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La latitudine applicativa della c.d. clausola sociale negli appalti pubblici dopo il decreto correttivo del Codice degli Appalti; esame degli orientamenti giurisprudenziali

La latitudine applicativa della c.d. clausola sociale negli appalti pubblici dopo il decreto correttivo del Codice degli Appalti; esame degli orientamenti giurisprudenziali
La latitudine applicativa della c.d. clausola sociale negli appalti pubblici dopo il decreto correttivo del Codice degli Appalti; esame degli orientamenti giurisprudenziali

Una recente pronuncia del Consiglio di Stato (sentenza n. 272 del 17.01.2018, resa dalla sez. V) costituisce lo spunto per riprendere, e per certi versi aggiornare, le considerazioni precedentemente sviluppate da chi scrive (si veda, al riguardo, malgrado la scarsa eleganza delle autocitazioni, l’articolo “La problematica legittimità della c.d. clausola sociale negli appalti pubblici: la conferma della tendenza ad una tutela debole dei diritti dei lavoratori”, disponibile su questa Rivista) in ordine alla c.d. clausola (di salvaguardia) sociale negli appalti pubblici.

In relazione a quel che precede corre l’obbligo di evidenziare, in primo luogo, come il decisore politico abbia ritenuto opportuno, mediante l’emanazione del decreto legislativo n. 56 del 2017, provvedere ad una riformulazione delle previsioni dettate, nell’ambito materiale considerato, dall’articolo 50 del decreto legislativo n. 50 del 2016 (c.d. Codice degli Appalti).

L’innovazione apportata dallo ius superveniens si risolve, in buona sostanza, nella previsione dell’obbligatorietà dell’inserimento, da parte delle stazioni appaltanti, della clausola sociale (mediante la sostituzione, nel corpo della richiamata disposizione normativa, delle parole “possono inserire” con il termine “inseriscono”),  nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, superando, per tal via il previgente regime giuridico dell’istituto de quo, configurato in termini di mera facoltatività[1].

Risulta del tutto evidente che la menzionata scelta legislativa risponda all’intento di operare un rafforzamento della tutela dei lavoratori, in ipotesi di mutamento del soggetto gestore di attività di rilievo pubblicistico, mediante l’obbligatorio inserimento, negli atti prodromici alla stipulazione di contratti di concessione, di appalti di lavori o di servizi, ed in particolare di quelli connotati da un costo della manodopera pari, almeno, al 50% dell’importo del contratto, di una previsione che assicuri, in linea di principio e fatte salve le riflessioni che si opereranno nel prosieguo della presente nota, la continuità occupazionale degli addetti precedentemente impegnati.

Orbene, ciò posto, occorre interrogarsi in ordine alle conseguenze effettive della trasformazione della natura giuridica (da facoltativa ad obbligatoria, come già riferito) dell’inserimento della clausola sociale nei bandi di gara, ed in particolare se ciò si traduca, o meno, in un obbligo incondizionato, a carico del nuovo affidatario, di assunzione di tutti i lavoratori precedentemente chiamati ad assicurare la concreta implementazione delle attività di natura oggettivamente pubblicistica che, di volta in volta, vengono in rilievo, e ciò mediante un esame, forzatamente sintetico, delle più recenti pronunce giurisprudenziali in subiecta materia.

La prima sentenza che occorre richiamare, nella prospettiva considerata, è la n. 640 del 21.07.2017, resa dal TAR Liguria, sez. II, relativamente ad una procedura di gara indetta nella vigenza della facoltatività dell’inserimento della clausola sociale nella lex specialis.

Prescindendo, in questa sede, dall’esame specifico delle ragioni sottese alla controversia che ha originato la richiamata pronuncia, occorre rilevare come il TAR adito distingua due differenti ambiti di applicazione delle clausole sociali, operando una sorta di bipartizione delle stesse a seconda della diversa genesi del diritto del lavoratore alla continuità occupazionale.

La prima fattispecie ricorre, nella traiettoria argomentativa sottesa alla sentenza in esame, allorquando l’obbligo di mantenimento del rapporto lavorativo in essere, in caso di cambio di appaltatore, sia previsto direttamente dal contratto collettivo.

