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Ma Consulenti e Avvocati hanno capito?

Tratto da "100 esercizi di proprietà intellettuale"
Ma Consulenti e Avvocati hanno capito?
Ma Consulenti e Avvocati hanno capito?

La domanda nasce dal dubbio se Consulenti e avvocati, e non solo, si siano resi conto effettivamente della vera – e forse unica – rivoluzione che la Riforma del marchio comunitario ha introdotto.

Come noto, la Direttiva di armonizzazione, prevede, infatti, la conversione dei procedimenti di nullità e decadenza – sino a oggi di competenza dell’autorità giurisdizionale ordinaria (aGO) – in procedimenti amministrativi che rientreranno pertanto nelle attribuzioni degli Uffici nazionali marchi (da noi, l’UIBm). I tempi della Direttiva sono lunghi e il time limit per l’entrata in vigore della novità arriva sino al 2019, ma la nostra amministrazione sta già lavorando attraverso una commissione ministeriale delegata alla preparazione degli emendamenti che si rendono necessario introdurre nel nostro ordinamento per darvi attuazione.

L’EUIPO già lo prevede e le norme regolamentari e di procedura sono del tutto simili a quelle del procedimento d’opposizione marchi, che anche nel nostro sistema sono sicuramente dei procedimenti amministrativi. L’Ufficio di alicante ha dunque maturato un’esperienza e una giurisprudenza ultradecennale in materia. Da noi, viceversa, la nostra amministrazione, già in difficoltà per la gestione dell’ordinario, e in particolare delle procedure di opposizione marchi, si troverà a breve (il prossimo anno?) ad affrontare una serie di problemi amministrativi, logistici e organizzativi da far paura; problemi sui quali, se non si acquisisce nel nostro paese un’effettiva consapevolezza politica dell’importanza strategica dell’innovazione e della protezione della Proprietà Industriale, è difficile pensare a delle soluzioni a breve.

In sintesi, sembra verosimile in prospettiva, quanto meno un prolungamento dei tempi nella definizione di quei procedimenti, una volta che saranno attribuiti all’UIBm.

Questa situazione riduce sensibilmente i vantaggi che il nuovo sistema dovrebbe apportare per gli utenti, considerati i tempi dei processi ordinari davanti all’aGO. I costi, invece, dovrebbero restare certamente decisamente competitivi.

Sta di fatto che buona parte del contenzioso ordinario verrà trasferito all’amministrazione e sottoposto alle regole del procedimento amministrativo, con cui gli operatori dovranno familiarizzarsi (compreso, ad esempio, la criticità che il cambiamento potrà apportare quanto agli effetti della res iudicata). In proposito, dato che la nostra procedura dovrà essere allineata a quella già sperimentata dall’EUIPO, i professionals dovranno riferirsi ai procedimenti di opposizione, ai quali i procedimenti di nullità e decadenza sono per larga parte informati. Basti pensare ai criteri di valutazione per la comparazione tra i marchi.

In sostanza, le opposizioni ai marchi sono destinate ad assumere il ruolo di procedimenti leader per quanto riguarda la maturazione della giurisprudenza e dei criteri guida nell’emergente esperienza dei procedimenti di nullità e decadenza.

Nella mia esperienza all’UIBm in quei procedimenti non mi pare che gli ambienti interessati professionalmente abbiano acquisito sufficientemente coscienza dell’evolversi della situazione. ma forse le cose cominciano a cambiare e l’inderogabilità degli interessi in gioco finirà inevitabilmente per imporsi.

Certo mi piacerebbe che quando parlo di queste cose, avvocati e Consulenti non mi guardassero “strano”, come è accaduto in diverse occasioni all’indomani della Riforma.

15 - Confronto visivo, fonetico e concettuale: 1, 2, 3: la regola c’è, ma poi vediamo

Se vi faccio vedere questo segno,

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per contraddistinguere bevande analcoliche, Vi viene in mente qualcosa o qualcuno?

