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Intervista esclusiva al Presidente delle Camere Penali di Modena, avvocato Guido Sola

Intervista esclusiva al Presidente delle Camere Penali di Modena, avvocato Guido Sola
Intervista esclusiva al Presidente delle Camere Penali di Modena, avvocato Guido Sola

Continuano le nostre interviste nell’ambito della nuova rubrica “Legal World”, incentrate sulle diverse esperienze di coloro che operano nel mondo del diritto. Oggi è la volta di una chiacchierata con Guido Sola, Presidente della Camera Penale di Modena.

 

Avvocato Sola, vorrei iniziare l’intervista con una domanda di carattere preliminare: può spiegare ad un nostro lettore che non è avvezzo al mondo giuridico cosa sono le Camere Penali e di cosa si occupano?

Fondata nell’anno 1982, l’Unione delle Camere Penali Italiane rappresenta un’associazione di avvocati penalisti chiamata a promuovere la tutela di principi fondamentali, nonché  a elaborare studi e ad organizzare iniziative culturali e politiche in materia di diritto penale e di diritto processuale penale.

Fondata nell’anno 1998, la Camera Penale di Modena Carl’Alberto Perroux rappresenta un’associazione tra avvocati, iscritti nell’albo professionale presso il Tribunale di Modena, che esercitano prevalentemente il patrocinio penale e condividono i valori dell’Unione delle Camere Penali Italiane. Tra gli scopi statutari propri della Camera Penale di Modena Carl’Alberto Perroux figurano, tra gli altri, quelli di promuovere la conoscenza e la diffusione del giusto processo penale, d’affermare l’inviolabilità del diritto di difesa,  di tutelare la funzione del difensore, di promuovere iniziative a tutela delle persone private della libertà personale, nonché di vigilare sul corretto funzionamento del servizio di patrocinio a spese dello Stato.

In particolare, quali sono le iniziative che la Camera Penale di Modena ha avviato negli ultimi anni e quali sono in programma per il 2018?

Nell’anno 2017, la Camera Penale di Modena Carl’Alberto Perroux ha dato vita a numerose iniziative di carattere culturale e politico, presentando libri  - “Lettere a Francesca” (autore: Enzo Tortora); “La vittima del processo. I danni da attività processuale penale” (curatore: Giorgio Spangher); “Estetica della giustizia penale. Prassi, media, fiction” (autore: Ennio Amodio); “L’informazione giudiziaria in Italia” (curatore: Renato Borzone) -, proiettando docu-film - “Spes contra spem. Liberi dentro”; “Avvocato! Il processo di Torino al nucleo storico delle  Brigate Rosse” - e attivando, anche a Modena, campagne di raccolta firme a sostegno della proposta di legge costituzionale d’iniziativa popolare per la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica contro la riforma del codice penale e del codice di procedura penale - c.d. riforma Orlando -.

Nell’anno 2018, la Camera Penale di Modena Carl’Alberto Perroux ha dato e darà vita, ancora una volta, a numerose iniziative di carattere culturale e politico, presentando libri  - “Fino a prova contraria. Tra gogna e impunità. L’Italia della giustizia sommaria” (autore: Annalisa Chirico); “Io non avevo l’avvocato. Una storia italiana” (autore: Mario Rossetti) - e attivando, anche a Modena, campagne a sostegno della riforma dell’ordinamento penitenziario e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica in materia d’abuso della custodia cautelare.   

 

Parliamo ora di un tema spinoso, ovvero quello della separazione delle carriere in magistratura sulla quale le Camere Penali sono state in prime linea. Qual è la vostra posizione e la Sua personale in merito?

La nostra posizione in merito è netta: la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri rappresenta la “madre di tutte le riforme”.

È un fatto, a nostro avviso, che, finché giudice e pubblico ministero saranno colleghi e, dunque, contigui anche solo dal punto di vista culturale, le architetture concettuali proprie del codice di procedura penale del 1988 saranno sempre, ineluttabilmente, destinate a flettere.