In questa ipotesi, infatti, la stazione appaltante è tenuta a prevedere il transito dei dipendenti dal vecchio al nuovo appaltatore senza che questi possa opporre la libertà di iniziativa economica per ottenere un’applicazione flessibile di tale obbligo, e ciò anche in riferimento alla scelta del CCNL da applicare.

Al riguardo obbligato è il richiamo alle previsioni dettate dal comma 4 dell’articolo 30 del Codice degli Appalti che così, testualmente, dispone: “Al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente”.

Da ciò discende, nella ricostruzione operata dai giudici liguri, una duplice conseguenza: non è possibile procedere ad un’applicazione temperata e limitata delle previsioni del CCNL posto che ciò si tradurrebbe, inevitabilmente, in una inammissibile deroga al modello relazionale normativamente e contrattualmente individuato; deve escludersi che in presenza di un CCNL che preveda l’obbligo di assunzione dei dipendenti dell’appaltatore uscente, possa ritenersi lesa la liberà di iniziativa economica dell’appaltatore subentrante, atteso che essa viene esercitata, principalmente, in sede di contrattazione collettiva e risulterebbe irrazionale consentire un mutamento del CCNL da applicare ai lavoratori da assorbire, atteso che ciò potrebbe concretizzare un sostanziale aggiramento della previsione dell’obbligo di conservazione del posto (ad esempio mediante l’applicazione di un CCNL che non contempli tale garanzia per i lavoratori).

In presenza, dunque, di una previsione del CCNL applicabile all’appalto considerato che preveda un obbligo di assunzione dei lavoratori precedentemente impegnati nello svolgimento delle relative attività, la clausola sociale, propriamente intesa, non ha alcuno spazio di operatività.

La clausola de qua, infatti, viene in rilievo (e ciò integra la seconda fattispecie considerata dal TAR Liguria), solo nell’ipotesi in cui il CCNL da applicare non preveda alcuna disposizione in tema di conservazione del posto, nell’evenienza di subentro di nuovi appaltatori.

Sul punto i giudici amministrativi richiamano principi consolidati in giurisprudenza: “la c.d. clausola sociale deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 Cost., che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto, sicché tale clausola deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente; conseguentemente l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante; i lavoratori, che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali; la clausola non comporta invece alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria” (così Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 2078 del 05.05.2017).

Ove possa dispiegarsi l’operatività della clausola sociale propriamente intesa, in altri termini, l’appaltatore subentrante recupera pienamente il diritto a vedere tutelata la propria libertà di iniziativa economica e di autonomia nell’organizzazione imprenditoriale, che può giungere sino al mutamento del CCNL da applicare fatta salva, ovviamente, la necessaria coerenza dello stesso con l’oggetto dell’appalto (in tal senso si veda Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 932 del 01.03.2017 la cui massima recita:  “In materia di appalti pubblici, la scelta del contratto collettivo da applicare rientra nelle prerogative di organizzazione dell’imprenditore e nella libertà negoziale delle parti, con il solo limite che esso risulti coerente con l’oggetto dell’appalto”) e l’inesistenza di un obbligo di conservazione, affermato dalla stessa clausola sociale, delle condizioni economiche, normative e retributive precedentemente applicate (in relazione al quale viene, consequenzialmente, affermato il principio dell’esistenza di un onere di immediata impugnazione, in quanto trattasi di previsione connotata, in ipotesi, da lesività diretta, concreta ed attuale).

In tale ultima evenienza, infatti, la tutela riconosciuta dall’ordinamento giuridico all’appaltatore subentrante si risolve nella possibilità di ridurre il numero, ovvero di mutare la qualifica, dei lavoratori precedentemente impiegati.  

La ricostruzione operata dal TAR Liguria e sopra, sinteticamente, tratteggiata, ha costituito, tuttavia, oggetto di penetranti critiche da parte del massimo organo di giustizia amministrativa.