La Cocacola Company lo ha registrato (n. 2428468), e lo ha fatto valere, insieme al suo celebre logo (in rosso):

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nei confronti di chi aveva chiesto la registrazione di questo mar- chio, sempre per bevande analcoliche:

Immagine rimossa.

proponendo opposizione davanti all’UamI. assumeva infatti che sussisteva confondibilità con i suoi marchi anteriori, ma il Tribunale dei marchi UE le ha dato torto (T-480/12, 11/12/2014, THE COCaCOLa COmPaNY//mITICO, pur riscontrando la identità del marchio 2428468 con quanto appare nella parte iniziale del marchio con- testato.

Se fossi un grafico, un buon grafico, avrei visto nel segno citato uno straordinario – e riuscitissimo – esercizio di sintesi estrema delle stilizzazioni grafiche del marchio americano, anzi mondiale, rivendicato.

Se fossi un pubblicitario, avrei esultato, perché la brevità di un marchio è oggi più che mai essenziale e nel caso saremmo di fronte a un perfetto esempio di attualizzazione e restyling del segno (tentativo, incidentalmente, già fatto dalla multinazionale di atlanta con la proposta del marchio abbreviato Coke e rifiutato dal consumatore).

ma essendo solo un modesto giurista, cercherò di dar conto della pronuncia del Tribunale il quale, è bene dirlo subito, ha fatto chiara- mente capire che la Coca-Cola aveva tutte le ragioni per lamentarsi, ma in altra sede. Basta vedere come il concorrente, scorrettissimo, aveva in concreto fatto uso del segno di cui pretendeva la registrazione:

 Immagine rimossa.

Il fatto è che il giudizio di confondibilità tra marchi va condotto tra le due rappresentazioni che figurano nelle registrazioni o domande di registrazioni, prescindendosi dalla alterazioni morfologiche indotte dall’uso del marchio sul mercato. Chiarissime, in questo senso, anche le indicazioni della nostra giurisprudenza di merito (si vedano da ultimo il caso ROLEX, appello Napoli, e il caso POLO PLaYER, Tribunale di Milano).

L’aspetto più interessante della sentenza, tuttavia, sta nel rifiuto della tesi dell’opponente, tesa ad accreditare l’idea che il carattere Spencerian fosse così caratterizzante da risultare determinante nell’impressione globale del pubblico rilevante. Il Tribunale, viceversa, l’ha ritenuto sì attraente, ma non particolarmente originale, nonostante il grande gradiente di distintività acquisito attraverso il secolare uso del segno.

Questa situazione ha dato infatti lo spunto per una serie di considerazioni sul valore dei tre criteri fondamentali di comparazione (visivo, fonetico e concettuale) con cui tutti gli operatori giuridici sono ampia- mente famigliari.

Trascrivo i passaggi più rilevanti: (punto 49) “… quando un marchio è composto di elementi denominativi e figurativi, i primi dovrebbero, in linea di principio, essere considerati come maggiormente distintivi rispetto ai secondi, poiché il consumatore medio farà più facilmente riferimento ai prodotti in questione citando il nome del marchio che descrivendo l’elemento figurativo dello stesso [sen- tenza T-312/03, 14/07/2005, WaSSEN INT., SELENIUmaCE, punto 37]”. (punto 50).

Tuttavia, va ricordato che tale principio subisce eccezioni a seconda delle circostanze. Quindi, riguardo a prodotti alimentari delle classi 29 e 30, è stato dichiarato che essi sono normalmente acquistati in supermercati o in stabilimenti analoghi e, dunque, sono scelti direttamente dal consumatore su uno scaffale, anziché chiesti oralmente.

allo stesso modo, in tali stabilimenti il consumatore impiega poco tempo tra i successivi acquisti e, spesso, non procede a una lettura di tutte le indicazioni riportate sui differenti prodotti, ma si lascia piuttosto guidare dal complessivo impatto visivo prodotto dalle loro etichette o dai loro imballaggi. In tale contesto, per la valutazione dell’esistenza di un eventuale rischio di confusione o di una connessione tra i segni in questione, l’esito dell’analisi della somiglianza visiva diviene più importante dell’esito dell’analisi della somiglianza fonetica e concettuale.

