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Come comportarsi durante le verifiche fiscali

Come comportarsi durante le verifiche fiscali
Come comportarsi durante le verifiche fiscali

Il contribuente ed il suo difensore devono sapere come comportarsi correttamente durante le verifiche fiscali sia per non pregiudicare la difesa e sia per ben utilizzare la documentazione fiscale a vantaggio del contribuente stesso.

La normativa principale in materia di verifiche fiscali è contenuta negli articoli 52 e 63 del DPR n. 633/72, nell’articolo 33 DPR n. 600/73 e nell’articolo 12 della Legge n. 212/2000 (c.d. Statuto dei Diritti del Contribuente).

Inoltre, sul tema delle verifiche fiscali, la Corte di Cassazione si è pronunciata con varie sentenze.

Sotto il primo profilo (onere motivazionale) è utile rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’onere dell’Ufficio di mettere in grado il contribuente, attraverso la motivazione dell’atto impositivo, di conoscere le ragioni della pretesa tributaria può essere assolto per relationem mediante il riferimento ad elementi offerti da altri documenti conosciuti o conoscibili dal destinatario, come il processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza notificato o consegnato al contribuente.

In tale prospettiva, non vi è motivo di non riconoscere anche l’ammissibilità di una doppia motivazione per relationem laddove anche il processo verbale di constatazione a sua volta faccia rimando a documenti in possesso o comunque conosciuti o agevolmente conoscibili dal contribuente.

Sotto il secondo profilo (onere probatorio) occorre, però, considerare che il processo verbale di constatazione, redatto dalla Guardia di Finanza o dagli altri organi di controllo fiscale, può assumere un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità (Corte di Cassazione - Quinta Sezione Civile - Sentenza n. 28063 depositata il 24/11/2017):

a) il verbale è assistito da fede privilegiata ai sensi dell’articolo 2700 del codice civile, relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese (cfr. ex multis Cass. 03/07/2014, n. 15191; Cass. 10/02/2006, n. 2949); in questi casi, se il contribuente intende contestare deve obbligatoriamente presentare la querela di falso;

b) quanto invece alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi, e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi, esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni;

c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, ai fini della decisione, e può essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità, o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore (cfr. Cass. 20/03/2007, n. 6565).

Alla luce di tali premesse ricostruttive, non è dubitabile che anche il solo riferimento da parte degli agenti accertatori, sia pure non specifico e analitico, al contenuto di documenti comunque conoscibili dal soggetto sottoposto a verifica vale a costituire elemento di prova, bensì non assistito da fede privilegiata ma pur sempre idoneo a suffragare le conclusioni in base ad essi raggiunte dai verificatori, ove  non risulti che all’atto della verifica il contribuente abbia mosso specifica contestazione al riguardo, come indubbiamente era già in grado di fare.

Infatti, bisogna precisare che il contribuente ha diritto a non parlare e a non firmare il verbale quando ritiene di contestare il tutto.

Mette conto al riguardo rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, nel giudizio di Cassazione, è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, perché allo stesso non sollecitati. Ove una determinata questione che implichi un accertamento di fatto non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità ha l’onere di indicare in quale atto del giudizio di merito l’abbia dedotta, così da permettere alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di ogni altro esame (v. Cass. 12/07/2005, n. 14590; 28/07/2008, n. 20518).

È appena il caso al riguardo di rammentare che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice su ogni questione o argomentazione difensiva svolta dalla parte, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, e dovendo pertanto escludersi il suddetto vizio quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (v. Cass. n. 10636 del 2007).

È vero che, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello integra un difetto di attività del giudice di secondo grado che deve essere fatto valere dal ricorrente attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo per violazione dell’articolo 112 del codice di procedura civile (v. Cass. n. 11844 del 2006; n. 24856 del 2006 e n. 12952 del 2007).

Infine, la Corte di Cassazione ha già avuto modo di chiarire, in modo costante, che, in materia tributaria, gli elementi raccolti a carico del contribuente dai militari della Guardia di Finanza senza il rispetto delle formalità di garanzia difensiva prescritte per il procedimento penale, non sono inutilizzabili nel procedimento di accertamento fiscale, stante l’autonomia del procedimento penale rispetto a quello di accertamento tributario, secondo un principio che, oltre ad essere sancito dalle norme sui reati tributari (articolo 12 del D.L. 10 luglio 1982, n. 429 successivamente confermato dall’articolo 20 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), è desumibile anche dalle disposizioni generali dettate dagli articoli 2 e 654 del codice di procedura penale ed è espressamente previsto dall’articolo 220 disp. att. codice di procedura penale, che impone l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale, quando nel corso di attività ispettive emergano indizi di reato, ma soltanto ai fini della «applicazione della legge penale» (v. Cass. 12/11/2010, n. 22984).

In materia tributaria, invero, non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento comporta, di per sé, l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, esclusi i casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio (Cass. 16/12/2011, n. 27149), ai sensi degli artt. 13 e 14 della Costituzione.