Il Consiglio di Stato, infatti, con la già menzionata sentenza n. 272/2018, in riforma di un’altra pronuncia dei giudici liguri (la n. 639/2017) connotata da un tessuto motivazionale del tutto coincidente con quello sotteso alla decisione in precedenza richiamata, ha evidenziato come la distinzione operata dai giudici di primo grado, imperniata su una clausola sociale “forte”, in presenza di un obbligo di riassunzione disposto direttamente dal CCNL di riferimento, e su una clausola sociale “debole”, rinveniente la propria fonte di legittimazione unicamente nelle previsioni della lex specialis, non ha, puramente e semplicemente, basi normative.

Essa, ad abundantiam, si pone in contrasto con i principi giurisprudenziali affermatisi sia a livello comunitario (si vedano Corte di Giustizia dell’Unione Europea 9/12/2004 in C-460/2002 e 14/7/2005 in C386/2003) e sia in ambito nazionale (per tutte Consiglio di Stato, sentenza 2078/2017, già citata, e resa nell’ambito di una controversia in relazione alla quale risultava irrevocabile in dubbio l’esistenza di un obbligo di riassunzione, in capo al nuovo appaltatore, previsto dal CCNL di riferimento).

In altre parole, ad avviso del Consiglio di Stato, la consistenza giuridica della clausola sociale non varia, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di prime cure, in ragione della fonte da cui la stessa trae origine.

Né ad avvalorare le tesi sostenute dal TAR Liguria sono ritenuti conferenti i richiami alle statuizioni dettate dagli articoli 30 e 50 del Codice degli Appalti, norme delle quali viene messa in discussione la correttezza dell’esegesi operata in primo grado, evidenziandosi, contestualmente, l’assenza di un fondamento logico sotteso alla pronuncia oggetto di gravame, relativamente alla differenziazione della latitudine applicativa della clausola sociale a seconda della diversa fonte da cui l’istituto di che trattasi originerebbe.

Illuminanti appaiono, al riguardo, le seguenti considerazioni dei giudici di Palazzo Spada: “Infatti la libertà di iniziativa economica implica, di necessità, che a ciascun imprenditore sia consentito, nei limiti segnati dall’ordinamento, di organizzare la propria impresa come meglio ritiene e ciò si oppone ad un’interpretazione tale da compromettere la detta prerogativa e che privilegi una scelta fatta a monte, inevitabilmente generalizzata ed avulsa dal contesto specifico della singola organizzazione aziendale. In definitiva la c.d. clausola sociale, qualunque sia la fonte da cui derivi, dev’essere armonizzata con l’organizzazione aziendale dell’imprenditore subentrante”.

Dalle superiori argomentazioni si perviene all’inevitabile conclusione dell’inesistenza, all’interno dell’ordinamento giuridico, di un obbligo di riassunzione generalizzato, in capo all’appaltatore subentrante, di tutta la manodopera precedentemente impegnata nell’espletamento delle attività di volta in volta considerate, in quanto “la clausola sociale, perseguendo la prioritaria finalità di garantire la continuità dell’occupazione in favore dei medesimi lavoratori già impiegati dall’impresa uscente nell’esecuzione dell’appalto, risulta costituzionalmente legittima, quale forma di tutela occupazionale ed espressione del diritto al lavoro (art. 35 Cost.), se si contempera con l’organigramma dell’appaltatore subentrante e con le sue strategie aziendali, frutto, a loro volta, di quella libertà di impresa pure tutelata dall’art. 41 Cost. In una logica di contemperamento fra valori di rilievo costituzionale la compressione del diritto di libertà economica e di libera organizzazione imprenditoriale non può essere predicata in modo incondizionato, incontrando piuttosto specifici limiti nella compatibilità con le strategie aziendali dell’operatore subentrante e - più in generale - nell’identità di ratio e di oggetto di tutela. Si intende con ciò affermare che supererebbe i limiti del richiamato bilanciamento di interessi (comportando un’ingiustificata compressione delle prerogative di cui all’articolo 41 Cost.) un’interpretazione tale da riconoscere l’incondizionata applicabilità della clausola sociale anche a fronte di appalti completamente diversi fra loro. In tali ipotesi, la (pur fondamentale) finalità di tutelare il diritto costituzionalmente tutelato al lavoro (artt. 1, I, 4, I e 35, I, Cost.) finirebbe per comprimere i valori di cui all’articolo 41 Cost. in modo eccessivo rispetto a quanto ragionevolmente esigibile nei confronti dell’operatore economico il quale finirebbe per dover assumere obblighi sostanzialmente riconducibili alle politiche attive del lavoro e in modo potenzialmente del tutto svincolato dalle peculiarità - e dai vantaggi - connessi all’affidamento del singolo appalto” (così Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 4079 del 28.08.2017; si vedano, sul punto, anche la sentenza n. 18 del 02.01.2018 resa dal TAR Toscana, sez. I, e la decisione n. 1494 del 22.09.2017 adottata dal TAR Puglia, sede di Lecce, sez. I).

