x

x

L’eccesso doloso e la proporzione ponderata. Uno spiraglio

L’eccesso doloso e la proporzione ponderata. Uno spiraglio
L’eccesso doloso e la proporzione ponderata. Uno spiraglio

All’articolo 52 del codice penale (Difesa legittima) si ipotizza un fatto costituito da una “offesa” di diritti e da una contestuale “difesa”. L’articolo disciplina solo la “difesa” assicurando ai reati eventualmente commessi nell’ambito difensivo una garanzia di non punibilità dovuta, per alcuni, alla assenza del carattere di antigiuridicità degli atti.

Alla base di tale attribuzione sta, come struttura portante della norma, il criterio della “proporzione” della difesa rispetto all’offesa. Esso  rappresenta il principio al quale l’intera attività difensiva deve attenersi per poter usufruire della prevista esimente. Diverso il caso della “adeguatezza” anziché proporzione nell’eventualità della provocazione (ad es. Rv 197.708/1993).

Da fatto marginale, la legittima difesa del privato ha assunto col tempo un aspetto sempre più rilevante e pone con forza problemi che un tempo potevano definirsi “di scuola” (“spara al ragazzo che ruba una mela”). Tra le due azioni contemplate dal codice, la difesa, come oggetto specifico della norma, è stata adeguatamente analizzata. Ora qui si vuole procedere ad un esame particolare dell’altra azione, e cioè dell’“offesa”,  la quale offre al tema che vogliamo trattare spunti di notevole interesse.

Si inizia col dire che l’“offesa-aggressione”, disciplinata dalle norme comuni del diritto penale, si presenta nella realtà in forma complessa, intrecciata cioè con alcune attività preliminari che ne irrobustiscono la struttura. Queste ex multis  possono essere ridotte a due principali: l’”iniziativa” e la “sorpresa”.

Chi aggredisce assume l’iniziativa del fatto criminoso. Nel fare ciò, egli gode di una libertà di scelta pressoché illimitata. L’aggressore sceglie la “vittima”, e la sceglie valutando molti e diversi fattori quali la improbabilità di una sua valida reazione, la scarsa prestanza fisica, l’età, il sesso, ecc. Poi sceglie il “momento” dell’azione: l’occasione favorevole, all’uscita dalla banca, di giorno, di notte, e nella notte in quale parte di essa, ecc. Ancora, sceglie il “luogo”: il mezzo pubblico, l’abitazione, la strada solitaria,  i locali isolati, il negozio senza clienti, la banca non ben sorvegliata, ecc.

Ma ciò che più conta, l’aggressore ha la libertà di scelta delle “modalità” della sua azione, possibilità che assume grande rilievo nella vicenda. Le modalità possono essere numerose: a mani nude, senza armi, con armi, con quali armi, con i più vari mezzi di intimidazione, con esercitata violenza fisica, con minaccia grave o indiretta, con complici, ecc.. Tutte queste possibilità a disposizione dell’aggressore confluiscono in quella che possiamo definire l’“iniziativa” del fatto.

Essa poi si lega ad un altro fattore che va autonomamente considerato per la sua peculiarità, la “sorpresa”.  Fuori dal cosiddetto “pericolo di aggressione”, la aggressione tout court ha in sé il forte connotato della sorpresa. Un colpo improvviso al volto, una pistola puntata da un giovane agitato, la presentazione minacciosa ed inattesa di un gruppo di malintenzionati, ecc. La vittima non si aspetta nulla di quello che le sta per accadere, è psicologicamente impreparata e, inerte, subisce la sorpresa che le paralizza per qualche istante i sensi. In questa frazione di tempo, l’aggredito è in totale balia dell’aggressore. Insomma, è l’aggressore il dominus della situazione.

Da quanto detto, appare chiaro che il fatto investigato si apre con una larga “sproporzione” a favore di chi assume l’iniziativa. Su questo vantaggio poco o nulla si è indagato. Poiché esterno alla struttura del reato e privo della consistenza della premeditazione, il vantaggio sfugge alla valutazione penalistica. La quale prende in considerazione l’offesa dal momento in cui inizia l’azione e guarda al fatto complessivo come ad uno scontro tra pari, mentre tale non è, almeno ai blocchi di partenza dove la vittima – si è visto – è penalizzata da un innegabile handicap.

Se poi la vittima, superato il trauma della sorpresa, riesce a reagire, ecco che, con l’avvento della azione difensiva, la situazione entra nella ipotesi di cui all’articolo 52 cit, il quale offre a  quest’ultima la possibilità di difendersi per autotutela anche commettendo reati che saranno però scriminati, ma ad una condizione: e qui fa ingresso l’importante principio di proporzione: “sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.

