x

x

Il regime di incompatibilità dei docenti universitari: lacune e incongruenze della normativa vigente

Il regime di incompatibilità dei docenti universitari: lacune e incongruenze della normativa vigente
Il regime di incompatibilità dei docenti universitari: lacune e incongruenze della normativa vigente

Indice:                                                                    

1. Inquadramento normativo

2. La partecipazione dei docenti a tempo pieno nei Consigli di Amministrazione

3. La giurisprudenza della Corte dei conti in materia di incompatibilità dei professori a tempo pieno

4. L’Autorità Nazionale Anticorruzione e la possibile sussistenza di cause di incompatibilità dei docenti universitari

5. Conclusioni

 

1. Inquadramento normativo

La disciplina relativa alle attività extraistituzionali e alle incompatibilità dei pubblici dipendenti, con specifico riferimento ai docenti universitari a tempo pieno, è regolata dalle disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 56 a 65, della Legge 662/96, dall’articolo 53 del D. Lgs. n. 165/01, nonché, da ultimo, dall’articolo 6, commi 9, 10 e 12, della Legge 240/2010 (cd “legge Gelmini”).

In particolare, l’articolo 1, comma 60, della legge 662/96, per i dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo pieno o a tempo parziale con prestazione lavorativa superiore al 50% di quella a tempo pieno, stabilisce il divieto di “svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l’autorizzazione rilasciata dall’amministrazione di appartenenza e l’autorizzazione sia concessa”.

In proposito, l’articolo 53 (Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi) del d. lgs. 165/2001 prevede che:

- possano essere conferiti incarichi in casi disciplinati dalla legge o da altre fonti normative, ovvero che i dipendenti pubblici e dunque gli stessi docenti, possano svolgere incarichi laddove autorizzati dall’Amministrazione di appartenenza (comma 2);

- l’autorizzazione in questione, che deve essere richiesta all’Amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati che intendono conferire l’incarico o richiesta dal dipendente interessato stesso, è attribuita secondo “criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente” (comma 5);

- è prevista la previa autorizzazione per tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri d’ufficio, per i quali è previsto sotto qualsiasi forma un compenso, fatta eccezione per i seguenti incarichi retribuiti (comma 6):

a) collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;

b) utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali;

c) partecipazione a convegni e seminari;

d) incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;

e) incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo;

f) incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;

f-bis) attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonché di docenza e di ricerca scientifica

- “I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell’autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto” (comma 7).

Fino all’entrata in vigore della legge n. 240/2010 la normativa generale, facendo riferimento a tutti i dipendenti pubblici, ha riservato ai docenti universitari un regime speciale, operando un rinvio a statuti e regolamenti di ateneo.

La “riforma Gelmini”, introdotta dalla legge 22 dicembre 2010 n. 240, è intervenuta nel predetto quadro normativo con specifiche previsioni concernenti l’ambito universitario e ha in gran parte innovato il regime delle incompatibilità dei professori e dei ricercatori universitari sia a tempo pieno che a tempo definito, liberalizzando alcune attività prima soggette ad autorizzazione e sottoponendo all’autorizzazione del Rettore altre tipologie di attività, in riferimento all’assenza di conflitto di interessi con l’Università di appartenenza nonché a condizione che le attività medesime non vadano a detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali affidate ai richiedenti. Allo stato, pertanto, in assenza di una nuova, completa e più recente legislazione sulla materia, la stessa legge n. 240/2010 può essere considerata la normativa di riferimento in materia.

In particolare, l’articolo 6 della legge n. 240/2010, al comma 9, statuisce che “la posizione di professore e ricercatore è incompatibile con l’esercizio del commercio e dell’industria fatta salva la possibilità di costituire società con caratteristiche di spin off o di start up universitarie” e che “l’esercizio di attività libero-professionale è’ incompatibile con il regime di tempo pieno”.

Il successivo comma 10 della medesima legge prevede che i professori a tempo pieno, possono svolgere liberamente, anche con retribuzione, e conseguentemente senza la necessità di acquisire un’autorizzazione preventiva:

a) attività di valutazione e referaggio;

b) lezioni e seminari di carattere occasionale;

c) attività di collaborazione scientifica e di consulenza;

d) attività di comunicazione e divulgazione scientifica e culturale;

e) attività pubblicistiche ed editoriali.

