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Il fatto di lieve entità nella disciplina della legge stupefacenti

Il fatto di lieve entità nella disciplina della legge stupefacenti
Il fatto di lieve entità nella disciplina della legge stupefacenti

di Giuseppe Migliore, Avvocato penalista a Roma

 

L’articolo 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (“Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”) è rubricato “Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti e psicotrope” e costituisce la norma incriminatrice fondamentale in materia.

Complice anche un’importante dichiarazione di incostituzionalità (in parte qua) della norma di riferimento (cfr: Corte Costituzionale, Sentenza n. 32/2014), la disciplina è stata recentemente oggetto di una ridefinizione delle pene applicabili al reato di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti: per quanto riguarda le sole pene detentive, se il fatto riguarda cosiddette “droghe leggere” si potrà avere l’applicazione di una pena da due a sei anni di reclusione, mentre in caso di cessione di cosiddette “droghe pesanti” la pena potrà variare tra gli otto e i venti anni di reclusione.

L’importantissima ed assai significativa forbice tra le pene edittali previste per lo spaccio di “droghe leggere” e “droghe pesanti” (tanto che di recente la stessa Corte Costituzionale ha espressamente rivolto un invito al Legislatore affinché valuti la possibilità di riequilibrare la normativa) ha reso ancor più importante il quinto comma dell’articolo 73 del Testo Unico, che disciplina i casi di spaccio di lieve entità, puniti con una pena detentiva dai sei mesi ai quattro anni di reclusione, senza alcuna distinzione rispetto alla tipologia di stupefacente detenuto.

È chiaro, quindi, che, soprattutto quando si tratti di “droghe pesanti”, la possibilità di accedere all’Istituto del fatto di lieve entità sia di fondamentale rilevanza, in quanto può determinare una pena enormemente inferiore rispetto a quella dell’ipotesi base.

Nel recente riordino del Sistema, il Legislatore è intervenuto sul quinto comma dell’articolo 73 (con il D.L. n. 14 del 23/12/2013, convertito con modificazioni dalla L. n. 10 del 21/02/2014) non solo modificando la cornice edittale di riferimento, ma attribuendo all’Istituto la dignità di fattispecie di reato autonoma, mentre in passato si trattava – per pacifica Giurisprudenza - di una mera circostanza attenuante dell’articolo 73 (con ogni effetto giuridico conseguente, ad esempio anche in tema di prescrizione del reato).

Dal punto di vista normativo, lo spaccio di sostanza stupefacente è definibile di lieve entità se, avuto riguardo ai mezzi, alle modalità o alle circostanze dell’azione ovvero alla qualità e quantità delle sostanze detenute, la condotta sia valutabile come di minima offensività rispetto al bene protetto, ad esempio per una ridotta capacità di diffusione della droga sul territorio.

Gli elementi codificati dalla norma, sia quelli attinenti all’azione criminosa (i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione) che quelli relativi all’oggetto materiale del reato (la qualità e la quantità delle sostanze), sono strutturati come dati sintomatici di una non lieve entità del fatto, che tuttavia deve essere valutata alla stregua di tutte le concrete e specifiche circostanze del caso, nell’ottica di una disamina globale ed unitaria.

La Giurisprudenza della Suprema Corte è pacifica nell’affermare che la questione circa l’applicabilità del quinto comma dell’articolo 73 del D.P.R. n. 309/1990 non possa trovare risoluzione in astratto, stabilendo incompatibilità in via di principio, ma debba essere affrontata caso per caso, tenendo ogni volta conto di tutte le specifiche e concrete caratteristiche della vicenda giudiziaria in esame (cfr: Cassazione Penale,  Sezione Sesta, n. 46495/2017).

Inoltre, è stato affermato che la ratio dell’Istituto in oggetto sia del tutto coerente con i principi di offensività, di proporzionalità e di individualizzazione e finalità rieducativa della pena; il Giudicante deve, quindi, determinare e calibrare il trattamento sanzionatorio più adeguato alle specifiche circostanza e modalità del caso, rifuggendo da ogni automatismo (cfr: Cassazione Penale, Sezione Sesta, n. 39374/2017).

In definitiva, la minima offensività della condotta, tale da poter essere premiata con il riconoscimento del fatto di lieve entità, è desumibile non solo dal dato quantitativo e qualitativo dello stupefacente, bensì anche da tutti gli altri parametri della condotta, che deve essere valutata unitariamente e globalmente così come concretamente manifestatasi nel caso di specie, senza avere riguardo a possibili preclusioni o automatismi (ad esempio si è ritenuto che anche la cessione di droga a soggetto minorenne possa rientrare nella previsione del fatto di lieve entità, se gli altri parametri della condotta lo consentono). (cfr: Cassazione Penale, Sezioni Unite, n. 35737/2010).