L’argomento della proporzione, come regola di esperienza, ha affaticato ed affatica molto giudici e studiosi. Si tratta di valutare nel merito la portata di azioni violente che assai spesso si contrastano e si intrecciano tra loro caotiche e concitate, e il giudizio di fatto (anche in prognosi postuma) non è mai semplice.

A volte l’azione di difesa resta entro i limiti di quella della controparte, ossia usa modalità e strumenti parificabili a quelli dell’avversario, ma con intento esclusivamente difensivo: in questo caso i suoi reati saranno scriminati ex articolo 52 c.p.. A volte però la vittima, nell’impegno di arrestare l’aggressione, perde il controllo dei propri atti e finisce per  “eccedere”, anche qui solo per difesa e senza altra finalità, dai limiti entro i quali ha deciso di agire l’aggressore. In questo caso – ma è noto – il codice riconosce alla vittima (articolo 55 c.p.) non una scriminante ma un errore inescusabile (articolo 43 e 47 c.p.) per precipitazione, imprudenza o imperizia (colpa) nel calcolare il pericolo e i mezzi di salvezza ((Rv. 230393/ 2004), errore che tuttavia comporta la derubricazione dei reati da lui commessi  in reati colposi, sussistendone talune condizioni. 

*    *    *

Ed eccoci infine al caso che più ci preme, quello cioè in cui la vittima, vinto lo spavento, reagisca con superiore potenza e i suoi atti di maggiore efficacia assumano un marcato intento punitivo, così che il suo eccesso da difesa si tramuta simultaneamente in offesa. E l’aggredito, divenuto aggressore, risponderà dei suoi reati secondo le norme del codice penale. 

A questo punto, tuttavia, si apre un problema di carattere generale di notevole impegno, tra l’altro già diffusamente dibattuto sulla stampa specialistica e non : la sanzione che verrà verosimilmente applicata alla vittima per qualunque misura, rispetto alla proporzione del suo eccesso doloso, non di rado disturba la coscienza sociale che vede nel soggetto aggredito che reagisce l’interprete positivo di una “giusta” rivendicazione di sicurezza nei confronti di uno Stato che stenta ad assicurarla. In altri termini, l’opinione comune vede nell’eccesso punitivo contro il vero unico aggressore la sostituzione del doveroso intervento statale assente al momento per ragioni le più varie.

Data l’attuale disciplina in materia, ci si chiede se non ci sia modo di dar conto a queste non trascurabili percezioni sociali che stigmatizzano immeritati processi lunghi e costosi e condanne per chi reagisce “risolutamente” nella propria personale o altrui difesa contro odiose aggressioni “ingiuste”.  Per intervenire su tali contestazioni è sull’handicap sopra citato che bisogna riflettere.  Considerando i fatti nella loro realtà e tenuto conto di quanto da noi esposto più sopra, sembra aprirsi uno spiraglio convenientemente utilizzabile.

È bene intanto ricordare che la vittima che eccede consapevolmente nella reazione, ha dovuto in ogni caso rimontare penosamente lo svantaggio iniziale e superare tutte le asperità che le scelte dell’aggressore le avevano frapposto e che alla fine, contagiata dalla medesima violenza patita, ha ecceduto solo e soltanto sotto la spinta invincibile del turbamento emotivo.  E le è germinata dentro una esasperazione irrefrenabile eccitata da una provocazione gratuita. L’offeso, lontano da ogni contesa, vittima di una imprevista aggressione, è stato costretto a commettere reati per lui impensabili ma soprattutto impensati. Il concetto di “difesa” contenuto nell’articolo 52 c.p. viene naturalmente interpretato estensivamente (v. Treccani : salvaguardia, tutela, protezione) e merita una adeguata motivazione. Diversamente si potrebbe giungere alla paradossale conclusione che, se il vantaggio iniziale consentito all’aggressore non possa essere bilanciato in qualche modo nella valutazione dello scontro, la posizione dell’aggressore apparirebbe quella di un soggetto favorito dalla legge, con pericoloso scandalo sociale.

Che fare per raggiungere tale bilanciamento? Osserviamo.

Nella pratica, con riferimento ai diritti minacciati,  il criterio della proporzione viene inteso normalmente come “necessario bilanciamento tra interessi contrapposti in relazione alla specifica situazione”. (Rv. 260771/2014). Ciò non toglie tuttavia che  lo stesso criterio debba essere riferito anche ai mezzi e alle forme in contesa. Tale espressione deriva, come si è visto, direttamente dalla lettera dell’articolo 52 c.p.  nella quale, secondo la specifica terminologia codicistica, l’aggressione ai diritti viene definita “offesa”.  