Lo stesso comma 10, inoltre, prevede che professori e i ricercatori a tempo pieno possono altresì svolgere, previa autorizzazione del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonché compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza, a condizione comunque che l’attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’università di appartenenza”.

Il comma 12, infine, prevede che “i professori e i ricercatori a tempo definito possono svolgere attività libero-professionali e di lavoro autonomo anche continuative, purché non determinino situazioni di conflitto di interesse rispetto all’ateneo di appartenenza” e stabilisce altresì che gli stessi possono svolgere attività didattica e di ricerca presso università o enti di ricerca esteri, previa autorizzazione del Rettore, che valuta la compatibilità con l’adempimento degli obblighi istituzionali.

Per completare il quadro normativo delle incompatibilità delineato dall’articolo 6 (Stato giuridico dei professori e dei ricercatori di ruolo) della legge n. 240/2010, va infine rammentato che l’ultima parte del comma 9 del citato articolo prevede che “resta fermo quanto disposto dagli articoli 13, 14 e 15 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 (…)”.

Il menzionato articolo 13 del DPR n. 382/1980, in particolare, stabilisce che “il professore ordinario è collocato d’ufficio in aspettativa per la durata della carica del mandato o dell’ufficio” nei seguenti casi:

1) elezione al Parlamento nazionale od europeo;

2) nomina alla carica di Presidente del Consiglio dei Ministri, di Ministro o di Sottosegretario di Stato;

3) nomina a componente delle istituzioni delle comunità europee;

4) nomina a giudice della Corte costituzionale;

5) nomina a presidente o vice presidente del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro;

6) nomina a membro del Consiglio superiore della magistratura;

7) nomina a presidente o componente della giunta regionale e a presidente del consiglio regionale;

8) nomina a presidente della giunta provinciale;

9) nomina a sindaco del comune capoluogo di provincia;

10) nomina alle cariche di presidente, di amministratore delegato di enti pubblici a carattere nazionale, interregionale o regionale, di enti pubblici economici, di società a partecipazione pubblica, anche a fini di lucro. Restano in ogni caso escluse le cariche comunque direttive di enti a carattere prevalentemente culturale o scientifico e la presidenza, sempre che non remunerata, di case editrici di pubblicazioni a carattere scientifico;

11) nomina a direttore, condirettore e vice direttore di giornale quotidiano o a posizione corrispondente del settore dell’informazione radio-televisiva;

12) nomina a presidente o segretario nazionale di partiti rappresentati in Parlamento:

13) nomine ad incarichi dirigenziali di cui all’articolo 16 del D.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, o comunque previsti da altre leggi presso le amministrazioni dello Stato, le pubbliche amministrazioni o enti pubblici economici

In questo contesto normativo un ruolo piuttosto importante non può che essere svolto dai regolamenti di ateneo - la cui potestà discende dall’autonomia universitaria garantita dall’articolo 33 della Costituzione – i quali potrebbero colmare attualmente quegli spazi aperti o contraddittori che si evidenziano dal confronto delle attuali normative sulla materia dell’incompatibilità (si pensi al d. lgs. 39/2013) o che hanno riformato il diritto societario (soprattutto in materia di società a partecipazione pubblica e società in house providing), rispetto alla disciplina meno recente di cui al DPR n. 382/1980, pur richiamata dalla stessa legge Gelmini. Tuttavia, anche la potestà regolamentare delle Università impatta su due ordini di problemi: da un lato, la disparità di trattamento che potrebbe determinarsi tra professori e ricercatori a seconda dell’ateneo di appartenenza (stante la vigenza, quantunque incompleta) di una normativa nazionale e, dall’altro, la circostanza che le autorizzazioni conferite sulla base della disciplina regolamentare di ciascuna Università non sono esenti, come vedremo, dalle sanzioni eventualmente irrogate dalla Corte dei conti.