Tuttavia, va sottolineato che qualora anche uno solo degli indici sintomatici richiamati dalla norma emerga nel caso concreto come negativamente assorbente rispetto agli altri, il fatto di lieve entità non potrà essere riconosciuto, con conseguente svalutazione di ogni altro elemento o circostanza (cfr: Cassazione Penale, Sezione Sesta, n. 46495/2017).

E’ questo il caso, ad esempio, del parametro riferito al dato ponderale dello stupefacente, ossia alla quantità di droga detenuta dal reo: infatti, il superamento di quella soglia ponderale che la Giurisprudenza di merito individua, di volta in volta ed in relazione alle specificità ambientali del luogo ove fu commesso il reato, fa soccombere ogni altro fattore, non potendosi riconoscere il fatto di lieve entità (cfr: Cassazione Penale, Sezione Quarta, n. 49153/2017).

Il più importante fattore di valutazione per il riconoscimento dell’ipotesi di spaccio di lieve entità è proprio quello ancorato alla quantità e qualità dello stupefacente detenuto: la soglia ponderale, oltre la quale il fatto non possa considerarsi come lieve, non è tuttavia determinata dal Legislatore, ma dovrà di volta in volta essere accertata dal Giudicante, sulla base di una valutazione principalmente riferita al territorio in cui fu commesso il reato.

E’ evidente, infatti, come una certa quantità di droga può essere oggettivamente significativa e rilevante per il territorio di un piccolo paesino di provincia, mentre di poco conto ed oggettivamente marginale per il territorio di una grande metropoli.

Il Giudicante sarà, quindi, chiamato a valutare se la quantità e qualità dello stupefacente detenuto possa essere considerato – in relazione al luogo ove il fatto fu commesso, al mercato della droga di quel determinato territorio ed al grado di diffusione dello stupefacente in quella zona –oggettivamente rilevante e significativo, soprattutto rispetto al rischio di diffusività dello stupefacente da parte del reo nel territorio.

In termini abbastanza concreti, la Suprema Corte ha affermato che il fatto di lieve entità si configura per il cosiddetto “piccolo spaccio”, che si caratterizza per una minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro, nonché con guadagni limitati; in tali ipotesi può anche essere ricompresa la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, tenuto conto del valore e della tipologia della sostanza, non sia superiore a dosi conteggiate “a decine” (cfr: Cassazione Penale, Sezione Sesta, n. 15642/2015).

Sul tema del possibile riconoscimento della figura di reato dello spaccio di lieve entità nel caso in cui il reo detenga sostanze stupefacenti di diversa tipologia, la Giurisprudenza non è sempre stata univoca.

La Suprema Corte ha affermato che il fatto di lieve entità non è configurabile nel caso di detenzione di sostanze stupefacenti di diversa tipologia, a prescindere dal dato quantitativo e qualitativo, trattandosi di condotta indicativa della capacità dell’agente di procurarsi sostanze tra loro eterogenee e, per ciò stesso, di rifornire assuntori di droghe di diversa natura, così da recare un danno non tenue al bene della salute pubblica tutelato dalla norma (cfr: Cassazione Penale, Sezione Quarta, n. 6626/2016).

Va, tuttavia, sottolineato che la Giurisprudenza più recente e maggioritaria è di segno opposto (anche sulla base di una ricognizione del dato letterale della norma, che parla al plurale di “qualità delle sostanze”).

Questo indirizzo giurisprudenziale ritiene applicabile la figura del fatto di lieve entità anche nel caso di detenzione di quantità non rilevanti di stupefacenti di diversa natura, in quanto la non omogeneità delle sostanze non può costituire una ragione esclusiva per negare la qualificazione del reato ai sensi del quinto comma dell’articolo 73. Infatti, secondo tale orientamento, la disponibilità di diversi tipi di sostanze, pur essendo sintomatica della possibilità che il fatto non sia di lieve entità, dovrà essere valutata alla luce di tutte le altre circostanze della vicenda processuale, in un’ottica globale ed unitaria (cfr: Cassazione Penale, Sezione Quarta, n. 49153/2017).

Altra vexata quaestio sul tema della possibile applicazione della fattispecie di reato della lieve entità nella detenzione a fini di spaccio di stupefacenti riguarda l’accesso all’Istituto qualora il reo sia responsabile di un’attività di spaccio non episodica né occasionale, ma ripetuta nel tempo.