Esplorando il termine “offesa”, cui la difesa deve risultare proporzionata, si nota che esso non potrebbe che avere più significati (vedi Treccani). Dal danno morale recato alla dignità di una persona o di un’istituzione con atti o con parole, all’atto stesso o alle parole con cui si offende; (recare offesa o portare offesa,  riceveresubirepatire un’offesa), dal complesso delle azioni d’attacco al guasto, all’azione devastatrice su persone o cose o nelle espressioni (le offese del tempodegli annidell’età) all’impressione spiacevole ai sensi (con grave offesa della vista), alla lesione traumatica in un organo o parte del corpo (offesa alla spalla prodotta con arma da taglio), e molto altro ancora.

A noi è sufficiente considerare l’offesa di cui all’articolo 52 c.p. come “risultato(recare offesa ad una persona). Concetto generosamente largo ed inclusivo. 

Pertanto, sulla scorta di tali indicazioni lessicali e vista l’ampiezza del significato dell’offesa come “risultato”,  possiamo già concludere che nell’offesa possono, o meglio debbono, confluire “tutti” i fattori che hanno dato luogo all’atto aggressivo, sia quelli specifici che costituiscono gli elementi del reato sia quelli che ne sono fuori, ma che incidono causalmente sul “risultato” concreto. Tra questi riteniamo di porre i fattori sopra descritti dell’iniziativa (con le sue fruttuose scelte) e della sorpresa.

Ma ciò significa anche che, se con tale inclusione più ampia può riconoscersi il contenuto della offesa, allo stesso modo più spazio potrà essere riservato al contenuto della difesa fino a qualche forma di eccesso doloso. Tale concorso di ambiti maggiorati vale a determinare quella più reale comparazione del valore delle condotte, valore che dovrà essere pesato dal giudice nel verificare la sussistenza o meno della proporzione. Cosa occorre per rendere operativa questa ipotesi?

In primo luogo, assolutamente auspicabile sarebbe un radicale e illuminato intervento legislativo che modificasse, attualizzandoli, i termini dell’offesa e i limiti della reazione alla aggressione ingiusta (niente di male: il diritto insegue sempre la realtà). È dovere istituzionale dello Stato assicurare sempre e dovunque la sicurezza dei cittadini.

In attesa dell’intervento legislativo, si può pensare - attraversando lo spiraglio - ad una considerazione giurisprudenziale. Il giudice, che si accinge a procedere all’accertamento se la “difesa sia proporzionata all’offesa” (articolo 52 c.p.), dovrà prima rendere omogeneo, per così dire, il valore criminale degli atti della offesa e della difesa.

La giurisprudenza ha già seguito, in una contigua fattispecie, questo percorso asserendo che  “l’accertamento relativo alla scriminante della legittima difesa reale o putativa e dell’ eccesso colposo deve essere effettuato con un giudizio “ex ante” calato all’interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le modalità del singolo episodio in sé considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all’azione che possano aver avuto concreta incidenza sull’insorgenza dell’erroneo convincimento di dover difendere sé o altri da un’ingiusta aggressione” (ex plurimis Rv. 215.808/2000; Rv. 255.268/2013).

Come si vede, si ammette che il prudente apprezzamento del giudice di merito si estenderà a  “tutti gli elementi fattuali antecedenti all’azione che possano aver avuto concreta incidenza” ecc.  Sennonché, il caso della massima si riferiva all’azione difensiva della vittima. Orbene, non si vede perché lo stesso prudente apprezzamento non possa essere esercitato nei confronti degli “elementi fattuali antecedenti all’azione” dell’aggressore.

E come in concreto? Proprio mediante l’inclusione ideale, da noi preconizzata, nell’offesa degli elementi della iniziativa e della sorpresa, quali componenti intrinseci all’aggressione. Il giudice terrà conto dell’influenza di tali elementi sulla gravità della aggressione ed assegnerà un valore all’apporto di ogni singolo elemento sul fatto. Valutata l’incidenza effettiva, si tratterà alla fine di sminuire adeguatamente il “di più” dell’eccesso consapevole a compensazione dei vantaggi emersi dalla aggressione, se del caso fino a farlo rientrare nei limiti della proporzione. Dilatando pour cause il contenuto dell’offesa, infatti, sarà più frequente che la difesa risulti “proporzionata” alla offesa, oltre il possibile attuale. Il giudice saprà farlo.

Tale opera di riequilibrio effettuale, oltre che allontanare strane derive sociali,  manterrebbe, tra l’altro, intatto il proposito della legge impresso nel requisito della proporzione, proporzione di cui non può farsi a meno nella  gestione statuale della autotutela privata. La stessa, così arricchita e rivitalizzata, potrebbe assumere il nome di proporzione ponderata.