 

2. La partecipazione dei docenti a tempo pieno nei Consigli di Amministrazione

Se si pone mente alla possibilità per i professori universitari a tempo pieno di ricoprire la carica di amministratore di società, risulta evidente la contraddittorietà della disciplina dal confronto dell’articolo 13 del decreto del presidente della Repubblica n. 382/1980 con il più recente articolo 6 della “legge Gelmini” n.240/2010: la più datata normativa prevede che “il professore ordinario è collocato d’ufficio in aspettativa per la durata della carica, del mandato o dell’ufficio nei seguenti casi: 1) […]; 10) nomina alle cariche di presidente, di amministratore delegato di enti pubblici a carattere nazionale, interregionale o regionale, di enti pubblici economici, di società a partecipazione pubblica, anche a fini di lucro”. Per contro, il comma 10 dell’articolo 6 della legge 240/2010 prevede la possibilità per il professore di svolgere “compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro”.

 Sicché, nel caso di un incarico conferito ad un professore di presidenza di una società in house providing - società da considerarsi senza scopo di lucro per il fatto che, secondo costante giurisprudenza, è equiparata ad un “ufficio interno” dell’amministrazione affidante - si configura la fattispecie di cui al predetto comma 10 dell’articolo 6 della L. 240/2010, ma il rinvio generico incluso nella norma citata all’articolo 13 del DPR 382 del 1980 porta, invece, a conclusioni opposte, proprio per il riferimento alla “nomina alle cariche di presidente, di amministratore delegato di enti pubblici a carattere nazionale, interregionale o regionale, di enti pubblici economici, di società a partecipazione pubblica, anche a fini di lucro”.

Ferma restando la facoltà di inserimento nei Regolamenti interni dei singoli Atenei di specifiche previsioni od eccezioni al regime generale di incompatibilità per i professori a tempo pieno, dall’attribuzione della potestà in capo al singolo ateneo discende l’opportunità di una valutazione caso per caso in relazione al rischio che lo svolgimento di incarichi esterni determini conflitto di interesse o pregiudizio per il corretto svolgimento delle funzioni del docente.

Alla luce delle predette valutazioni e della più favorevole normativa intervenuta, potrebbero così ritenersi attività compatibili, previa autorizzazione del Rettore, quelle di amministratore o presidente di fondazioni, associazioni o altri enti senza scopo di lucro, così come quelle di partecipazione a consigli di amministrazione di società di capitali, in qualità di esperto, purché in assenza di deleghe operative o gestionali. Per questa ragione taluni regolamenti di ateneo prevedono la compatibilità in talune fattispecie, quali, ad esempio, quella del c.d. amministratore non esecutivo e indipendente di cui all’articolo 147-ter, co. 4, del D. Lgs n. 58 del 24 febbraio 1998 (T.U. dell’intermediazione). La ratio dell’esclusione di tale figura dalle incompatibilità fa leva sulle caratteristiche del consigliere indipendente, che non è destinatario di poteri esecutivi ma solo di poteri di controllo della correttezza dei processi decisionali e della qualità degli assetti organizzativi.

D’altra parte, anche la giurisprudenza amministrativa, nel pronunciarsi sulla questione (cfr. in particolare Consiglio di Stato n. 6511/2008) ha tentato di individuare in concreto singole fattispecie proprie del regime di incompatibilità, precisando che “[…] non si può sostenere che la carica di Presidente di un Consiglio di amministrazione possa ricondursi alla “attività professionale” o ad un’attività di “consulenza continuativa esterna”.

3. L’Autorità Nazionale Anticorruzione e la possibile sussistenza di cause di incompatibilità dei docenti universitari

La Corte dei conti nella sentenza n. 305/2015 ha precisato che “gli artt. 60 D.P.R. 3/57, 11 D.P.R. 382/80 e 53, comma 7 d. lgs. 165/2001 pongono per i dipendenti pubblici in generale - e per i docenti universitari in regime di tempo pieno in particolare (…) - un divieto assoluto all’esercizio del commercio, dell’industria e di alcun’altra professione, dal che ovviamente discende che per le attività rientranti in tale accezione non può essere rilasciata alcuna autorizzazione; pertanto, anche qualora nel caso di specie siffatti incarichi fossero stati autorizzati, tale autorizzazione sarebbe da ritenersi inutiliter data, come posto da varie pronunce giurisprudenziali, fra cui la sentenza n. 1439/2000 della Cassazione Civile, Sezione III (…), secondo cui le pubbliche amministrazioni possono autorizzare i propri dipendenti all’esercizio di incarichi, ma questi non possono confondersi con l’esercizio di un’attività professionale e con l’iscrizione nel relativo albo, per cui sussiste il generale divieto posto ex lege».