L’arresto precedentemente raggiunto comporta, per conseguenza necessitata, l’ulteriore implicazione dell’inesistenza di un obbligo di immediata impugnazione della clausola sociale contenuta nella lex specialis di una procedura di appalto pubblico, atteso che un’interpretazione teleologicamente e costituzionalmente orientata delle relative previsioni, ne esclude la lesività.

Giunti alla conclusione di questa brevissima panoramica sulle più recenti pronunce giurisdizionali in materia di clausola sociale occorre evidenziare come la modifica apportata al Codice degli Appalti non abbia determinato, a voler seguire le (condivisibili) argomentazioni del Consiglio di Stato circa la necessità di realizzare un adeguato contemperamento fra le esigenze di tutela della stabilità occupazionale, da un lato, e della libertà di iniziativa economica e di autonomia nell’organizzazione dell’impresa, dall’altro, alcun mutamento significativo in ordine all’effettiva cogenza della clausola de qua sia per la stazione appaltante che per gli offerenti.

In altri termini, la previsione normativa relativa all’obbligatorietà dell’inserimento nei bandi di gara della clausola sociale risponde a finalità politiche, lato sensu intese, e, potremmo dire, pedagogiche, esprimendo una sorta di auspicio a che, nell’attuale contingenza connotata da profili di particolare criticità dal punto di vista sociale ed economico, l’appaltatore subentrante si faccia carico, nella misura massima possibile, delle sorti lavorative degli addetti utilizzati dal precedente gestore per l’espletamento dell’appalto.

Trattasi, per l’appunto, di un auspicio, di una forma di moral suasion, atteso che, come ampiamente argomentato in precedenza attraverso il richiamo ad una pluralità di decisioni del Consiglio di Stato, l’unica interpretazione costituzionalmente legittima, anche ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dall’articolo 117, comma 1, della grundnorm del nostro ordinamento, circa la portata applicativa della clausola sociale è quella che si risolve nell’attribuzione di un rilievo poziore al valore della libertà di iniziativa economica.

In tal senso, del resto, si registra, come già riferito, una sostanziale convergenza anche negli orientamenti espressi dai diversi Tribunali Amministrativi Regionali.

Nel descritto contesto, spicca in termini discrasici la posizione assunta dal TAR Liguria che, pare opportuno rammentarlo, già con la sentenza n. 55 del 27.01.2017, resa dalla sez. II, era giunto ad affermare che la clausola sociale “ assume portata cogente sia per gli offerenti che per l’amministrazione…..Né la società ricorrente può addurre, a giustificazione del proprio rifiuto ad ottemperare ad un obbligo liberamente assunto, generiche quanto indimostrate esigenze organizzative”, aggiungendo che è proprio “l’inserimento nella lex specialis della così detta clausola sociale che realizza, a livello del singolo appalto, il necessario contemperamento tra il diritto di iniziativa economica e le finalità sociali di salvaguardia occupazionale”.

Il rispetto dei fondamentali principi di civiltà giuridica della certezza del diritto e della tutela dell’affidamento dovrebbe indurre il legislatore, al fine di evitare l’insorgenza di defatiganti contenziosi, ad intervenire nuovamente nell’ambito materiale considerato, modificando, ulteriormente, la statuizione dettata dall’articolo 50 del Codice degli Appalti e delimitando, in termini inequivoci, il contenuto e l’efficacia giuridica della clausola sociale.

[1] L’attuale formulazione dell’articolo 50 del Codice degli Appalti è la seguente: “Per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell'Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81. I servizi ad alta intensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto”.