha precisato se, nell’occasione, i medici si siano attenuti - o, quantomeno, se sia sorta questione in ordine al fatto che essi si siano attenuti - a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica proprie del contesto di riferimento, così che possa venire effettivamente in rilievo l’applicabilità della norma censurata. L’insufficiente descrizione della fattispecie concreta si estende d’altra parte alla non specifica contestazione della colpa generica, senza alcun particolare riferimento al profilo dell’imperizia”.

Difatti, l’ordinanza fornisce all’interprete una sola indicazione di merito allorché, nella parte conclusiva, avalla la tesi emersa in giurisprudenza e in dottrina secondo cui la limitazione di responsabilità prevista dalla norma censurata viene in rilievo solo in rapporto all’addebito dell’imperizia.

Ciò in virtù del fatto che le linee guida in ambito sanitario contengono esclusivamente regole di perizia, non dunque quando all’esercente la professione sanitaria sia ascrivibile, sul piano della colpa, un comportamento negligente o imprudente.

Agli operatori del diritto, dunque, resta ancora il compito di dare un’interpretazione della suddetta norma il più conforme possibile al dettato costituzionale.