La Corte dei conti (Sezione giurisdizionale Liguria, sentenza n. 85/2014) afferma, altresì, che “al riguardo va chiarito che con il divieto di svolgere cariche presso società costituite per fine di lucro la legge ha ritenuto che le stesse, implicando la partecipazione attiva alla vita sociale, potessero pregiudicare in qualche modo l’attività di pubblico impiego. La disciplina sulle incompatibilità, assistita dalla sanzione della decadenza dall’ufficio di cui all’articolo 15 del D.P.R. n. 382/1980, esprime la valutazione del legislatore che, a suo insindacabile giudizio, ha reputato che le attività incompatibili sono contrarie e pregiudizievoli al perseguimento dell’interesse pubblico espresso dalla programmazione didattica e dall’attività di docenza universitaria. Con il regime delle incompatibilità si vuole salvaguardare la credibilità e la qualità del modulo organizzativo universitario”.

In altre occasioni la Corte dei Conti, pronunciandosi sulla specifica questione della incompatibilità, ha condannato docenti universitari alla restituzione delle somme percepite in conseguenza dello svolgimento di incarichi esterni senza autorizzazione

Inoltre, con riferimento alla questione dello svolgimento dell’attività libero-professionale la Corte dei conti (sentenza n. 80 del 2017 della prima Sezione Centrale di Appello, depositata in data 17 marzo 2017 e sentenza n. 37/2015 della Sezione giurisdizionale per l’Emilia Romagna), ha precisato come “l’articolo 6, comma 10, per i docenti a tempo pieno, debba essere letto unitamente al successivo comma 12, dedicato ai professori a tempo definito, per i quali, invece, l’unico limite per lo svolgimento delle attività libero-professionali è costituito dall’assenza di conflitto di interesse con l’ateneo di appartenenza”.

Per quel che concerne nello specifico l’attività di consulenza, la Corte dei Conti ha in più occasioni statuito nel senso che la stessa risulti certamente esercitabile anche per i professori a tempo pieno, così come espressamente previsto per tutte le altre attività compatibili citate nel comma 10 dell’articolo 6, l. n. 240/2010. In sostanza la consulenza e l’attività di collaborazione scientifica, secondo il dettato del predetto articolo 6, comma 10 della l. n. 240/2010, debbono intendersi attività liberamente esercitabili anche dal docente a tempo pieno, ma non possono coincidere con l’attività libero-professionale.

4. L’Autorità Nazionale Anticorruzione e la possibile sussistenza di cause di incompatibilità dei docenti universitari

L’Autorità Nazionale Anticorruzione, investita della questione circa l’incompatibilità degli incarichi di presidente di una società per azioni in controllo pubblico di livello locale e di docente universitario, in due diverse delibere (n. 1349 del 21 dicembre 2016 e n. 841 del 27 luglio 2017) ha precisato che, relativamente alle previsioni del decreto legislativo 8 aprile 2013 n. 39 (in tema di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi), l’articolo 13 del d. lgs. 39/2013 prende in considerazione le sole ipotesi di incompatibilità tra la carica politica regionale e/o comunale e quella di presidente e amministratore delegato di società in controllo pubblico regionale/comunale/provinciale nell’ambito della medesima regione, per cui non si configura incompatibilità nelle fattispecie esaminate con lo status di docente universitario.

In pratica, la disciplina del decreto legislativo n. 39/2013 trova applicazione nei confronti di tutti i soggetti che operano nell’ambito e/o per la Pubblica Amministrazione nonché negli enti da essa partecipati o controllati, per cui anche i professori universitari devono sì sottostare a tale regime, ma non in quanto “professori ordinari” (come nel caso della L. 240/2010), bensì quali soggetti incaricati presso pubbliche amministrazioni o enti privati in controllo pubblico.

