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Onere di motivazione dell’ordinanza di demolizione: il Consiglio di Stato fa chiarezza

Onere di motivazione dell’ordinanza di demolizione: il Consiglio di Stato fa chiarezza
Onere di motivazione dell’ordinanza di demolizione: il Consiglio di Stato fa chiarezza

Il contrasto giurisprudenziale sorto in tema di necessaria motivazione dell’ordinanza di demolizione di abuso edilizio, è stato definito dal Consiglio di Stato attraverso due Adunanze Plenarie, del 17 ottobre 2017.

Seppure le due pronunce siano strettamente connesse in ordine al possibile riconoscimento di un onere motivazionale che grava sull’amministrazione, si riferiscono a due fattispecie diverse: da un lato l’emanazione di un atto di annullamento di una concessione edilizia in sanatoria, intervenuto a considerevole distanza di tempo dal provvedimento originario; dall’altro lato la comminazione di una sanzione demolitoria per un abuso edilizio realizzato oltre trent’anni prima.

Al fine di cogliere tutte le evidenti sfumature, è necessario trattare i due casi in maniera separata.

 

1. Adunanza Plenaria n. 8/2017

La questione sorge dall’atto di annullamento in autotutela adottato da una Amministrazione comunale, su una concessione edilizia in sanatoria rilasciata al privato diversi anni prima. L’Adunanza Plenaria viene quindi investita del quesito sulla necessaria motivazione che tale provvedimento di autotutela deve, o meno, possedere in relazione all’interesse pubblico concreto e attuale sottostante.

Il Consiglio di Stato procede, innanzitutto, inquadrando la fattispecie nell’ambito di applicazione dell’articolo 21-nonies della Legge n. 241/90, nel testo introdotto dall’articolo 14 della Legge n. 15/2005. Nel far ciò, nega in radice la sussistenza in via generale ed indifferenziata di un interesse pubblico in re ipsa contenuto nel potere di annullamento di ufficio delle amministrazioni, come diversamente sostiene l’orientamento giurisprudenziale maggioritario.

La teorica dell’interesse pubblico in re ipsa all’adozione dell’atto di ritiro, non solo sarebbe fautrice di effetti distorsivi, consentendo una effettiva de-responsabilizzazione  anche solo motivazionale in capo alle PA, ma sembrerebbe correlata a quell’idea di inconsumabilità del potere amministrativo, che mal si concilia con l’evoluzione moderna dell’ordinamento amministrativo. In altri termini, l’incondizionato riconoscimento di un interesse pubblico al ripristino della legalità presterebbe il fianco ad “ipotesi-limite” in cui l’Amministrazione non solo sia rimasta inerte per anni, ma poi possa adottare provvedimenti in assenza di qualsiasi motivazione.

Inoltre, a voler aderire a questa tesi si finirebbe per ammettere il carattere di vincolatività del potere di autotutela dinanzi ad un titolo edilizio illegittimo. Di fatti, di fronte all’accertamento di un interesse pubblico in re ipsa al ripristino della legittimità violata, l’Amministrazione non avrebbe ulteriori margini di decisione. 

Al contrario, è proprio la discrezionalità insita al potere di autotutela a rendere essenziale la valutazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale sotteso all’atto di ritiro, tenendo altresì conto degli interessi dei privati coinvolti dal provvedimento sfavorevole. Di tale valutazione l’Amministrazione potrà definitivamente dare conto all’interno della motivazione del provvedimento.

Sulla base di tali assunti il Consiglio di Stato, perciò, sostiene che: “nella vigenza dell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990 – per come introdotto dalla l. 15 del 2005 – l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole”.

Tuttavia - ed in ciò si denota anche la specialità della pronuncia – i magistrati dell’Adunanza temperano il principio appena enunciato in considerazione di tre fattori:

  • Il considerevole lasso di tempo: sebbene il decorso del tempo incida significativamente sulle situazioni giuridiche, non può ammettersi che questo possa troncare il potere amministrativo di autotutela. L’influenza che esso esercita si esplicherà, al più, attraverso un rafforzamento dell’onere motivazionale. Il termine ragionevole entro cui l’Amministrazione è chiamata ad attivarsi in autotutela è certamente un “concetto non parametrico ma relazionale”, quindi riferito alle circostanze del caso; con ciò intendendosi che il termine inizierà a decorrere dal momento in cui la PA è venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell’atto.
  • Rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati: nelle ipotesi di palese evidenza del o degli interessi pubblici tutelati si prospetta una attenuazione dell’onere motivazionale gravante sull’amministrazione, che “potrà dirsi soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate”.
  • Prospettazione non veritiera di circostanze rilevanti: qualora il privato abbia ottenuto un titolo edilizio rappresentando elementi non veritieri, non può certamente dirsi portatore di un affidamento incolpevole. Ciò consente di configurare il contenuto della motivazione provvedimentale meramente attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte.

2. Adunanza Plenaria n. 9/2017

La materia del contendere nasce da presupposti diversi e, come chiarito dall’Adunanza Plenaria, non riconducibili all’attività in autotutela dell’Amministrazione. Nel caso de quo non viene in rilievo l’annullamento di un titolo edilizio, adottato a distanza di anni dal rilascio del titolo medesimo, ma si esamina una situazione di totale assenza di titolo edilizio e conseguente, seppure tardiva, ingiunzione di demolizione disposta dalla PA.

Il discrimen fra i due casi è evidente soprattutto in ordine alla posizione soggettiva del privato. Nel primo caso, essendo in presenza di un originario atto amministrativo favorevole, può dirsi radicata una posizione di legittimo affidamento; nel secondo caso, al contrario, non può identificarsi alcun legittimo affidamento in capo al privato, il quale non è mai stato destinatario di un provvedimento favorevole, avendo egli edificato sine titulo. L’intervento edilizio è sin dall’origine illegittimo e, per tale motivo, inidonea a “ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata”.

Tale considerazione sulla mancanza di affidamento incolpevole, è assorbente rispetto a due quesiti fondamentali.

In primo luogo, la questione del decorso del tempo o – da altra prospettiva –  dell’inerzia dell’amministrazione protratta per anni, che sembrerebbe rappresentare una censura. Ad avviso del Consiglio di Stato, il mero decorso del tempo non potrà mai caducare il potere amministrativo di adottare il provvedimento di demolizione, dal momento che in esso è insito il doveroso fine di perseguire l’illecito consistente nell’abuso edilizio. Diversamente si attribuirebbe legittimità al fenomeno dell’abusivismo per effetto del mero trascorso del tempo.

In secondo luogo, il dovere di motivare in capo all’Amministrazione procedente sarà decisamente attenuato e composto dal “richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria”. Agganciandosi ad una precedente giurisprudenza, i giudici affermano la non doverosità di una specifica e particolare motivazione dell’ordine di demolizione dal momento che il tempo intercorso fra il momento di realizzazione dell’abuso e il predetto ordine di demolizione non ha determinato l’insorgenza di uno stato legittimo di affidamento.

In definitiva, l’Adunanza Plenaria esprime il principio di diritto per cui: “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso”.

In conclusione, il focus delle pronunce sembra a tutti gli effetti essere la sussistenza o meno di una posizione di “incolpevole affidamento” in capo al privato interessato dal provvedimento amministrativo, sia esso atto di annullamento di un precedente titolo edilizio, oppure un ordine di demolizione a fronte di totale mancanza di titolo.

Il grado di considerazione che l’Amministrazione avrà degli interessi pubblici e privati sottesi alla situazione di fatto, e quindi il modo in cui questa si esplicherà nella motivazione del provvedimento, è in relazione di dipendenza con il carattere colpevole o incolpevole di chi versa nella situazione antigiuridica formatasi.