Si è infatti ritenuto che debba essere esclusa la fattispecie della lieve entità qualora la singola cessione di una quantità modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una più ampia e comprovata capacità dell’autore di diffondere lo stupefacente in modo non occasionale né episodico; in tali casi, la valutazione della concreta offensività della condotta non può essere ancorata al dato statico della quantità di volta in volta ceduta, dovendo essere frutto di un giudizio più ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva (cfr: Cassazione Penale, Sezione Quarta, n. 40720/2017).

Tuttavia, in altri arresti giurisprudenziali la Suprema Corte, in maniera più coerente con la più volte ribadita necessità di una valutazione globale ed unitaria di tutti i parametri normativi, ha statuito che la non occasionalità dell’attività di spaccio e la sua ripetizione nel tempo non siano di per sé incompatibili con la concessione del fatto di lieve entità (cfr: Cassazione Penale, Sezione Sesta, n. 39374/2017; Cassazione Penale, Sezione Sesta, n. 46495/2017).

Tali arresti giurisprudenziali poggiano le loro argomentazioni, tra l’altro, sul fatto che nell’Ordinamento esista addirittura la previsione dell’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di plurime violazioni della Legge stupefacenti connotate dal carattere della lieve entità (articolo 74, comma sesto, D.P.R. n. 309/1990); se quindi è possibile che un’entità criminale organizzata come quella prevista dall’articolo 74 possa essere considerata dedita alla commissione di fatti di lieve entità, a maggior ragione la ripetizione della condotta nel tempo non può di per sé essere considerata ostativa all’accesso all’Istituto in oggetto.

Secondo tale orientamento giurisprudenziale, qualora vi sia ripetizione e non occasionalità delle condotte di cessione di stupefacente, il Giudicante dovrà verificare se la condotta, pur connotata dalla predisposizione di mezzi e dalla programmazione delle modalità esecutive – cioè da un’organizzazione – presenti contorni tali per ritenere minima l’offesa al bene giuridico tutelato (ad esempio per il ristretto ambito territoriale di operatività, per lo scarso numero di clienti o per la scarsa professionalità del reo).

Intervenendo nel caso particolare della coltivazione di sostanze stupefacenti, la Suprema Corte ha affermato che anche in tale ipotesi la sussistenza del fatto di lieve entità debba essere valutato con i consueti parametri e secondo le già consolidate regole di giudizio (cfr: Cassazione Penale, Sezione Quarta, n. 27524/2017; Cassazione Penale, Sezione Quarta n. 30238/2017).

Tuttavia, è stato precisato come in caso di coltivazione di sostanza stupefacente, l’offensività della condotta consista nella sua idoneità a produrre sostanza per il consumo; quindi a rilevare non è tanto la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediato, bensì la capacità della pianta – per la sua attitudine dal punto di vista botanico e per le modalità di coltivazione – di giungere a sviluppo e produrre quantità significative di prodotto drogante.

 

In definitiva, in ordine alla possibile applicazione della disciplina del fatto di lieve entità alla coltivazione di stupefacenti, si dovrà avere riguardo non solo al principio attivo ricavato nell’immediato, ma anche a quello ricavabile alla completamento del ciclo biologico della pianta, oltre che al tipo ed alla qualità della stessa nonché al livello di produzione (cfr: Cassazione Penale, Sezione Quarta, n. 50970/2017).

In ultimo, appare meritevole di segnalazione il pacifico orientamento giurisprudenziale secondo cui il fatto di lieve entità nella cessione di stupefacenti sia del tutto compatibile con la concessione della circostanza attenuante di cui all’articolo 62 n. 4 del Codice Penale (la cosiddetta speciale tenuità nei delitti per motivi di lucro), poiché gli elementi costitutivi delle due fattispecie non coincidono e perciò essendo scongiurato il rischio di un’indebita duplicazione di effetti benefici (cfr: Cassazione Penale, Sezione Sesta, n. 24533/2017).

La Suprema Corte, premesso che l’attenuante in oggetto è applicabile ad ogni tipo di delitto purché commesso per motivi di lucro, ne riconosce la compatibilità con la disciplina dello spaccio di droga di lieve entità, sempre che ci si trovi in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività e disvalore; è, infatti, necessario che la speciale tenuità riguardi sia l’entità del lucro conseguito o da conseguire attraverso il reato, sia l’entità dell’evento dannoso o pericolo che dal reato consegue (cfr: Cassazione Penale, Sezione Sesta, n. 5812/2016).

 

Giuseppe Migliore: Studio penale a Roma