Nelle medesime delibere dell’Autorità, relativamente ai profili di incompatibilità dei professori universitari a tempo pieno ai sensi del DPR n. 382/1980 e della legge n. 240/2010, viene invece sottolineato che l’accertamento delle situazioni di incompatibilità spetta all’Università di appartenenza, con l’eventuale concorso del Ministero per l’università e la ricerca in sede di vigilanza.

Tuttavia, con la delibera n. 841 del 27 luglio 2017, anche relativamente a questi ultimi profili relativi a incompatibilità speciali, l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha ritenuto “opportuno esprimersi in via incidentale e in spirito di leale collaborazione sulle argomentazioni addotte”. In proposito, dopo aver rammentato, nell’inquadramento normativo della questione, i già citati articolo 13 del DPR n. 382/1980 (il quale stabilisce che “il professore ordinario è collocato d’ufficio in aspettativa per la durata della carica, del mandato o dell’ufficio nei seguenti casi: …10) nomina alle cariche di presidente, di amministratore delegato di enti pubblici a carattere nazionale, interregionale o regionale, di enti pubblici economici, di società a partecipazione pubblica, anche a fini di lucro” e l’articolo 6, comma 9, della legge n. 240/2010 (il quale recita che “la posizione di professore e ricercatore è incompatibile con l’esercizio del commercio e dell’industria (…). L’esercizio di attività libero-professionale è incompatibile con il regime di tempo pieno. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 13, 14 e 15 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382”), riporta il testo dell’articolo 11, comma 5, lett. a) del DPR n. 382/1980, il quale dispone che il regime di insegnamento a tempo pieno è incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività professionale e di consulenza esterna e con la assunzione di qualsiasi incarico retribuito e con l’esercizio del commercio e dell’industria, fatte salve “ …le attività, comunque svolte, per conto di amministrazioni dello Stato, enti pubblici e organismi a prevalente partecipazione statale, purché prestate in quanto esperti nel proprio campo disciplinare e compatibilmente con l’assolvimento dei propri compiti istituzionali”.

Secondo l’Autorità, dalla lettura coordinata delle predette norme sembra emergere il carattere generale del divieto di cui all’articolo 13 del D.P.R. n. 382/1980 e, dunque, l’affermazione del principio della incompatibilità tout court dell’incarico di professore ordinario con le cariche di presidente o di amministratore delegato di enti pubblici o società a partecipazione pubblica – a prescindere dal regime a tempo pieno o definito dell’incarico di professore - tanto è vero che l’eventuale coesistenza dei due ruoli comporta d’ufficio il collocamento  in aspettativa. Inoltre, la disposizione di cui all’articolo 11, comma 5, lett. a) del DPR n. 382/1980 - che prevede una clausola di compatibilità del regime di insegnamento a tempo pieno per le “attività, comunque svolte” per conto di pubbliche amministrazioni, enti pubblici e società pubbliche, sembra invece riferirsi a situazioni di minore rilevanza quali, ad esempio, una generica attività di consulenza prestata dal professore nel campo disciplinare nel quale lo stesso è esperto.

Conclusivamente, la delibera in esame, ritiene che dalla fattispecie sottoposta sembri emergere una situazione di possibile incompatibilità tra la carica di professore universitario ricoperta e la carica di Presidente della società in controllo pubblico, ma che, tuttavia, l’accertamento di tale incompatibilità esula dalle competenze dell’Autorità, per cui occorre investire della questione gli organi competenti per le opportune valutazioni. A seguito della ravvisata incompatibilità, l’Autorità ha rimesso anche la delibera medesima alla Procura regionale della Corte dei conti competente per territorio, ai fini della valutazione di un eventuale danno erariale.

 

5. Conclusioni

La disamina della normativa che regola la materia, il variegato atteggiarsi della potestà regolamentare degli Atenei, le pronunce giurisdizionali e le delibere dell’Autorità Nazionale Anticorruzione sulla questione, evidenziano le difficoltà applicative di  una disciplina vigente che risulta lacunosa e contraddittoria, tanto da rendere incerto il campo delle incompatibilità dei professori universitari in varie circostanze.

Si rende pertanto auspicabile un intervento del legislatore che chiarisca i vari punti dubbi ed eviti incertezze interpretative di sicuro nocumento alla corretta e uniforme applicazione, nel contesto universitario, delle disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione.