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Riforma delle intercettazioni: il compitino è svolto

Riforma delle intercettazioni: il compitino è svolto
Riforma delle intercettazioni: il compitino è svolto

Bologna, 21 gennaio 2018

 

Nonostante il dibattito che l’ha accompagnata, mi sembra che la riforma delle intercettazioni telefoniche (attenzione c’è molto di più) sia stata gestita come una spunta su un form on line per passare alla pagina successiva o, in versione meno edulcorata, come un fastidioso adempimento da smarcare. Tanto che è arrivata ai titoli di coda della legislatura e, una volta approvata, ha fatto una brevissima comparsa sui mass media con qualche svogliato commento (sbadiglio) per poi finire fagocitata dall’incipiente sclerosi della corrente elettorale, rapidamente e con malcelato sollievo. Se si fosse potuto infilarla in una piega dei mille commi della legge di bilancio lo si sarebbe fatto volentieri.

E dopo? qualche sbiadita dichiarazione di principio, simpatici siparietti magistratura versus avvocatura, scontate polemiche delle forze dell’onestà (a dire la verità meno feroci del solito), scarse assunzioni di responsabilità, e, in definitiva, la tentazione di concludere che se la riforma scontenta un po’ tutti allora è un buon segno: un po’ come la transazione, che, secondo la vulgata, non deve soddisfare le parti in causa per dimostrare la propria validità e, in fin dei conti, la propria essenza.

Non è così (su questo aspetto coltivo un parziale disaccordo con l’Autore in attesa comunque dell’applicazione) e nonostante non vi sia, nel panorama giuridico-processuale, questione più politica di questa, oggi – nelle more della campagna elettorale – tocca al giurista fare i conti con la riforma, supplire con la sostanza dell’analisi alle lacune e, peggio, ai commenti fake, del dibattito pre e post approvazione. D’altro canto, forse proprio perché fresca di approvazione, non ho letto nei programmi delle forze politiche sulla giustizia (ma esistono?) punti sulla riforma delle intercettazioni.

Non è che sia stato un degno epilogo (per ora, s’intende) di una questione che da circa venticinque anni occupa e per larghi tratti ha infiammato la vita politica nazionale, ma tanto vale prenderne atto.

Io credo che le intercettazioni telefoniche e tanto più l’utilizzo delle nuove tecnologie (sui trojan sarebbe forse il caso che i mass media facessero più informazione ma rischio di essere troppo ottimista) tocchino un nervo scoperto della nostra umanità. Vellicano i nostri istinti voyeristici facendoci interessati partecipi delle intimità più recondite della vita del vip di turno, del politico sgradito, dell’antipatico vicino di casa, del professore universitario simbolo dei nostri fallimenti accademici e del funzionario odiato perché in quel momento rappresenta l’idealtipo del dipendente pubblico da cui abbiamo subito the insolence of office e/o the laws delay. E d’altra parte, in un misto agrodolce di contrastanti affetti e sentimenti, non sempre – ma sono convinto più spesso di quanto vogliamo ammettere – toccano la punta più nobile della nostra empatia e ci invitano a ritrarci quasi colti da vertigini una volta dato uno sguardo all’abisso.

Davvero si tratta di ragionare secondo i paradigmi rassicuranti del contemperamento di diritti e interessi? come il piccolo chimico giocare con gli ingredienti e dosare un po’ di diritto di cronaca, con un pizzico di tutela dei diritti, con qualche sostanziosa parte di perseguimento del pubblico interesse. Non credo, ma ringrazio Vincenzo Giglio perché mi aiuta a ragionare cercando di proporre soluzioni (che non sono transazioni!).

In questo desolante contesto, il giurista deve infatti analizzare la riforma nella propria doppia veste, da un lato di colui che il diritto contribuisce quotidianamente a creare, dall’altro di colui che può forse lentamente sperare di fare giungere al politico – eventualmente per mezzo di proprio rappresentanti, non sono ancora riuscito a capire se sia un privilegio o una colpa da scontare – proposte di ulteriore riforma che prima o poi dovranno condurre a fare i compiti fino in fondo, abbandonando il cinismo delle mezze riforme. 

E allora oggi è il momento di metterci la toga (in un certo senso come Machiavelli), di lavorare sottotraccia forse, di approfondire con e grazie a Vincenzo Giglio la situazione esistente e il portato della riforma, di immagazzinare nozioni ed elementi di difesa, per ricercare sul campo la soluzione, perché essa va forse più scovata nella realtà che ci circonda che sul piano delle idee.

Potremo così passare dal domandarci come funzionano le cose per interrogarsi sul perché.