Perché un processo penale di matrice (seppur) tendenzialmente accusatoria non può funzionare se non laddove il giudice sia davvero terzo e davvero imparziale.

E perché separare le carriere di giudici e pubblici ministeri non significa unicamente risolvere un problema di matrice ordinamentale, che pure esiste, ma anche e soprattutto recuperare il giudice a quella cultura del limite che gli dovrebbe essere sempre propria.

Solo un giudice davvero terzo e davvero imparziale può essere equilibrato. Solo un giudice davvero terzo e davvero imparziale può essere garante delle garanzie.

 

Recentemente la Camera Penale di Modena è salita agli onori della cronaca per una polemica relativa alla vostra richiesta di istituire un osservatorio per monitorare l’attività dei media locali. Da cosa è nata questa istanza e che sviluppi ha avuto?

Una premessa è d’obbligo.

A venire qui in emergenza, dal nostro punto di vista, è il tema della presunzione d’innocenza.

Il processo mass-mediatico, cui quotidianamente assistiamo impotenti, ricostruisce i fatti obliterando le regole del codice di procedura penale. La qual cosa conduce sovente a “drogare” la sottostante verità storica.

Ma v’è di più.

Perché il processo mass-mediatico incide negativamente anche sulla c.d. verginità cognitiva del giudice e, dunque, in ultima analisi, sull’imparzialità dello stesso.

Per queste ragioni, la Camera Penale di Modena Carl’Alberto Perroux ha inteso attivare, anche a Modena, un osservatorio sull’informazione giudiziaria che null’altro voleva rappresentare se non uno strumento finalizzato a dare vita, anche su scala locale,  a percorsi culturali, comuni a magistrati e giornalisti, in materia di rapporto tra media e giustizia penale.

Come più volte chiarito, infatti, alla base di questa nostra iniziativa non v’era alcuna volontà d’imbavagliare i giornalisti ovvero, com’è stato detto, di dare loro voti; v’era, più semplicemente,  la volontà d’accendere i riflettori sull’effettivo rapporto esistente tra media e giustizia penale, nonché sulla necessità d’individuare bilanciamenti tra diritto-dovere di cronaca e presunzione d’innocenza.

Siete stati da più parti accusati di voler introdurre una sorta di censura rispetto all’informazione giornalistica e di essere intervenuti sostanzialmente per regolamentare l’informazione relativa al processo Aemilia (nel caso, un avvocato avrebbe introdotto in carcere due chiavette USB contenenti informazioni poi recapitate in cella ad alcuni imputati a scopo intimidatorio, fatto che avrebbe poi condizionato alcune testimonianze, n.d.r.). Pensa che i rapporti tra giornalisti e avvocati sia uscito dalla normale dialettica e, nel caso, quali sono le misure ed iniziative opportune per un sano rapporto?

Penso che le anzidette “accuse” fossero frutto di mero equivoco.

La Camera Penale di Modena Carl’Alberto Perroux ha sempre difeso a spada tratta la libertà di stampa, che è sacrosanta, così come sacrosanto è il diritto-dovere di cronaca anche in materia giudiziaria.

Nella nostra lettera di presentazione dell’osservatorio sull’informazione giudiziaria, il c.d. processo Aemilia è stato “citato” a titolo meramente esemplificativo: nell’ambito dell’anzidetto processo, infatti, già all’indomani dell’esecuzione delle ordinanze dispositive di misure cautelari personali, s’era assistito alla pubblicazione d’un instant book che compendiava atti d’indagine ancora coperti da segreto investigativo.

La “citazione” del c.d. processo Aemilia, in altre parole, era finalizzata unicamente a stigmatizzare un caso particolarmente grave di violazione dell’articolo 114 c.p.p. che, peraltro, non era certamente  imputabile alla stampa, ma, semmai, al c.d. circuito inquirente.