Inoltre, nell’ambito di tale valutazione, gli elementi figurativi di un marchio svolgono un ruolo più importante rispetto ai suoi elementi denominativi nella percezione del consumatore interessato [v., in tal senso, sentenze T-363/04, 12/09/2007, La ESPaÑOLa, punto 109, e T-275/07, 2 12/2008, EBRO PULEVa, BRILLO’S, punto 24].

Per valutare appieno l’importanza della presa di posizione, così chiaramente affermata dal Tribunale Generale, sarà utile un cenno sull’evoluzione che la triade dei criteri ha subito.

all’inizio SaBEL/PUma indicò nell’esame visivo, fonetico e concettuale dei segni la condizione per arrivare alla conclusione finale dell’esistenza del rischio di confusione, avuto riguardo all’impressione globale del pubblico rilevante. Proprio queste specificazioni fecero capire agli esaminatori dell’EUIPO che il confronto non poteva essere condotto in modo esclusivamente astratto. Emerse quindi fin dagli anni ’90 il dubbio se quei criteri avessero lo stesso valore. Si formò così una prima giurisprudenza secondo la quale un criterio poteva compensare o anche superare gli altri due. Del resto l’esperienza e la casistica aveva rilevato che non solo non c’era una gerarchia tra i criteri, ma anche che potevano avere un peso diverso. Chi scrive aveva già pubblica- to nel 2007 in allegato al proprio testo Percepire il marchio, i risultati di un test sperimentale dal quale emergeva che il valore semantico attraeva l’attenzione e si consolidava nella memoria in modo palesemente più intenso, rispetto all’impatto visivo e fonetico. Su questa indagine si innestava quella giurisprudenza del Tribunale che riteneva l’efficacia del valore concettuale tanto più forte, quanto il significato della parola o delle parole fosse specifico e chiaro.

L’avvento dei marchi convenzionali negli anni ’2000 aveva allargato le maglie della triade e d’altronde si era notato che in molti casi il criterio concettuale non era neanche applicabile perché le parole nei marchi denominativi non erano a volte comprensibili dal consumatore comunitario in nessuna lingua.

L’approfondimento poi del pubblico rilevante in relazione non solo ai segni, ma anche ai prodotti (alla loro natura, destinazione e percezione) ha così indotto l’esaminatore/giudicante ad esser sempre più attento alle indicazioni che provenivano dal mercato, cominciando a introdurre sottocategorie (specie nei generi di largo consumo, come l’abbigliamento, gli alimentari e le bevande) utili ai fini di accertare il gradiente di efficacia dei singoli parametri. Negli ultimi tempi si sono così introdotte delle regolette del tipo: la parte iniziale del marchio denominativo è più importante, il cognome nei patronimici ha più rilievo, ma non sempre nella moda, il denominativo prevale sul figurativo, ciò che sta sopra prevale su quello che sta sotto, e via dicendo, ma tutte caratterizzate nella loro applicazione del metodo “… sì però”.

Nel caso in esame l’opponente aveva appunto messo in rilievo che l’aspetto figurativo, in particolare quello grafico, avrebbe indotto il consumatore all’errore. La sentenza invece, con apprezzabile senso realistico, ha preso l’occasione per puntualizzare una volta per tutte che quello che conta è la considerazione di tutte le circostanze attinenti e pertinenti al caso, quello che chiamo la contestualizzazione del marchio, con una formulazione che va oltre il caso di specie.

Data la posizione e il chiarimento del Tribunale UE potremmo forse dire che siamo di fronte al rovesciamento del rapporto regola

– eccezione nell’applicazione dei criteri di valutazione consolidati in tema di comparazione dei segni.

Resta però aperta la questione della conciliazione della valutazione del segno come appare nella registrazione con quella dell’ingresso di considerazioni di fatto.

 

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