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Gli apporti di know how nelle società di capitali

Gli apporti di know how nelle società di capitali
Gli apporti di know how nelle società di capitali

Nel contesto della cosiddetta “quarta rivoluzione industriale”, in cui l’informazione si impone come risorsa avente valore di scambio, il know how, in quanto entità caratterizzata da contenuto informativo (di natura sia tecnica sia commerciale), assume autonoma e rinnovata rilevanza nell’ambito dell’esercizio dell’impresa. A tal riguardo si individuano tre principali bisogni di tutela.

A) Nell’ambito della promozione (e della “conservazione”) dell’innovazione attraverso l’esercizio di una attività destinata a produrre risultati brevettabili, ma anche a generare trovati, come quelli che possono comporre il know how con soglia d’inventiva inferiore, si individua l’interesse del ricercatore a conservare ed utilizzare nell’ambito della propria libertà di ricerca e di iniziativa economica gli insegnamenti sottostanti al know how, in quanto parte del proprio bagaglio conoscitivo. Tale interesse può osservarsi secondo angolature differenti, ed in particolare rispetto a due momenti topici: quello in cui il ricercatore sia anche dipendente dell’impresa che detiene il know how e cessi il suo rapporto di lavoro con quest’ultima per dedicarsi ad un’altra attività professionale; quello in cui egli sia un imprenditore individuale che cede il know how ad un altro imprenditore per il tramite di un atto di trasferimento, che può assumere la forma di un contratto di scambio ovvero di apporto al patrimonio aziendale.

B) Nel quadro della crescente emersione del potenziale strategico del capitale umano nella società post-industriale, vera intelligenza direttiva delle organizzazioni imprenditoriali, deve riconoscersi che le esperienze connesse a capacità o abilità personali, generalmente ricondotte a quella nozione di know how in senso lato coniata dalla giurisprudenza, possono generare problemi allorquando esse siano intrinsecamente legate alle conoscenze tecniche o commerciali riconducibili al know how e si ponga l’esigenza di assegnare a quest’ultimo un valore economico. Ciò potrebbe verificarsi in particolare in due ipotesi. La prima è relativa al caso in cui l’innovazione sia creata all’esterno dell’impresa e quest’ultima manifesti la volontà di acquisirla per il tramite di un contratto di scambio, ovvero di un apporto avente ad oggetto know how: in tali casi le parti contrattuali sono tenute ad assegnare un valore al know how allo scopo di individuare l’oggetto dell’atto di trasferimento, anzitutto ai sensi dell’art. 1346 c.c.; ma altresì, nella particolare ipotesi dell’apporto in società, alla luce delle norme in materia di stima, preordinate ad accertare l’attendibilità dei valori dichiarati dal conferente in sede di costituzione (o di aumento di capitale). La seconda ipotesi si pone rispetto alla necessità della società titolare del know how di rappresentare quest’ultimo in bilancio, quale elemento dell’attivo dello stato patrimoniale.

Orbene, ove il know how si presenti costituito in misura rilevante da esperienze e skill di natura soggettiva si dovrà, ai fini della corretta appostazione in bilancio, stabilire se il know how costituisca un’attività controllabile, separata e dunque chiaramente distinguibile dall’avviamento dell’impresa stessa, dovendosi nel caso contrario iscrivere l’entità secondo criteri diversi.

C) Il terzo bisogno di tutela si individua nell’accrescimento della capacità concorrenziale del soggetto a seguito dell’acquisizione del know how. Nella knowledge-based economy la conoscenza emerge quale risorsa in grado di generare valore economico; ove segreta, e più in generale non facilmente accessibile, essa può potenzialmente divenire significativa componente del patrimonio aziendale, in grado di attribuire all’impresa che la detiene una netta posizione di vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti. L’interesse del detentore del know how, quindi, è quello di mantenere segreto l’insegnamento innovativo contenuto nella risorsa; ovvero di conservare quel monopolio di fatto che, ponendo il lavoro e gli investimenti profusi nell’innovazione al riparo della concorrenza, assicura al detentore la percezione di un profitto differenziale rispetto a quello che otterrebbe nel caso in cui il know how fosse oggetto di libero scambio. Occorre però riconoscere che il detentore del know how il quale decida di avvalersi della tecnica di protezione del segreto verte in una “situazione irrimediabilmente precaria”, soggetta a venire meno a seguito del compimento di comportamenti contrari alla correttezza professionale, e più in generale della buona fede, nonché per effetto di attività il reverse engineering. L’interesse del detentore al mantenimento del segreto sembra attestarsi sia nell’utilizzo esclusivo della conoscenza riservata nella propria impresa, sia nello sfruttamento mediante atti di trasferimento, riconducibili ai contratti di scambio ed agli apporti dei soci, effettuati nella fase di costituzione della società, ma altresì manente societate.

 

2. Alla luce di tali premesse, la riflessione sul know how quale “utilità” a servizio dell’iniziativa imprenditoriale assume, dunque, una particolare rilevanza. Volendo in questa sede concentrare l’attenzione sulla società per azioni e sulla società a responsabilità limitata, si osserva che in esse gli interessi di natura socio-economica in capo al detentore del know how ed all’impresa si intersecano con gli interessi dei soci e dei creditori alla garanzia e tutela della effettività ed integrità del capitale sociale. Scopo, quest’ultimo, che risulta essere perseguito da un complesso di norme sulla selezione delle entità conferibili: rispetto ad esse occorre, quindi, individuare le condizioni in presenza delle quali il know how possa essere destinato all’attività imprenditoriale, soddisfando al contempo: a) l’interesse del detentore a sfruttare economicamente il know how in quanto parte del proprio capitale umano; b) l’interesse dell’impresa ad avvalersi di una risorsa che le attribuisce vantaggio competitivo; c) l’interesse dei soci e dei creditori alla effettività e integrità del patrimonio sociale cui il know how è apportato. Rispetto a tale ultimo profilo, si tratta in particolare di valutare se, a seguito del raffronto tra gli interessi specificamente afferenti al know how e le diverse tecniche di destinazione di utilità all’impresa, tali interessi risultino più adeguatamente soddisfatti mediante il conferimento ovvero mediante tecniche ad esso alternative; onde stabilire, infine, se le condizioni dell’apporto del know how varino in base al mutare della forma giuridica dell’impresa; e, quindi, se possano a tal riguardo riscontrarsi sostanziali differenze tra la società per azioni e quella a responsabilità limitata, giungendo infine ad una nozione funzionale di know how in quanto entità destinata all’esercizio della impresa capitalistica.