Ciò premesso, non voglio pensare che, in conseguenza dell’anzidetto mero equivoco, i rapporti tra giornalisti e avvocati siano fuoriusciti dalla normale dialettica: se così fosse, infatti, davvero avrebbe ragione Piero Sansonetti nell’affermare che i giornalisti italiani ritengono che criticare i giornalisti italiani sia attività d’intimidazione. E, se s’eccettuano pochi, isolati, casi specifici - cui pure abbiamo assistito -, non voglio pensare che sia così.

La questione, dunque,  non è quella d’individuare e adottare misure opportune in vista d’un sano rapporto tra giornalisti e avvocati, ma semmai - ripeto - quella di dare vita, anche su scala locale, a percorsi culturali, comuni a tutti gli attori del processo penale, volti a ragionare insieme sull’effettivo rapporto esistente tra media e giustizia penale.

 

È stata recentemente pubblicata la sentenza del Consiglio di Stato che, respingendo i vari appelli incidentali degli Ordini e delle Associazioni contrari alla specializzazione, oltre che l’appello del Ministero, ha confermato l’impianto generale del Regolamento sulla specializzazione forense emesso con DM 12 agosto 2015 n. 144. Qual è la sua opinione in merito?

È dispiaciuto constatare che, già all’indomani della pubblicazione dell’anzidetta sentenza, il Governo avesse proposto emendamenti finalizzati a modificare l’articolo 9 l. 31 dicembre 2012, n. 247 (c.d. legge d’Ordinamento Forense), ipotizzando l’indicazione di settori di specializzazione nell’esercizio della professione forense che non avrebbe dovuto essere riservata alla normativa secondaria.

È nostra opinione che, nell’ambito dell’anzidetta individuazione, il settore penale debba restare “indiviso” e non possa essere frazionato in “sottosettori” che, in quanto tali, non risponderebbero ad alcuna logica di congruità e ragionevolezza.  

Fortunatamente, a quanto mi consta, gli anzidetti emendamenti sono stati ritirati.

La speranza, qui giunti, è che la specializzazione - fondamentale, a nostro avviso - possa infine diventare realtà. 

 

Cosa ne pensa del decreto legislativo sul tema delle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni? Si è trattato di un passo avanti per la limitazione dell’utilizzo distorto delle intercettazioni? Si poteva fare di più?

Si poteva sicuramente fare di più.

Il punto, però, è che, anche in materia d’intercettazioni telefoniche, il problema, a mio avviso, non è giuridico, ma culturale.

È assolutamente inutile intervenire a valle, nonché in chiave ortopedica, sul micro-sistema proprio del codice di procedura penale se non s’interviene a monte, nonché, appunto, in chiave culturale, sulle distorsioni proprie del rapporto tra media e giustizia penale.  

Da ultimo, nel ringraziarLa per la disponibilità, Le chiediamo cosa pensa della trattazione sul web di temi di diritto penale: la trova esauriente e corretta? Cosa possono fare sul punto portati generalisti come Filodiritto?

Non v’è nessuna preclusione da parte mia alla trattazione anche di temi di diritto penale sul web.

Penso, anzi, che anche portali generalisti come Filodiritto possano contribuire, in modo importante, a riequilibrare il sistema in chiave garantista, nonché a combattere populismo e giustizialismo imperanti.

È, però, fondamentale, a mio avviso, che, nel trattare temi di diritto penale, l’avvocatura in primis “impari” a parlare, non solo di giusto processo, ma, più in generale, di cultura della legalità.

Perché viviamo un’epoca caratterizzata dalla vittoria d’una giuristocrazia ammantata di aspettative etiche e, dunque, un’epoca che deve vedere protagonista in primis l’avvocatura.

Un’avvocatura che deve aprire se stessa alla società complessivamente considerata e che deve (imparare a) versare verso l’esterno i propri ideali di libertà anche tramite il web e, più in generale, tramite i nuovi mezzi di comunicazione di massa.

Ringraziamo sentitamente l’avvocato Guido Sola per la cortesia, la disponibilità e la professionalità dimostrata durante l’intervista, e gli auguriamo un ottimo lavoro.